martedì 11 febbraio 2014

Gli adolescenti e la rete 10 passi per renderla sicura

[Corriere.it 11/02/2014]


    • I genitori devono accompagnare i figli, essere per loro interlocutori attivi. Non saranno mai al passo con generazioni che sono nate in Internet, ma possono dimostrarsi capaci di affrontare e condividere esperimenti/dubbi nelle situazioni più delicate.

  •  La scuola non può escludere dai propri spazi la cultura digitale. Anche gli insegnanti devono essere (in)formati.

      •  I provider e le aziende che operano nella Rete devono continuare a cercare modi di agire in modo responsabile. Stabilire una strategia di autoregolamentazione che venga costantemente aggiornata.

      •  La libertà nella Rete, di cui i nickname fanno parte, è una conquista e non va demolita a colpi di legge. Ma tutti, soprattutto i giovani, siano al corrente del fatto che l’anonimato – in caso di denunce – può essere smontato dalla polizia postale.

      • Denunciare un cyberbullo è possibile. Ma uno strumento poco conosciuto è l’ammonimento del questore: a lui il compito di chiamare l’interessato e avvertirlo che è sotto osservazione. Spesso questa strada, che esclude azioni penali, risulta efficace.

      •  Usare il gruppo come strumento per contrastare i cyberbulli. Aiutare i ragazzi a creare un contro movimento che dia sostengo a chi è stato preso di mira.

      •  Creare consapevolezza tra i ragazzi: portarli a chiedersi, prima di pubblicare una frase o una foto, se la vorrebbero leggere/vedere se fosse riferita a loro.
      • Mostrare ai più giovani i rischi di un uso disinvolto della Rete che lascia tracce difficilmente cancellabili nel tempo.

      •  Mostrare di condividere con i ragazzi le potenzialità positive della Rete. Di conoscenza, esperienza, vicinanza. Non cedere all’equazione della paura per cui rischio = danno.

      • Avanzare a piccoli passi, consapevoli che siamo davanti a un cambio di paradigma. Che vecchie parole come regole, leggi, codice si sono svuotate. I rischi nella Rete costituiscono un problema aperto che va affrontato senza ideologie.

Quanto incide la Rete sulle nuove generazioni? Moltissimo.
Ai nostri tempi per fare una ricerca andavamo in biblioteca o dalla compagna di classe che aveva l’enciclopedia universale; agli amici di penna scrivevamo sporadiche lettere in un corsivo incerto; e per incontrare qualcuno andavamo in parrocchia. Oggi tutte queste cose si possono fare restando nella propria cameretta con il computer o lo smartphone accesi.
È di sicuro una opportunità, con un potenziale sterminato. Ma bisogna mettere in conto i rischi. Un adolescente/bambino che naviga da solo su Internet può incorrere nel Gatto e la Volpe versione 2.0. «Adescamento online, gioco d’azzardo, furto della personalità, cyberbullismo, addiction»: ieri il presidente di Telefono Azzurro Ernesto Caffo ha illustrato il peggio del Web per lanciare un appello alla vigilia del «Safer Internet Day 2014», la giornata voluta dieci anni fa dalla Commissione europea e da Inhope (International Association of Internet Hotlines) per promuovere un uso responsabile dei nuovi media.
Caffo ha anticipato l’appuntamento con un convegno che si è svolto nella Sala Montanelli del Corriere della Sera a Milano, dove docenti, esponenti delle istituzioni, insegnanti, tecnici si sono confrontati con degli interlocutori molto particolari: gli studenti delle medie e delle superiori. A loro è stato chiesto che cosa li spaventa di più della Rete e come possiamo aiutarli a sfruttarne le potenzialità. La risposta più forte è stata una: non lasciateci soli. Ed è stato questo il filo conduttore di tutti gli interventi improntati all’autocritica, che hanno portato a definire una sorta di decalogo per creare, davvero, #laretechecipiace.
Sul palco si sono avvicendati parlamentari italiani ed europei, esponenti di Prefettura e Questura, psicologi, pedagogisti, manager delle aziende che operano sul Web. Il viceministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà ha messo in evidenza che Internet non è «gratis» come si pensa: «Tutte le informazioni che digitiamo le paghiamo di persona, sono la nostra ricchezza e dobbiamo vigilare perché nessuno ce la sottragga».
L’ex ministro Michela Vittoria Brambilla ha proposto di rendere obbligatoria l’educazione digitale nella scuola dell’obbligo. Il procuratore aggiunto di Milano Pietro Forno ha ricordato che ci sono degli strumenti per liberarsi dei «molestatori» online, siano cyberbulli o altro, e sono la denuncia o, prima ancora, l’ammonimento del questore. «Bisogna procedere per gradi, e il vostro primo punto di riferimento devono essere i genitori e la scuola», ha detto.
Esistono anche modelli di Rete che funziona, ha evidenziato il direttore di Wired, Massimo Russo, nelle vesti del moderatore. Un esperimento a tema è quello di Twigis, community per bimbi, di cui ha parlato Enrico Fili, direttore Rcs E-commerce New Digital Business

Sicurezza dei minori in internet. Una denuncia per cento reati

[Corriere di Mantova 11/02/2014]

di Cinzia Lucchelli
E’ sul divano, solo. Ha un telefonino tra le mani. Apparentemente è al sicuro. Ma per uscire nel mondo non c’è solo la porta d’ingresso di casa. Adescamenti online e cyberbullismo oggi coinvolgono anche i bambini. Dietro un caso denunciato ce ne sono cento che non vengono a galla. Esistono norme e strumenti per rendere la navigazione in Rete dei minori più sicura. Ma fatica a prendere piede nelle scuole la formazione di una cultura digitale e non sempre i genitori sanno spiegare ai propri figli come sfruttare i mezzi e le opportunità di internet chiarendone anche i limiti. Sono loro, a volte, a registrarli su un social network troppo presto. Bambini e ragazzi non sempre percepiscono il pericolo nascosto dietro un messaggio, un’immagine o una condivisione. E quando sono presi di mira non ne parlano con un adulto per vergogna oppure per il timore di perdere le chiavi di accesso di un luogo dove si è spostata una buona fetta della loro vita sociale.
Le storie. A. ha appena compiuto 10 anni quando subisce un furto di identità digitale: una compagna di classe  si iscrive a suo nome sulla chat Stardoll e con questo profilo fittizio manda messaggi denigratori alle comuni amiche. La madre se ne accorge, trova un muro di gomma con i genitori dell’autrice del furto. Interpella la polizia postale che le sconsiglia la strada della denuncia, anche solo per sopprimere quel profilo finto: la sede legale sella società che gestisce la chat si trova in Gran Bretagna, troppo lungo e costoso l’iter per identificare legalmente l’autore dei messaggi.  Da quel giorno il controllo di quello che la bambina scrive e riceve dalle sue amiche si fa serrato e costante. “Se usi Internet senza permesso - dice alla piccola- è come se uscissi da sola di notte”.
B. a 11 anni riceve in dono un lettore multimediale. Ha un sistema operativo android ed è dotato di wifi, quindi a tutti gli effetti è un tablet senza l'uso del telefono. Dà anche la possibilità di scaricare applicazione tra cui chat. In alcune registrarsi è facile, basta un nickname e una mail, poco importa che il limite d’età per farlo sono i 13 anni. Il padre è consapevole delle potenzialità del mezzo, è attento e attiva l’opzione di ricevere, via email, un resoconto delle interazioni della figlia con Internet. Non si accorge però che la bambina, che nel frattempo si è creata un altro account di posta elettronica, scarica una decina di chat. Fino a quando viene contattato da un altro padre, preoccupato: “Sua figlia ha fatto vedere delle foto con evidenti scene sessuali tra uomo e donna alla mia”, gli spiega. Ricostruiscono i fatti e scoprono che mentre chattavano sono state contattate da uno sconosciuto che ha inviato foto di sesso. Nome e foto del profilo dell’uomo erano inequivocabili ma le ragazze non hanno percepito il pericolo che si nascondeva dietro.
“Ogni volta che apro la casella di e-mail leggo sempre gli stessi insulti, ogni volta che accedo al mio blog lo trovo invaso dalle parolacce, ogni volta che vado su Facebook scopro che qualcuno ha messo sulla mia bacheca informazioni false e che mi fanno sembrare una poco di buono…io credo di  sapere chi sia ma quello che davvero mi pesa è vedere che non la smette, che ormai su Internet mi contattano solo per darmi della prostituta e quando cammino in corridoio a scuola mi sento tutti gli occhi addosso e le risatine degli altri cominciano davvero a farmi passare la voglia di andare a scuola…” E’ il messaggio di  una dodicenne vittima di cyberbullismo che ha trova il coraggio di rivolgersi alla polizia postale.
La strategia dell’Europa. Internet non è stato concepito per i più piccoli, ricorda la Commissione europea, eppure oggi il 75% ne fa uso, un terzo tramite la telefonia mobile. I contenuti vanno allora adeguati, devono essere interattivi, creativi ed educativi, e va garantita la sicurezza dei minori che si muovono in questo mondo. "Viviamo ormai nell'era digitale e le generazioni più giovani sono anche le più attive online – ha detto Cecilia Malmström, commissaria europea per gli affari interni-. Questi giovani hanno una grande dimestichezza con l'uso di internet, ma rimangono vulnerabili alle minacce online. È nostro dovere di genitori tutelare la sicurezza dei nostri figli anche sulla Rete". Verso questa direzione si muove oggi l’Agenda digitale europea, che si propone di sfruttare il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso; obiettivi da raggiungere entro il 2020. “L’agenda europea è fondamentale – dice Andrea Rigoni, direttore generale della fondazione GCSEC (Global Cyber Security Center) ed esperto della presidenza del Consiglio dei ministri sui temi di sicurezza digitale - poiché molti dei problemi da risolvere sono globali, così come le aziende e le infrastrutture che possono cooperare”. L’Italia, in questo contesto, “ha portato avanti alcune iniziative di grande successo, come il contrasto alla pedopornografia e al cyberbullismo. Ma molto resta da fare, c’è ampio spazio per inserire meccanismi e tutele nei confronti dei minori. Le lacune maggiori sono sulla formazione di competenze digitali nelle scuole”.
Intervista integrale ad Andrea Rigoni
I casi di cronaca più recenti. Da una parte le strategie europee, dall’altra i casi calati nella quotidianità. Tragici a volte: a Cittadella una ragazza di quattordici anni presa di mira dagli insulti sulla chat Ask.fm si è uccisa.A Mantova una quattordicenne si è allontanata da casa irretita da uno sconosciuto che l’aveva adescata tramite un social network. E’ stata trovata dai carabinieri di notte in un paese in compagnia dell’uomo, trentenne. A Reggio Emilia due adolescenti hanno scoperto un blog che rimandava ai loro profili Facebook rendendo nota la loro disponibilità ad avere rapporti sessuali con chi le avesse contattate.  A Catania un’insegnante ha scoperto che un’alunna di dodici anni aveva ricevuto proposte sessuali in chat da un uomo che si era fatto credere più giovane e si era fatto inviare foto sexy dopo averla aiutata a fare i compiti. Storia finita con l’arresto dell’uomo.
I rischi più frequenti. “Essere adescati da sconosciuti è uno dei rischi più diffusi. I primi casi si verificano alle scuole elementari”, dice Marco Valerio Cervellini, responsabile progetti educativi sulla navigazione dei minori sulla rete internet della polizia postale e delle comunicazioni. Racconta il caso di alcuni ragazzi di 17-18 anni che di recente hanno preso di mira bambini di 8. Ne hanno studiato i profili, privi di impostazioni di sicurezza, per poi crearne di analoghi. Nascosti da un’identità fittizia, costruite ad arte, li hanno contattati e hanno intessuto un rapporto di amicizia, fino a farsi consegnare i numeri di telefono. Le conversazioni si sono spostate dai social network a whatsapp, servizio di messaggistica, agli mms, dunque ai messaggi telefonici corredati da immagini. Alcuni bambini alla fine sono stati convinti a inviare foto in cui comparivano nudi. “Ma sono frequenti anche i casi di violazione della privacy con pubblicazione di foto, video, dati personali in spazi web equivoci – dice Cervellini-. E poi i furti d’identità digitale”.
Sempre connessi. I ragazzi passano buona parte del loro tempo in Rete. Un ragazzo su tre è sempre connesso, uno su quattro afferma di aver incontrato una persona conosciuta sul web, uno su quattro confessa di aver preso in giro qualcuno condividendo contenuti imbarazzanti su di lui. Sono alcuni dei dati che emergono da una ricerca a cura si skuola.net (campione di 2000 persone, 57% femmine, 43% maschi tra gli 11 e i 20 anni, con prevalenza di ragazzi tra i 14 e i 17 anni, pari al 54,5% del campione). I giovani, che dicono di usare i social network per risparmiare sulle telefonate e per fare nuove conoscenze, solo nel 25% dei casi usando questi mezzi si relazionano con i genitori o con qualche adulto della famiglia: il 46,9% non lo fa mai. Il 53%ha fatto nuove conoscenze su Internet: da questi incontri virtuali è passato a incontri reali nel 27,2% dei casi. Avvenuti, nel 23,3% dei casi, senza che nessun amico o parente ne fosse stato informato. Condividono pezzi della loro vita con generosità e senza paura postando foto o video che li riguardano senza alcun pensiero delle eventuali conseguenze nell’8,3% dei casi; solo il 29,1% delle volte restringono le impostazioni di privacy.
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Quanti sono i minori in Rete. Nel 2013 (dati Audiweb) l’accesso a Internet da qualsiasi luogo e strumento ha raggiunto l’82% della popolazione italiana tra gli 11 e i 74 anni, pari a 39 milioni di individui (22 milioni da smartphone e 7 milioni da tablet). Di pari passo aumentano i minori online, soprattutto i più piccoli. L’Agcom, nel Libro bianco Media e Minori, riporta che nel 2011 rispetto al 2010 è stato registrato un incremento del 16,2% per la fascia 2-11 anni, e del 7% per la classe d’età 12-17 anni. Nel giorno medio nel mese di marzo 2011, gli utenti attivi dai 2 agli 11 anni erano 222mila (collegati almeno una volta a internet tramite computer, per 49 minuti); 746mila quelli dai 12 ai 17 anni (per un'ora e 12 minuti).
Facebook il social network più amato dagli adolescenti
Cosa cercano. Secondo i genitori a 4-5 anni sul Web per lo più i bambini giocano con videogiochi individuali (34,1%), guardano siti, vanno su Youtube; tra i 6 e i 10 anni l’attività preferita rimane quella di giocare (56,7%) ma cominciano anche a fare ricerche per la scuola (31%) e a frequentare social network come Facebook e Twitter (20%); tra gli 11 e i 13 anni si ritrovano su social network (45,3%) e chat (24%). (Fonte: Libro bianco Media e Minori, Agcom-Censis).
(L'articolo continua dopo la tabella)

Fonte: Libro Bianco Media e Minori, Agcom-Censis
Quante sono le denunce. I dati delle denunce danno solo in parte la misura del fenomeno perché molti casi rimangono sommersi. “Come polizia postale per quanto riguarda adescamento online e commercio produzione e diffusione di materiale pedo pornografico nel 2013 abbiamo arrestato 55 persone  - dice Marco Valerio Cervellini-; denunciate 344; monitorato 28.063 siti web presunti pedopornografici e di questi ne abbiamo inseriti in una black list 165. I dati sono in aumento ma per ogni denuncia fatta ce ne sono 100 sommerse”. Informare direttamente i giovani, spiegando loro rischi e opportunità della Rete aiuta. “Abbiamo notato che da quando entriamo nelle scuole per parlare di pericoli e comportamenti da evitare quando si naviga, le denunce legate al cyberbullismo sono aumentate”.
Di quali reati si tratta. “Cyberbullismo” è un termine che si usa per indicare un insieme di azioni di prevaricazione, violenza, ingiuria, diffamazione reiterate nel tempo e messe in atto da un minore nei confronti di altri minori attraverso mezzi elettronici.. “Il bullo insegue la vittima ogni volta che si collega in Rete. Per un nativo digitale Internet equivale al mondo reale ed essere escluso, ad esempio, da una chat equivale ad essere cacciato dal gruppo del muretto”, spiega il dirigente di polizia postale. A differenza del bullismo tradizionale, non si ha di fronte la propria vittima e questo può rendere la persecuzione più dura. La polizia distingue due fasce d’età: tra gli 8 e i 12 anni prevaricazioni e molestie sono inconsapevoli; tra i 13 e 17 subentra la consapevolezza di fare del male. “Il cyberbullismo in sé non esiste come reato, ma sotto questo nome si configurano reati come violenza privata, stalking, diffamazione, ingiuria, minacce, molestie, furto di identità, diffusione di materiale pedo pornografico, violazione della privacy.”, spiega il dirigente della polizia postale e delle comunicazioni. Per alcuni reati si procede d’ufficio, altri invece solo su querela di parte. Spesso si patteggia al primo grado.
Intervista integrale a Marco Valerio Cervellini
Quello che non si dice. Ma perché tante storie rimangono sommerse? “Vince la vergogna di raccontare oppure il timore che per punizione i genitori possano proibire l’accesso a internet”. Spesso manca anche la consapevolezza di quello che si fa, di cosa sia un reato. Vince la smania di apparire. “Abbiamo notato che bambini e ragazzi riconoscono i furti di identità ma non comprendono, ad esempio, la gravità della pubblicazione di dati privati associati a inviti a contattare la vittima, credono si tratti di un atto scherzoso”, dice Cervellini.
Cosa fare. Filtri nella navigazione. “Esistono filtri che limitano l’accesso a contenuti non adatti (“parental control”) e si possono applicare restrizioni nella privacy dei singoli social network in cui i minori si sono iscritti per limitare il numero di persone con cui condividono informazioni personali”, spiega Andrea Rigoni. Esistono, ma il punto è che non si applicano se manca la consapevolezza del pericolo. “L’unico filtro che funziona davvero è di tipo cognitivo-culturale”, dice Andrea Rigoni. E’ prima di tutto una questione educativa. Occorre ripartire da famiglia e scuola.
Cosa fare. Regole nelle famiglie. Strategie, norme, strumenti per una navigazione più sicura possono non essere sufficienti se manca il supporto della famiglia. Sono 15 milioni (dati Audiweb) le famiglie che dispongono di un accesso a Internet da casa attraverso computer. “I genitori devono dare ai figli e far rispettare regole certe”, dice Marco Valerio Cervellini. Non lasciarli soli con uno smartphone in mano troppo a lungo ad esempio, applicare sui loro smarthpone e pc filtri per la navigazione. “Alcuni genitori non realizzano che bambini e ragazzi corrono rischi reali. Lo dimostra il fatto che talvolta sono loro a registrarli su un social network”. Soli in Rete equivale ad essere soli in casa con la porta d’ingresso aperta.
Cosa fare. Informazione nelle scuole. L’attenzione della famiglia va integrata nelle aule. “Vanno insegnati gli strumenti giusti a partire dalle scuole – dice Andrea Rigoni -. Non si tratta di nozioni di informatica: cultura digitale non significa usare le lavagne elettroniche. Cultura digitale è comprendere come sfruttare al meglio i meravigliosi mezzi messi a disposizione dalla tecnologia conoscendone i limiti e i rischi”.
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Il progetto: “Una vita da social”. Si inserisce in questo contesto “Una vita da social”, campagna di informazione della polizia dedicate proprio alla sicurezza in Rete dei ragazzi. Il progetto, che entra nelle scuole di trenta città italiane, nasce per far capire ai più giovani i rischi che si possono correre in Internet e nei social network, spiegare le regole con cui navigare sicuri on line, evitare violazioni della privacy, difendersi da bulli ed adescatori. Esiste anche un commissariato online, per informarsi e porgere denuncia. Il capo della polizia Alessandro Pansa, tra le priorità del suo mandato ha messo proprio la tutela dei minori e delle fasce più deboli.
Pesciolini nella rete. Ma a dieci, undici anni si è in grado di distinguere tra positivo e negativo, di riconoscere un messaggio ambiguo? “ in un certo senso sì – dice la psicologa Silvia Vegetti Finzi.- ma si è attratti da chi cerca di adescare in rete perché si presenta, in modo abilissimo, come alternativo alla famiglia, come emancipatore: “ormai sei grande, basta fare tutto quello che vogliono papà e mamma”. Spetta ai genitori intervenire individuando la strategia adatta. Le strade sono diverse: “rinviare il collegamento internet, attivare filtri creati proprio per tutelare i bambini; entrare nella loro posta e controllare i contatti che stabiliscono; chattare insieme; responsabilizzare i piccoli internauti insieme agli insegnanti scolastici”. Solo all’inizio delle scuole superiori hanno la maturità per iscriversi ai social network creando profili online. Prima si possono anche adottare soluzioni miste come aprire un profilo condiviso genitori-figlio o farsi consegnare le password. Ma il successo non è garantito, anzi. “Dipende dal rapporto di fiducia che si è instaurato e vale sole nei primi tempi. Poi si rischia il doppio regime: ufficiale e segreto”. Rimane essenziale, comunqeu, rendere consapevoli i ragazzi dei rischi cui possono andare incontro quando mettono il naso fuori di casa, virtuale o materiale che sia. “I ragazzi dovrebbero essere già stati messi inguardia per quanto riguarda la realtà esterna (il tragitto casa-scuola, le docce della palestra i cortili dell’oratorio, etc.”) La realtà virtuale è più subdola e intrigante, ma altrettanto pericolosa. Gli adolescenti amano “ errare” nel doppio senso della parola: gironzolare e trasgredire”.
L’intervista integrale a Silvia Vegetti Finzi

lunedì 20 gennaio 2014

Bambini e ebook, in America quasi il 70% dei piccoli lettori usa l'ereader abitualmente

[Libreriamo 16/01/2014]
MILANO – Circa due terzi dei ragazzini fino a 13 anni leggono libri digitali e il 92% di questi legge su ereader almeno una volta a settimana. È quanto emerge dall’ultimo report di uno studio sul rapporto tra bambini e lettura digitale condotto negli Stati Uniti nel corso del 2013 da PlayScience, la divisione ricerche della compagnia PlayCollective, in collaborazione con Digital Book World, la conferenza internazionale che si tiene annualmente a New York dedicata all’analisi del mondo dell’editoria digitale.
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Bambini e ragazzi, il tablet nuovo oggetto inseparabile

[ANSA 15/01/2014]
Bambini e ragazzi  'sempre connessi'. Inseparabili dai loro tablet, un oggetto quotidiano con cui hanno familiarità alla gran parte dei genitori sconosciuta. Li usano per giocare, per chattare con gli amici e anche per studiare. Il tablet fa da telefono (con What's app e similari), da passatempo, da enciclopedia per le ricerche, da tv e da terminale didattico.
  Per le scuole è ormai sempre più uno strumento che entra nei percorsi di istruzione canonici. Sono nati l'anno scorso progetti come lo Smart Future, promosso dalla Samsung per favorire lo sviluppo della digitalizzazione nelle scuole primarie e secondarie di primo grado (partito a ottobre in Lombardia, punta a coinvolgere in due anni 200 classi in varie regioni d'Italia) o il ParnAsus, realizzato dalla Asus con il Liceo 'A. Maffei' di Riva del Garda, dove, anche per favorire l'ingresso nel mondo del lavoro, il libro di testo è stato sostituito in aula da contenuti già disponibili in rete e dalla costruzione di risorse ad hoc.
Un cambiamento di abitudini riflesso dalla ricerca realizzata da Imaginarium, la catena spagnola specializzata nell’infanzia, su un panel di 10.000 membri del Club Imaginarium, provenienti da 5 Paesi (Italia, Spagna, Portogallo, Germania e Messico). Il 65,4% degli intervistati afferma di possedere un tablet, e il 94,58% dei genitori permette ai propri figli di farne uso. Anche se ne controllano il tempo di utilizzo (l’82,59% degli intervistati glielo fa usare meno di un’ora al giorno) e i contenuti: il 54,48% dei genitori, infatti, limita l’accesso solo ad alcune funzioni e 'monitora' le app scaricate .Inoltre il 75,99% del campione considera l'uso di tablet nelle scuole, come un mezzo certamente non indispensabile, ma importante per la formazione dei figli.
Il mercato reagisce al boom tablet continuando a sformare novità. Fra le ultime annunciate, il Dreamtab, per i più piccoli in arrivo, in primavera creato dalla Dreamworks con la Fuhu. Oltre a una serie di contenuti esclusivi e originali sui personaggi creati dalla casa di produzione, che li aggiornerà costantemente, da Kung Fu Panda al nuovo Dragon Trainer 2, la possibilità di vedere in streaming cartoon e show di vari canali per bambini (anche quelli Disney), si offriranno esperienze 'artistico/didattiche'. Tra le decine di dispositivi già in vendita, con controllo parentale schermi super-resistenti, involucri colorati e cover antiurto, personalizzabili e da arricchire con centinaia di app scaricabili, la scelta si è moltiplicata anche nelle versioni con i personaggi delle serie più amate, da Mio Tab Peppa Pig (Lisciani) a Monster High Tablet Premium 7 (Ingo Devices). Inoltre nel 2013, anche la Samsung ha pensato a un modello per bambini (utilizzabile però come un normale tablet anche dagli adulti), il Samsung Galaxy Tab 3 Kids, anche in versione Disney. Tra le prime case di giocattoli a scommettere sul settore c'è la Imaginarium, con le linee Superpaquito e il nuovo Paquito mini, che ha fra le utility, l'agenda che aiuta il bambino ad organizzarsi, la tabella delle ricompense per prefiggersi obiettivi, il lettore di libri, 2 videocamere. In prima linea anche la Clementoni , con prodotti come Il mio primo Clempad, per i più piccoli, e, per chi è fra i sei ai 12 anni, ilClemPad XL. Fra le tavolette che puntano su potenza di sistema operativo, connettibilità, e numero di app, ci sono anche il Meep X2 (Oregon Scientific) e Polaroid Kids Tablet 2. Inoltre si iniziano a pensare tablet per chi ha difficoltà di apprendimento, come l'EdiTouch, studiato a supporto dei bambini dislessici e utile ai bambini con bisogni educativi epeciali o 'Blue' un comunicatore tablet visivo e uditivo per persone affette da disturbi che coinvolgono il linguaggio e la comunicazione, come l’autismo e l’afasia. Infine, si rifà alla pura inventiva dei bambini, l'Iwood Mini della Donkey, piccola lavagna nera, con cornice in legno, a forma di tablet, 'compatibile' con tutti i tipi di gessetti (da conservare nell'apposito vano) e presa jack, dove al posto delle cuffie, sono attaccati due cancellini.
Francesca Pierleoni

Hooked: ecco come app e social network creano dipendenza

[Wired 15/01/2014]

Hooked: ecco come app e social network creano dipendenza

Da Pinterest a Candy Crush, da Ruzzle a Tinder, Nir Eyal spiega come si fa ad entrare nella vita quotidiana degli utenti.

Abbiamo tutti sperimentato un’addiction tecnologicaNir Eyal è un autore e consulente esperto sull’intersezione tra business, tecnologia e psicologia. Ha da poco pubblicato un libro in grado di spiegare – agli startupper ed a chi crea prodotti digital – come fabbricare motori di desidero in grado di trasformarsi in abitudini.
Hooked è un manuale che spiega quelle fasi costanti ed universali che sono dietro al successo di Farmville, Instagram, Pinterest, Twitter. Di app e siti web ai quali siamo ormai ritualmente “agganciati” nelle nostre routine quotidiane, fedeli e di ritorno più o meno consapevolmente.
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Gli adolescenti italiani secondo Telefono Azzurro e Eurispes

[Nanopress 13/01/2014]
Sexting e cyberbullismo: gli adolescenti italiani sono stati fotografati nell'indagine di Telefono Azzurro e Eurispes appena pubblicata. Lo studio sui giovani è stato condotto su 1.523 ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 18 anni, frequentanti la seconda e la terza classe della scuola secondaria di primo grado o una delle cinque classi della scuola secondaria di secondo grado. Alcuni dati sono stati messi a confronto con quelli degli anni precedenti.

LA CRISI
Nel 2010 più di un adolescente su quattro riteneva che la crisi economica avesse colpito la propria famiglia (29%), oggi ben la metà dei ragazzi (50,1%) si dice consapevole della difficile situazione economica che vive in prima persona nella propria famiglia. Sebbene nel 64,9% la situazione professionale dei genitori complessivamente appaia invariata, in quasi una famiglia su tre (30,9%) la crisi economica ha costretto a dei cambiamenti nella condizione lavorativa. Il 59,2%, riferisce che la propria famiglia ha dovuto prestare negli ultimi mesi maggiore attenzione alle spese tagliando quelle extra come le cene fuori e i divertimenti. Moltissime famiglie (48,4%) hanno effettuato addirittura tagli sui beni alimentari e sul vestiario oppure hanno deciso di rinunciare alle vacanze (23,9%). Nel 26,1%  dei casi gli adolescenti segnalano una situazione economica così grave che la propria famiglia ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese.

DIPENDENZA DA INTERNET
Alla domanda “ti capita, quando sei connesso a Internet, di non riuscire a staccarti, anche se ti sei riproposto di farlo?” quasi metà degli adolescenti (47%) risponde “qualche volta”, al 14,5% accade spesso e al 7,2% sempre. Solo il 30,3% dei ragazzi non mai messo in atto comportamenti di dipendenza, anche se con diverse gradazioni, dalla Rete. Un terzo dei ragazzi (33,9%) ha navigato in siti di  immagini pornografiche e che esaltano un  corpo palestrato (32%); il 19,3% ha visitato siti che incitano alla violenza, all’odio contro gli stranieri  (13,1%) e a commettere un reato (12,1%); hanno inoltre navigato all’interno dei siti che esaltano l’anoressia (9,9%) o il suicidio  (4,9%), con consigli annessi.

SEXTING
Oltre 1 adolescente su 4 (25,9%) afferma di aver ricevuto sms/mms/video a sfondo sessuale ; al 73,7%, al contrario, non è mai capitato.  Il fenomeno ha subito un aumento sorprendente : dal 10,2% del 2011 al 25,9%. Ad inviare i messaggi sono principalmente amici (38,6%), partner (27,1%) e sconosciuti (22,7%). Il 12,3% degli adolescenti ammette infine di aver inviato sms/mms/video a sfondo sessuale. Le reazioni dei ragazzi al sexting: tra divertimento e indifferenza. Le reazioni degli adolescenti alla ricezione di invio o filmati a sfondo pornografico (sexting) sono prevalentemente positive. Il 30,1% dice che gli ha fatto piacere, il 29,1% che lo ha divertito. Le reazioni negative ammontano complessivamente al 23,1%: il 10,7% si è sentito infastidito, il 6,6% imbarazzato, il 2,9% spaventato ed il 2,9% angosciato. Il 16% è invece rimasto indifferente. 

DATING VIOLENCE
La dating violence (violenza fisica o psicologica all’interno dei rapporti di coppia) è estremamente diffusa tra gli adolescenti, soprattutto nella forma del rapportarsi con il proprio ragazzo/ragazza urlando (29,1%); segue l’insulto (20,9%). Tra le opzioni inerenti le varie forme di minaccia , quella subita più spesso è l’essere lasciati dal proprio ragazzo/ragazza nel caso non si faccia ciò che viene detto (8,7%). Il 5,4% degli adolescenti dichiara che il proprio partner ha minacciato di picchiarlo.

ALCOL
Il 64% dei ragazzi di 12-18 anni raggiunti dall’indagine dichiara di bere alcolici . Si tratta quasi di un’abitudine per il 10,6% e per il 2,5% che ne fa un uso quotidiano, mentre sceglie qualche volta questo genere di bibite il 50,9%. Solo il 35,2% dei ragazzi afferma di non essere interessato all’alcol. Il consumo di alcolici sembra avere inizio soprattutto nel periodo della scuola media.

I consigli per usare al meglio i Social Media nel 2014

[Wired 13/01/2/14]
Se il 2013 è stato per i Social Media un anno importante, come sarà il 2014? Non è difficile immaginare che sarà un anno con molte sorprese, anche perché alcuni dati del 2013 ci aiutano meglio a capire il fenomeno: 500 milioni di tweet inviati ogni giorno, 35 milioni di foto col tag #selfies (nel frattempo diventata parola dell’anno per l’Oxford Dictionaries) pubblicate su Instagram, 350 milioni di foto postate su Facebook ogni mese, oltre 343 milioni di utenti su G+.
Per l’inizio del nuovo anno, il blog di Klout, la discussa piattaforma che si prefigge di misurare l’influenza on line di ognuno di noi (abbiamo anche intervistato il founder tempo fa), ha pubblicato una raccolta di consigli da seguire per migliorare la propria presenza sui Social Media. Il motivo è semplice: i Social Media continueranno a far parte delle nostre vite e saranno sempre più utile nella ricerca di lavoro, oltre ad aumentare il nostro personal branding. [Leggi tutto...]

lunedì 13 gennaio 2014

Social network usati da narcisisti, lo dice una ricerca

[Webisland.net 12/01/2013]
e sono il luogo ideale – come tutti i – per i . Se molti di noi già lo sapevano, ora a confermarlo arriva la ricerca condotta dal professor Shaun Davenport della High Point University della North Carolina, ricerca su un campione di 515 studenti universitari e 669 adulti.
Lo studio, pubblicato sulla rivista specializzata «Computers in Human Behavior» , ha dimostrato «come il desiderio narcisista sia una molla primaria per gli utenti social», allo scopo di ottenere sempre nuovi follower o amici, a seconda del social a cui ci riferiamo. Così gli utenti sono spinti a twittare sempre di più e sempre più spesso, e a condividere continuamente status online.
Ci sono però differenze generazionali: se i più adulti preferiscono Facebook, i giovani amano soprattutto Twitter. «Il nostro studio ha evidenziato la mancanza di significative relazioni dirette o indirette fra gli studenti e la loro attività Facebook – si legge nella ricerca -  mentre, al contrario, il narcisismo è risultato essere sia direttamente che indirettamente collegato alla presenza su Facebook degli adulti, sebbene questa sia solo una delle ragioni (ma non certo l’unica) che li spinge ad aggiornare in continuazione la loro pagina».

venerdì 10 gennaio 2014

Cyberbullismo: dal Mise il nuovo Codice per tutelare i minori

[nextme 09/01/2014]
È guerra al cyberbullismo. Il Ministero dello Sviluppo economico ha annunciato misure dure contro tali episodi, volte a tutelare soprattutto i più giovani. La bozza del nuovo Codice di Autoregolamentazione è stata approvata ieri, durante la riunione tecnica.
Reso necessario anche dai gravi fatti di cronaca che hanno visto alcuni giovanissimi arrivare a gesti estremi dopo essere stati oggetto di insulti e diffamazioni su Internet, il nuovo corpus di regole parte dai sistemi di segnalazione che i gestori dei siti devono mettere a disposizione di bambini e adolescenti per “consentire loro l’immediata segnalazione di situazioni a rischio e di pericolo”.
Secondo il Codice, gli operatori che forniscono servizi di social networking, i fornitori di servizi on line, di contenuti, di piattaforme User Generated Content e social network dovranno garantire tempestivamente l'attivazione di meccanismi di segnalazione di episodi di cyberbullismo.
Altrettanto celeri devono essere i meccanismi di risposta alle segnalazioni, per eliminare gli eventuali contenuti lesivi indicati entro un massimo di due ore dall’avvenuta segnalazione. Inoltre, dovrà essere garantito l'oscuramento cautelare temporaneo del contenuto lesivo segnalato.
Le nuove misure, secondo il MiSE, dovrebbero contrastare “la crescente tendenza dei giovani a sviluppare, attraverso l’uso dei nuovi media, una forma di socialità aggressiva e violenta che può indurre all’adozione di quei comportamenti discriminatori e denigratori verso i propri coetanei che spesso sfociano in 'contro'”:
Per verificare l'effettiva applicazione del Codice, è istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico un Comitato di monitoraggio, formato da esperti nella tutela dei minori.
Francesca Mancuso

“Spam Totale”, ecco cosa fanno i ragazzini su Facebook

[Wired 08/01/2014]
Selfie come piovesse, cuoricini elargiti in cambio di un giudizio, provocazioni (finte) a profusione. Benvenuti in Spam Totale, gruppo chiuso di Facebook con oltre 995mila partecipanti (numero che varia costantemente tra defezioni e aggiunte). Cos’hanno in comune tutte queste persone? L’approccio comunicativo. Le regole nei gruppi prendono subito piede, e l’uniformazione diventa automatismo. Fatta la tara sui fake, e preso in considerazione il nome – una dichiarazione d’intenti –  le dinamiche sono piuttosto abitudinarie. [Leggi tutto...]

martedì 7 gennaio 2014

Scuola: Osservatorio Minori, costituente sul web inutile e dannosa

[Asca 06/01/2014]
''La riforma della scuola non puo' essere concepita soltanto come momento di rivisitazione amministrativa, perche' l'edificio e' vetusto, soprattutto sul piano dei contenuti'': e' quanto afferma il sociologo Antonio Marziale, presidente dell'Osservatorio sui Diritti dei Minori, in relazione alla costituente sul web annunciata dal ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza. Per Marziale: ''E' inaudito che un sistema scolastico non contempli l'educazione ai media e quella sessuale come materie organiche fondamentali ed eventuali iniziative in tale direzione continuino ad essere relegate al buonsenso di qualche dirigente scolastico. Io stesso - chiosa il sociologo - chiamato frequentemente a tenere seminari ai discenti in materia di educazione ai media mi rendo perfettamente conto che poche ore non bastano ad impartire alcunche'''. ''Basta guardare ai fenomeni di devianza per convincersi che la societa' non puo' prescindere dal formare debitamente le masse studentesche in materia di media e sessualita', perche' - evidenzia il presidente dell'Osservatorio - esse rappresentano l'approdo piu' evidente e quantitativamente esponenziale dei reati minorili e giovanili''. ''Per tali ragioni - conclude Marziale - piu' che una costituente massificata e, dunque, dannosa sul web sarebbe necessaria una task force di esperti al massimo livello incaricata di tratteggiare una riforma contenutistica non piu' procrastinabile, se si vuole che l'Italia non rimanga indietro anni luce rispetto all'evoluzione culturale globale, con il rischio di diventare paradossalmente il Paese piu' povero d'Europa''.

Su Facebook sempre meno adolescenti: come cambierà il social network?

[Blogo 06/01/2014]
In questi ultimi tempi non si fa altro che parlare del fatto che i giovanissimi stanno abbandonando i lidi di Facebook per andare a sperimentare realtà più frizzanti come Snapchat o Twitter. Mentre ci si interroga sempre sul perché di questa diaspora e su come fare per prevenirla, un'altra domanda dovrebbe sorgere spontanea: come cambierà Facebook privo di questo bacino di utenza adolescenziale?
Non si tratta solamente di fare sterili ricerche demografiche, un recente studio ha dimostrato come Facebook sia morto e sepolto per gli adolescenti i quali pare siano tutti emigrati su piattaforme come Instagram, Snapchat e Twitter. Dunque chi è rimasto su Facebook? I loro genitori, of course.
Il caso che viene portato ad esempio è quello della presenza di una madre settantenne su Facebook. Per sua scelta, sul suo profilo ha pochi amici, il concetto di inserire come amici anche sconosciuti e conoscenti è tipicamente giovanile, le persone più grandicelle selezionano attentamente i loro contatti, preferendone pochi, ma buoni.
Rispetto ad un giovane, questa madre avrà meno collegamenti sulla piattaforma, di sicuro sarà meno attiva rispetto ad un eventuale figlio. Questo significa avere anche meno dati a disposizione per Facebook, quindi una minor accuratezza delle informazioni a disposizione. Magari la madre in questione non ha volutamente inserito i dati del profilo che Facebook continuava a richiederle (casa, lavoro e via dicendo) o magari ha erroneamente confermato quelli che Facebook suggeriva, contribuendo così a generare informazioni errate.
Se ciò dovesse succedere per un alto numero di utenti, ecco che l'allontanamento dei giovani da Facebook avrebbe un'inaspettata conseguenza: la qualità e l'accuratezza dei suoi dati diminuisce in maniera proporzionale. E questo significa una piattaforma meno interessante per gli inserzionisti. In più dobbiamo considerare che se dal punto di vista pubblicitario i giovani non sono molto redditizi, da quello delle attività sul social network lo sono, eccome. Sono più energici, postano, linkano, condividono, chattano di continuo, ne sono quasi ossessionati. E tutti questi contatti generano traffico, cosa che fa piacere a Facebook. Cosa che non succede con gli utenti più anziani, più diffidenti e restii a condividere tutto così su pubblica piazza.
E il guaio è che se i giovani si spostano su altri lidi, ben presto anche i loro genitori faranno lo stesso, non fosse altro che per tenerli sotto controllo. Stiamo assistendo all'apocalisse di Facebook?
Manuela Chimera

Social network e lettura: quale rapporto?

[Mondolibri 04/01/2014]
Non è affatto vero che i giovani leggano di meno per colpa di Internet: leggono in maniera diversa, questo sì. I social network come Facebook e Twitter hanno contribuito, comunque, ad abbassare il livello di attenzione e questo lo si nota soprattutto nello scrivere. Non è che si legga di meno, pertanto, ma si legge male.
Sui social network, infatti, si trovano brevi frammenti di testo, come gli status, i commenti, tweet, gli emoticon, i messaggi scambiati via chat e via dicendo. Il problema con Internet nasce quando si deve affrontare un testo più lungo e con un contenuto ben preciso. Commenta Ethna Gaitán, psicologa dell’IPLER – centro colombiano per il miglioramento della lettura veloce e della comprensione dei testi:
È un problema di concentrazione. La rete distrae, così che mentre si legge un testo non vi si presta l’attenzione al cento per cento e, di conseguenza, la comprensione delle idee si riduce di molto.
E poi continua:
Si possono anche leggere testi lunghi, ma bisogna avere la necessaria capacità di concentrazione per comprenderli e farli propri. Tutto dipende dall’interesse che suscita l’argomento della lettura.
Di fatto succede che mentre si sta leggendo un testo online, arriva l’amico che ti saluta via chat, ci sono una decina di Tweet con quell’hashtag che stai seguendo e un paio di persone che conosci aggiornano il proprio stato su Facebook. Tutto questo distrae e le idee che il testo trasmette non sono pienamente comprese da chi le sta leggendo.
Questa nuova modalità di lettura comporta quattro conseguenze principali:
  1. impoverimento del vocabolario: i più giovani – che sono i più esposti ai problemi di comprensione della lettura – fanno uso di poche parole che sono, poi, sempre le stesse con un effetto abbastanza lampante: meno parole si usano e meno ancora saranno quelle che si potranno comprendere;
  2. si preferisce il riassunto al testo originale: invece di cercare un libro – sia esso cartaceo o digitale – si prediligono i riassunti del libro stesso, su Google o Wikipedia o forum vari. In tal modo si perdono tutta una serie di dettagli che solo nei libri si possono scoprire grazie a una lettura tranquilla e cosciente del testo;
  3. pessima ortografia: la buona ortografia prima era quasi un segno distintivo di dilegenza e preparazione, mentre ora sembra non necessaria e, addirittura, simbolica. È tutto concatenato: se non si comprende quello che si legge, si scrive velocemente e senza curarsi delle regole, il risultato ovvio è che la grammatica e l’ortografia diventano irrilevanti, con tutto quel che comporta una tale deriva;
  4. mancanza di argomentazione nei propri testi: sebbene sembri ovvia, la conseguenza più grave di tutto questo è la mancanza di capacità di costruire testi decenti quando ce n’è bisogno (una tesi di laurea, per esempio). Lo scrivere bene si fonda sul leggere bene, sull’avere un vocabolario ricco e sul sapere collegare tra loro le idee; tutto questo è stato intaccato dalla rapidità e dall’immediatezza dei testi reperibili in rete.
C’è soluzione? Certo! Basta spegnere il computer e aprire un libro. Ci vuole solo un po’ di coraggio, nulla di più.

Roberto Russo

5 motivi per lasciare Facebook nel 2014

[Panorama 02/01/2014]
La prima ammissione è arrivata dall’azienda stessa. A ottobre del 2013 il team di Facebook aveva affermato come gli utenti più giovani fossero ai margini dell’ecosistema della piattaforma, con un utilizzo, su base giornaliera, minore che in passato. Un fuggi fuggi confermato a dicembre da Statista . Il “sentiment” pare essere quello di una saturazione globale di Facebook, non solo in termini di persone iscritte quanto di contenuti. Ecco qualche motivo che potrebbe bastare per convincervi a guardare oltre il social network di Mark Zuckerberg.
A nessuno interessa leggere quello che fai
Un calo di interesse che non riguarda i post in sé ma la forma in cui vengono pubblicati. La lettura non basta più a soddisfare l’umana curiosità e la voglia di pettegolezzo. Il 2013 ha dato uno scossone alla condivisione di foto e video che possano raccontare, più di un paio di righe di testo, cosa facciamo, con chi e perché. Non a caso il 2014 sarà l’anno di Instagram e Vine: ve lo avevamo detto .
Quanto conta (ri)tornare alla privacy?
La realizzazione del paradosso più grande: andiamo su Facebook per condividere ma ci preoccupiamo di quello che abbiamo condiviso. Il pericolo maggiore è che sulla nostra bacheca compaiano link, foto e contenuti dove siamo taggati ma dove non vorremmo mai essere, vuoi per principio, vuoi per pudore (tranne che non siate tra i fan dei gattini). Facebook, nel 2013, ha costretto le persone a controllare ogni singola impostazione di privacy, portando molti a cancellarsi dal network o a bloccare persone per non lasciare che invadessero la propria bacheca. Una serie di problematiche a cui Twitter non va incontro, pur rimanendo una rete globale.
Tu pubblichi, loro ti controllano
Alzate la mano se non vi è capitato, almeno una volta, di vedere attivata la funzione di localizzazione su Facebook mentre state inviando un post. Una “casualità” che avviene spesso su Android dove, grazie all’ A-GPS, l’app riesce a capire dove siamo, individuando la posizione dall’intreccio delle celle telefoniche. Un paio di post geo-localizzati possono raccontare a chi non vogliamo (parenti, amici, datori di lavoro) dove ci troviamo e magari cosa stiamo facendo. Per questo non serve Facebook, basta Foursquare.
Tu NON pubblichi, loro ti controllano
Qualche giorno fa è saltata fuori la notizia che Facebook sia in grado di leggere anche quello che si è scritto ma poi cancellato . A rivelarlo è ancora una volta il team di sviluppo che, durante il mese di dicembre, ha pubblicato uno studio che spiega l’avvio di un nuovo strumento di raccolta dati, in grado di leggere le frasi digitate dagli utenti e poi rimosse, senza che siano state mai pubblicate. La missione è quella di “capire perché gli utenti si auto-censurano” in determinate circostanze e situazioni. Eppure esiste un social network dove potete dire tutto, senza paura di far male a nessuno: www.worldtruth.org .
Sei messo continuamente in discussione
Avrà senso scrivere questo?”, “Chissà se in quella foto sono venuto bene?”, “Cosa penserà mia madre di questo post?”. Queste sono alcune delle frasi che ci circolano in testa prima di premere invio e pubblicare qualcosa. Facebook, più degli altri social network, ci mette in discussione, praticamente sempre. Non possiamo nemmeno fare i furbi e cancellare un contenuto pubblicato in piena notte, da ubriachi, eccitati o stanchi. In poco meno di un minuto quel contenuto, se di rilevanza (nel bene e nel male), viene ripreso, catturato e ricondiviso. Un recente studio del Dipartimento di Scienze Comportamentali della Utah Valley University ha evidenziato come gli utenti che passano più tempo su Facebook non sono di certo le persone più felici al mondo. Di 400 studenti intervistati “coloro che hanno utilizzato di più il social network erano concordi con l’affermare che le vite degli altri fossero migliori, considerando meno bella la propria”. Un’iniezione di autostima può arrivare da CircleMe , il social network “delle passioni”.
Antonino Caffo

Sei riflessioni sui social media per il 2014

[Vanityfair.it 02/01/2013]
Quindi, il Capodanno è andato, la parola più odiata dell’anno l’abbiamo eletta  - lovvo, per chi se la fosse persa – e io, che sono in montagna praticamente sempre senza connessione, ho scoperto con sollievo di non soffrire di sindrome FOMO ma di riuscire perfettamente a sopravvivere con qualche ora online al giorno anziché 24. In una delle due ore di connessione giornaliere, condivido alcuni spunti di riflessione – non previsioni, ché a tanto non mi azzardo – sull’evoluzione dei social media e soprattutto del nostro rapporto con loro per l’anno che arriva. Se invece amate chi prova a guardare il futuro e le previsioni le fa davvero, leggetevi quelle di Isaac Asimov per il 2014, scritte nel 1964. Buoni propositi non ne faccio, ma fate conto che siano i soliti: la dieta, lo sport, le sigarette, eccetera. Ah sì: la scritta della foto sopra era di cioccolato, l’ho mangiata, per buon auspicio. E buon anno.
1 Condividere meno, condividere con pochi Ce lo ha detto Nathan Jurgenson, ce lo conferma la direzione presa dai maggiori social media, sempre più impegnati a tutelare la privacy e a offrire possibilità per inviare messaggi privati a cancellare e modificare i contenuti. E’ finita l’era dell’apertura a tutti i costi e dei contenuti pubblicati per sempre, inizia quella della condivisione mirata, quasi ad personam, ed effimera. C’è chi dice che a soffrirne sarà soprattutto Facebook, già abbandonato in massa dagli adolescenti; vedremo.
2 Crederci davvero Il 75% delle Pmi europee è su internet e il 30% sui social, ma l’Italia è sotto la media Ue con il 67% ad avere un sito internet e il 25% (contro il 30%) ad utilizzare Facebook, Twitter o Youtube. (Dati Eurostat per il 2013, relativi alle imprese che hanno almeno 10 dipendenti.) In tutti gli ambiti, il cambiamento deve iniziare dall’alto. Se i grandi capi per primi non adottano i nuovi strumenti di comunicazione nel loro lavoro quotidiano, perché dovrebbero farlo tutti gli altri? Per una volta, non è un problema italiano: quasi il 70% dei 500 amministratori delegati più potenti al mondo, selezionati da Fortune, non hanno alcuna presenza sui social media. Del 30% che sceglie di esserci, quasi tutti (28%) lo fanno solo attraverso LinkedIn.
3 Esserci davvero Il 2014 sarà l’anno in cui le aziende dovranno fare una scelta: o fuori, o dentro. E visto che fuori dal web non si può stare, poiché coincide e coinciderà sempre più con il flusso delle altre attività, dovranno imparare a starci bene. Quindi, a non usare i social network come vetrine, brochure promozionali, canali unidirezionali, ma imparare finalmente a conversare e a rispondere. La strada da fare è molta: secondo uno studio Nielsen già nel 2012 più della metà dei consumatori si aspettava un servizio di customer care efficiente per risolvere problemi e controversie online. Oracle ha scoperto che l’81% degli utenti su Twitter attendono una risposta alle loro lamentele nello stesso giorno. A fronte di queste aspettative, una ricerca di Blogmeter ci dice che in Italia il numero delle aziende che segue i clienti sui social network è esiguo: il 2,4% di queste fornisce assistenza via Facebook e solo il 2% via Twitter. Secondo un altro studio di Sprout Social, nel 2013 le aziende hanno ricevuto in media il 175% in più di messaggi sui social rispetto al 2012. Il tasso di risposta ai messaggi, però,  è al di sotto del 20%, quindi 4 richieste su 5 restano a vagare nell’etere.
4 Tv, guardarla e non fidarsi. Poi commentare sui social
Secondo la VII Indagine di Demos-Coop “Gli Italiani e l’Informazione” per informarsi otto italiani su dieci scelgono ancora la televisione, anche se non si fidano più. Forse anche per questo cresce il numero di chi chi cerca notizie in Rete, percepita come libera e indipendente. La percentuale di chi usa Internet per informarsi è passata dal 31,7% del 2005 al 47,9% di oggi; la radio tiene ancora (39,5%), la carta stampata è cresciuta soltanto dello 0,1 per cento rispetto al 2012 (ferma al 25,4%). Va detto anche che la tv beneficia e beneficerà probabilmente sempre di più del fenomeno Social Tv.
5 Social, sempre più mobile A livello mondiale, il 60% circa di coloro che frequentano i social media lo fanno perlopiù in mobilità, su smartphone e tablet. Questo per dire che mentre da noi ci si balocca ancora con il dubbio amletico del Digital First, oltreoceano stanno già pensando – e da un po’ – al Mobile First.
6 Lavoro: se c’è, si trova online Tutti gli indicatori lo confermano: se volete trovare o cambiare lavoro, mettete mano ai vostri profili online e curate l’immagine che un selezionatore un po’ sgamato può ricomporre seguendo le tracce che lasciate sul web. Imparate a usare bene i social media come strumenti di comunicazione, non solo per pazzeggio, perché chi vi potrebbe assumere inizia a dare le competenze social per scontate. Ah, e non mentite: troppo facile scoprirvi. Altri suggerimenti qui.
Barbara Sgarzi