[Repubblica.it 19/12/2013]
SEMPRE più vicini a Internet e ai social network, un po' meno a videocamere ed ebook. A rivelare questi cambiamenti
nelle abitudini degli italiani è il rapporto dell'Istat su cittadini e
nuove tecnologie 2013. Il primo dato che colpisce è che le famiglie
italiane con accesso a Internet dalla propria abitazione sono ormai sei
su dieci, passate dal 55,5 per cento dello scorso anno al 60,7 per cento
del 2013. In aumento anche il numero di chi possiede un personal
computer: nel 2012 lo si trovava nel 59,3 per cento delle famiglie
mentre ora siamo arrivati al 62,8. Al web sono collegati in totale 15
milioni e 138 mila nuclei familiari, di cui ben 14 milioni e 893 mila
possiedono una connessione a banda larga. [Leggi tutto...]
giovedì 19 dicembre 2013
mercoledì 18 dicembre 2013
Social network:pericoli per adolescenti
[CellulareMagazine 16/12/2013]
L'invito agli adolescenti è "occhi aperti" su Internet, per non cadere in trappola di cyber-bullismo e gradite sorprese. A dimostrare le pericolosità del Web è l'indagine condotta da Federconsumatori e Adusbef, che ha analizzato il comportamento on-line dei ragazzi da 12 a 17 anni. Ben 8 adolescenti su 10 navigano in Rete per più di un'ora al giorno e 9 su 10 vanta un profilo sul social network, utilizzati per il 75% dei casi per leggere notizie e postare foto personali.
Questi comportamenti, si legge nel documento proposto dalle associazioni, genera una mole "rilevante di dati riversati in rete" che "se non gestita in modo responsabile e accorto, espone i ragazzi al rischio delle molestie e del bullismo". Non è un caso che 4 intervistati su 10 ritengono di essere rimasti in qualche modo vittime di diffusione di notizie false o riservate pur senza che questo sia sfociato in veri e propri episodi di bullismo o di stolkeraggio.
E ancora: il 41% del campione ritiene di essere rimasto vittima di atteggiamenti scorretti. Essere presi di mira è un pericolo reale sentito dal 71% dei ragazzi. Il 90% ritiene che "le vessazioni, le molestie, il bullismo messi in campo attraverso i canali di Internet possano aver avuto un ruolo significativo nei casi dolorosi di cronaca sfociati nel suicidio di giovani vittime".
Tutto ciò è ancora più complicato nell'era dei dispositivi mobili, che permettono un collegamento costante ai social e al Web. Ecco perché Federconsumatori e Adusbef hanno deciso offrire assistenza gratuita ai minori vittime di bullismo e molestie in Rete attraverso un apposito progetto per sensibilizzare sul tema della web reputation.
Luca Figini
L'invito agli adolescenti è "occhi aperti" su Internet, per non cadere in trappola di cyber-bullismo e gradite sorprese. A dimostrare le pericolosità del Web è l'indagine condotta da Federconsumatori e Adusbef, che ha analizzato il comportamento on-line dei ragazzi da 12 a 17 anni. Ben 8 adolescenti su 10 navigano in Rete per più di un'ora al giorno e 9 su 10 vanta un profilo sul social network, utilizzati per il 75% dei casi per leggere notizie e postare foto personali.
Questi comportamenti, si legge nel documento proposto dalle associazioni, genera una mole "rilevante di dati riversati in rete" che "se non gestita in modo responsabile e accorto, espone i ragazzi al rischio delle molestie e del bullismo". Non è un caso che 4 intervistati su 10 ritengono di essere rimasti in qualche modo vittime di diffusione di notizie false o riservate pur senza che questo sia sfociato in veri e propri episodi di bullismo o di stolkeraggio.
E ancora: il 41% del campione ritiene di essere rimasto vittima di atteggiamenti scorretti. Essere presi di mira è un pericolo reale sentito dal 71% dei ragazzi. Il 90% ritiene che "le vessazioni, le molestie, il bullismo messi in campo attraverso i canali di Internet possano aver avuto un ruolo significativo nei casi dolorosi di cronaca sfociati nel suicidio di giovani vittime".
Tutto ciò è ancora più complicato nell'era dei dispositivi mobili, che permettono un collegamento costante ai social e al Web. Ecco perché Federconsumatori e Adusbef hanno deciso offrire assistenza gratuita ai minori vittime di bullismo e molestie in Rete attraverso un apposito progetto per sensibilizzare sul tema della web reputation.
Luca Figini
Fare didattica nel Web 2.0: dall'ebook al self managed content
[01net. 17/12/2013]
Un ebook sui nuovi percorsi dell'education nel mondo digitale.
Racconta l'esperienza di un corso e di una proposta di innovazione didattica targate Aica-Itsos di Cernusco.
Quando le tecnologie incontrano la didattica succede sempre qualcosa.
È ciò che si evince dal rapporto redatto da Roberto Bellini, scaricabile qui a lato in ebook (in tutti i formati: pdf, epub, mobi), dell'esperienza condotta da Aica e dall'Itsos di Cernusco su una proposta di innovazione nell'insegnamento che fa capo all'utilizzo dei nuovi dispositivi e delle nuove metodiche.
In estrema sintesi, le caratteristiche dell'innovazione didattica presentata nel documento sono tre:
• La scelta dei docenti di lavorare in immersione totale nel web.
• L'identificazione e selezione dei principali strumenti e metodologie di lavoro per la docenza, rispetto ai tre ruoli che i docenti assumono nella progettazione, realizzazione e verifica dei risultati del percorso didattico .
• La costituzione in nuce di una smart community nella scuola che coinvolge la maggioranza degli attori che giocano un ruolo nella didattica.
Se ne trae che i risultati raggiunti sono due:
1 - la disponibilità di un nuovo materiale didattico, generato dall'esperienza dei docenti, supportato dai materiali testuali in formato elettronico messi a disposizione dagli editori scolastici, validato con il contributo degli studenti, in una parola gestito e utilizzato realmente;
2 - la disponibilità di un percorso metodologico verificato e riproponibile per una estensione della sperimentazione ad una rete di scuole.
È ciò che si evince dal rapporto redatto da Roberto Bellini, scaricabile qui a lato in ebook (in tutti i formati: pdf, epub, mobi), dell'esperienza condotta da Aica e dall'Itsos di Cernusco su una proposta di innovazione nell'insegnamento che fa capo all'utilizzo dei nuovi dispositivi e delle nuove metodiche.
In estrema sintesi, le caratteristiche dell'innovazione didattica presentata nel documento sono tre:
• La scelta dei docenti di lavorare in immersione totale nel web.
• L'identificazione e selezione dei principali strumenti e metodologie di lavoro per la docenza, rispetto ai tre ruoli che i docenti assumono nella progettazione, realizzazione e verifica dei risultati del percorso didattico .
• La costituzione in nuce di una smart community nella scuola che coinvolge la maggioranza degli attori che giocano un ruolo nella didattica.
Se ne trae che i risultati raggiunti sono due:
1 - la disponibilità di un nuovo materiale didattico, generato dall'esperienza dei docenti, supportato dai materiali testuali in formato elettronico messi a disposizione dagli editori scolastici, validato con il contributo degli studenti, in una parola gestito e utilizzato realmente;
2 - la disponibilità di un percorso metodologico verificato e riproponibile per una estensione della sperimentazione ad una rete di scuole.
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martedì 3 dicembre 2013
Nativi digitali, odio-amore per l'hi-tech: il 76% pensa che li renda meno umani
[Key4Biz 22/11/2013]
Gli italiani sono tra i primi al mondo per passione tecnologica, la metà, infatti, non vede l'ora di mettere le mani sull'ultimo dispositivo hi-tech arrivato sul mercato, ma ultimi per innovazione. Un dato poco lusinghiero, considerando anche che Il 77% degli intervistati in Italia crede che la propensione all'innovazione di una nazione sia un fattore importante di benessere sociale.
All'Italia
spetta un altro primato negativo: solo 7 italiani su 100 riconoscono
nel Governo una forza trainante per l'innovazione tecnologica nel Paese.
[Leggi tutto...]
Gli italiani sono tra i primi al mondo per passione tecnologica, la metà, infatti, non vede l'ora di mettere le mani sull'ultimo dispositivo hi-tech arrivato sul mercato, ma ultimi per innovazione. Un dato poco lusinghiero, considerando anche che Il 77% degli intervistati in Italia crede che la propensione all'innovazione di una nazione sia un fattore importante di benessere sociale.
[Leggi tutto...]
mercoledì 20 novembre 2013
Adolescenti ‘app-generation’, sempre meno capaci di scrivere
[Ansa.it 18/11/2013]
Rispetto agli adolescenti degli ultimi venti anni i ragazzi 'app-generation' di oggi hanno una grande quantità di mezzi digitali e dimostrano di avere un livello superiore di creatività nelle arti grafiche e visive ma, di pari passo, zoppicano nella scrittura che, negli anni, si è appiattita, ha perso sfumature, è diventata più semplice e banale. Lo dimostrano i ricercatori della University of Washington e della Harvard university che hanno analizzato 354 campioni di arti visive e 30 esempi di scrittura creativa degli adolescenti americani, confrontandoli con ciò che creavano e scrivevano i ragazzi delle precedenti generazioni a ritroso fino al 1964. Lo studio sarà pubblicato a dicembre su Creativity research journal. "I giovani oggi dimostrano di sapersi giostrare meglio nell'uso dei mezzi informatici per la produzione di disegni e arti visive dimostrando un alto livello di sofisticazione e complessità nei loro lavori, insieme ad un uso più ridotto delle illustrazioni a penna" spiega Katie Davis, coautrice del libro 'The App-generation" uscito a fine ottobre, e direttore dello studio. "Al contrario la scrittura negli ultimi 20 anni è diventata più convenzionale, con un trend di appiattimento, mancanza di sfumature e maggiore banalità, con un linguaggio più semplice".
I ricercatori evidenziano che negli anni osservati c'è stato un aumento notevole dell'innovazione in ambito dell'arte digitale e i ragazzi della 'app-generation' hanno molti strumenti in più per la produzione artistica creativa. "Rimane una questione aperta se il declino nelle capacità letterarie sia la conseguenza di questa grande offerta di mezzi digitali negli ultimi 20 anni. La questione andrebbe approfondita meglio e merita più attenzione" ha precisato Davis.
Rispetto agli adolescenti degli ultimi venti anni i ragazzi 'app-generation' di oggi hanno una grande quantità di mezzi digitali e dimostrano di avere un livello superiore di creatività nelle arti grafiche e visive ma, di pari passo, zoppicano nella scrittura che, negli anni, si è appiattita, ha perso sfumature, è diventata più semplice e banale. Lo dimostrano i ricercatori della University of Washington e della Harvard university che hanno analizzato 354 campioni di arti visive e 30 esempi di scrittura creativa degli adolescenti americani, confrontandoli con ciò che creavano e scrivevano i ragazzi delle precedenti generazioni a ritroso fino al 1964. Lo studio sarà pubblicato a dicembre su Creativity research journal. "I giovani oggi dimostrano di sapersi giostrare meglio nell'uso dei mezzi informatici per la produzione di disegni e arti visive dimostrando un alto livello di sofisticazione e complessità nei loro lavori, insieme ad un uso più ridotto delle illustrazioni a penna" spiega Katie Davis, coautrice del libro 'The App-generation" uscito a fine ottobre, e direttore dello studio. "Al contrario la scrittura negli ultimi 20 anni è diventata più convenzionale, con un trend di appiattimento, mancanza di sfumature e maggiore banalità, con un linguaggio più semplice".
I ricercatori evidenziano che negli anni osservati c'è stato un aumento notevole dell'innovazione in ambito dell'arte digitale e i ragazzi della 'app-generation' hanno molti strumenti in più per la produzione artistica creativa. "Rimane una questione aperta se il declino nelle capacità letterarie sia la conseguenza di questa grande offerta di mezzi digitali negli ultimi 20 anni. La questione andrebbe approfondita meglio e merita più attenzione" ha precisato Davis.
La costruzione dell'identità e i social network
[Huffington post Italia 18/11/2013]
Usare e "stare" sui social network ha amplificato il mio radicato interesse per il tema della costruzione e percezione dell'identità. Come molti, anche io mi sono chiesta perché tutto questo successo dei social? Perché siamo tutti lì a dire cosa abbiamo mangiato, dove siamo andati in vacanza e cosa sogniamo? Perché far sapere agli altri i nostri gusti musicali? E perché questo compulsivo bisogno di condividere?
Gran parte di questo successo, mi viene da pensare, è forse dovuto al fatto che sui social media noi possiamo costruire, plasmare e, apparentemente, controllare le nostre identità-plurime. Possiamo diventare supereroi, possiamo esplorare gli aspetti più oscuri della nostra personalità, più o meno in incognito--sempre presunto ovviamente perché, si sa, niente in rete è veramente in incognito.
Su Twitter per esempio, vedo che tra i tanti, tantissimi, che si identificano indicando un nome e cognome (non necessariamente veri) ci sono anche un "buonoanullo" un "lama elegante" un "signor nessuno" un "MisterX", un "Diavolo", un "Dio" una "ballodasola", una "solostronza" e una "corposenzatesta". Giusto per citarne qualcuno. Una bella signora sposata, si definisce così: "fighting 40+, UK" e posta foto più o meno porno con o senza lingerie (il suo modo di contrastare la crisi d'identità che accompagna la pre-menopausa). Ognuno si dedica liberamente a diventare ciò che vuole o che forse non può essere nel quotidiano. Twitter è la trasgressione potenziale, il travestimento drag accessibile, facile e gratuito. Con tanto di flirt, twitt-cottarelle e sesso virtuale.
Pare infatti che Twitter funzioni meglio dei siti d'incontri. Mentana, tempo fa, con il suo annuncio pubblico e pubblicizzato, di cancellarsi da Twitter voleva denunciare proprio il rischio insito nel non doversi necessariamente esporre in prima persona. Con un finto profilo infatti, si può criticare, flirtare, insinuare e offendere chiunque senza rischiare conseguenze concretamente problematiche--tipo una denuncia.
Ci sono quelli che preferiscono Facebook e quelli che preferiscono Twitter. La grande differenza, la maggiore direi, tra i due social è che su FB si tende a modificare l'identità reale. Ovverosia ad imbellire l'io quotidiano, filtrando accuratamente cosa postare e cosa non, quali foto taggare, quali citazioni condividere. In base all'idea che abbiamo dell'io desiderabile (ricco, magro, viaggiatore, politico, pubblico, misterioso, intellettuale, simpatico...) aggiungiamo pezzetti di un puzzle immaginario che ci deve rappresentare così come riteniamo di voler essere.
Al contrario, twitter-che non richiede veri o presunti amici come pubblico, ma predilige gli sconosciuti-si presta meglio a costruire un'identità completamente nuova e spesso del tutto staccata dall'io quotidiano e, attraverso questa, permette di esplorare soprattutto chi poter essere. Non è certo un caso che, sempre più spesso, chi deve assumere del personale, controlli in rete chi o cosa questa persona sia e l'immagine di sé che il candidato vuole dare. E a voler cascare nella trappola del "prima e dopo", prima di questo boom dei social, l'identità veniva costruita attraverso l'album fotografico e i filmini delle vacanze o del matrimonio. Adesso attraverso Linkedin, FB o Instagram e di questi tempi è più pressante e vitale esistere in rete che esistere nella realtà. E penso al famoso adagio: se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, fa rumore? Egualmente, se qualcuno esiste, ma non è visibile in rete, non è contattabile, non è rintracciabile, esiste sul serio?
Il 24 maggio 2012 al New Museum di New York, l'artista Constant Dullaart ha voluto puntare il dito su questo fenomeno in modo provocatorio e ha reso pubblica la password necessaria per accedere al suo account Facebook. Da quel momento, non ha più avuto alcun controllo sul suo diario online. Su questa scia, l'artista tedesco, Tobias Leingruber, ha fondato il Social ID Bureau, un servizio che mette a disposizione carte d'identità basate sulla nostra presenza nei social network. Nato come Facebook ID Bureau e lanciato con una performance a Berlino nel marzo scorso, il progetto ha immediatamente stimolato la risposta legale di Facebook.
E così continuo a perdermi nelle mie riflessioni. Cosa vuol dire, di questi tempi la parola "identità"? E come ci possiamo identificare adesso che anche l'identità è diventata, citando Bauman, liquida? Ma soprattutto, adesso che possiamo non-essere e cambiare chi essere come cambiamo abiti, che rappresentazione del reale cercheremo?
Sasha Perugini
Usare e "stare" sui social network ha amplificato il mio radicato interesse per il tema della costruzione e percezione dell'identità. Come molti, anche io mi sono chiesta perché tutto questo successo dei social? Perché siamo tutti lì a dire cosa abbiamo mangiato, dove siamo andati in vacanza e cosa sogniamo? Perché far sapere agli altri i nostri gusti musicali? E perché questo compulsivo bisogno di condividere?
Gran parte di questo successo, mi viene da pensare, è forse dovuto al fatto che sui social media noi possiamo costruire, plasmare e, apparentemente, controllare le nostre identità-plurime. Possiamo diventare supereroi, possiamo esplorare gli aspetti più oscuri della nostra personalità, più o meno in incognito--sempre presunto ovviamente perché, si sa, niente in rete è veramente in incognito.
Su Twitter per esempio, vedo che tra i tanti, tantissimi, che si identificano indicando un nome e cognome (non necessariamente veri) ci sono anche un "buonoanullo" un "lama elegante" un "signor nessuno" un "MisterX", un "Diavolo", un "Dio" una "ballodasola", una "solostronza" e una "corposenzatesta". Giusto per citarne qualcuno. Una bella signora sposata, si definisce così: "fighting 40+, UK" e posta foto più o meno porno con o senza lingerie (il suo modo di contrastare la crisi d'identità che accompagna la pre-menopausa). Ognuno si dedica liberamente a diventare ciò che vuole o che forse non può essere nel quotidiano. Twitter è la trasgressione potenziale, il travestimento drag accessibile, facile e gratuito. Con tanto di flirt, twitt-cottarelle e sesso virtuale.
Pare infatti che Twitter funzioni meglio dei siti d'incontri. Mentana, tempo fa, con il suo annuncio pubblico e pubblicizzato, di cancellarsi da Twitter voleva denunciare proprio il rischio insito nel non doversi necessariamente esporre in prima persona. Con un finto profilo infatti, si può criticare, flirtare, insinuare e offendere chiunque senza rischiare conseguenze concretamente problematiche--tipo una denuncia.
Ci sono quelli che preferiscono Facebook e quelli che preferiscono Twitter. La grande differenza, la maggiore direi, tra i due social è che su FB si tende a modificare l'identità reale. Ovverosia ad imbellire l'io quotidiano, filtrando accuratamente cosa postare e cosa non, quali foto taggare, quali citazioni condividere. In base all'idea che abbiamo dell'io desiderabile (ricco, magro, viaggiatore, politico, pubblico, misterioso, intellettuale, simpatico...) aggiungiamo pezzetti di un puzzle immaginario che ci deve rappresentare così come riteniamo di voler essere.
Al contrario, twitter-che non richiede veri o presunti amici come pubblico, ma predilige gli sconosciuti-si presta meglio a costruire un'identità completamente nuova e spesso del tutto staccata dall'io quotidiano e, attraverso questa, permette di esplorare soprattutto chi poter essere. Non è certo un caso che, sempre più spesso, chi deve assumere del personale, controlli in rete chi o cosa questa persona sia e l'immagine di sé che il candidato vuole dare. E a voler cascare nella trappola del "prima e dopo", prima di questo boom dei social, l'identità veniva costruita attraverso l'album fotografico e i filmini delle vacanze o del matrimonio. Adesso attraverso Linkedin, FB o Instagram e di questi tempi è più pressante e vitale esistere in rete che esistere nella realtà. E penso al famoso adagio: se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, fa rumore? Egualmente, se qualcuno esiste, ma non è visibile in rete, non è contattabile, non è rintracciabile, esiste sul serio?
Il 24 maggio 2012 al New Museum di New York, l'artista Constant Dullaart ha voluto puntare il dito su questo fenomeno in modo provocatorio e ha reso pubblica la password necessaria per accedere al suo account Facebook. Da quel momento, non ha più avuto alcun controllo sul suo diario online. Su questa scia, l'artista tedesco, Tobias Leingruber, ha fondato il Social ID Bureau, un servizio che mette a disposizione carte d'identità basate sulla nostra presenza nei social network. Nato come Facebook ID Bureau e lanciato con una performance a Berlino nel marzo scorso, il progetto ha immediatamente stimolato la risposta legale di Facebook.
E così continuo a perdermi nelle mie riflessioni. Cosa vuol dire, di questi tempi la parola "identità"? E come ci possiamo identificare adesso che anche l'identità è diventata, citando Bauman, liquida? Ma soprattutto, adesso che possiamo non-essere e cambiare chi essere come cambiamo abiti, che rappresentazione del reale cercheremo?
Sasha Perugini
#eJournalism, il 96% dei giornalisti Uk usa i social media per lavoro
[Key4biz 18/11/2013]
Quasi tutti i giornalisti del Regno Unito usano i social media per lavoro, tutti i giorni. E' l'indicazione di un sondaggio compiuto su 589 giornalisti del paese nell'ambito del "2013 Social Journalism Study" curato da Cision e dalla Canterbury Christ Church University, secondo cui il 96% è sui social media ''tutti i giorni'' e il 92% usa soprattutto Twitter.
Un fortissimo aumento rispetto al 70% di due anni e all'80% che l'anno scorso diceva di utilizzare Twitter (Figura 1).
Il 42% loro ritiene che i social media "siano così importanti che ormai non sarebbero in grado di svolgere il loro lavoro senza di essi" , aggiunge il rapporto. [Leggi tutto...]
Quasi tutti i giornalisti del Regno Unito usano i social media per lavoro, tutti i giorni. E' l'indicazione di un sondaggio compiuto su 589 giornalisti del paese nell'ambito del "2013 Social Journalism Study" curato da Cision e dalla Canterbury Christ Church University, secondo cui il 96% è sui social media ''tutti i giorni'' e il 92% usa soprattutto Twitter.
Un fortissimo aumento rispetto al 70% di due anni e all'80% che l'anno scorso diceva di utilizzare Twitter (Figura 1).
Il 42% loro ritiene che i social media "siano così importanti che ormai non sarebbero in grado di svolgere il loro lavoro senza di essi" , aggiunge il rapporto. [Leggi tutto...]
Le policy sui social media dei giornali italiani: LaStampa.it ha reso diponibile il suo decalogo, si apra un dibattito
[18/11/2013 Lsdi]
Recentemente la Social Media Editor della Stampa, Anna Masera, ha pubblicato sul suo blog la bozza di social media policy del giornale che risale a gennaio 2012, richiedendo osservazioni e proposte. In effetti la pubblicazione di questo decalogo con tutti i suoi limiti può essere una interessante piattaforma di partenza per discutere del rapporto fra old media, redazioni e social network.
In effetti parlare di social media policy pare un po’ eccessivo; meglio parlare di regolamento aziendale, di un decalogo per l’ uso dei social media che rende maggiormente fede alla tipologia del documento che sostanzialmente pone delle restrizioni e definizioni di competenza operativi piuttosto che un framework operativo esteso.
di Vittorio Pasteris
La cosa che più balza all’occhio dalla letttura del documento è che l’approccio con il mondo esterno, quello dei lettori, è decisamente poco social. Pare che l’ obiettivo del documento stesso sià più di creare un confine netto fra il mondo della redazione e dell’editrice e quello che sta fuori “dal firewall aziendale”, oppure um metodo per evitare fughe di notizie ed informazioni piuttosto che un galateo sociale di Rete.
Sembrano insomma più le regole di ingaggio di un plotone militare che deve sapere militarmente che fare o non fare, piuttosto che delle linee guida di condivisione e rapporto con i lettori. Anzi il termine lettori o qualcosa di simile non appare proprio nel testo.
Dando una lettura a quanto proposto dal NYT la differenza è evidente e lascia la discrezionalità al buon senso dei giornalisti
Analogamente la differenza con quanto propone il Guardian nelle sue pagine è evidente.
Ma almeno La Stampa ci ha provato e ha reso pubblico il suo approccio al problema, sarebbe interessante che ora gli altri giornali old media o nativi digitali dicessero la loro sul modus operardi sui social media.
Il testo del decalogo della Stampa.it:
Recentemente la Social Media Editor della Stampa, Anna Masera, ha pubblicato sul suo blog la bozza di social media policy del giornale che risale a gennaio 2012, richiedendo osservazioni e proposte. In effetti la pubblicazione di questo decalogo con tutti i suoi limiti può essere una interessante piattaforma di partenza per discutere del rapporto fra old media, redazioni e social network.
In effetti parlare di social media policy pare un po’ eccessivo; meglio parlare di regolamento aziendale, di un decalogo per l’ uso dei social media che rende maggiormente fede alla tipologia del documento che sostanzialmente pone delle restrizioni e definizioni di competenza operativi piuttosto che un framework operativo esteso.
di Vittorio Pasteris
La cosa che più balza all’occhio dalla letttura del documento è che l’approccio con il mondo esterno, quello dei lettori, è decisamente poco social. Pare che l’ obiettivo del documento stesso sià più di creare un confine netto fra il mondo della redazione e dell’editrice e quello che sta fuori “dal firewall aziendale”, oppure um metodo per evitare fughe di notizie ed informazioni piuttosto che un galateo sociale di Rete.
Sembrano insomma più le regole di ingaggio di un plotone militare che deve sapere militarmente che fare o non fare, piuttosto che delle linee guida di condivisione e rapporto con i lettori. Anzi il termine lettori o qualcosa di simile non appare proprio nel testo.
Dando una lettura a quanto proposto dal NYT la differenza è evidente e lascia la discrezionalità al buon senso dei giornalisti
We treat our readers no less fairly in private than in public. Anyone who deals with readers is expected to honor that principle, knowing that ultimately the readers are our employers. Civility applies whether an exchange takes place in person, by telephone, by letter or online.
Analogamente la differenza con quanto propone il Guardian nelle sue pagine è evidente.
Ma almeno La Stampa ci ha provato e ha reso pubblico il suo approccio al problema, sarebbe interessante che ora gli altri giornali old media o nativi digitali dicessero la loro sul modus operardi sui social media.
Il testo del decalogo della Stampa.it:
1) I giornalisti de La Stampa che intendono utilizzare i social networks per conto del giornale saranno inseriti nelle pagine dedicate del sito web. In tale caso La Stampa garantisce assistenza legale, previa adesione al decalogo.
2) I giornalisti de La Stampa sono tenuti a identificarsi come tali se utilizzano i loro profili per lavoro (e non solo per interesse personale).
3) Le notizie vanno date prima al proprio giornale, cartaceo o digitale.
4) Una proposta rifiutata dall’edizione cartacea perché considerata non adeguata alla linea del giornale, manterrà naturalmente la stessa inadeguatezza anche sulle piattaforme digitali.
5) E’ proibito divulgare sui social media notizie che La Stampa non ha ancora pubblicato, non importa in quale formato (per es. anticipare articoli in uscita il giorno dopo in edicola). Fanno eccezione i casi in cui ci sia un’esplicita scelta della direzione di promuovere in anticipo contenuti destinati all’edicola .
6) E’ proibito pubblicare nel proprio profilo materiale di proprietà de La Stampa o confidenziale (per es. lettere aziendali interne, o comunicati del CdR).
7) E’ bene linkare i contenuti de La Stampa, non è bene farne il copia e incolla sulle proprie pagine personali (soprattutto senza link alla fonte).
8) E’ bene tenere presente che tutto ciò che si pubblica su Internet rischia di essere permanente e può essere rintracciato dai motori di ricerca in ogni sua singola parola anche molti anni dopo la pubblicazione.
9) I giornalisti de La Stampa sui social networks devono sapere che qualsiasi informazione personale che rivelano di sé o dei loro colleghi può essere associata al nome della Stampa.
Ormai è risaputo che su Internet niente è davvero privato: quindi bisogna impostare con cura le scelte per la privacy (per esempio su Facebook * ) * Saranno fornite istruzioni a riguardo per chi le richiedesse.
10) I giornalisti de La Stampa devono tenere presente che qualsiasi opinione esprimano sui social networks può danneggiare la reputazione e la credibilità del loro giornale. Si raccomanda di applicare buon senso e professionalità.
E’ bene dichiarare sempre che le opinioni che si esprimono sono personali, ma è bene anche tenere conto che parlare male di chiunque ha sempre conseguenze negative sia per i giornalisti che per la testata. Sono altamente scoraggiati i battibecchi.
Quando si interagisce con il pubblico sui social networks e nello spazio riservato ai commenti nei blog è buona prassi ringraziare quando le critiche sono giuste e rispondere puntualmente a quelle sbagliate per ristabilire la verità, ma sempre con educazione: anche quando gli interlocutori sono a dir poco maleducati.
Nel caso i giornalisti siano vittime di attacchi di “troll”, sono invitati a segnalarlo all’azienda, e – nel frattempo – a ignorarli.
Il social network delle grandi inchieste
[18/11/2013 La Repubblica]
D al tweet al racconto il passo è breve. Almeno per Evan Williams, uno dei quattro cofondatori di Twitter. Il quale, dopo aver fatto una fortuna con il social network della sintesi, ha deciso di andare oltre i 140 caratteri. E insieme al sodale Biz Stone, che lo ha accompagnato anche nell’avventura di Twitter ora abbandonata da entrambi, ha fondato Medium: una piattaforma a metà tra il blog e il social network, che invita gli utenti a produrre e a leggere contenuti più estesi. «Storie che contano - sottolinea Williams decisamente più lunghe di un tweet. Con Medium stiamo provando a creare il luogo ideale per la condivisone di storie e di idee. Contenuti di sostanza, che non possono essere racchiusi in 140 caratteri, e che non sono stati pubblicati solo a uso e consumo degli amici”, come invece accade spesso sui social network». L’idea alla base di Medium, fondato circa un anno fa, è proprio quella di rendere più semplice ed efficace la condivisione di contenuti di maggiore ‘spessore’. E di permettere loro di diventare virali, proprio come accade per le vignette e i memesu Twitter e Facebook. «Su Medium trovano spazio molti argomenti diversi», sottolinea Williams, che della start-up è anche Ceo e l’ha presentata in grande stile con un’ampia intervista al mensile Wired, edizione americana. «Possono esserci post di natura professionale o personale, di fiction o di non fiction. Su Medium ci sono prospettive, idee e persino reportage giornalistici».
Per questo il servizio, invece di raccogliere i post per autore, preferisce un raggruppamento sulla base dei temi trattati. E se da un lato offre un’esperienza utente semplificata, con un’interfaccia minimale che permette l’autopubblicazione in pochi semplici passi , dall’altro mette in campo un’importante limitazione: un algoritmo che valuta la qualità dei contenuti editoriali e l’interesse suscitato negli utenti. Una sorta di filtro che mette in luce i post ritenuti di maggior qualità, a scapito di quelli individuati come di bassa fattura, e che costituisce il vero valore aggiunto del nuovo servizio. A questo si aggiunge una squadra di 40 editor e accordi con vari produttori di contenuti professionali, fra cui Epic, azienda americana che si occupa di trovare storie interessanti da trasformare in libri o film: industrial writer, come li chiama Williams, contrapponendoli a blogger e giornalisti della rete. La rivoluzione cui punta Medium, infatti, parte dalla presa di coscienza che la comunicazione su Internet, oggi, premi più la velocità e la praticità che la profondità. «Molti servizi hanno avuto successo nell’aprire a tutti la possibilità di produrre contenuti e condividerli - aggiunge il Ceo - ma ci sono stati meno progressi nell’innalzamento della qualità dei contenuti prodotti ». Invertire la tendenza non è semplice, ma secondo Williams è più che mai necessario: «Le necessità economiche portano i siti di news ad attirare l’attenzione degli utenti senza preoccuparsi della qualità editoriale». Basta, dunque, con le notizie a base di sesso, sangue e soldi: «Stiamo costruendo un sistema dove i buoni contenuti possono brillare e ad avere attenzione. E c’è un pubblico per idee e storie che fanno leva su qualcosa di più dei desideri di base degli esseri umani». Con Medium, ha precisato ulteriormente il fondatore, «non stiamo tentando solo di creare la piattaforma giusta per la condivisione. Ci sono già altri servizi che danno questa possibilità. Ognuno può crearsi il proprio blog, anche se pensiamo che la creazione di un blog non sia un’attività per tutti. Il buco che cerchiamo di riempire è principalmente sul lato della creazione». E dal punto di vista della creazione di contenuti, la precedente esperienza professionale di Williams è sicuramente d’aiuto. Nel curriculum del quarantenne americano, infatti, spicca, oltre a Twitter, anche la fondazione di Blogger, il servizio per la pubblicazione semplificata di blog, acquistato nel 2003 da Google. Un’evoluzione che sembra tracciare un disegno preciso: Twitter ha aperto la rete a chiunque avesse 140 caratteri da comunicare, Blogger a chi volesse avere una presenza sul web più strutturata. Adesso Medium – il cui nome sembra indicativo – si pone a metà tra i due modelli, fondendo sistema editoriale e social network. Presentando funzioni, come il commento dei singoli paragrafi e l’indicazione del tempo necessario per la lettura, di cui non dispongono nemmeno le più avanzate piattaforme di blog. Una forma di comunicazione che Williams ha contribuito a lanciare qualcuno ritiene che lo stesso termine blog sia stato reso popolare proprio da lui – ma che ai suoi occhi adesso sembrano segnare il passo. «I blog spesso creano una cultura superficiale», dice il Ceo sempre a Wired. «Parte della ragione per cui molti blog di tecnologia sono di cattiva qualità è che le persone che ne scrivono i contenuti non capiscono davvero la materia di cui si occupano. Le notizie, la maggior parte delle volte, sono irrilevanti. E le persone preferirebbero spendere il loro tempo consumando meno notizie e più idee». Tutto il web, nella visione di Williams, è infestato di contenuti di bassa qualità. Ce ne sono sui blog, ce ne sono su tutta la rete. E ce ne sono, a volte, anche su Medium: il servizio, quest’estate, è stato criticato per aver dato spazio a post offensivi, contrariamente all’obiettivo dichiarato. «Anche su Medium abbiamo contenuti di scarsa qualità», ammette Williams. «Ma stiamo lavorando per filtrarli e lasciare spazio a quei grandi contenuti che sono presenti sulla piattaforma e che senza Medium non vedrebbero la luce del sole». Alcune cifre sui due maggiori social network, Facebook e Twitter. Ora si aggiunge Medium per contenuti di qualità.
Valerio Maccari
D al tweet al racconto il passo è breve. Almeno per Evan Williams, uno dei quattro cofondatori di Twitter. Il quale, dopo aver fatto una fortuna con il social network della sintesi, ha deciso di andare oltre i 140 caratteri. E insieme al sodale Biz Stone, che lo ha accompagnato anche nell’avventura di Twitter ora abbandonata da entrambi, ha fondato Medium: una piattaforma a metà tra il blog e il social network, che invita gli utenti a produrre e a leggere contenuti più estesi. «Storie che contano - sottolinea Williams decisamente più lunghe di un tweet. Con Medium stiamo provando a creare il luogo ideale per la condivisone di storie e di idee. Contenuti di sostanza, che non possono essere racchiusi in 140 caratteri, e che non sono stati pubblicati solo a uso e consumo degli amici”, come invece accade spesso sui social network». L’idea alla base di Medium, fondato circa un anno fa, è proprio quella di rendere più semplice ed efficace la condivisione di contenuti di maggiore ‘spessore’. E di permettere loro di diventare virali, proprio come accade per le vignette e i memesu Twitter e Facebook. «Su Medium trovano spazio molti argomenti diversi», sottolinea Williams, che della start-up è anche Ceo e l’ha presentata in grande stile con un’ampia intervista al mensile Wired, edizione americana. «Possono esserci post di natura professionale o personale, di fiction o di non fiction. Su Medium ci sono prospettive, idee e persino reportage giornalistici».
Per questo il servizio, invece di raccogliere i post per autore, preferisce un raggruppamento sulla base dei temi trattati. E se da un lato offre un’esperienza utente semplificata, con un’interfaccia minimale che permette l’autopubblicazione in pochi semplici passi , dall’altro mette in campo un’importante limitazione: un algoritmo che valuta la qualità dei contenuti editoriali e l’interesse suscitato negli utenti. Una sorta di filtro che mette in luce i post ritenuti di maggior qualità, a scapito di quelli individuati come di bassa fattura, e che costituisce il vero valore aggiunto del nuovo servizio. A questo si aggiunge una squadra di 40 editor e accordi con vari produttori di contenuti professionali, fra cui Epic, azienda americana che si occupa di trovare storie interessanti da trasformare in libri o film: industrial writer, come li chiama Williams, contrapponendoli a blogger e giornalisti della rete. La rivoluzione cui punta Medium, infatti, parte dalla presa di coscienza che la comunicazione su Internet, oggi, premi più la velocità e la praticità che la profondità. «Molti servizi hanno avuto successo nell’aprire a tutti la possibilità di produrre contenuti e condividerli - aggiunge il Ceo - ma ci sono stati meno progressi nell’innalzamento della qualità dei contenuti prodotti ». Invertire la tendenza non è semplice, ma secondo Williams è più che mai necessario: «Le necessità economiche portano i siti di news ad attirare l’attenzione degli utenti senza preoccuparsi della qualità editoriale». Basta, dunque, con le notizie a base di sesso, sangue e soldi: «Stiamo costruendo un sistema dove i buoni contenuti possono brillare e ad avere attenzione. E c’è un pubblico per idee e storie che fanno leva su qualcosa di più dei desideri di base degli esseri umani». Con Medium, ha precisato ulteriormente il fondatore, «non stiamo tentando solo di creare la piattaforma giusta per la condivisione. Ci sono già altri servizi che danno questa possibilità. Ognuno può crearsi il proprio blog, anche se pensiamo che la creazione di un blog non sia un’attività per tutti. Il buco che cerchiamo di riempire è principalmente sul lato della creazione». E dal punto di vista della creazione di contenuti, la precedente esperienza professionale di Williams è sicuramente d’aiuto. Nel curriculum del quarantenne americano, infatti, spicca, oltre a Twitter, anche la fondazione di Blogger, il servizio per la pubblicazione semplificata di blog, acquistato nel 2003 da Google. Un’evoluzione che sembra tracciare un disegno preciso: Twitter ha aperto la rete a chiunque avesse 140 caratteri da comunicare, Blogger a chi volesse avere una presenza sul web più strutturata. Adesso Medium – il cui nome sembra indicativo – si pone a metà tra i due modelli, fondendo sistema editoriale e social network. Presentando funzioni, come il commento dei singoli paragrafi e l’indicazione del tempo necessario per la lettura, di cui non dispongono nemmeno le più avanzate piattaforme di blog. Una forma di comunicazione che Williams ha contribuito a lanciare qualcuno ritiene che lo stesso termine blog sia stato reso popolare proprio da lui – ma che ai suoi occhi adesso sembrano segnare il passo. «I blog spesso creano una cultura superficiale», dice il Ceo sempre a Wired. «Parte della ragione per cui molti blog di tecnologia sono di cattiva qualità è che le persone che ne scrivono i contenuti non capiscono davvero la materia di cui si occupano. Le notizie, la maggior parte delle volte, sono irrilevanti. E le persone preferirebbero spendere il loro tempo consumando meno notizie e più idee». Tutto il web, nella visione di Williams, è infestato di contenuti di bassa qualità. Ce ne sono sui blog, ce ne sono su tutta la rete. E ce ne sono, a volte, anche su Medium: il servizio, quest’estate, è stato criticato per aver dato spazio a post offensivi, contrariamente all’obiettivo dichiarato. «Anche su Medium abbiamo contenuti di scarsa qualità», ammette Williams. «Ma stiamo lavorando per filtrarli e lasciare spazio a quei grandi contenuti che sono presenti sulla piattaforma e che senza Medium non vedrebbero la luce del sole». Alcune cifre sui due maggiori social network, Facebook e Twitter. Ora si aggiunge Medium per contenuti di qualità.
Valerio Maccari
La storia dell’hasthag: il celebre simbolo di Twitter
[16/11/2013 Pionero Digital Innovation]
Proprio nei giorni in cui si assiste al grande successo della quotazione in borsa di Twitter – il popolarissimo Social Network per il microblogging – Offerpop ha pubblicato una interessante infografica per rendere omaggio alla storia dell’hashtag e delinearne in qualche modo il futuro, dove questo semplice simbolo ricoprirà un ruolo sempre più centrale per definire trends, collegare in tempo reale le conversazioni, l’organizzazione dei dati sociali e il rapporto tra aziende e clienti.
Per i pochi chi non ne fossero a conoscenza, ricordo che l’hashtag (#) è il simbolo del carattere “hash” (cancelletto, da non confondere con il diesis) utilizzato per creare etichette (tag) finalizzate a facilitare la ricerca dei contenuti nel mondo social.
Questo simbolo, utilizzato in rete per la prima volta per etichettare i gruppi e gli argomenti di IRC (Internet Relay Chat) - la prima chat web della storia – è poi diventato celebre grazie al suo utilizzo su Twitter, dove da semplice elemento per raggruppare conversazioni o argomenti è diventato il più potente e pervasivo strumento dei social media. Basti ricordare il ruolo fondamentale giocato da Twitter e dall’hashtag #IranElections per denunciare la repressione delle proteste in Iran durante le Elezioni presidenziali del 2009.
L’hashtag si dimostra anche uno strumento perfetto per fare controinformazione, grazie alla sua natura difficilmente controllabile. Sono numerosi i casi di questo tipo di utilizzo dell’hashtag, forse il caso recente più importante di quella che viene definita eterogenesi dei fini del social media marketing italiano è quello della campagna pubblicitaria di Enel guidata dall’hastag #guerrieri.
L’esplosione della comunicazione mobile, che domina con il 60% dei tweet inviati, ha fatto il resto: ad oggi circa il 70% delle comunicazioni fatte sui social contiene un hashtag e un tweet che ne contiene almeno uno ha il 50% di probabilità in più di essere ri-twittato.
Dopo Twitter infatti, Instagram, Google+ e per ultimo Facebook han deciso di adottare l’hashtag come strumento per veicolare e raggruppare le discussioni e le campagne di social media marketing.
Francesco Montanari
Eccovi l’infografica:
Proprio nei giorni in cui si assiste al grande successo della quotazione in borsa di Twitter – il popolarissimo Social Network per il microblogging – Offerpop ha pubblicato una interessante infografica per rendere omaggio alla storia dell’hashtag e delinearne in qualche modo il futuro, dove questo semplice simbolo ricoprirà un ruolo sempre più centrale per definire trends, collegare in tempo reale le conversazioni, l’organizzazione dei dati sociali e il rapporto tra aziende e clienti.
Per i pochi chi non ne fossero a conoscenza, ricordo che l’hashtag (#) è il simbolo del carattere “hash” (cancelletto, da non confondere con il diesis) utilizzato per creare etichette (tag) finalizzate a facilitare la ricerca dei contenuti nel mondo social.
Questo simbolo, utilizzato in rete per la prima volta per etichettare i gruppi e gli argomenti di IRC (Internet Relay Chat) - la prima chat web della storia – è poi diventato celebre grazie al suo utilizzo su Twitter, dove da semplice elemento per raggruppare conversazioni o argomenti è diventato il più potente e pervasivo strumento dei social media. Basti ricordare il ruolo fondamentale giocato da Twitter e dall’hashtag #IranElections per denunciare la repressione delle proteste in Iran durante le Elezioni presidenziali del 2009.
L’hashtag si dimostra anche uno strumento perfetto per fare controinformazione, grazie alla sua natura difficilmente controllabile. Sono numerosi i casi di questo tipo di utilizzo dell’hashtag, forse il caso recente più importante di quella che viene definita eterogenesi dei fini del social media marketing italiano è quello della campagna pubblicitaria di Enel guidata dall’hastag #guerrieri.
L’esplosione della comunicazione mobile, che domina con il 60% dei tweet inviati, ha fatto il resto: ad oggi circa il 70% delle comunicazioni fatte sui social contiene un hashtag e un tweet che ne contiene almeno uno ha il 50% di probabilità in più di essere ri-twittato.
Dopo Twitter infatti, Instagram, Google+ e per ultimo Facebook han deciso di adottare l’hashtag come strumento per veicolare e raggruppare le discussioni e le campagne di social media marketing.
Francesco Montanari
Eccovi l’infografica:
martedì 19 novembre 2013
Giovani in rete: iperconnessi, narcisisti e mammoni
[13 novembre 2013 Corriere.it]
Iperconnessi e sempre più narcisisti. Ma, con una caratteristica tutta italiana, legati alla famiglia anche sui social network. È il ritratto degli adolescenti lombardi tracciato dalla ricerca dell’Università Cattolica «Family.tag –Technology Across Generations» condotta su un campione di 693 ragazzi tra i 13 e i 23 anni e 867 genitori.
Ritrovarsi in famiglia su Facebook: potrebbe essere questo il titolo dell’indagine, coordinata da Camillo Regalia, psicologo sociale e da Pier Cesare Rivoltella, pedagogista, e realizzata con l’obiettivo di studiare la presenza e gli effetti dei social network nelle relazioni familiari.
Innanzitutto, l’uso degli smartphone ha reso ancora più diffuso l’accesso a internet e ai social: il 99,1% degli adolescenti intervistati ha uno o più cellulari in famiglia, connessi al web nel 76,3% dei casi. Inoltre, nel 39,5% delle case è presente almeno un portatile e nel 61,9% almeno un pc.
Gli scambi su Facebook tra genitori e figli sono comunque limitati. Con padre e madre, precisa Pier Cesare Rivoltella, «il legame sembra debole. Anche se presenti nella rete, i genitori sono raramente emittenti/destinatari di informazioni». Soltanto quando i rapporti familiari sono problematici nella vita reale, i social network diventano uno strumento di comunicazione alternativo e quindi prezioso. In generale, i genitori vedono i social network più come pericoli che risorse e dichiarano di essere preoccupati dall’isolamento che possono provocare (37,8%), dalla possibilità che i figli ricevano informazioni rischiose (65%). Per questo un quarto di loro dichiara di essersi impegnato per parlare con i figli di cosa è giusto fare o non fare sul web, con particolare attenzione per il divieto di contattare sconosciuti (29,8%). In realtà, la maggior parte dei figli intervistati sostiene di non discutere di questi argomenti con i genitori.
Olivia Manola
Iperconnessi e sempre più narcisisti. Ma, con una caratteristica tutta italiana, legati alla famiglia anche sui social network. È il ritratto degli adolescenti lombardi tracciato dalla ricerca dell’Università Cattolica «Family.tag –Technology Across Generations» condotta su un campione di 693 ragazzi tra i 13 e i 23 anni e 867 genitori.
Ritrovarsi in famiglia su Facebook: potrebbe essere questo il titolo dell’indagine, coordinata da Camillo Regalia, psicologo sociale e da Pier Cesare Rivoltella, pedagogista, e realizzata con l’obiettivo di studiare la presenza e gli effetti dei social network nelle relazioni familiari.
Innanzitutto, l’uso degli smartphone ha reso ancora più diffuso l’accesso a internet e ai social: il 99,1% degli adolescenti intervistati ha uno o più cellulari in famiglia, connessi al web nel 76,3% dei casi. Inoltre, nel 39,5% delle case è presente almeno un portatile e nel 61,9% almeno un pc.
È proprio la rete creata da Mark Zuckerberg il social network più usato dai ragazzi lombardi: l’83% ha un profilo attivo e utilizza Facebook per comunicare con fratelli e sorelle (il 58% dichiara di averli nella rete di amici), con i cugini (85,7%) o con altri parenti (40,2%).Più controverso il rapporto – anche digitale – con i genitori. Soltanto un quarto dei ragazzi intervistati, infatti, dichiara di aver stretto amicizia sul social con la mamma (25,8%) o il papà (24%). In questo senso, con l’aumentare dell’età diminuisce, come è abbastanza ovvio, il desiderio di aver i propri genitori tra gli amici di Facebook. Anche perché la funzione di controllo spesso svolta dai genitori oltre che nella vita reale anche sulla bacheca dei propri figli inizia a stare stretta. Lo confermano i dati: nella prima adolescenza,
tra i 13 e i 17 anni, sono i figli a richiedere per primi l’amicizia ai genitori (65% dei casi), mentre con il passare del tempo, la percentuale scende al 40%.Per quanto riguarda il tempo di connessione, il 55% dei ragazzi naviga da 1 a 3 ore al giorno (lo fa anche il 23,6% dei genitori). L’uso del social è però diverso in molti aspetti. Il più evidente è la scelta dell’immagine del profilo, dove emerge il desiderio degli adolescenti di dare un’immagine di sé che colpisca: il 28% posta una propria foto “artistica”, il 23,3% sceglie un’immagine di sé nella vita quotidiana e il 21,5% si ritrae con gli amici.
Gli scambi su Facebook tra genitori e figli sono comunque limitati. Con padre e madre, precisa Pier Cesare Rivoltella, «il legame sembra debole. Anche se presenti nella rete, i genitori sono raramente emittenti/destinatari di informazioni». Soltanto quando i rapporti familiari sono problematici nella vita reale, i social network diventano uno strumento di comunicazione alternativo e quindi prezioso. In generale, i genitori vedono i social network più come pericoli che risorse e dichiarano di essere preoccupati dall’isolamento che possono provocare (37,8%), dalla possibilità che i figli ricevano informazioni rischiose (65%). Per questo un quarto di loro dichiara di essersi impegnato per parlare con i figli di cosa è giusto fare o non fare sul web, con particolare attenzione per il divieto di contattare sconosciuti (29,8%). In realtà, la maggior parte dei figli intervistati sostiene di non discutere di questi argomenti con i genitori.
Olivia Manola
lunedì 11 novembre 2013
Adolescenti in Piemonte, il bullismo dilaga anche su chat e social network
[La Stampa.it 07/11/2013]
Torino -
Un adolescente su tre diffonde su Internet notizie false e
offensive sui coetanei. Uno su cinque ha ricevuto l’invito a far parte
di un gruppo nato per prendere di mira qualcuno. Il 14 per cento è stato
vittima di un messaggio minaccioso o offensivo.
Nelle chat sempre online e sempre più veloci cresce il rischio del cyberbullismo. I tempi cambiano con la tecnologia nel modo di essere verbalmente e psicologicamente violenti.
L’allarme degli esperti
L’allarme arriva dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte, e i segnali ci sono tutti: un’indagine condotta da Ipsos rivela che il 4 per cento degli intervistati, nella nostra regione, ha addirittura scoperto su Internet una propria immagine imbarazzante postata senza permesso. Il 9 per cento dei ragazzi intervistati, infine, si è visto «rubare» una mail riservata o fatta leggere con fiducia, e ritrovata poi su un profilo pubblico.
«Il dato più sconcertante - spiegano le dottoresse Alessandra Simonetto e Patrizia Cavani, presidente e segretaria dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte - riguarda i pericoli percepiti dai ragazzi: il 72 per cento dei giovanissimi riconosce oggi nel cyberbullismo la più grande minaccia da cui difendersi. E questa «aggressione», che può giungere in ogni momento e in qualunque luogo attraverso i nuovi mezzi tecnologici, viene ritenuta più pericolosa della droga (55%), del rischio di subire una molestia da un adulto (44%), o della possibilità di contrarre una malattia sessualmente trasmessa (24%)». Nel tritacarne delle chat si diventa vittime soprattutto perché considerati «diversi» per l’aspetto fisico (67%), per l’orientamento sessuale (56%) o perché di un’altra nazionalità (43%). Discriminazione, omofobia e razzismo si diffondono più rapidamente di un tempo.
Consulenza gratuita ai genitori
Anche per questo, anche per i genitori, da lunedì prossimo, gli psicologi piemontesi aprono i loro studi a una consulenza gratuita durante il «Mese del benessere psicologico»: «L’obiettivo è prevenire, intervenire sulla salute individuale e delle organizzazioni, riconoscere le criticità prima che assumano caratteristiche conflittuali o patologiche». Il malessere che può derivare dal cyberbullismo è solo una delle minacce per cui gli psicologi offrono una prima consulenza gratis. Ma è talmente attuale che l’ordine ha deciso di aprire il lungo elenco di incontri aperti al pubblico a Torino e in altre città piemontesi proprio affrontando il tema dell’adolescenza: «Il cyberbullismo - sottolinea la dottoressa Simonetto - accomuna ragazzi e ragazze, gli studenti delle diverse tipologie di scuola secondaria, italiani e stranieri». Un fenomeno «particolarmente evidente nel passaggio dalla scuola media a quella di secondo grado».
Le chat fanno male alla scuola
Per 38 ragazzi su cento il bullismo che passa attraverso chat come WhatsApp e social network come Facebook arriva a compromettere il rendimento scolastico, nel 65 per cento dei casi - rivela un’indagine di Save the Children - porta all’isolamento distruggendo la volontà di aggregazione della «vittima», fino ai casi più gravi che arrivano a veri e propri disturbi psicologici.
Nelle chat sempre online e sempre più veloci cresce il rischio del cyberbullismo. I tempi cambiano con la tecnologia nel modo di essere verbalmente e psicologicamente violenti.
L’allarme degli esperti
L’allarme arriva dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte, e i segnali ci sono tutti: un’indagine condotta da Ipsos rivela che il 4 per cento degli intervistati, nella nostra regione, ha addirittura scoperto su Internet una propria immagine imbarazzante postata senza permesso. Il 9 per cento dei ragazzi intervistati, infine, si è visto «rubare» una mail riservata o fatta leggere con fiducia, e ritrovata poi su un profilo pubblico.
«Il dato più sconcertante - spiegano le dottoresse Alessandra Simonetto e Patrizia Cavani, presidente e segretaria dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte - riguarda i pericoli percepiti dai ragazzi: il 72 per cento dei giovanissimi riconosce oggi nel cyberbullismo la più grande minaccia da cui difendersi. E questa «aggressione», che può giungere in ogni momento e in qualunque luogo attraverso i nuovi mezzi tecnologici, viene ritenuta più pericolosa della droga (55%), del rischio di subire una molestia da un adulto (44%), o della possibilità di contrarre una malattia sessualmente trasmessa (24%)». Nel tritacarne delle chat si diventa vittime soprattutto perché considerati «diversi» per l’aspetto fisico (67%), per l’orientamento sessuale (56%) o perché di un’altra nazionalità (43%). Discriminazione, omofobia e razzismo si diffondono più rapidamente di un tempo.
Consulenza gratuita ai genitori
Anche per questo, anche per i genitori, da lunedì prossimo, gli psicologi piemontesi aprono i loro studi a una consulenza gratuita durante il «Mese del benessere psicologico»: «L’obiettivo è prevenire, intervenire sulla salute individuale e delle organizzazioni, riconoscere le criticità prima che assumano caratteristiche conflittuali o patologiche». Il malessere che può derivare dal cyberbullismo è solo una delle minacce per cui gli psicologi offrono una prima consulenza gratis. Ma è talmente attuale che l’ordine ha deciso di aprire il lungo elenco di incontri aperti al pubblico a Torino e in altre città piemontesi proprio affrontando il tema dell’adolescenza: «Il cyberbullismo - sottolinea la dottoressa Simonetto - accomuna ragazzi e ragazze, gli studenti delle diverse tipologie di scuola secondaria, italiani e stranieri». Un fenomeno «particolarmente evidente nel passaggio dalla scuola media a quella di secondo grado».
Le chat fanno male alla scuola
Per 38 ragazzi su cento il bullismo che passa attraverso chat come WhatsApp e social network come Facebook arriva a compromettere il rendimento scolastico, nel 65 per cento dei casi - rivela un’indagine di Save the Children - porta all’isolamento distruggendo la volontà di aggregazione della «vittima», fino ai casi più gravi che arrivano a veri e propri disturbi psicologici.
lunedì 4 novembre 2013
Negli Usa bambini connessi 24 ore a settimana: i pediatri prescrivono una dieta da pc e smartphone
[Blasting news 02/11/2013]
I bambini statunitensi vivono davanti a una tv, uno smartphone o un pc 24 ore alla settimana. I ragazzini tra gli 8 e i 10 anni arrivano a 8 ore in un solo giorno per salire a 11 ore nell'adolescenza.
Secondo i pediatri dell'American Academy
of Pediatrics (Aad) tutte quelle ore passate sotto i bombardamenti di
tutti i dispositivi oggi a disposizione dei più giovani sono troppe.
Sono necessarie secondo loro nuove regole perché se ne faccia un uso più
ragionato e lanciano così una "dieta dei media".
L'obiettivo dei pediatri americani è di ridurre i danni potenziali
che l'uso spasmodico di tv, pc, tablet e smartphone può procurare in
età preadolescenziale: dalla obesità alla perdita di sonno, fino a
comportamenti aggressivi. Il dott. Marjorie Hogan, fra gli autori del
documento pubblicato anche sull'edizione online di Pediatrics è convinto
che: "Una dieta dei media è possibile solo con il coinvolgimento di
genitori, educatori e gli stessi pediatri", soggetti che si spera non
eccedano più dei ragazzi nel controllare di continuo posta elettronica e
profilo sui social network.
La guida dei pediatri americani invita i genitori
a non far navigare da soli i propri figli. L'ideale sarebbe pianificare
l'uso dei vari mezzi per non più di 1 o 2 ore al giorno, mantenendo
lontane le ore dei pasti e la sera prima di andare a dormire.
Decisamente vietato l'uso di tablet e smartphone ai bimbi sotto i 2
anni.
La battaglia per promuovere la dieta digitale
per i pediatri americani non è una crociata contro le nuove tecnologie.
Evitare le cattive abitudini e gli stimoli eccessivi nell'età della
crescita sono principi basilari che, dicono nel documento, ogni pediatra
dovrebbe ricordare alle famiglie dei propri pazienti: un uso fatto con
regole precise aiuta a sfruttare meglio le opportunità che portano le
nuove tecnologie stesse.
Giovanni Ruggero
I social network possono aiutare i giovani depressi
[West 31/10/2013]
Chattare su internet può avere effetti positivi sui giovani che pensano di suicidarsi. Una ricerca condotta dalla Oxford University
su 4.313 soggetti under 25 sottolinea, infatti, quanto i social network
possano incoraggiare gli individui stressati ad avere un atteggiamento
positivo e a ricercare il supporto degli altri. Infatti, su 3219
messaggi inviati da ragazzi depressi tramite web, circa il 28,3% ha
utilizzato il dispositivo informatico per chiedere aiuto informalmente.
Per questo motivo ci si augura che le chat interattive possano diventare
strumenti utili agli operatori socio-sanitari per raggiungere quanti si
trovano in condizioni di fragilità emotiva, al fine di informarli e
sostenerli.
Mariangela D'Ambrosio
USA: il 70 per cento degli Smartphone sono usati da adolescenti
[Pianeta cellulare 30/10/2013]
Non è un segreto che il mercato dei featurephone è in rapido declino, con sempre più persone che preferiscono avere in mano uno smartphone, prodotto che continua a dominare il mercato dei dispositivi mobili. E' però ormai arrivato al punto di saturazione il mercato degli smartphone tra gli adolescenti e tra i giovani adulti negli Stati Uniti, secondo un nuovo studio pubblicato da Nielsen.
Secondo il rapporto, il 70 per cento dei ragazzi di età compresa tra 13 a 17 anni utilizzano uno smartphone, e il 79 per cento dei giovani adulti di età compresa tra 18 e 24 anni usa uno smartphone. Nel 2012, il 58 per cento dei ragazzi americani possedeva uno smartphone, e nel 2011 solo il 36 per cento.
Al terzo trimestre di quest'anno, l'11 per cento degli utenti di
telefonia cellulare degli Stati Uniti ha cambiato il proprio telefono
cellulare e quasi quattro quinti di questi hanno cambiato preferendo uno
smartphone. Con questo aumento, il livello di penetrazione di
smartphone è ora al 64,7 per cento per tutti gli utenti di telefonia
mobile degli Stati Uniti, contro il 62 per cento nel secondo trimestre
di quest'anno.
Su quali tipi di smartphone ricade la scelta di queste persone? La stragrande maggioranza compra un dispositivo di Apple o Samsung: l'iPhone di Apple ha conquistato il 41 per cento della quota di mercato e Samsung ha il 26 per cento di quota. HTC e Motorola hanno entrambe l'8 per cento di quota, seguite da LG con il 7 per cento. La quota di mercato del 3 per cento va a BlackBerry, ma il numero è in continua diminuzione, secondo Nielsen.
Mentre Apple domina in termini di numero di dispositivi venduti, Android domina
come piattaforma più diffusa. Negli Stati Uniti, il 52 per cento dei
possessori di smartphone usano Android, mentre il 41 per cento usa iOS. A seguire troviamo BlackBerry OS al 3 per cento e Windows Phone al 2 per cento.
Nielsen rileva che, mentre l'uso dello smartphone è in forte espansione negli Stati Uniti, il mercato è ormai saturo, soprattutto perchè i 'pochi' utenti di featurephone rimasti sono gli utenti che Nielse dice essere 'duri a morire': "Come il mercato degli smartphone matura negli Stati Uniti, l'adozione di smartphone sta raggiungendo la fase di saturazione, con i consumatori di questo mercato che possono essere riluttanti al pensiero di sostituire i loro telefoni funzionanti", Nielsen ha scritto in un post sul blog. "I produttori di dispositivi potrebbero voler spostare la loro attenzione di marketing per attrarre questo nuovo pubblico [i clienti 'duri a morire' di featurephone], pur lavorando nel cercare di non perdere le loro basi esistenti di possessori di smartphone".
Simone Ziggiotto
Non è un segreto che il mercato dei featurephone è in rapido declino, con sempre più persone che preferiscono avere in mano uno smartphone, prodotto che continua a dominare il mercato dei dispositivi mobili. E' però ormai arrivato al punto di saturazione il mercato degli smartphone tra gli adolescenti e tra i giovani adulti negli Stati Uniti, secondo un nuovo studio pubblicato da Nielsen.
Secondo il rapporto, il 70 per cento dei ragazzi di età compresa tra 13 a 17 anni utilizzano uno smartphone, e il 79 per cento dei giovani adulti di età compresa tra 18 e 24 anni usa uno smartphone. Nel 2012, il 58 per cento dei ragazzi americani possedeva uno smartphone, e nel 2011 solo il 36 per cento.
Su quali tipi di smartphone ricade la scelta di queste persone? La stragrande maggioranza compra un dispositivo di Apple o Samsung: l'iPhone di Apple ha conquistato il 41 per cento della quota di mercato e Samsung ha il 26 per cento di quota. HTC e Motorola hanno entrambe l'8 per cento di quota, seguite da LG con il 7 per cento. La quota di mercato del 3 per cento va a BlackBerry, ma il numero è in continua diminuzione, secondo Nielsen.
Nielsen rileva che, mentre l'uso dello smartphone è in forte espansione negli Stati Uniti, il mercato è ormai saturo, soprattutto perchè i 'pochi' utenti di featurephone rimasti sono gli utenti che Nielse dice essere 'duri a morire': "Come il mercato degli smartphone matura negli Stati Uniti, l'adozione di smartphone sta raggiungendo la fase di saturazione, con i consumatori di questo mercato che possono essere riluttanti al pensiero di sostituire i loro telefoni funzionanti", Nielsen ha scritto in un post sul blog. "I produttori di dispositivi potrebbero voler spostare la loro attenzione di marketing per attrarre questo nuovo pubblico [i clienti 'duri a morire' di featurephone], pur lavorando nel cercare di non perdere le loro basi esistenti di possessori di smartphone".
Simone Ziggiotto
I bambini amano i tablet
[La Stampa 29/10/2013]
A parlarne è un nuovo studio, “Zero to Eight: Children’s Media Use in America, 2013”, condotto da Common Sense Media, una nonprofit di San Francisco che esamina il rapporto tra la tecnologia e i bambini, citato dal New York Times.
Lo studio è stato condotto su 1.463 genitori con bambini fino a 8 anni. Quello che emerge è un notevole cambiamento negli ultimi 24 mesi: tra i bambini con meno di due anni, il 38% ha usato iPhone, tablet o Kindle; la stessa percentuale, invece, si registrava due anni fa tra i bambini under 8. Molto più comuni sono diventati, in questo periodo, i tablet: il 40% delle famiglie ora ne possiede uno, contro l’8% di due anni fa; il sondaggio di quest’anno ha inoltre evidenziato che il 7% dei bambini ha un proprio tablet.
«Sono rimasta impressionata dalla rapidità del cambiamento - ha detto Vicky Rideout, autrice di entrambi i rapporti -Tablet e iPhones sono dei ”game changers” perché sono così facili da usare».
Non è quindi merito delle capacità dei bambini, come amano pensare molti genitori, ma soprattutto dell’uso facile e intuitivo dei nuovi dispositivi, spesso usati dagli adulti per godere di una pausa rilassante: «So che se ho bisogno che Zoe stia tranquilla per un’ora, posso darle l’iPad e non la sentirò» ha detto la dottoressa Laurel Glaser, che ha due figlie di 5 (Zoe) e un anno (Maya).
Glaser è una dei pochi genitori intervistati che segue il consiglio dell’associazione dei pediatri americani di non mettere davanti a uno schermo i bambini nei primi due anni di vita. «Non sono così rigida e qualche volta guardiamo la tv con entrambe le bambine - ha detto - ma non abbiamo delle “baby apps” per Maya».
Ma la raccomandazione è in gran parte ignorata: secondo il sondaggio, i bambini con meno di due anni trascorrono in media un’ora al giorno davanti allo schermo, guardando la tv, usando il computer o giocando con le app su smartphone e tablet. La media raddoppia per i bambini tra i due e i quattro anni, mentre quelli tra i 5 e gli 8 anni passano 2 ore e 20 minuti davanti allo schermo.
New York, I bambini, si sa, seguono l’esempio dei genitori. Così, in
un’epoca segnata dall’uso smodato di smartphone e tablet da parte degli
adulti, anche i loro figli passano il tempo sulle nuove tecnologie. Da
quelle educative a quelle sui personaggi tv, dai giochi (Angry Birds il
favorito a tutte le età) a quelle di musica e arte, ci sono ormai
tantissime app per i bambini, anche per i più piccoli, disponibili
gratis o a basso prezzo.
A parlarne è un nuovo studio, “Zero to Eight: Children’s Media Use in America, 2013”, condotto da Common Sense Media, una nonprofit di San Francisco che esamina il rapporto tra la tecnologia e i bambini, citato dal New York Times.
Lo studio è stato condotto su 1.463 genitori con bambini fino a 8 anni. Quello che emerge è un notevole cambiamento negli ultimi 24 mesi: tra i bambini con meno di due anni, il 38% ha usato iPhone, tablet o Kindle; la stessa percentuale, invece, si registrava due anni fa tra i bambini under 8. Molto più comuni sono diventati, in questo periodo, i tablet: il 40% delle famiglie ora ne possiede uno, contro l’8% di due anni fa; il sondaggio di quest’anno ha inoltre evidenziato che il 7% dei bambini ha un proprio tablet.
«Sono rimasta impressionata dalla rapidità del cambiamento - ha detto Vicky Rideout, autrice di entrambi i rapporti -Tablet e iPhones sono dei ”game changers” perché sono così facili da usare».
Non è quindi merito delle capacità dei bambini, come amano pensare molti genitori, ma soprattutto dell’uso facile e intuitivo dei nuovi dispositivi, spesso usati dagli adulti per godere di una pausa rilassante: «So che se ho bisogno che Zoe stia tranquilla per un’ora, posso darle l’iPad e non la sentirò» ha detto la dottoressa Laurel Glaser, che ha due figlie di 5 (Zoe) e un anno (Maya).
Glaser è una dei pochi genitori intervistati che segue il consiglio dell’associazione dei pediatri americani di non mettere davanti a uno schermo i bambini nei primi due anni di vita. «Non sono così rigida e qualche volta guardiamo la tv con entrambe le bambine - ha detto - ma non abbiamo delle “baby apps” per Maya».
Ma la raccomandazione è in gran parte ignorata: secondo il sondaggio, i bambini con meno di due anni trascorrono in media un’ora al giorno davanti allo schermo, guardando la tv, usando il computer o giocando con le app su smartphone e tablet. La media raddoppia per i bambini tra i due e i quattro anni, mentre quelli tra i 5 e gli 8 anni passano 2 ore e 20 minuti davanti allo schermo.
Cultura e Società: Media e minori: i "nativi digitali" costringono a riscrivere il Codice
[Roma Sette 28/10/2013]
Il nuovo presidente Maurizio Mensi ricorda le innovazioni tecnologiche intervenute in questi anni nelle modalità di fruizione della tv: «Al Comitato si affianchio famiglia e scuola» di Vincenzo Corrado (Agenzia Sir)
Quindici membri in rappresentanza di emittenti radiotelevisive, associazioni di utenti e Istituzioni. È composto così il Comitato Media e Minori, che si è insediato il 23 ottobre a Roma, dopo quasi due anni di assenza. Ricostituito con decreto del 17 luglio scorso su iniziativa del viceministro dello Sviluppo Economico con delega alle comunicazioni, Antonio Catricalà, il Comitato ha il compito di assicurare, attraverso un’attività di monitoraggio e di controllo, l’applicazione del Codice di autoregolamentazione «Tv e Minori», nato nel 2002 come atto di autodisciplina delle emittenti radiotelevisive e successivamente diventato oggetto di un obbligo di legge per tutte le emittenti attive in Italia. Ma compito del Comitato è anche promuovere iniziative di educazione e sensibilizzazione all’uso corretto dei media, rivolte a scuole, famiglie e al pubblico in generale. E non solo... Ne parliamo con il nuovo presidente Maurizio Mensi, già avvocato dello Stato, funzionario della Commissione europea e direttore del Servizio giuridico dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ora professore di diritto pubblico dell’economia e di diritto dell’informazione e della comunicazione all’Università Luiss Guido Carli di Roma.
Quali sono le principali questioni sul tappeto oggi per il Comitato?
«Il primo compito sarà quello di esaminare le segnalazioni pendenti e, al contempo, promuovere l’adeguamento e la revisione delle regole del Codice al mutato quadro di riferimento tecnologico. Il Comitato deve, infatti, diventare sempre più uno strumento al servizio del cittadino e delle Istituzioni, in stretto raccordo con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e i Comitati regionali delle comunicazioni, che sia tale da assicurare una risposta tempestiva a tutte le segnalazioni, attraverso un meccanismo d’interazione con il cittadino che sia trasparente, rapido ed efficace».
Il Comitato è nato per un settore radiotelevisivo analogico, dopo undici anni è chiamato ad aggiornarsi, adeguandosi al mutato quadro tecnologico. In che modo intervenire con strumenti efficaci e adeguati alle nuove tecnologie?
«Da quando il Codice è stato sottoscritto sono trascorsi undici anni di profonde innovazioni tecnologiche che consentono ora ai giovani di costruire il proprio palinsesto in maniera del tutto autonoma e indipendente dalla programmazione proposta dalle grandi reti generaliste e tematiche. Otto milioni di ragazzi e bambini, circa il 13% della popolazione, sono “nativi digitali” per i quali è soprattutto Internet lo strumento di maggior utilizzo. Tuttavia, come emerge dai risultati di una recente ricerca dell’organismo di regolamentazione inglese (“Children and Parents: Media Use and Attitudes”), anche se la fruizione di contenuti avviene attraverso nuovi dispositivi e non più attraverso lo schermo tradizionale, la programmazione televisiva riveste un ruolo fondamentale per i bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Ecco perché, per non trovarsi a combattere una battaglia “di retroguardia”, il Comitato dovrà sollecitare fin da ora l’aggiornamento delle regole del Codice del 2002, per renderlo applicabile alle piattaforme dei ‘nuovi media’ e più in generale alla multimedialità, affinando tecniche e modalità d’intervento in linea con i migliori esempi internazionali e alla luce dei contenuti del Libro Verde comunitario sulla convergenza d’imminente adozione».
I pronunciamenti del Comitato sono quasi sempre visti come qualcosa di negativo, “in difesa di...”. È possibile ribaltare il quadro e guardare al positivo che c’è?
«Sono convinto che un impegno serio e realmente proficuo, non possa fondarsi soltanto sull’impianto repressivo, ma su un’azione di promozione e sensibilizzazione di una cultura che promuove e tutela l’infanzia. Non è, infatti, sufficiente che la programmazione sia sicura, ma è importante che sia anche di qualità. Occorre svolgere un’azione di sostegno a programmi che propongano esempi positivi, stimolando i giovani all’approfondimento, incentivando la cultura del ‘bello’ e del ‘buono’, e che siano portatori di valori positivi: la solidarietà, il dialogo, il rispetto degli altri, l’educazione a una cittadinanza responsabile. Soltanto in tal modo si potrà fornire un utile ausilio alla famiglia, a cui è affidata la principale responsabilità educativa».
L’azione del Comitato s’intreccia, per certi versi, con la “preoccupazione” cui la Chiesa italiana sta dedicando questo decennio: l’educazione. Negli Orientamenti pastorali viene chiesto, peraltro, di stringere «un’alleanza fra i diversi soggetti». È uno sforzo condiviso?
«Senza dubbio. Uno degli elementi qualificanti e distintivi dell’azione del Comitato dovrà essere la promozione d’iniziative di educazione e sensibilizzazione all’uso corretto dei media, straordinario ‘ambiente di vita’ abitato soprattutto da giovani, da avviare e realizzare insieme alla scuola e con il contributo di tutti gli attori del sistema. È questa la sfida con la quale si misurerà il Comitato».
In sintesi, quali sono gli elementi-cardine per il lavoro futuro del Comitato?
«Il Comitato orienterà la sua azione secondo tre principali elementi: responsabilità, innovazione, educazione. Sono le famiglie, insieme alla scuola, ad avere la fondamentale responsabilità di guidare e orientare i propri figli al rispetto dei valori e delle regole, per un’educazione e una formazione costruita su solide fondamenta. In tal senso, il Comitato si concentrerà in particolare su azioni mirate, rivolte ai minori, ai genitori e al pubblico in generale per l’uso corretto dei media, da avviare e realizzare sul territorio insieme alle istituzioni scolastiche»
Il nuovo presidente Maurizio Mensi ricorda le innovazioni tecnologiche intervenute in questi anni nelle modalità di fruizione della tv: «Al Comitato si affianchio famiglia e scuola» di Vincenzo Corrado (Agenzia Sir)
Quindici membri in rappresentanza di emittenti radiotelevisive, associazioni di utenti e Istituzioni. È composto così il Comitato Media e Minori, che si è insediato il 23 ottobre a Roma, dopo quasi due anni di assenza. Ricostituito con decreto del 17 luglio scorso su iniziativa del viceministro dello Sviluppo Economico con delega alle comunicazioni, Antonio Catricalà, il Comitato ha il compito di assicurare, attraverso un’attività di monitoraggio e di controllo, l’applicazione del Codice di autoregolamentazione «Tv e Minori», nato nel 2002 come atto di autodisciplina delle emittenti radiotelevisive e successivamente diventato oggetto di un obbligo di legge per tutte le emittenti attive in Italia. Ma compito del Comitato è anche promuovere iniziative di educazione e sensibilizzazione all’uso corretto dei media, rivolte a scuole, famiglie e al pubblico in generale. E non solo... Ne parliamo con il nuovo presidente Maurizio Mensi, già avvocato dello Stato, funzionario della Commissione europea e direttore del Servizio giuridico dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ora professore di diritto pubblico dell’economia e di diritto dell’informazione e della comunicazione all’Università Luiss Guido Carli di Roma.
Quali sono le principali questioni sul tappeto oggi per il Comitato?
«Il primo compito sarà quello di esaminare le segnalazioni pendenti e, al contempo, promuovere l’adeguamento e la revisione delle regole del Codice al mutato quadro di riferimento tecnologico. Il Comitato deve, infatti, diventare sempre più uno strumento al servizio del cittadino e delle Istituzioni, in stretto raccordo con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e i Comitati regionali delle comunicazioni, che sia tale da assicurare una risposta tempestiva a tutte le segnalazioni, attraverso un meccanismo d’interazione con il cittadino che sia trasparente, rapido ed efficace».
Il Comitato è nato per un settore radiotelevisivo analogico, dopo undici anni è chiamato ad aggiornarsi, adeguandosi al mutato quadro tecnologico. In che modo intervenire con strumenti efficaci e adeguati alle nuove tecnologie?
«Da quando il Codice è stato sottoscritto sono trascorsi undici anni di profonde innovazioni tecnologiche che consentono ora ai giovani di costruire il proprio palinsesto in maniera del tutto autonoma e indipendente dalla programmazione proposta dalle grandi reti generaliste e tematiche. Otto milioni di ragazzi e bambini, circa il 13% della popolazione, sono “nativi digitali” per i quali è soprattutto Internet lo strumento di maggior utilizzo. Tuttavia, come emerge dai risultati di una recente ricerca dell’organismo di regolamentazione inglese (“Children and Parents: Media Use and Attitudes”), anche se la fruizione di contenuti avviene attraverso nuovi dispositivi e non più attraverso lo schermo tradizionale, la programmazione televisiva riveste un ruolo fondamentale per i bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Ecco perché, per non trovarsi a combattere una battaglia “di retroguardia”, il Comitato dovrà sollecitare fin da ora l’aggiornamento delle regole del Codice del 2002, per renderlo applicabile alle piattaforme dei ‘nuovi media’ e più in generale alla multimedialità, affinando tecniche e modalità d’intervento in linea con i migliori esempi internazionali e alla luce dei contenuti del Libro Verde comunitario sulla convergenza d’imminente adozione».
I pronunciamenti del Comitato sono quasi sempre visti come qualcosa di negativo, “in difesa di...”. È possibile ribaltare il quadro e guardare al positivo che c’è?
«Sono convinto che un impegno serio e realmente proficuo, non possa fondarsi soltanto sull’impianto repressivo, ma su un’azione di promozione e sensibilizzazione di una cultura che promuove e tutela l’infanzia. Non è, infatti, sufficiente che la programmazione sia sicura, ma è importante che sia anche di qualità. Occorre svolgere un’azione di sostegno a programmi che propongano esempi positivi, stimolando i giovani all’approfondimento, incentivando la cultura del ‘bello’ e del ‘buono’, e che siano portatori di valori positivi: la solidarietà, il dialogo, il rispetto degli altri, l’educazione a una cittadinanza responsabile. Soltanto in tal modo si potrà fornire un utile ausilio alla famiglia, a cui è affidata la principale responsabilità educativa».
L’azione del Comitato s’intreccia, per certi versi, con la “preoccupazione” cui la Chiesa italiana sta dedicando questo decennio: l’educazione. Negli Orientamenti pastorali viene chiesto, peraltro, di stringere «un’alleanza fra i diversi soggetti». È uno sforzo condiviso?
«Senza dubbio. Uno degli elementi qualificanti e distintivi dell’azione del Comitato dovrà essere la promozione d’iniziative di educazione e sensibilizzazione all’uso corretto dei media, straordinario ‘ambiente di vita’ abitato soprattutto da giovani, da avviare e realizzare insieme alla scuola e con il contributo di tutti gli attori del sistema. È questa la sfida con la quale si misurerà il Comitato».
In sintesi, quali sono gli elementi-cardine per il lavoro futuro del Comitato?
«Il Comitato orienterà la sua azione secondo tre principali elementi: responsabilità, innovazione, educazione. Sono le famiglie, insieme alla scuola, ad avere la fondamentale responsabilità di guidare e orientare i propri figli al rispetto dei valori e delle regole, per un’educazione e una formazione costruita su solide fondamenta. In tal senso, il Comitato si concentrerà in particolare su azioni mirate, rivolte ai minori, ai genitori e al pubblico in generale per l’uso corretto dei media, da avviare e realizzare sul territorio insieme alle istituzioni scolastiche»
Web: l’Italia e' piu' Social degli Stati Uniti
[La Voce 25/10/2013]
Secondo una ricerca di LiveXtension, agenzia di marketing e comunicazione dell’incubatore Digital Magics, l’Italia è più social degli USA. l’Italia avrebbe infatti un tasso di penetrazione dei social network maggiore rispetto agli USA, soprattutto fra gli over 50
Incrociando i dati sull’utenza internet americana del report Pew Research 2013 (aprile-maggio) e quelli italiani di Audiweb (giugno 2013) è emerso che la penetrazione americana – rispetto a coloro che usano la rete – dei social network è del 72%, in Italia è invece del 75% (20.597.000 milioni di italiani utilizzano almeno un sito di social networking), sfiorando nei mesi scorsi l'80%.
Un segnale inatteso è dato dall’analisi della diffusione dei social network per fascia d’età: se in Italia la popolazione più anziana è decisamente meno digitale che altrove, quando utilizza internet è invece super social: oltre il 60% degli utenti internet italiani over 64 usa anche i social network. Negli Stati Uniti sono solo il 43%.
Per quanto riguarda invece la fascia d’età 50-64: il 60% degli americani usa i social, mentre in Italia è il 75%.1
Una verifica ulteriore di questo fenomeno è stata effettuata confrontando i dati relativi al mese di luglio 2013 di Nielsen USA e di Audiweb per quanto riguarda l’uso dei social network. Pur con qualche differenza rispetto ai dati di Pew Research, il “vantaggio” italiano rimane.
La penetrazione complessiva dei social network in America è del 63,4% e sui 50-64 del 65,4%. In entrambi i casi siamo lontani dai dati del nostro Paese, gli Italiani che navigano sui social network corrispondono al 73% e al 74,5% nella fascia 50-64 anni. Per quanto riguarda gli over 64 gli USA si allineano al dato italiano del 60%.2.
Sono gli italiani over 50, insomma, che rendono l’Italia più social rispetto al Paese che ha inventato i social network! Questi siti rappresentano un fenomeno assolutamente di massa, che coinvolge ormai larghissime fette degli utenti internet di tutte le età, non solo quelle più giovani.
Secondo una ricerca di LiveXtension, agenzia di marketing e comunicazione dell’incubatore Digital Magics, l’Italia è più social degli USA. l’Italia avrebbe infatti un tasso di penetrazione dei social network maggiore rispetto agli USA, soprattutto fra gli over 50
Incrociando i dati sull’utenza internet americana del report Pew Research 2013 (aprile-maggio) e quelli italiani di Audiweb (giugno 2013) è emerso che la penetrazione americana – rispetto a coloro che usano la rete – dei social network è del 72%, in Italia è invece del 75% (20.597.000 milioni di italiani utilizzano almeno un sito di social networking), sfiorando nei mesi scorsi l'80%.
Un segnale inatteso è dato dall’analisi della diffusione dei social network per fascia d’età: se in Italia la popolazione più anziana è decisamente meno digitale che altrove, quando utilizza internet è invece super social: oltre il 60% degli utenti internet italiani over 64 usa anche i social network. Negli Stati Uniti sono solo il 43%.
Per quanto riguarda invece la fascia d’età 50-64: il 60% degli americani usa i social, mentre in Italia è il 75%.1
Una verifica ulteriore di questo fenomeno è stata effettuata confrontando i dati relativi al mese di luglio 2013 di Nielsen USA e di Audiweb per quanto riguarda l’uso dei social network. Pur con qualche differenza rispetto ai dati di Pew Research, il “vantaggio” italiano rimane.
La penetrazione complessiva dei social network in America è del 63,4% e sui 50-64 del 65,4%. In entrambi i casi siamo lontani dai dati del nostro Paese, gli Italiani che navigano sui social network corrispondono al 73% e al 74,5% nella fascia 50-64 anni. Per quanto riguarda gli over 64 gli USA si allineano al dato italiano del 60%.2.
Sono gli italiani over 50, insomma, che rendono l’Italia più social rispetto al Paese che ha inventato i social network! Questi siti rappresentano un fenomeno assolutamente di massa, che coinvolge ormai larghissime fette degli utenti internet di tutte le età, non solo quelle più giovani.
Per un uso corretto dei social, senza incorrere nei rischi
[News Rimini 25/10/2013]
Il meeting sociale del progetto IOR (Impact of Relationship) si è tenuto a Rimini ieri e oggi, aperto dal saluto di benvenuto del presidente della provincia Stefano Vitali, e chiuso con la relazione e sui numeri del rapporto tra giovani e social network.
Ventisei i partner presenti da tutta Europa a Rimini (ente promotore e capofila): Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Rep. Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria
Durante il meeting, che si è chiuso oggi, sono emersi alcuni aspetti che accomunano i diversi paesi: oltre il 90 per cento degli adolescenti europei ha un profilo su Facebook ma la popolarità del social è in calo, in molti paesi è molto più di moda WhatsApp perché permette di scambiare foto, video e commenti in modo molto più rapido; altra cosa riscontrata è la difficoltà di fare statistiche reali perché molti delle persone che si iscrivono sui social fornisce dati falsi, sia di età sia di genere; le più attive in rete sono le ragazze; i commenti nella maggior parte dei casi non vanno al di là del “mi piace” e aumentano esponenzialmente quando viene postato un video rispetto ad un testo; in molti paesi risulta difficile entrare nelle scuole a parlare di social network mentre funzionano bene workshop che coinvolgono le famiglie in cui si parla del tema in modo indiretto.
L’obiettivo di tutti i partner per i prossimi mesi (il progetto si chiuderà a maggio del 2014) è aumentare la conoscenza dei profili sui diversi social network e fare azioni di sensibilizzazione diretta con genitori e ragazzi.
Interessanti, soprattutto i dati emersi dal convegno:
Alcuni dati regionali
Circa 2/3 degli adolescenti dichiara di possedere uno smartphone (65,6%) che negli ultimi anni sembra avere sostituito il cellulare tradizionale. Il 10,6% degli adolescenti dichiara di navigare in rete tra le 3 e le 5 ore al giorno. Mentre la televisione nel 61,5 per cento dei casi è vista in compagnia dei genitori, internet è per lo più utilizzato in solitudine (92,8 per cento) o insieme ad amici (41,1 per cento). Solo il 16,5 per cento chiara di navigare insieme ai genitori. Circa le attività svolte su internet sono per il 48 per cento su social network e per il 46 per cento chat.
Alcuni dati nazionali
Secondo un’indagine nazionale condotta da “Save the children” a gennaio 2013 tra ragazzi dai 12 ai17 anni: Il 79% possiede o usa un suo computer personale, il 56 % passa su internet dalle 2 alle 4 ore al giorno, all’85 % capita spesso di chattare con amici e conoscenti, il 57% posta proprie fotografie in internet. Il 92 % (con più di 16 anni) dichiara di avere un profilo su Facebook e il 74 % di questi lo aggiorna quasi quotidianamente.
Secondo un’indagine di Telefono Azzurro del 2012, i ragazzi dai 12 ai 18 anni dichiarano di trovare on line: foto o video imbarazzanti che ritraggono loro coetanei (40 %), loro foto che per quanto non imbarazzanti non avevano ricevuto un’autorizzazione ad essere messe online (32%), pettegolezzi o falsità sul proprio conto (23%), foto o video imbarazzanti che ritraggono adulti di loro conoscenza (20%), foto personali che hanno creato loro imbarazzo (20%), frasi che rivelano dei loro fatti personali (17%), video spiacevoli in cui erano presenti (11%).
Secondo un’indagine nazionale condotta nel 2012 dalla Società Italiana di pediatria su un campione di ragazzi della scuola secondaria di primo grado si evidenzia che: il 68 % dei ragazzi ha il pc in camera, il 65% può collegarsi a Internet dal proprio cellulare, l’11% ha pubblicato in internet un’immagine provocante e il 52% conosce qualcuno che l’ha fatto.
Prossimi appuntamenti:
Per quanto riguarda la Provincia di Rimini sono in programma due incontri aperti agli adulti in contatto coi i ragazzi (genitori, insegnanti, educatori, ecc) allo scopo di informare anche loro sui possibili rischi e su come tutelare i giovani: il 19 novembre a Cattolica alle 21, in collaborazione con il Centro per le famiglie, presso la sede della biblioteca comunale in piazza della Repubblica e il 14 dicembre a Rimini, in collaborazione con Università Aperta, dalle 9 alle 13 presso la sede della Provincia in via Campana 64.
Il meeting sociale del progetto IOR (Impact of Relationship) si è tenuto a Rimini ieri e oggi, aperto dal saluto di benvenuto del presidente della provincia Stefano Vitali, e chiuso con la relazione e sui numeri del rapporto tra giovani e social network.
Ventisei i partner presenti da tutta Europa a Rimini (ente promotore e capofila): Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Rep. Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria
Durante il meeting, che si è chiuso oggi, sono emersi alcuni aspetti che accomunano i diversi paesi: oltre il 90 per cento degli adolescenti europei ha un profilo su Facebook ma la popolarità del social è in calo, in molti paesi è molto più di moda WhatsApp perché permette di scambiare foto, video e commenti in modo molto più rapido; altra cosa riscontrata è la difficoltà di fare statistiche reali perché molti delle persone che si iscrivono sui social fornisce dati falsi, sia di età sia di genere; le più attive in rete sono le ragazze; i commenti nella maggior parte dei casi non vanno al di là del “mi piace” e aumentano esponenzialmente quando viene postato un video rispetto ad un testo; in molti paesi risulta difficile entrare nelle scuole a parlare di social network mentre funzionano bene workshop che coinvolgono le famiglie in cui si parla del tema in modo indiretto.
L’obiettivo di tutti i partner per i prossimi mesi (il progetto si chiuderà a maggio del 2014) è aumentare la conoscenza dei profili sui diversi social network e fare azioni di sensibilizzazione diretta con genitori e ragazzi.
Interessanti, soprattutto i dati emersi dal convegno:
Alcuni dati regionali
Circa 2/3 degli adolescenti dichiara di possedere uno smartphone (65,6%) che negli ultimi anni sembra avere sostituito il cellulare tradizionale. Il 10,6% degli adolescenti dichiara di navigare in rete tra le 3 e le 5 ore al giorno. Mentre la televisione nel 61,5 per cento dei casi è vista in compagnia dei genitori, internet è per lo più utilizzato in solitudine (92,8 per cento) o insieme ad amici (41,1 per cento). Solo il 16,5 per cento chiara di navigare insieme ai genitori. Circa le attività svolte su internet sono per il 48 per cento su social network e per il 46 per cento chat.
Alcuni dati nazionali
Secondo un’indagine nazionale condotta da “Save the children” a gennaio 2013 tra ragazzi dai 12 ai17 anni: Il 79% possiede o usa un suo computer personale, il 56 % passa su internet dalle 2 alle 4 ore al giorno, all’85 % capita spesso di chattare con amici e conoscenti, il 57% posta proprie fotografie in internet. Il 92 % (con più di 16 anni) dichiara di avere un profilo su Facebook e il 74 % di questi lo aggiorna quasi quotidianamente.
Secondo un’indagine di Telefono Azzurro del 2012, i ragazzi dai 12 ai 18 anni dichiarano di trovare on line: foto o video imbarazzanti che ritraggono loro coetanei (40 %), loro foto che per quanto non imbarazzanti non avevano ricevuto un’autorizzazione ad essere messe online (32%), pettegolezzi o falsità sul proprio conto (23%), foto o video imbarazzanti che ritraggono adulti di loro conoscenza (20%), foto personali che hanno creato loro imbarazzo (20%), frasi che rivelano dei loro fatti personali (17%), video spiacevoli in cui erano presenti (11%).
Secondo un’indagine nazionale condotta nel 2012 dalla Società Italiana di pediatria su un campione di ragazzi della scuola secondaria di primo grado si evidenzia che: il 68 % dei ragazzi ha il pc in camera, il 65% può collegarsi a Internet dal proprio cellulare, l’11% ha pubblicato in internet un’immagine provocante e il 52% conosce qualcuno che l’ha fatto.
Prossimi appuntamenti:
Per quanto riguarda la Provincia di Rimini sono in programma due incontri aperti agli adulti in contatto coi i ragazzi (genitori, insegnanti, educatori, ecc) allo scopo di informare anche loro sui possibili rischi e su come tutelare i giovani: il 19 novembre a Cattolica alle 21, in collaborazione con il Centro per le famiglie, presso la sede della biblioteca comunale in piazza della Repubblica e il 14 dicembre a Rimini, in collaborazione con Università Aperta, dalle 9 alle 13 presso la sede della Provincia in via Campana 64.
Facebook non è più il sito preferito dai teenager americani. La competizione tra i social network è aperta
[ Prima On Line 26/10/2013]
Facebook non è più il social network più apprezzato dai teenager degli Stati Uniti. Lo comunica il rapporto semestrale sulle abitudini dei teenager americani di Piper Jaffray, riportato dall’Huffington Post Usa. Ora è il sito preferito solo dal 23% degli under 20, mentre nel 2012 era la pagina più visitata dal 42% dei teenager.
“Ho creato un account Facebook al mio sesto anno della scuola primaria, per un po’ ne sono stata ossessionata. Poi ho scoperto Twitter e Instagram e ho dimenticato Facebook”, così una ragazza di 14 anni ha dichiarato al centro di ricerca Pew Research durante un’intervista del sondaggio Teens, Social Media and Privacy. Dal rapporto di Piper Jaffray però emerge che anche Twitter è in calo (ha perso 4 punti negli ultimi sei mesi).
Secondo Pew Research il social network di Zuckerberg è ancora il social network con il maggior numero di utenti registrati: il 94% dei ragazzi statunitensi ha un profilo Facebook, il 24% ha un account Twitter e l’11% è registrato a Instagram (che è di proprietà dello stesso Facebook).
Dal rapporto di Piper Jaffray però non emerge un nuovo vincitore: Twitter supera (di poco) Facebook, mentre Instagram è quello che registra la crescita più rapida. Il dato più significativo è la categoria “altri”: si riferisce a servizi sociali neonati come Vine e Snapchat che, nel sondaggio, non hanno una categoria precisa. Si può concludere che, se fino ad ora, i social network hanno avuto un re, Facebook, adesso c’è una reale competizione nel mercato. E conquistare quote tra i teenager sembra un obiettivo chiave.
La strategia di Facebook (che non ammette di avere un problema con i giovani) consiste nel rassicurare gli investitori. Zuckerberg infatti ribadisce che la quasi totalità dei teenager americani ha un profilo sul suo social network. Ma essere registrati è diverso dall’utilizzare un sito in modo attivo (ed è ciò che interessa agli investitori pubblicitari). L’Huffington Post Usa commenta: “Registrarsi a Facebook è una cosa, cliccare ‘Mi piace’ è un’altra”.
Facebook non è più il social network più apprezzato dai teenager degli Stati Uniti. Lo comunica il rapporto semestrale sulle abitudini dei teenager americani di Piper Jaffray, riportato dall’Huffington Post Usa. Ora è il sito preferito solo dal 23% degli under 20, mentre nel 2012 era la pagina più visitata dal 42% dei teenager.
“Ho creato un account Facebook al mio sesto anno della scuola primaria, per un po’ ne sono stata ossessionata. Poi ho scoperto Twitter e Instagram e ho dimenticato Facebook”, così una ragazza di 14 anni ha dichiarato al centro di ricerca Pew Research durante un’intervista del sondaggio Teens, Social Media and Privacy. Dal rapporto di Piper Jaffray però emerge che anche Twitter è in calo (ha perso 4 punti negli ultimi sei mesi).
Secondo Pew Research il social network di Zuckerberg è ancora il social network con il maggior numero di utenti registrati: il 94% dei ragazzi statunitensi ha un profilo Facebook, il 24% ha un account Twitter e l’11% è registrato a Instagram (che è di proprietà dello stesso Facebook).
Dal rapporto di Piper Jaffray però non emerge un nuovo vincitore: Twitter supera (di poco) Facebook, mentre Instagram è quello che registra la crescita più rapida. Il dato più significativo è la categoria “altri”: si riferisce a servizi sociali neonati come Vine e Snapchat che, nel sondaggio, non hanno una categoria precisa. Si può concludere che, se fino ad ora, i social network hanno avuto un re, Facebook, adesso c’è una reale competizione nel mercato. E conquistare quote tra i teenager sembra un obiettivo chiave.
La strategia di Facebook (che non ammette di avere un problema con i giovani) consiste nel rassicurare gli investitori. Zuckerberg infatti ribadisce che la quasi totalità dei teenager americani ha un profilo sul suo social network. Ma essere registrati è diverso dall’utilizzare un sito in modo attivo (ed è ciò che interessa agli investitori pubblicitari). L’Huffington Post Usa commenta: “Registrarsi a Facebook è una cosa, cliccare ‘Mi piace’ è un’altra”.
Ecco il cyber-poliziotto: va a caccia di bulli e pedofili sui social network
[La Stampa 25/10/2013]
Un commissariato aperto 24 ore su 24 per dare la caccia a cyber-bulli, hacker, pedofili e truffatori svelti con il mouse. La polizia sbarca sui social network ed entra nei computer degli italiani. Dietro l’ultimo restyling del sito ufficiale, infatti, si nasconde un cambio di passo: dal poliziotto di strada a quello di Facebook. L’obiettivo è prevenire il cyber-crimine, che in Italia fa 22mila vittime al giorno.
«Il servizio è pensato soprattutto per i ragazzi - dice Marcovalerio Cervellini, responsabile dei progetti educativi della Polizia Postale e delle Comunicazioni -. Scopriamo che i nostri figli sono su Facebook solo quando abbiamo ricevuto la loro richiesta di amicizia. Dobbiamo proteggerli, per noi intervenire dopo un abuso è una sconfitta».
Gli uomini coordinati da Alessandra Belardini hanno stampato in mente il caso di Carolina, la ragazza di Novara che si è tolta la vita dopo le minacce dei bulli. La rissa scoppiata a Bologna, nata sul sito Ask e degenerata ai giardini. E le migliaia di file pedo-pornografici sequestrati a Trapani, con otto arresti e 109 denunce. Il direttore della Polizia Postale Apruzzese aveva annunciato la svolta mesi fa. Da oggi debutta uno spazio che, spiega, «rappresenta la presenza fisica della polizia in questo ambiente virtuale».
Alla centrale di Roma, una spianata di computer collegati ai grandi monitor appesi alle pareti, lavorano in 17. Sono smanettoni, esperti di informatica. Si alternano davanti ai siti e alle pagine dei forum, filtrano le segnalazioni che provengono dagli utenti. «Il picco delle segnalazioni arriva la notte», spiega Cervellini. Anche nei commenti ai post sul social network. Quando gli investigatori si imbattono in una ipotesi di reato girano la pratica alla Postale, attiva sul territorio con 20 compartimenti e 80 sezioni speciali. «Il bisogno di sicurezza cambia nelle diverse fasi storiche: la sicurezza prima di internet è diversa dalla sicurezza che va garantita oggi» ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano all’inaugurazione del servizio.
Anche gli spunti per le indagini passano dal Web. Con i giganti dell’hi-tech che gestiscono i portali, Facebook in primis, c’è un canale privilegiato. Su segnalazione italiana, per la prima volta, il sito di Zuckerberg ha aperto i server centrali. Ora i tentativi di adescamento svelati dalle chat sono nelle mani dei magistrati milanesi. Ma quali sono i rischi più concreti per chi naviga? «Il pericolo numero 1 arriva dai social e dal mobile. Poi ci sono la navigazione e le mail - è la tesi di Raoul Chiesa, hacker etico -. L’attacco più diffuso resta il phishing, che dalla mail si è spostato ai social. Su queste piattaforme le connessioni sono maggiori e non c’è la stessa attenzione riservata alla mail».
Un commissariato aperto 24 ore su 24 per dare la caccia a cyber-bulli, hacker, pedofili e truffatori svelti con il mouse. La polizia sbarca sui social network ed entra nei computer degli italiani. Dietro l’ultimo restyling del sito ufficiale, infatti, si nasconde un cambio di passo: dal poliziotto di strada a quello di Facebook. L’obiettivo è prevenire il cyber-crimine, che in Italia fa 22mila vittime al giorno.
«Il servizio è pensato soprattutto per i ragazzi - dice Marcovalerio Cervellini, responsabile dei progetti educativi della Polizia Postale e delle Comunicazioni -. Scopriamo che i nostri figli sono su Facebook solo quando abbiamo ricevuto la loro richiesta di amicizia. Dobbiamo proteggerli, per noi intervenire dopo un abuso è una sconfitta».
Gli uomini coordinati da Alessandra Belardini hanno stampato in mente il caso di Carolina, la ragazza di Novara che si è tolta la vita dopo le minacce dei bulli. La rissa scoppiata a Bologna, nata sul sito Ask e degenerata ai giardini. E le migliaia di file pedo-pornografici sequestrati a Trapani, con otto arresti e 109 denunce. Il direttore della Polizia Postale Apruzzese aveva annunciato la svolta mesi fa. Da oggi debutta uno spazio che, spiega, «rappresenta la presenza fisica della polizia in questo ambiente virtuale».
Alla centrale di Roma, una spianata di computer collegati ai grandi monitor appesi alle pareti, lavorano in 17. Sono smanettoni, esperti di informatica. Si alternano davanti ai siti e alle pagine dei forum, filtrano le segnalazioni che provengono dagli utenti. «Il picco delle segnalazioni arriva la notte», spiega Cervellini. Anche nei commenti ai post sul social network. Quando gli investigatori si imbattono in una ipotesi di reato girano la pratica alla Postale, attiva sul territorio con 20 compartimenti e 80 sezioni speciali. «Il bisogno di sicurezza cambia nelle diverse fasi storiche: la sicurezza prima di internet è diversa dalla sicurezza che va garantita oggi» ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano all’inaugurazione del servizio.
Anche gli spunti per le indagini passano dal Web. Con i giganti dell’hi-tech che gestiscono i portali, Facebook in primis, c’è un canale privilegiato. Su segnalazione italiana, per la prima volta, il sito di Zuckerberg ha aperto i server centrali. Ora i tentativi di adescamento svelati dalle chat sono nelle mani dei magistrati milanesi. Ma quali sono i rischi più concreti per chi naviga? «Il pericolo numero 1 arriva dai social e dal mobile. Poi ci sono la navigazione e le mail - è la tesi di Raoul Chiesa, hacker etico -. L’attacco più diffuso resta il phishing, che dalla mail si è spostato ai social. Su queste piattaforme le connessioni sono maggiori e non c’è la stessa attenzione riservata alla mail».
giuseppe bottero
mercoledì 23 ottobre 2013
Qwert: la palestra per l’uso consapevole dei social network
[Che futuro! 19/10/2013]
Si chiama Qwert ed è il primo social network che non spaventa docenti e genitori. Anzi è stato pensato e ideato per i più giovani, per i ragazzi nati e cresciuti nell’epoca delle chat. A progettare il Facebook senza rischi ci hanno pensato l’Azienda Ulss 9 di Treviso con il Comune, il Lions Club e l’ufficio scolastico provinciale. Di fronte al problema del cyber bullismo e all’allarme Ask.fm, Treviso ha provato a dare una risposta: un social network per i ragazzi degli istituti scolastici secondari di primo grado del territorio dell’azienda sanitaria 9; un bacino potenziale di 2500 studenti in tutte le nove scuole, sia pubbliche e private, della città (oltre ad altre tre in provincia). Una sperimentazione che punta ad estendere il modello a tutti i distretti arrivando a coinvolgere dieci mila studenti. Il tutto è nato con l’intenzione di dare ai ragazzi la possibilità di usare un social network dove potersi presentare, scambiare e conoscere pensieri, chattare, taggare in sicurezza. Non solo.
Si chiama Qwert ed è il primo social network che non spaventa docenti e genitori. Anzi è stato pensato e ideato per i più giovani, per i ragazzi nati e cresciuti nell’epoca delle chat. A progettare il Facebook senza rischi ci hanno pensato l’Azienda Ulss 9 di Treviso con il Comune, il Lions Club e l’ufficio scolastico provinciale. Di fronte al problema del cyber bullismo e all’allarme Ask.fm, Treviso ha provato a dare una risposta: un social network per i ragazzi degli istituti scolastici secondari di primo grado del territorio dell’azienda sanitaria 9; un bacino potenziale di 2500 studenti in tutte le nove scuole, sia pubbliche e private, della città (oltre ad altre tre in provincia). Una sperimentazione che punta ad estendere il modello a tutti i distretti arrivando a coinvolgere dieci mila studenti. Il tutto è nato con l’intenzione di dare ai ragazzi la possibilità di usare un social network dove potersi presentare, scambiare e conoscere pensieri, chattare, taggare in sicurezza. Non solo.
L’idea di H-Farm,
che ha sviluppato tecnicamente il progetto, è quella di aiutare i
giovani all’uso corretto di questi strumenti con adulti che si
“impicciano” online e offline (in contesto scolastico) favorendo il
pensiero critico.
“Qwert – ci spiega il capo progetto
Francesco Marini che con il direttore Enrico Di Giorgi hanno seguito il
tutto dall’inizio – è stato modulato dalla parola “qwerty” che sta ad
indicare la posizione dei tasti nella tastiera dei personal computer
occidentali. In realtà il suono richiama la parola trevigiana “coperto”
come se i ragazzi potessero trovare nel social network pensato per loro
un riparo, una tettoia sotto cui stare e dialogare. Al sistema si accede
tramite password e username e tramite la sottoscrizione dei genitori di
una liberatoria. La password è consegnata manualmente al ragazzo”.
Una vera e propria sfida educativa in un
momento in cui sembra che l’anonimato assicurato da Ask sia l’unica
cosa che affascina i giovani. I risultati sono confortanti: ad oggi sono
iscritti a Qwert più di 1630 ragazzi con una media di 350 attivi al
giorno e oltre 2000 discussioni. Gli utenti hanno creato più di 5.800
gruppi e si sono scambiati 2500 messaggi privati al giorno. Ma non
basta. Il social network di Treviso non si è limitato a coinvolgere i
ragazzi solo dietro lo schermo ma è riuscito a strappare dal pc gli
adolescenti e a creare momenti di aggregazione. Dal 2011 al 2013 sono
stati organizzati ben sei eventi: dal raduno promosso dagli stessi
giovani in piazza dei Signori, al flash mob su tematiche scelte dagli
stessi utenti del social network, alla caccia al tesoro, al mercatino di
Natale.
Ma che succede dentro Qwert? Si chatta,
ci si tagga, si scrive pubblicamente ma oltre a lasciare che i ragazzi
si scrivano liberamente sono state create delle “stanze” tematiche sui
temi della sessualità e dell’affettività con “esperti” dietro ai quali
si celano i professionisti dell’Ulss 9.
Ora Qwert punta sugli smartphone. In
un’Italia dove la maggior parte dei ragazzi usa i cellulari di ultima
generazione per dialogare con gli amici della rete, il social network
trevigiano sta pensando di adattarsi alla lettura device mobile. Tra i
progetti futuri c’è anche la creazione di una mappa del territorio di
Qwert dove i ragazzi potranno taggarsi o geo referenziarsi tramite
cellulare e arricchire la stessa cartina con immagini e video.
A Treviso hanno puntato in alto. Ci
stanno provando. Una sperimentazione per dare una risposta alla
richiesta dei giovani, senza dare giudizi su Facebook o Ask.fm. Anzi:
siamo di fronte ad un vero tentativo d’educare, senza paura, all’uso dei
social network. “Non siamo in concorrenza – aggiunge Marini – ad altro
social ma vogliamo essere una palestra per l’uso consapevole di essi”.
Un progetto che forse è eccessivamente
protettivo come un buon padre di famiglia ma che attrae i giovani.
Un’idea che è riuscita a coinvolgere anche le scuole che spesso parlano
solo con toni negativi di ciò che accede nella rete. Una proposta che il
Ministero della Pubblica Istruzione dovrebbe promuovere e adottare per
gli istituti scolastici di tutto il Paese, magari offrendo
un’opportunità formativa anche ai docenti ancora troppo analfabetizzati
sulla didattica 2.0.
Alex Corlazzoli
"Minori alla tastiera, minori alla sbarra" voluta da Telecom nella Fondazione Edoardo Garrone
[17/10/2013 Newsfood.com]
Genova, 17 ottobre 2013, Fondazione Edoardo Garrone, via San Luca
Ci siamo appassionati a questa "Missione" che sta entrando nel cuore di chi si rende conto della grande pericolosità della Rete: una grande macchina che dispensa a piene mani informazioni e tutto il sapere dell'universo ma è spietata perchè può mettere a nudo situazioni imbarazzanti, essere teatro di truffe e reati, invischiarti nelle sue spire del gioco d'azzardo, della pedopornografia, della prostituzione e della droga.
Tutti i naviganti del Web sono potenziali vittime ma soprattutto lo sono i nostri ragazzi che spesso non sanno distinguere bene tra finzione e realtà.
La famiglia ha ben poche possibilità di controllo, specie se l'unico "informatico" in casa è proprio il/la giovane.
Il professor Andrea Aparo, docente alla Sapienza di Roma e all'Università di Milano, manager di Ansaldo Energia ed autore del primo volume su Internet (Il libro delle Reti, manuale di saggezza telematica - Adn Kronos Libri - 1995), ha illustrato le possibili "marachelle" e disastri dei minori ed ha snocciolato una serie di dati (ricavati da uno studio del 2010)
- il 13 per cento dei ragazzi italiani consulta siti per pubblico adulto
- il 33 per cento dei ragazzi ha effettuato acquisti in rete senza il consenso dei genitori
- l'1 per cento dei genitori dichiara di non sapere cosa faccia il proprio figlio in rete
- l'11 per cento dei ragazzi afferma che i loro genitori non sanno cosa facciano in rete
- il 19 per cento dei genitori sospettano che i figli cambiano il loro comportamento in rete quando sono nelle vicinanze
- il 36 per cento dei ragazzi ammette di comportarsi diversamente quando i genitori sono nelle vicinanze.
- Quasi due terzi dei giovani intervistati hanno avuto un'esperienza negativa online, ma solo il 45% dei
genitori ne è informato.
I genitori temono che i figli possano accedere a materiale indecente o diffondano i propri dati personali online, ma sottovalutano l'entità dell'attività di download di giochi, musica e video.
- Il modo più efficace per garantire la sicurezza online dei propri figli è mantenere un dialogo costante con loro
Per leggere tutto il report clicca qui e poi scarica il pdf
E' poi intervenuto lo stesso Rapetto, già comandante del Gruppo Anticrimine Tecnologico GdF e autore nel 1997 del libro "Genitori occhio a Internet!", che ha descritto i metodi investigativi e le tecniche per la ricostruzione di un non facile luogo del delitto commesso da minorenni da casa, e la dottoressa Cristina Maggia, procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Genova, che ha raccontato la fase giudiziaria facendo tesoro della sua intensa attività.
C'è molto da fare e tutti dobbiamo darci da fare concretamente,
Il progetto di Telecom per la tutela dei minori nel web è di grande importanza ed è una pietra miliare che porterà altre iniziative positive.
Ma bisogna combattere contro i burocrati, i parrucconi, il mondo dei conservatori che non vuole rendersi conto che il mondo è cambiato. Anzi, sono proprio costoro che non vogliono cambiare le regole per non perdere i loro privilegi.
Non sono i ragazzi che non vogliono studiare o lavorare (Don Orione e altri grandi educatori lo hanno dimostrato anche in altri tempi), non è la scuola che non va, non è la Giustizia nei tribunali o la Sanità negli ospedali che non vanno.
Bisogna adeguare i metodi, non ci sono più risorse da sprecare.
Le regole sono vecchie, i metodi di insegnamento ufficiali sono vecchi e, se non fosse per gli insegnanti che amano il loro lavoro e l'esercito silente dei volontari nei luoghi di sofferenza e in vari altri campi, sarebbe veramente una società al collasso.
NOTA IMPORTANTE
Chi vuole dare il suo contributo e diventare protagonista di questa avventura, può inviare una email a
iniziative.speciali@telecomitalia.it
indicando l'argomento e allegando un proprio curriculum vitae evidenziando particolari competenze, esperienze, interessi professionali. L'obiettivo è quello di individuare decine e decine di persone pronte a parlare dinanzi al pubblico, a presentare uno studio o una relazione, a pubblicarne il testo su Internet sul sito degli Stati Generali della Tutela dei Minori Online. Anche le istituzioni, enti, scuole e parrocchie giocano un importante ruolo, offrendo la disponibilità degli spazi pubblici e privati dove attivare gli incontri.
Giuseppe Danielli
Direttore e Fondatore
Newsfood.com
Genova, 17 ottobre 2013, Fondazione Edoardo Garrone, via San Luca
Ci siamo appassionati a questa "Missione" che sta entrando nel cuore di chi si rende conto della grande pericolosità della Rete: una grande macchina che dispensa a piene mani informazioni e tutto il sapere dell'universo ma è spietata perchè può mettere a nudo situazioni imbarazzanti, essere teatro di truffe e reati, invischiarti nelle sue spire del gioco d'azzardo, della pedopornografia, della prostituzione e della droga.
Tutti i naviganti del Web sono potenziali vittime ma soprattutto lo sono i nostri ragazzi che spesso non sanno distinguere bene tra finzione e realtà.
La famiglia ha ben poche possibilità di controllo, specie se l'unico "informatico" in casa è proprio il/la giovane.
Il professor Andrea Aparo, docente alla Sapienza di Roma e all'Università di Milano, manager di Ansaldo Energia ed autore del primo volume su Internet (Il libro delle Reti, manuale di saggezza telematica - Adn Kronos Libri - 1995), ha illustrato le possibili "marachelle" e disastri dei minori ed ha snocciolato una serie di dati (ricavati da uno studio del 2010)
- il 13 per cento dei ragazzi italiani consulta siti per pubblico adulto
- il 33 per cento dei ragazzi ha effettuato acquisti in rete senza il consenso dei genitori
- l'1 per cento dei genitori dichiara di non sapere cosa faccia il proprio figlio in rete
- l'11 per cento dei ragazzi afferma che i loro genitori non sanno cosa facciano in rete
- il 19 per cento dei genitori sospettano che i figli cambiano il loro comportamento in rete quando sono nelle vicinanze
- il 36 per cento dei ragazzi ammette di comportarsi diversamente quando i genitori sono nelle vicinanze.
- Quasi due terzi dei giovani intervistati hanno avuto un'esperienza negativa online, ma solo il 45% dei
genitori ne è informato.
I genitori temono che i figli possano accedere a materiale indecente o diffondano i propri dati personali online, ma sottovalutano l'entità dell'attività di download di giochi, musica e video.
- Il modo più efficace per garantire la sicurezza online dei propri figli è mantenere un dialogo costante con loro
Per leggere tutto il report clicca qui e poi scarica il pdf
E' poi intervenuto lo stesso Rapetto, già comandante del Gruppo Anticrimine Tecnologico GdF e autore nel 1997 del libro "Genitori occhio a Internet!", che ha descritto i metodi investigativi e le tecniche per la ricostruzione di un non facile luogo del delitto commesso da minorenni da casa, e la dottoressa Cristina Maggia, procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Genova, che ha raccontato la fase giudiziaria facendo tesoro della sua intensa attività.
C'è molto da fare e tutti dobbiamo darci da fare concretamente,
Il progetto di Telecom per la tutela dei minori nel web è di grande importanza ed è una pietra miliare che porterà altre iniziative positive.
Ma bisogna combattere contro i burocrati, i parrucconi, il mondo dei conservatori che non vuole rendersi conto che il mondo è cambiato. Anzi, sono proprio costoro che non vogliono cambiare le regole per non perdere i loro privilegi.
Non sono i ragazzi che non vogliono studiare o lavorare (Don Orione e altri grandi educatori lo hanno dimostrato anche in altri tempi), non è la scuola che non va, non è la Giustizia nei tribunali o la Sanità negli ospedali che non vanno.
Bisogna adeguare i metodi, non ci sono più risorse da sprecare.
Le regole sono vecchie, i metodi di insegnamento ufficiali sono vecchi e, se non fosse per gli insegnanti che amano il loro lavoro e l'esercito silente dei volontari nei luoghi di sofferenza e in vari altri campi, sarebbe veramente una società al collasso.
NOTA IMPORTANTE
Chi vuole dare il suo contributo e diventare protagonista di questa avventura, può inviare una email a
iniziative.speciali@telecomitalia.it
indicando l'argomento e allegando un proprio curriculum vitae evidenziando particolari competenze, esperienze, interessi professionali. L'obiettivo è quello di individuare decine e decine di persone pronte a parlare dinanzi al pubblico, a presentare uno studio o una relazione, a pubblicarne il testo su Internet sul sito degli Stati Generali della Tutela dei Minori Online. Anche le istituzioni, enti, scuole e parrocchie giocano un importante ruolo, offrendo la disponibilità degli spazi pubblici e privati dove attivare gli incontri.
Giuseppe Danielli
Direttore e Fondatore
Newsfood.com
mercoledì 16 ottobre 2013
Internet: Censis, 63,5% italiani connessi. Dilagano i social network
[Asca 11/10/2013]
Gli utenti di internet si assestano al 63,5% della popolazione (+1,4% rispetto a un anno fa). La percentuale sale nettamente nel caso dei giovani (90,4%), delle persone piu' istruite, diplomate o laureate (84,3%), e dei residenti nelle grandi citta', con piu' di 500mila abitanti (83,5%). L'adsl e' il tipo di connessione a internet al momento piu' diffuso: la utilizza il 62,9% degli internauti. Questo quanto emerge dall'11* Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione, promosso da 3 Italia, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia e presentato oggi a Roma. Secondo il Censis, inoltre, il wifi cresce notevolmente (40,9%, tra i giovani il 46,7%) e la connessione mobile ha ormai raggiunto una quota significativa (23,5%). Spopolano i social network: e' infatti iscritto a Facebook il 69,8% delle persone che hanno accesso a internet (erano il 63,5% lo scorso anno), che corrispondono al 44,3% dell'intera popolazione e al 75,6% dei giovani. YouTube arriva al 61% di utilizzatori (pari al 38,7% della popolazione complessiva e al 68,2% dei giovani). E il 15,2% degli internauti (pari al 9,6% degli italiani) usa Twitter. red/rus
Gli utenti di internet si assestano al 63,5% della popolazione (+1,4% rispetto a un anno fa). La percentuale sale nettamente nel caso dei giovani (90,4%), delle persone piu' istruite, diplomate o laureate (84,3%), e dei residenti nelle grandi citta', con piu' di 500mila abitanti (83,5%). L'adsl e' il tipo di connessione a internet al momento piu' diffuso: la utilizza il 62,9% degli internauti. Questo quanto emerge dall'11* Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione, promosso da 3 Italia, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia e presentato oggi a Roma. Secondo il Censis, inoltre, il wifi cresce notevolmente (40,9%, tra i giovani il 46,7%) e la connessione mobile ha ormai raggiunto una quota significativa (23,5%). Spopolano i social network: e' infatti iscritto a Facebook il 69,8% delle persone che hanno accesso a internet (erano il 63,5% lo scorso anno), che corrispondono al 44,3% dell'intera popolazione e al 75,6% dei giovani. YouTube arriva al 61% di utilizzatori (pari al 38,7% della popolazione complessiva e al 68,2% dei giovani). E il 15,2% degli internauti (pari al 9,6% degli italiani) usa Twitter. red/rus
Internet e social network, uso e abitudini dei ragazzi padovani
[PadovaOggi 08/10/2013]
Internet e social network, ricerca sui ragazzi di Padova
„
Uno studio per mettere a fuoco il rapporto dei giovanissimi con internet e i social network. "Crescere" - questo il nome della ricerca promossa dalla fondazione Emanuela Zancan onlus e dal De Leo Fund, in collaborazione con il Comune, la fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, l’azienda Ulss 16 e la Fondazione Città della Speranza - si propone di raggiungere un migliaio di ragazzi della provincia di Padova e le loro famiglie, accompagnandoli in un percorso di monitoraggio dagli 11 ai 18 anni.
PRIMI DATI. Lo studio è in pieno svolgimento negli 80 comuni della provincia di Padova che collaborano a questo importante progetto, che gode del patrocinio dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e il sostegno dell’Ufficio del pubblico tutore dei minori del Veneto. Dai primi dati, calcolati su un sottogruppo di 300 ragazzi dodicenni che frequentano la scuola secondaria inferiore, emerge che 7 su 10 usano internet almeno una volta alla settimana, 1 su 4 naviga in rete ogni giorno. Quasi tutti ormai hanno un collegamento a internet in casa. Navigano in rete anche attraverso il cellulare, il tablet o la consolle dei videogames.
SOCIAL NETWORK. Dallo studio emerge che le attività principali che i ragazzi fanno al computer sono: ricerche per la scuola, videogiochi, musica, film, cartoni animati e video musicali. Il 16% dei dodicenni dice di usare social network (Facebook, Twitter ecc.), anche se si tratta di un fenomeno in continuo aumento tra i preadolescenti padovani e quasi il 90% riferisce di avere amici che li utilizzano.
GENITORI. Coinvolti nella ricerca anche i genitori, che affermano di mettere in atto diverse strategie per monitorare le attività online dei loro figli. La maggior parte impone limiti di tempo o seleziona i siti a cui i figli possono accedere (61%). Molti specificano che la navigazione in rete è permessa soltanto in presenza di un adulto. Alcuni vietano espressamente l’uso dei social network.
“
Potrebbe interessarti: http://www.padovaoggi.it/cronaca/internet-social-network-ragazzi-padova-ricerca-zancan.html
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Internet e social network, ricerca sui ragazzi di Padova
„
Uno studio per mettere a fuoco il rapporto dei giovanissimi con internet e i social network. "Crescere" - questo il nome della ricerca promossa dalla fondazione Emanuela Zancan onlus e dal De Leo Fund, in collaborazione con il Comune, la fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, l’azienda Ulss 16 e la Fondazione Città della Speranza - si propone di raggiungere un migliaio di ragazzi della provincia di Padova e le loro famiglie, accompagnandoli in un percorso di monitoraggio dagli 11 ai 18 anni.
PRIMI DATI. Lo studio è in pieno svolgimento negli 80 comuni della provincia di Padova che collaborano a questo importante progetto, che gode del patrocinio dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e il sostegno dell’Ufficio del pubblico tutore dei minori del Veneto. Dai primi dati, calcolati su un sottogruppo di 300 ragazzi dodicenni che frequentano la scuola secondaria inferiore, emerge che 7 su 10 usano internet almeno una volta alla settimana, 1 su 4 naviga in rete ogni giorno. Quasi tutti ormai hanno un collegamento a internet in casa. Navigano in rete anche attraverso il cellulare, il tablet o la consolle dei videogames.
SOCIAL NETWORK. Dallo studio emerge che le attività principali che i ragazzi fanno al computer sono: ricerche per la scuola, videogiochi, musica, film, cartoni animati e video musicali. Il 16% dei dodicenni dice di usare social network (Facebook, Twitter ecc.), anche se si tratta di un fenomeno in continuo aumento tra i preadolescenti padovani e quasi il 90% riferisce di avere amici che li utilizzano.
GENITORI. Coinvolti nella ricerca anche i genitori, che affermano di mettere in atto diverse strategie per monitorare le attività online dei loro figli. La maggior parte impone limiti di tempo o seleziona i siti a cui i figli possono accedere (61%). Molti specificano che la navigazione in rete è permessa soltanto in presenza di un adulto. Alcuni vietano espressamente l’uso dei social network.
“
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Scuola e internazionalizzazione, un’Italia a due velocità. Le tecnologie consentono di recuperare il gap
[Key4biz 03/1072013]
Gli adolescenti italiani sono meno internazionali dei coetanei europei a scuola e nella vita: indice di apertura all’estero pari a 27,5 punti, battuti da polacchi, francesi, tedeschi, spagnoli e svedesi (media europea: 31,9).
E’ quanto emerge dalla ricerca “Generazione I…n Europa” edizione 2013 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, promosso da Fondazione Intercultura e Fondazione Telecom Italia
(dati elaborati da Ipsos), è stata presentata oggi a Torino presso
l’Unione Industriale davanti ad una platea di addetti ai lavori della
scuola e 500 studenti degli istituti superiori. In particolare,
l’Osservatorio ha per questo anno intervistato un campione di 2.275
studenti di Francia, Germania, Polonia, Spagna e Svezia in merito alle
attività di internazionalizzazione delle loro scuole e sulla percezione
che hanno di sé e dell’ambiente che li circonda relativamente alla loro
apertura verso altre lingue e culture. I risultati del campione sono
stati confrontati con quelli degli 800 studenti italiani intervistati lo
scorso anno sugli stessi temi. [Leggi tutto...]
Gli adolescenti italiani sono meno internazionali dei coetanei europei a scuola e nella vita: indice di apertura all’estero pari a 27,5 punti, battuti da polacchi, francesi, tedeschi, spagnoli e svedesi (media europea: 31,9).
I bambini scoprono la natura con l'aiuto della tecnologia
[TgCom 24 01/10/2013]
Uno strumento che aiuta i più piccoli a scoprire la natura ha vinto il primo premio della settima edizione del Samsung Young Design Award. Il concorso, patrocinato dall'Associazione design industriale e rivolto agli under 30, ha premiato Geng Kun che ha ideato il progetto “Wikid”.
Osservare la natura per imparare - Si tratta di un dispositivo che stimola i bambini a esplorare l'ambiente e a salvare informazioni, foto e contenuti sul sistema. Il progetto si basa sull'esperienza diretta, la parte più importante del processo di apprendimento dei bambini, che attraverso la tecnologia possono raccogliere e condividere le loro avventure con i genitori e gli altri coetanei.
Uno strumento che aiuta i più piccoli a scoprire la natura ha vinto il primo premio della settima edizione del Samsung Young Design Award. Il concorso, patrocinato dall'Associazione design industriale e rivolto agli under 30, ha premiato Geng Kun che ha ideato il progetto “Wikid”.
Osservare la natura per imparare - Si tratta di un dispositivo che stimola i bambini a esplorare l'ambiente e a salvare informazioni, foto e contenuti sul sistema. Il progetto si basa sull'esperienza diretta, la parte più importante del processo di apprendimento dei bambini, che attraverso la tecnologia possono raccogliere e condividere le loro avventure con i genitori e gli altri coetanei.
Babygang e internet, sempre più stretto il rapporto tra bulli e web
[Key4biz 30/09/2013]
Dati allarmanti quelli presentati oggi da Eurispes e Telefono Azzurro che confermano ancora una volta lo stretto rapporto che spesso si stabilisce tra le bande di ragazzini che terrorizzano i coetanei, e non solo, e internet.
Dall’indagine sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia è emerso che due adolescenti su 10 visitano siti web violenti.
Eurispes sottolinea che “Il caso della babygang che ha terrorizzato alcuni quartieri di Milano è solo l’ultimo episodio di una lunga serie che, sempre più spesso, vede protagonisti, nella duplice veste di vittime e carnefici, dei minorenni”.
“Anche in questo caso – aggiunge Eurispes - i componenti della banda erano avvezzi a utilizzare il computer e in particolare Facebook, dove ‘postavano’ commenti sui loro raid”. [Leggi tutto...]
Dati allarmanti quelli presentati oggi da Eurispes e Telefono Azzurro che confermano ancora una volta lo stretto rapporto che spesso si stabilisce tra le bande di ragazzini che terrorizzano i coetanei, e non solo, e internet.
Dall’indagine sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia è emerso che due adolescenti su 10 visitano siti web violenti.
Eurispes sottolinea che “Il caso della babygang che ha terrorizzato alcuni quartieri di Milano è solo l’ultimo episodio di una lunga serie che, sempre più spesso, vede protagonisti, nella duplice veste di vittime e carnefici, dei minorenni”.
“Anche in questo caso – aggiunge Eurispes - i componenti della banda erano avvezzi a utilizzare il computer e in particolare Facebook, dove ‘postavano’ commenti sui loro raid”. [Leggi tutto...]
lunedì 23 settembre 2013
Scuola 2.0, la Ue accelera su eSkills: competenze digitali per insegnanti e studenti
[Key4biz 20/09/2013]
Mentre l'Italia fa un passo indietro nella digitalizzazione delle scuole con il Decreto approvato dal CDM il 9 settembre (Leggi Articolo Key4biz), la Ue chiede ai Paesi membri di accelerare.
Oggi con un tweet il Commissario Ue alla Digital Agenda Neelie Kroes ricorda che il prossimo 25 settembre, insieme al Commissario alla Cultura Androulla Vassiliou, presenterà a Bruxelles una Comunicazione sull'Istruzione che mira a stimolare la qualità, metodi innovativi di apprendimento e insegnamento, grazie alle tecnologie digitali e ai contenuti.
Rendendo l'apprendimento più aperto e offrendo un'istruzione di qualità in modo efficiente, si legge nella nota, la Ue potrà contare su una forza lavoro più qualificata che aumenterà l'occupazione, la competitività e la crescita. [Leggi tutto...]
Mentre l'Italia fa un passo indietro nella digitalizzazione delle scuole con il Decreto approvato dal CDM il 9 settembre (Leggi Articolo Key4biz), la Ue chiede ai Paesi membri di accelerare.
Oggi con un tweet il Commissario Ue alla Digital Agenda Neelie Kroes ricorda che il prossimo 25 settembre, insieme al Commissario alla Cultura Androulla Vassiliou, presenterà a Bruxelles una Comunicazione sull'Istruzione che mira a stimolare la qualità, metodi innovativi di apprendimento e insegnamento, grazie alle tecnologie digitali e ai contenuti.
Rendendo l'apprendimento più aperto e offrendo un'istruzione di qualità in modo efficiente, si legge nella nota, la Ue potrà contare su una forza lavoro più qualificata che aumenterà l'occupazione, la competitività e la crescita. [Leggi tutto...]
The innovation of loneliness: i social network ci fanno sentire soli?
[Ninja Marketing 20/09/2013]
Per ogni marketer è importante seguire i trend che caratterizzano una società in un dato periodo, essere a conoscenza dei pro e dei contro e valutarne i benefici per la propria strategia. Ecco perché oggi, invece di parlarvi dell’ultima campagna non convenzionale, abbiamo scelto di proporvi una riflessione sul difficile rapporto tra la solitudine dell’essere umano e i social network.
“Ciò che rende socievoli gli uomini è la loro incapacità di sopportare la solitudine e, in questa, se stessi”. Questa affermazione di Arthur Schopenhauer ci è utile per introdurre una interessante infografica animata opera di Shimi Cohen da cui parte la nostra riflessione. [Leggi tutto...]
Per ogni marketer è importante seguire i trend che caratterizzano una società in un dato periodo, essere a conoscenza dei pro e dei contro e valutarne i benefici per la propria strategia. Ecco perché oggi, invece di parlarvi dell’ultima campagna non convenzionale, abbiamo scelto di proporvi una riflessione sul difficile rapporto tra la solitudine dell’essere umano e i social network.
“Ciò che rende socievoli gli uomini è la loro incapacità di sopportare la solitudine e, in questa, se stessi”. Questa affermazione di Arthur Schopenhauer ci è utile per introdurre una interessante infografica animata opera di Shimi Cohen da cui parte la nostra riflessione. [Leggi tutto...]
Internet e social media, ecco come navigano gli studenti lombardi
[Data Manager Online 19/09/2013]
I liceali usano internet per informarsi, gli studenti degli istituti professionali pubblicano musica e video. Ma tutti sono sui social network. Ecco quanto rivela uno studio dell’Università di Milano-Bicocca condotto su oltre duemila studenti delle scuole superiori lombarde. Secondo i dati, un uso intenso di internet si associa negativamente al rendimento scolastico
Trascorrono circa tre ore al giorno in Rete, principalmente chattando sui social network (83 per cento) e cercando informazioni e approfondimenti (53 per cento). Ma per ogni ora passata in più su Internet, l’apprendimento (calcolato utilizzando i dati INVALSI) cala di 0,8 punti in italiano e di 1,2 punti in matematica.
È quanto emerge dall’Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde (scarica il report completo), condotta dal Gruppo di Ricerca sui Nuovi Media del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca, coordinata da Marco Gui, ricercatore in Sociologia dei media e con la supervisione scientifica di Giorgio Grossi, ordinario di Sociologia della comunicazione. Alla ricerca ha collaborato anche l’Osservatorio sulla Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
La ricerca è stata svolta su un campione di 2.327 studenti delle seconde superiori in Lombardia, e ha analizzato le dotazioni tecnologiche, l’uso dei nuovi media e le competenze digitali degli studenti. Per la prima volta in Italia, inoltre, ha associato l’utilizzo dei media digitali ai livelli di apprendimento, utilizzando i dati dei test SNV/INVALSI. Il campione è rappresentativo per tipo di scuola e area geografica.
Internet, social media e apprendimento
Dai dati emerge una relazione negativa tra alcune pratiche di uso della rete e l’apprendimento in italiano e in matematica. In una scala da 0 a 100, per ogni ora passata in più su internet a casa l’apprendimento cala di 0,8 punti in italiano e di 1,2 punti in matematica. Tale calo è ancora più marcato se si considera solo la quota di tempo che gli studenti trascorrono online per motivi di studio: meno 2,2 punti in italiano e meno 3,2 punti in matematica. Inoltre, gli usi poco frequenti e molto frequenti della rete sono associati alle performance peggiori, mentre gli utilizzi moderati sono associati a quelle migliori.
L’identikit dello studente online
La posizione sociale dei ragazzi non si associa più direttamente all'intensità del loro uso di Internet, anzi i ragazzi dei centri di formazione professionale hanno superato quelli dei licei e dei tecnici nel tempo speso online. La permanenza online dello studente medio è infatti di circa 3 ore giornaliere, ma i ragazzi dei licei stanno online in media circa 2 ore e 48 minuti, quelli dei centri di formazione professionale circa 3 ore e un quarto.
Per quanto riguarda invece l’utilizzo dei social network, Facebook è protagonista: l’82 per cento degli intervistati possiede un profilo e il 57 per cento lo tiene addirittura aperto mentre fa i compiti. Tuttavia emergono due stili d’uso: uno più chiuso con poche informazioni condivise online, profilo privato e con contatto prevalentemente con persone conosciute offline (tipico dei ragazzi dei licei e di chi ha genitori istruiti) e uno più aperto alle nuove conoscenze online con molte info messe a disposizione e profilo aperto (più frequente tra gli studenti con meno risorse culturali ed economiche: il 35 per cento degli studenti dei Centri di formazione professionale hanno un profilo completamente pubblico contro il 18 per cento dei liceali).
I genitori sono percepiti dai ragazzi come meno competenti di loro e sembrano non essere in grado di fornire competenze digitali avanzate. Un po’ più competenti i genitori dei liceali che sono anche quelli che controllano maggiormente i tempi di utilizzo del computer dei figli.
L'uso di Internet per la scuola appare diffuso (il 32,4 per cento cerca informazioni che non trova nei testi, il 41 per cento scambia informazioni con i compagni) ma poco guidato da genitori e insegnanti, cosa che spiega probabilmente anche la relazione non incoraggiante di queste attività con l’apprendimento.
Il livello di competenza digitale critica (inteso come capacità di valutare le fonti, capire i rischi, comprendere la natura dei contenuti) mostra disuguaglianze per tipo di scuola e tra italiani e figli di immigrati (i liceali rispondono correttamente al 69 per cento delle domande del test, gli studenti dei Centri di formazione professionale solo al 56 per cento; simile divario si nota tra figli di italiani e figli di genitori immigrati). In generale, i deficit più importanti si riscontrano nel riconoscimento critico di indirizzi web, la consapevolezza dei meccanismi commerciali del web e la valutazione del livello di affidabilità dei contenuti. Ad esempio solo il 32,7% ha risposto correttamente a una domanda dettagliata sul modo in cui funziona Wikipedia, un’analoga percentuale (34,8%) riesce a riconoscere una pagina di login falsificata a partire dall’indirizzo web, e il 33% si rende conto dello scopo di lucro dietro a siti commerciali di uso comune.
«Quelli che vengono definiti nativi digitali appaiono invece bisognosi di guida rispetto agli usi significativi della Rete», afferma Marco Gui. «C’è oggi un grande spazio di intervento per scuola, istituzioni e ricerca nell’identificazione e promozione di “diete mediali” che supportino lo sviluppo scolastico e personale dei ragazzi».
L’indagine, supportata da Regione Lombardia e dall’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, si iscrive nell’insieme di iniziative della Regione allo scopo di facilitare l’interazione tra studenti e scuole sul tema delle nuove tecnologie della comunicazione.
I liceali usano internet per informarsi, gli studenti degli istituti professionali pubblicano musica e video. Ma tutti sono sui social network. Ecco quanto rivela uno studio dell’Università di Milano-Bicocca condotto su oltre duemila studenti delle scuole superiori lombarde. Secondo i dati, un uso intenso di internet si associa negativamente al rendimento scolastico
Trascorrono circa tre ore al giorno in Rete, principalmente chattando sui social network (83 per cento) e cercando informazioni e approfondimenti (53 per cento). Ma per ogni ora passata in più su Internet, l’apprendimento (calcolato utilizzando i dati INVALSI) cala di 0,8 punti in italiano e di 1,2 punti in matematica.
È quanto emerge dall’Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde (scarica il report completo), condotta dal Gruppo di Ricerca sui Nuovi Media del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca, coordinata da Marco Gui, ricercatore in Sociologia dei media e con la supervisione scientifica di Giorgio Grossi, ordinario di Sociologia della comunicazione. Alla ricerca ha collaborato anche l’Osservatorio sulla Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
La ricerca è stata svolta su un campione di 2.327 studenti delle seconde superiori in Lombardia, e ha analizzato le dotazioni tecnologiche, l’uso dei nuovi media e le competenze digitali degli studenti. Per la prima volta in Italia, inoltre, ha associato l’utilizzo dei media digitali ai livelli di apprendimento, utilizzando i dati dei test SNV/INVALSI. Il campione è rappresentativo per tipo di scuola e area geografica.
Internet, social media e apprendimento
Dai dati emerge una relazione negativa tra alcune pratiche di uso della rete e l’apprendimento in italiano e in matematica. In una scala da 0 a 100, per ogni ora passata in più su internet a casa l’apprendimento cala di 0,8 punti in italiano e di 1,2 punti in matematica. Tale calo è ancora più marcato se si considera solo la quota di tempo che gli studenti trascorrono online per motivi di studio: meno 2,2 punti in italiano e meno 3,2 punti in matematica. Inoltre, gli usi poco frequenti e molto frequenti della rete sono associati alle performance peggiori, mentre gli utilizzi moderati sono associati a quelle migliori.
L’identikit dello studente online
La posizione sociale dei ragazzi non si associa più direttamente all'intensità del loro uso di Internet, anzi i ragazzi dei centri di formazione professionale hanno superato quelli dei licei e dei tecnici nel tempo speso online. La permanenza online dello studente medio è infatti di circa 3 ore giornaliere, ma i ragazzi dei licei stanno online in media circa 2 ore e 48 minuti, quelli dei centri di formazione professionale circa 3 ore e un quarto.
Per quanto riguarda invece l’utilizzo dei social network, Facebook è protagonista: l’82 per cento degli intervistati possiede un profilo e il 57 per cento lo tiene addirittura aperto mentre fa i compiti. Tuttavia emergono due stili d’uso: uno più chiuso con poche informazioni condivise online, profilo privato e con contatto prevalentemente con persone conosciute offline (tipico dei ragazzi dei licei e di chi ha genitori istruiti) e uno più aperto alle nuove conoscenze online con molte info messe a disposizione e profilo aperto (più frequente tra gli studenti con meno risorse culturali ed economiche: il 35 per cento degli studenti dei Centri di formazione professionale hanno un profilo completamente pubblico contro il 18 per cento dei liceali).
I genitori sono percepiti dai ragazzi come meno competenti di loro e sembrano non essere in grado di fornire competenze digitali avanzate. Un po’ più competenti i genitori dei liceali che sono anche quelli che controllano maggiormente i tempi di utilizzo del computer dei figli.
L'uso di Internet per la scuola appare diffuso (il 32,4 per cento cerca informazioni che non trova nei testi, il 41 per cento scambia informazioni con i compagni) ma poco guidato da genitori e insegnanti, cosa che spiega probabilmente anche la relazione non incoraggiante di queste attività con l’apprendimento.
Il livello di competenza digitale critica (inteso come capacità di valutare le fonti, capire i rischi, comprendere la natura dei contenuti) mostra disuguaglianze per tipo di scuola e tra italiani e figli di immigrati (i liceali rispondono correttamente al 69 per cento delle domande del test, gli studenti dei Centri di formazione professionale solo al 56 per cento; simile divario si nota tra figli di italiani e figli di genitori immigrati). In generale, i deficit più importanti si riscontrano nel riconoscimento critico di indirizzi web, la consapevolezza dei meccanismi commerciali del web e la valutazione del livello di affidabilità dei contenuti. Ad esempio solo il 32,7% ha risposto correttamente a una domanda dettagliata sul modo in cui funziona Wikipedia, un’analoga percentuale (34,8%) riesce a riconoscere una pagina di login falsificata a partire dall’indirizzo web, e il 33% si rende conto dello scopo di lucro dietro a siti commerciali di uso comune.
«Quelli che vengono definiti nativi digitali appaiono invece bisognosi di guida rispetto agli usi significativi della Rete», afferma Marco Gui. «C’è oggi un grande spazio di intervento per scuola, istituzioni e ricerca nell’identificazione e promozione di “diete mediali” che supportino lo sviluppo scolastico e personale dei ragazzi».
L’indagine, supportata da Regione Lombardia e dall’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, si iscrive nell’insieme di iniziative della Regione allo scopo di facilitare l’interazione tra studenti e scuole sul tema delle nuove tecnologie della comunicazione.
Tra i teenagers gli smartphone sorpassano i pc
[Ansa 20/09/2013]
Tra i ragazzi italiani lo smartphone 'sorpassa' il Pc fisso o portatile nel mix di strumenti utilizzati per navigare, diventando il più diffuso. Il dato emerge dall'indagine su 'Adolescenti e stili di vita' della Società italiana di pediatria (Sip).
Per collegarsi in rete, dunque, il 51% degli adolescenti utilizza lo smartphone, il 50% il PC fisso, il 28% il notebook e il 24% il tablet. Questa 'rivoluzione', avverte la Sip, ''rende ancora più problematico il controllo da parte dei genitori, perché si è svincolata la possibilità di connettersi in rete dalla permanenza fisica davanti ad un PC''. Inoltre, l'aver osservato che tra gli adolescenti è sempre più diffusa l'abitudine di avviare una conoscenza in rete e trasferirla poi nella realtà, affermano i pediatri, ''pone sempre di più il problema dei contatti con sconosciuti''. La ''preoccupazione maggiore - commenta Maurizio Tucci, presidente dell'Associazione Laboratorio Adolescenza - è che con il passare degli anni e con la sempre maggiore dimestichezza che gli adolescenti acquisiscono con questi strumenti, diminuisca la percezione del rischio e siano indotti a comportamenti sempre meno prudenti".
L'indagine evidenzia, ad esempio, che per il 56% dei ragazzi intervistati dare l'amicizia su Facebook ad uno sconosciuto non è pericoloso, per il 35% non è pericoloso scambiarsi il numero di telefono e per il 26% non è pericoloso neanche accettare un incontro. Il 59% dei ragazzi, inoltre, ha dichiarato di aver dato l'amicizia Facebook ad uno sconosciuto; il 22% di avergli detto la scuola che frequenta; il 29% di aver scambiato il numero di telefono; il 18% (22% delle femmine) di avergli inviato una propria foto; il 20% di aver accettato un incontro al quale è andato insieme ad amici e il 9% di aver accettato un incontro al quale è andato da solo.
Tra i ragazzi italiani lo smartphone 'sorpassa' il Pc fisso o portatile nel mix di strumenti utilizzati per navigare, diventando il più diffuso. Il dato emerge dall'indagine su 'Adolescenti e stili di vita' della Società italiana di pediatria (Sip).
Per collegarsi in rete, dunque, il 51% degli adolescenti utilizza lo smartphone, il 50% il PC fisso, il 28% il notebook e il 24% il tablet. Questa 'rivoluzione', avverte la Sip, ''rende ancora più problematico il controllo da parte dei genitori, perché si è svincolata la possibilità di connettersi in rete dalla permanenza fisica davanti ad un PC''. Inoltre, l'aver osservato che tra gli adolescenti è sempre più diffusa l'abitudine di avviare una conoscenza in rete e trasferirla poi nella realtà, affermano i pediatri, ''pone sempre di più il problema dei contatti con sconosciuti''. La ''preoccupazione maggiore - commenta Maurizio Tucci, presidente dell'Associazione Laboratorio Adolescenza - è che con il passare degli anni e con la sempre maggiore dimestichezza che gli adolescenti acquisiscono con questi strumenti, diminuisca la percezione del rischio e siano indotti a comportamenti sempre meno prudenti".
L'indagine evidenzia, ad esempio, che per il 56% dei ragazzi intervistati dare l'amicizia su Facebook ad uno sconosciuto non è pericoloso, per il 35% non è pericoloso scambiarsi il numero di telefono e per il 26% non è pericoloso neanche accettare un incontro. Il 59% dei ragazzi, inoltre, ha dichiarato di aver dato l'amicizia Facebook ad uno sconosciuto; il 22% di avergli detto la scuola che frequenta; il 29% di aver scambiato il numero di telefono; il 18% (22% delle femmine) di avergli inviato una propria foto; il 20% di aver accettato un incontro al quale è andato insieme ad amici e il 9% di aver accettato un incontro al quale è andato da solo.
martedì 17 settembre 2013
Dipendenza da internet: apre negli Usa il primo centro per la disintossicazione
[Keyforbiz 06/09/2013]
Aprirà lunedì prossimo presso il Bradford Regional Medical Center in Pennsylvania il primo centro americano per la cura della dipendenza da internet.
I
primi 4 volontari che si sottoporranno al trattamento intensivo, della
durata di 10 giorni, sono affetti da quella che gli psichiatri
definiscono una vera e propria ‘dipendenza patologica da internet’
– un’ossessione che si differenzia dalla dipendenza psicologica dalle
nuove tecnologie e che condiziona la vita di chi ne soffre in maniera
del tutto simile alla dipendenza da eroina.
La patologia si manifesta con diversi disturbi, che vanno dal bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore online per ottenere soddisfazione, alla mancanza di interesse per altre attività che non ruotano attorno al web, provocando agitazione, ansia, depressione, pensieri ossessivi dopo la diminuzione o la sospensione dell’uso della rete. [Leggi tutto...]
Aprirà lunedì prossimo presso il Bradford Regional Medical Center in Pennsylvania il primo centro americano per la cura della dipendenza da internet.
La patologia si manifesta con diversi disturbi, che vanno dal bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore online per ottenere soddisfazione, alla mancanza di interesse per altre attività che non ruotano attorno al web, provocando agitazione, ansia, depressione, pensieri ossessivi dopo la diminuzione o la sospensione dell’uso della rete. [Leggi tutto...]
I bambini che usano tablet si distruggono il cervello? Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/tablet-bambini#ixzz2f95chAGu
[Linkiesta 14/09/2013]
Ogni volta che si diffonde una nuova moda basta poco tempo perché qualcuno inizi a interrogarsi sui possibili effetti negativi per la gioventù. “Mio figlio che ascolta la musica rock diventerà un adoratore di Satana?”, “La mia bambina che ora mette la minigonna si avvia al meretricio?”, “Quei giovani che si piastrano i capelli e ascoltano lamenti strazianti spacciati per musica avranno tendenze suicide collettive manco fossero dei lemming?”.
Se poi la moda riguarda una tecnologia precedentemente ignota è facile che le preoccupazioni parentali abbiano come comune denominatore il rischio di danni permanenti al cervello dei figli. Se già nell’Ottocento c’era chi criticava la diffusione dei romanzi, che avrebbero ridotto la capacità di concentrazione dei giovani, quando nel secolo successivo si sono diffuse le radio, la tv e i computer (con annessi videogame), gli apocalittici dell’evoluzione tecnologica hanno avuto molto materiale su cui discettare.
Comportamenti antisociali, morte della fantasia, disprezzo per l’autorità e inclinazione alla violenza sono solo alcuni degli effetti collaterali che deriverebbero da un’eccessiva esposizione a una “certa” tv e a “certi” videogame. I casi di cronaca in cui i colpevoli ammettono di essersi ispirati a film o videogiochi – ad esempio è successo vicino a Udine lo scorso aprile – sembrano la dimostrazione scientifica della fondatezza dei peggiori sospetti.
Dopo la straordinaria diffusione di smartphone e tablet – nel 2013 Gartner stima che saranno attivati 1,2 miliardi di mobile device – era solo questione di tempo prima che iniziassero gli interrogativi anche riguardo questi strumenti. In particolare la preoccupazione si è concentrata sui più piccoli, i bambini in età pre-scolastica. Chiunque abbia avuto modo di osservare l’interazione tra un bambino piccolo e un tablet non potrà che parlare di amore a prima vista. Lo schermo luccicante che, se toccato, cambia colori ed emette suoni esercita un’attrazione irresistibile rispetto a qualsiasi altro giocattolo che pure possa essere presente nella stessa stanza.
E qui sta il problema: la dipendenza. Secondo alcuni scienziati americani il cervello del bambino che gioca con tablet o smartphone rilascia dopamina, un neurotrasmettitore associato al piacere. Nel momento in cui i genitori provano a sottrarre al figlio il suo personale spacciatore di felicità – “ci hai già giocato cinque ore di fila” – il bambino tende a dare in escandescenze.
La dipendenza è poi il presupposto di una serie di altre conseguenze spiacevoli legate ad un eccessivo utilizzo di mobile device. Secondo l’associazione dei pediatri americani rimanendo esposti per numerose ore ai nuovi media si rischiano problemi di attenzione, difficoltà scolastiche, disordini alimentari e del sonno, obesità e predisposizione a comportamenti illegali o rischiosi.
Non tutti sono d’accordo con questa visione giudicata eccessivamente allarmista. Il Joan Ganz Cooney Center, un’associazione che si occupa di apprendimento dei bambini nell’era digitale, ad esempio ha concluso che i bambini dai quattro ai sette anni hanno molto migliorato il loro vocabolario (+27%), usando una app educativa chiamata “Martha speaks”. Altri studi analoghi testimoniano come, essendo la tecnologia touch molto interattiva (a differenza ad esempio della tv), i bambini siano in grado di sviluppare abilità e ampliare le proprie conoscenze grazie ad essa.
«Bisogna evitare gli approcci ideologici, in un senso o nell’altro», afferma Alba Marcoli, psicologa esperta di infanzia e scrittrice. «È chiaro che l’uomo si deve adattare all’evoluzione della società. Ciò che apprendono i bambini poi lo utilizzano nel resto della vita». Quindi se immaginiamo che nel futuro questo tipo di tecnologie avranno sempre più spazio non è assurdo lasciare che i bambini familiarizzino con esse fin da subito.
«Il pericolo che va evitato – prosegue la dottoressa Marcoli – è che l’eccesso di tecnologia impedisca ai bambini di costruire i propri contenitori mentali, cioè la capacità, che si costruisce lentamente nell’infanzia, di adattarsi alle situazioni difficili della vita senza esserne distrutti. Faccio un esempio: un ragazzo che in tenera età abbia potuto costruire i suoi contenitori mentali, anche accecato da un momento di rabbia, saprà dare uno sfogo evolutivo alle sue emozioni. Al contrario se quei contenitori mancano è più facile avere comportamenti esagerati o autolesivi. Purtroppo si vedono sempre più spesso bambini che sono cognitivamente molto grandi, ma emotivamente ancora piccoli».
Non esiste una regola aurea con cui evitare che la tecnologia danneggi la formazione di questi contenitori. «Ognuno – afferma la dottoressa Marcoli - trova il proprio sistema. Non si può avere la pretesa di avere una sola soluzione unica e valida per tutti. Ciò che rende pericoloso l’eccesso di tecnologia è che spesso va a scapito delle relazioni, che sono il contesto in cui i contenitori mentali di cui parlavo si creano. Invece anche in questo ambito è fondamentale che ci sia una relazione - conclude la dottoressa - specialmente tra genitori e figli».
Il consiglio insomma è sempre quello: non lasciare soli i bambini con questi strumenti, guidarli nella scoperta e nell’apprendimento, evitare che entrino nel tunnel (nel caso, evitare di arredarglielo), limitare le ore di esposizione agli schermi e insegnargli anche a divertirsi in altro modo. Se poi ci fossero conseguenze ulteriori e imprevedibili legate all’utilizzo di questa tecnologia lo scopriremo a breve. Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal i bambini di due-cinque anni che oggi usano l’Ipad (o altri apparecchi touch-screen) devono essere considerati delle “cavie”. La tecnologia touch-screen ha iniziato a diffondersi sul mercato da un paio d’anni mentre per studi scientifici rigorosi è necessario un periodo di osservazione di tre-cinque anni. Nel frattempo la scelta tra lassismo e paranoia, con un generico buon senso nel mezzo, è lasciata ai genitori.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/tablet-bambini#ixzz2f95lIaRM
Ogni volta che si diffonde una nuova moda basta poco tempo perché qualcuno inizi a interrogarsi sui possibili effetti negativi per la gioventù. “Mio figlio che ascolta la musica rock diventerà un adoratore di Satana?”, “La mia bambina che ora mette la minigonna si avvia al meretricio?”, “Quei giovani che si piastrano i capelli e ascoltano lamenti strazianti spacciati per musica avranno tendenze suicide collettive manco fossero dei lemming?”.
Se poi la moda riguarda una tecnologia precedentemente ignota è facile che le preoccupazioni parentali abbiano come comune denominatore il rischio di danni permanenti al cervello dei figli. Se già nell’Ottocento c’era chi criticava la diffusione dei romanzi, che avrebbero ridotto la capacità di concentrazione dei giovani, quando nel secolo successivo si sono diffuse le radio, la tv e i computer (con annessi videogame), gli apocalittici dell’evoluzione tecnologica hanno avuto molto materiale su cui discettare.
Comportamenti antisociali, morte della fantasia, disprezzo per l’autorità e inclinazione alla violenza sono solo alcuni degli effetti collaterali che deriverebbero da un’eccessiva esposizione a una “certa” tv e a “certi” videogame. I casi di cronaca in cui i colpevoli ammettono di essersi ispirati a film o videogiochi – ad esempio è successo vicino a Udine lo scorso aprile – sembrano la dimostrazione scientifica della fondatezza dei peggiori sospetti.
Dopo la straordinaria diffusione di smartphone e tablet – nel 2013 Gartner stima che saranno attivati 1,2 miliardi di mobile device – era solo questione di tempo prima che iniziassero gli interrogativi anche riguardo questi strumenti. In particolare la preoccupazione si è concentrata sui più piccoli, i bambini in età pre-scolastica. Chiunque abbia avuto modo di osservare l’interazione tra un bambino piccolo e un tablet non potrà che parlare di amore a prima vista. Lo schermo luccicante che, se toccato, cambia colori ed emette suoni esercita un’attrazione irresistibile rispetto a qualsiasi altro giocattolo che pure possa essere presente nella stessa stanza.
E qui sta il problema: la dipendenza. Secondo alcuni scienziati americani il cervello del bambino che gioca con tablet o smartphone rilascia dopamina, un neurotrasmettitore associato al piacere. Nel momento in cui i genitori provano a sottrarre al figlio il suo personale spacciatore di felicità – “ci hai già giocato cinque ore di fila” – il bambino tende a dare in escandescenze.
La dipendenza è poi il presupposto di una serie di altre conseguenze spiacevoli legate ad un eccessivo utilizzo di mobile device. Secondo l’associazione dei pediatri americani rimanendo esposti per numerose ore ai nuovi media si rischiano problemi di attenzione, difficoltà scolastiche, disordini alimentari e del sonno, obesità e predisposizione a comportamenti illegali o rischiosi.
Non tutti sono d’accordo con questa visione giudicata eccessivamente allarmista. Il Joan Ganz Cooney Center, un’associazione che si occupa di apprendimento dei bambini nell’era digitale, ad esempio ha concluso che i bambini dai quattro ai sette anni hanno molto migliorato il loro vocabolario (+27%), usando una app educativa chiamata “Martha speaks”. Altri studi analoghi testimoniano come, essendo la tecnologia touch molto interattiva (a differenza ad esempio della tv), i bambini siano in grado di sviluppare abilità e ampliare le proprie conoscenze grazie ad essa.
«Bisogna evitare gli approcci ideologici, in un senso o nell’altro», afferma Alba Marcoli, psicologa esperta di infanzia e scrittrice. «È chiaro che l’uomo si deve adattare all’evoluzione della società. Ciò che apprendono i bambini poi lo utilizzano nel resto della vita». Quindi se immaginiamo che nel futuro questo tipo di tecnologie avranno sempre più spazio non è assurdo lasciare che i bambini familiarizzino con esse fin da subito.
«Il pericolo che va evitato – prosegue la dottoressa Marcoli – è che l’eccesso di tecnologia impedisca ai bambini di costruire i propri contenitori mentali, cioè la capacità, che si costruisce lentamente nell’infanzia, di adattarsi alle situazioni difficili della vita senza esserne distrutti. Faccio un esempio: un ragazzo che in tenera età abbia potuto costruire i suoi contenitori mentali, anche accecato da un momento di rabbia, saprà dare uno sfogo evolutivo alle sue emozioni. Al contrario se quei contenitori mancano è più facile avere comportamenti esagerati o autolesivi. Purtroppo si vedono sempre più spesso bambini che sono cognitivamente molto grandi, ma emotivamente ancora piccoli».
Non esiste una regola aurea con cui evitare che la tecnologia danneggi la formazione di questi contenitori. «Ognuno – afferma la dottoressa Marcoli - trova il proprio sistema. Non si può avere la pretesa di avere una sola soluzione unica e valida per tutti. Ciò che rende pericoloso l’eccesso di tecnologia è che spesso va a scapito delle relazioni, che sono il contesto in cui i contenitori mentali di cui parlavo si creano. Invece anche in questo ambito è fondamentale che ci sia una relazione - conclude la dottoressa - specialmente tra genitori e figli».
Il consiglio insomma è sempre quello: non lasciare soli i bambini con questi strumenti, guidarli nella scoperta e nell’apprendimento, evitare che entrino nel tunnel (nel caso, evitare di arredarglielo), limitare le ore di esposizione agli schermi e insegnargli anche a divertirsi in altro modo. Se poi ci fossero conseguenze ulteriori e imprevedibili legate all’utilizzo di questa tecnologia lo scopriremo a breve. Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal i bambini di due-cinque anni che oggi usano l’Ipad (o altri apparecchi touch-screen) devono essere considerati delle “cavie”. La tecnologia touch-screen ha iniziato a diffondersi sul mercato da un paio d’anni mentre per studi scientifici rigorosi è necessario un periodo di osservazione di tre-cinque anni. Nel frattempo la scelta tra lassismo e paranoia, con un generico buon senso nel mezzo, è lasciata ai genitori.
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/tablet-bambini#ixzz2f95lIaRM
Tommaso Canetta
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