lunedì 23 aprile 2012

Social network, Maestri: "Tarare i contenuti per centrare il target"

[23/04/2012 Corriere delle Comunicazioni]
«Me l’aspettavo. Questo in effetti è un problema». Alberto Maestri, esperto di social media per Ninja marketing, risponde così quando gli si chiede quanti degli articoli che pubblica riguardano le aziende della Penisola. “In effetti spesso le agenzie dicono di fare fatica a introdurre certi concetti nelle aziende italiane. In generale un articolo su 10 parla del nostro Paese. Si tratta di aziende molto grandi o iniziative piccole che hanno l’idea ma non l’investimento. Il problema è la dimensione media delle nostre aziende”.
Perché un’azienda dovrebbe usare i social media?
Servono a coltivare la relazione. Il primo passo è creare engagement, una piazza. I social media si posizionano in un punto intermedio fra la vendita e il consumatore, anzi l’individuo. In più attraverso la pubblicità su questi strumenti è possibile targettizzare la comunicazione.
Esiste poi da parte delle aziende un problema di misurazione dei ritorni.
Però è vero che alcuni strumenti sono già disponibili. Gli analytics di Facebook e Google sono in grado di offrire buone statistiche. Integrando questo tipo di strumenti con il lavoro delle agenzie specializzati si possono ottenere risultati interessanti. Bisogna poi sfatare il mito che Facebook, Twitter o Youtube siano gratis. Anche in questo ambito bisogna investire.
La loro utilità dipende anche dal tipo di target a cui si fa riferimento.
Il concetto di target deve essere inteso a livello macro. Per esempio Linkedin va bene se ci si rivolge a un mondo business to business. Con gli altri social network generalisti invece è possibile arrivare a un livello di profilazione che permette di segmentare il target di interesse. Ed è sbagliato ritenere che siano luoghi da ragazzini. A Facebook sono iscritti una ventina di milioni di persone quindi bisogna saper tarare i contenuti per colpire la fetta di pubblico desiderata.
Quindi i social network devono ormai fare parte della strategia comunicativa di un’azienda?
Sì, ormai sono parte integrante del marketing mix. Molti sostengono che dipende anche dai prodotti dell’azienda, ma credo che il vero problema sia lavorare sui contenuti. Con questo e la targettizzazione si può raggiungere l’obiettivo desiderato. Lombardini è un’azienda italiana che vende motori e il calendario per il nuovo anno l’ha realizzato con le foto dei utenti perché ha lavorato su forum e blog scoprendo un vasto circuito di appassionati. Hanno lavorato sul concetto di tribù e i risultati si sono visti. Il problema è che oggi all’interno delle aziende c’è molto learning by doing, si impara facendo e di strutturato non c’è nulla. Una situazione che non è solo italiana ma anche europea, con l’eccezione della Gran Bretagna. C’è un grosso lavoro da fare sulle strutture aziendali anche perché questi strumenti cambiano ogni giorno e ciò che andava bene ieri forse non servirà più domani. È necessario creare delle professionalità interne alle aziende mentre oggi la strada maestra è quella dell’esternalizzazione. L’azienda preferisce non occuparsi della gestione dei social media e appalta all’agenzia. Questo può essere un problema perché la cultura aziendale, l’immagine, sono fortemente collegate all’utilizzo di Facebook o Youtube: sarebbe molto meglio utilizzare una figura interna. Nelle aziende statunitensi ormai più che una figura unica esiste una gerarchia interna che fa riferimento alle gestione dei social network.
Ma è sempre necessario essere presenti su Twitter, Facebook e Youtube contemporaneamente?
Di default si aprono tutti anche se spesso Twitter presenta delle difficoltà. Spesso non si va oltre il custode service. In verità non è necessario essere su qualsiasi social network: dipende da prodotti e contenuti. Il blog, per esempio, ha senso se esiste una dimensione qualitativa e se ci sono i contenuti. Se non ci sono queste cose non si crea engagement. L’area interessante oggi è quella dei social network tematici che offrono già una interessante segmentazione  e rappresentano una strada interessante per il futuro.       
Luigi Ferro    

La sopravvivenza è un successo. Ce lo spiega Pier Luca Santoro.

[20/04/2012 L'Unità on line]

Pier Luca Santoro pubblica oggi, in anteprima sul sito dell’Osservatorio Europeo di giornalismo nella categoria Nuovi Media e Web 2.0, il risultato dello studio fatto dal Reuters Institute for Journalism, su nove pure players dell’informazione online in Europa con alcuni casi italiani.Nello specifico lo studio si sofferma ad analizzare il caso di Lettera43, Linkiesta e il Post.

Si legge sul post di introduzione: “Il rapporto svolge un’analisi approfondita di nove “pure players” quali  Netzeitung, Mediapart, o Il Post,(di)mostrando che per le start up all digital dell’informazione in Europa già riuscire a sopravvivere in questa fase è un successo. Delle nove realtà prese in considerazione solamente due,  Mediapart e Perlentaucher sono a break-even, in pareggio, mentre le altre, inclusi Lettera43, Il Post e Linkiesta per quanto riguarda l’Italia, sono ancora in rosso e sopravvivono solo grazie a contributi esterni, una, addirittura, durante lo studio ha chiuso i battenti.”
Il titolo della ricerca  (“Survival is Success“)  la dice lunga sullo stato di salute dell’informazione europea ma, allo stesso tempo, suggerisce alle nuove startup del settore di individuare un settore e di perseguire sulla strada scelta, senza avere l’affanno di dover inseguire ed imitare grandi testate come l’Huffington Post o Politico, entrambi vincitori del Pulitzer 2012.
Per l’approfondimento rimando alle considerazioni di Pier Luca

Facebook for Parents, genitori e social network

[18/04/2012 Vodafone Lab]
I social network sono ormai di uso quotidiano e la generazione dedita a Facebook si è estesa a vista d’occhio. Genitori, nonni, insegnanti, educatori si trovano a interagire con giovani sempre più internauti, che navigano abilmente tra social media e siti web. Per accorciare le distanze tra le due generazioni, Digital Accademia ha lanciato Facebook for Parents. Si tratta di un corso divulgativo, realizzato dalla prima scuola per la diffusione della conoscenza del digitale in Italia, e mirato ad aiutare gli adulti a prendere confidenza con il popolare social network.
Il corso, scandito da tre appuntamenti (4, 28 maggio e 11 giugno) ha l’obiettivo di insegnare ai genitori che si avvicinano al mondo digitale per la prima volta come interagire con Facebook. Forte focus sulle opportunità che può offrire l’utilizzo di questo strumento, fino a capire come interagire con i propri figli, convertendo il social network in un canale di dialogo.
Non pretendiamo di rispondere a tutte le domande, ma vogliamo aprire un tavolo di confronto con tutti quei genitori, nonni ed educatori che si trovino di fronte ad una realtà che cambia ogni giorno e a cui i ragazzi sono istintivamente abituati ed immersi – ha dichiarato Valentina Paruzzi, Direttore Training di Digital Accademia – Ci auguriamo innanzitutto di riuscire a incuriosire e stimolare la comprensione degli strumenti, a partire da Facebook, e, perché no, a dissipare qualche piccola preoccupazione, naturalmente legata a ciò che si conosce poco.”
Olimpia Bartalini

martedì 17 aprile 2012

Ue, italiani bocciati in informatica

16 aprile 2012, Repubblica.it - ROMA - Copiare un file sul proprio pc è troppo complicato, usare Excel quasi impossibile e di creare con un linguaggio di programmazione non se ne parla proprio: gli italiani messi davanti a un computer sono un vero e proprio disastro, soprattutto se paragonati ai vicini europei. I dati diffusi da Eurostat sulle capacità informatiche individuali nell'Unione Europea mettono in luce l'incredibile arretratezza del nostro Paese. Prendendo in considerazione ventisette paesi della Ue, l'Italia si classifica infatti tra gli ultimi cinque in qualsiasi campo esaminato: peggio di noi riescono a fare solo Bulgaria, Romania e Grecia, mentre con Cipro e Polonia finisce quasi in pareggio.
leggi tutto

Scarica il documento Eurostat

lunedì 16 aprile 2012

Sogni sullo smartphone? Ma il garante Pizzetti avvisa: “Sui social network occhio alla privacy, è a rischio”

[15/04/2012 affaritaliani]

Già solo a riferire la notizia si rischia di provocare un vero trauma. Figuriamoci cosa accadrà quando i risultati della ricerca andranno a buon fine. Secondo quanto riferisce il portale www.sanitaincifre.it esiste “una nuova frontiera delle App per smartphone” che potrebbe viaggiare all’interno della coscienza umana. Ne è convinto lo psicologo inglese Richard Wiseman dell’Università di Hertfordshire che “ritiene di poter manipolare i sogni a piacere attraverso un’applicazione. Wiseman sta lanciando un esperimento di manipolazione dei sogni che coinvolgerà migliaia di volontari. I partecipanti potranno scaricare un’applicazione che renderà il loro smartphone capace di individuare e bloccare i sogni negativi. Posato sul letto il cellulare sarà infatti in grado di rilevare l’immobilità del proprietario, che ne segnala lo stato di sonno, per far partire sottofondi piacevoli, con lo scopo di influenzare il sognatore, orientandolo verso situazioni oniriche positive”.

Immaginatevi la scena: torniamo a casa dopo una giornata pesantissima. Magari dopo un po’ di litigate miste a stress. Visto che si dice che i problemi del lavoro si lasciano fuori dell’uscio di casa entriamo sorridenti, ceniamo, poi andiamo a letto, dopo aver fatto una chattatina su Facebook, o aver visto un po’ di tv ed ecco che parte la musichetta dallo smartphone. Se facciamo brutti sogni o ancor peggio incubi, il cellulare cancella tutto. Se invece grazie alla musichetta ci dilettiamo in sogni positivi tutto viene incamerato e magari possiamo anche rivederli.

In realtà l’esperimento prevede che catturato il sogno positivo, propiziato dalla musica leggera….l’App “emette un allarme delicato per svegliare il partecipante, che potrà descrivere il sogno fatto ad uno speciale database”.
Lo psicologo è convinto : “si può ottenere una buona notte di sonno e fare sogni piacevoli. Questo aumenta la produttività delle persone ed è essenziale per il benessere psico-fisico. Nonostante questo – ha spiegato Wiseman al quotidiano britannico The Guardian online – sappiamo molto poco su come influenzare i sogni. Ma questo esperimento mira a cambiare le cose”.
Ora il problema nasce, ammesso che si riesca ad orientare i sogni in belli e cacciare quelli brutti, su cosa noi inseriamo sul database, perché ad esempio se una moglie sogna un uomo che non è suo marito o viceversa, può verificarsi qualche problema in famiglia.

Altro che privacy. E questo proprio nelle ore in cui il Garante della Privacy, professor Francesco Pizzetti, ha raccomandato in un’intervista al blog nuvola.corriere.it di stare molto attenti in particolare sui social network in relazione a quello che si scrive, accentuando la differenza tra comunicazione e diffusione.
“Bisogna distinguere -sostiene il Garante Pizzetti – la comunicazione è interpersonale, può anche interessare un numero elevato di persone ma identificabili: la diffusione invece riguarda opinioni e informazioni rese accessibili a un numero indeterminato di persone. Nei social network il rischio di diffusione è molto alto. Si possono impostare politiche di privacy protettive per scegliere di comunicare solo con quel determinato gruppo di amici, ma sappiamo tutti che i social network consentono la ritrasmissione ad opera di altri e sono sempre potenzialmente strumenti di diffusione. Il consiglio da dare è sempre lo stesso: attenzione utilizzate i social network immaginando sempre che quello che state comunicando possa essere conosciuto da chiunque per un tempo indeterminato”.

Ora, non abbiate paura di sognare quello che vi pare, perché se non avete lo smartphone con l’applicazione del professore Wiseman siete a posto. Ma quando postate qualcosa su Facebook o Twitter o inserite qualche video su YouTube, occhio perché quello rimane…secondo Pizzetti per sempre…
Una volta si diceva che l’unica cosa che esisteva per sempre era l’amore. Oggi ci sono seri dubbi. Abbiamo però la certezza che i nostri post rimangono sul Web …per sempre...
Sempre una volta si diceva che è bello sognare…Ora che i sogni si potranno condizionare, caricare sullo smartphone e orientare con un’applicazione…anche quelli li mettiamo in seria discussione. Resta una possibilità: sognare ad occhi aperti. Fino a quando non collegheranno un’applicazione dello smartphone alla pupilla…siamo liberi…
Francesco Pira

Performing Media, esperienze educative e partecipative per la cittadinanza interattiva

[14/04/2012 La Stampa]
Come tradurre l'uso del web e dei nuovi media in una pratica educativa, sociale e creativa? E’ su questa domanda che si muove questa manifestazione, trovando risposte sulla base di esperienze dirette e laboratori multimediali. Questo aspetto dell'uso sociale dei nuovi media uno dei punti chiave di associazioni come Libera e Acmos che da anni lavorano con gli adolescenti per reinventare le forme dell’impegno politico, ai margini dell’ambito scolastico, per promuovere esperienze di cittadinanza interattiva. Cercando anche di tradurre le potenzialità della comunicazione interattiva e dei social media in effettiva interazione sociale.

A Torino queste realtà promuovono, con Urban Experience e gli Stati Generali dell’Innovazione, una due giorni, il 14 e il 15 aprile, per approfondire i temi dell’innovazione, focalizzando l’attenzione sull’uso educativo, creativo e sociale delle tecnologie digitali.
E’ in questo senso che il neologismo performing media definisce l’azione, il mettersi in gioco, la partecipazione, l’apprendimento al tempo del web 2.0.

La scuola, quindi, prima di tutto, perché è la soglia di un passaggio generazionale che sta coincidendo con una radicale mutazione dell’intero assetto della società. In questo ambito emerge la necessità di individuare nuovi modelli educativi che sappiano coniugare l’apprendimento con la coscienza civile.

Il fatto che l’ambiente educativo possa essere inteso come una palestra di cittadinanza interattiva e di cooperazione educativa è uno dei punti cardine di un pensiero-azione che vede nel processo connettivo delle reti una straordinaria metodologia di condivisione. Il concetto di performing media riguarda, fondamentalmente, la creatività sociale espressa dal web 2.0 e quelle forme di media-attivismo attraverso cui promuovere educazione alla legalità e dinamiche ludico-partecipative. In questa direzione vanno alcune indicazioni per far interagire web e territorio, con particolari format di comunicazione, come i geoblog dove è possibile “scrivere storie nelle geografie”, costruendo mappe emozionali come quelle della memoria antifascista a Torino, realizzata nel gennaio 2007 nell’ambito delle Universiadi, proprio con i ragazzi di Acmos.

Dopo un seminario all’Università di Palazzo Nuovo, la mattina del 14 aprile, si partirà per un walk show, una passeggiata radioguidata che esplorerà alcuni luoghi simbolici della città-laboratorio torinese, dalla casa in cui Gramsci elaborò le sue strategie più acute al percorso della manifestazione nazionale di Libera che nel 2006 utilizzò per la prima volta un sistema georeferenziato per lasciare il suo segno nel web. Il giorno dopo, si farà un altro walk show nel Monferrato, presso la Cascina Caccia, bene confiscato alla ‘ndrangheta, a S.Sebastiano Po, a cui seguirà un’attività di laboratorio sui format di performing media, come quello che si svolgerà, il 14 pomeriggio, al Performing Media Lab di Torino (a Via Salgari 7) altro bene confiscato alle mafie.

giovedì 12 aprile 2012

Il cyberbullismo

[11/04/2012 Altalex]
Oggigiorno, i bambini e gli adolescenti, al pari degli adulti, dispongono di apparecchiature tecnologiche sofisticate in grado di ampliare oltremisura la loro rete di comunicazione. Infatti, nell’era della comunicazione telematica la piaga sociale del bullismo si è, ulteriormente, sviluppata, dando libero sfogo ad un fenomeno nuovo, il cyberbullismo.

Strettamente correlato al bullismo, il cyberbullismo o bullismo elettronico consiste in atteggiamenti e comportamenti da parte di qualcuno, finalizzati ad offendere, spaventare, umiliare la vittima tramite i mezzi elettronici (l'e-mail, la messaggeria istantanea, i blog, i telefoni cellulari, i cercapersone e/o i siti web). Le vittime dei bulli telematici sono adolescenti di 12-14 anni, in età scolare che, nella maggior parte dei casi, frequentano la stessa scuola del cyber-persecutore.

Il cyberbullismo, sebbene meno diffuso del tradizionale bullismo, rappresenta un fenomeno che coinvolge sempre più bambini e adolescenti. La sua espansione è imputabile alla mancanza del linguaggio del corpo, del suono della voce e di tutti gli altri aspetti della comunicazione presenti nel mondo reale. A fronte di tale carenza, il bullo non percepisce che il dolore, la frustrazione, l'umiliazione provocano nella vittima reali sentimenti di angoscia e di paura. Benché si presuma che gli effetti del cyberbullismo sulla psichiche umana siano simili a quelle del bullismo tradizionale, non si hanno ancora riscontri precisi, dal momento che il fenomeno è relativamente recente e non sono ancora possibili studi sui risultati a lungo termine. In ogni caso, è noto che il livello soggettivo di dolore determinato dal cyberbullismo può essere molto intenso, tanto più forte quanto più la vittima è debole. Molti professionisti specializzati considerano il cyberbullismo una delle manifestazioni più allarmanti della rete ed è quantomeno auspicabile che tale problema cominci ad essere affrontato anche dal punto di vista legislativo.

Rispetto al bullismo nella vita reale, l'uso dei mezzi elettronici conferisce al cyberbullismo alcune caratteristiche peculiari:

  • Anonimato del bullo: Per la vittima è difficile risalire da sola al molestatore ed ancora più difficile potrebbe essere reperirlo. Tuttavia, ogni comunicazione elettronica lascia delle tracce e l’anonimato è meramente illusorio: a meno che il cyberbullo non sia un mago della Rete, prima o poi è individuato dagli esperti della Polizia e dei Carabinieri.
  • Indebolimento delle remore morali: l’anonimato del bullo associato alla possibilità di essere "un'altra persona" on-line sono in grado di indebolire le remore morali. È stato, infatti, constatato che, nel mondo virtuale, la gente osa, ovvero fa e dice cose che non farebbe o direbbe nella vita reale.
  • Assenza di limiti spazio-temporali: a differenza del bullismo che si manifesta, frequentemente, in luoghi e momenti specifici (ad esempio, nel contesto scolastico), il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo.

Molti cyberbulli assumono un atteggiamento aggressivo e violento allo scopo di ottenere visibilità: per tale ragione compiono l’inverosimile affinchè il loro “gesto eroico” venga conosciuto e reso pubblico.

La maggior parte di essi, infatti, si comporta da bullo proprio per attirare le attenzioni dei mass-media, per riscuotere, cioè, dal mondo esterno tutte quelle attenzioni che non riceve quotidianamente all'interno della famiglia o all'interno del gruppo di amici.

Il cyberbullo è un individuo che indossa una sorta di maschera virtuale e che sfrutta questa nuova situazione per compiere atti disinibiti e aggressivi. Egli crede di essere invisibile, impressione condivisa dalla stessa vittima: entrambi, infatti, assumono identità virtuali e nicknames. Se, da una parte, il bullo si crede invisibile e, quindi, non accusabile perchè non facilmente scopribile, dall'altra parte, la vittima appare al bullo non come una persona vera e propria, bensì come un'entità semi-anonima e non dotata di emozioni o sentimenti. In altri termini, difetta, nel rapporto tra cyberbullo e cybervictim, la concatenazione di feedback che permetterebbe al bullo di comprendere che la vittima sta soffrendo.

Gli studi di psicologia sociale, in proposito, hanno decretato che la "distanza sociale" possa essere il movente per il compimento di atti violenti e orribili. "Distanza sociale" che negli scambi comunicativi eseguiti on-line è ampliata oltre misura.

Il cyberbullismo assume diverse connotazioni (la pubblicazione on line di informazioni spiacevoli ed imbarazzanti su un'altra persona; l’estromissione deliberata di una persona da un gruppo on-line allo scopo di pregiudicare la sua sensibilità; l’invio reiterato di messaggi offensivi diretti a ferire qualcuno etc.).

La forma più frequente è il flaming che consiste nell’invio on-line di messaggi violenti e volgari finalizzati a provocare battaglie verbali in un forum. Il nome flaming esprime uno stato di aggressività durante l'interazione con altri utenti del web. La rete offre la possibilità di inserirsi in nuove situazioni ed ambienti, in cui ogni utente tende a ritagliarsi un proprio spazio.

Con il passare del tempo, si accresce l'attaccamento dell'utente al proprio spazio; conseguentemente, si cerca di intensificare la propria presenza nell'ambiente, postando più messaggi (in un forum) o chattando per ore. Ne deriva che per taluni soggetti la presenza in rete si tramuta in una vera e propria necessità. Tuttavia, se un altro utente o una situazione particolare intacca lo status acquisito, l’utente succube del web si sente minacciato. La reazione è violenta e possono verificarsi due situazioni: qualora l’utente abbia uno spazio diverso dove poter andare, egli decide di abbandonare lo spazio iniziale definitivamente; in caso contrario, qualora ritenga necessario rimanere nel "suo territorio", dove si è faticosamente creato uno status, mette in atto il flaming.

Tra le vittime, solo una parte rivela l’angoscia che sta vivendo ai genitori. Il pericolo di audaci marachelle e di imprudenti quanto coraggiosi silenzi può essere ridimensionato con una vigorosa e prudenziale informazione preventiva, ad esempio evidenziando che tali comportamenti sono azioni delinquenziali di cui si occupano anche Polizia e Carabinieri. L’esplorazione di alcuni siti per la lotta contro il bullismo, come, ad esempio, quelli della Polizia e dei Carabinieri, dovrebbero ammonire qualunque persona a non lasciarsi neanche accarezzare dalla seduzione di giocare a "Scherzi a parte" in Rete e dovrebbe far accrescere la eventualità che le vittime si confidino con i genitori o, comunque, con persone adulte per rivelare e denunciare le condotte moleste subite dai bulli.

Per questo motivo, se la cyber-persecuzione produce un malessere evidente, è auspicabile un effettivo sostegno morale dei genitori e l’assistenza psicologica di medici specializzati. È di fondamentale importanza rassicurare la vittima circa le presumibili minacce o insulti del bullo, senza minimizzare il suo disagio.

In tale contesto, il comportamento dei genitori gioca un ruolo determinante sui comportamenti dei figli che agiscono con prepotenza.

Molte volte, i genitori di bambini e ragazzi che agiscono con prepotenza tendono a difenderli, a tutelarli da chiunque provi a consapevolizzarli degli effetti delle proprie azioni, erigendo un muro difensivo che impedisca ai figli l’attribuirsi la responsabilità della propria condotta persecutoria. Nelle situazioni più gravi biasimano coloro che decidono di prendere provvedimenti efficaci per arginare i comportamenti di prevaricazione e di violenza. La difesa ad oltranza da parte dei genitori ha origine nella crescente autoreferenzialità famigliare, in base alla quale ogni genitore si reputa custode del miglior criterio pedagogico e tende a disprezzare o denigrare chiunque abbia idee contrastanti. È di scarsa importanza se questo si verifichi in modo trasparente o tramite indiscrezioni e maldicenze in quanto, tendenzialmente, la conseguenza è il perpetuarsi delle violenze a danno delle vittime.

Di contro, quando il genitore si assume la propria responsabilità educativa ed incoraggia il figlio ad assumersi la responsabilità della propria condotta vessatoria, si avvia un percorso virtuoso che, attraverso l'accoglimento delle emozioni in gioco, consente di intuire le motivazioni profonde del bullismo e di trovare strategie risolutive delle prepotenze.

Miriana Bosco

martedì 10 aprile 2012

Consiglio d'Europa, consigli per la Rete

[06/04/2012 PuntoInformatico]
Tutelare al massimo principi fondamentali come il libero accesso all'informazione e il diritto al rispetto della privacy di milioni di netizen nel Vecchio Continente. I membri del Consiglio d'Europa hanno così diramato due diverse raccomandazioni per la protezione dei diritti umani su motori di ricerca e piattaforme di social networking.

Il primo pacchetto di linee guida riguarda tutti quegli operatori web che forniscono agli utenti servizi di ricerca. In particolare, i vari search engine dovrebbero aumentare il livello di trasparenza nel modo in cui viene garantito l'accesso alle informazioni attraverso le cosiddette query.

Quali sono gli effettivi criteri adottati per il ranking dei risultati di ricerca? E ancora, su quali basi un motore di ricerca stabilisce la rimozione di un determinato link? Interrogativi cruciali - almeno secondo il Consiglio d'Europa - per la tutela del libero accesso alle informazioni su Internet.
Ma c'è anche la delicata questione della privacy. La Commissione dei Ministri d'Europa ha inviato tutti gli stati membri a rispettare i diritti degli utenti nella gestione dei dati personali. Con maggiore trasparenza per quanto concerne lo sfruttamento dei cookie, degli indirizzi IP, delle varie cronologie di ricerca.

Nella seconda raccomandazione, il coinvolgimento dei social network. Strasburgo ha invitato gli stati membri a collaborare attivamente con le varie piattaforme di condivisione, per una efficace campagna informativa sui rischi per la privacy. E sempre utilizzando un linguaggio chiaro nelle policy a disposizione degli utenti.

Particolare attenzione dovrà poi essere posta sui minori, per evitare ogni contatto con contenuti e persone pericolose. I social network dovrebbero garantire meccanismi automatici per la segnalazione di materiale inappropriato, tutelando gli iscritti con opzioni chiare ed immediate per la gestione della propria identità virtuale.

Mauro Vecchio

World Economic Forum: Italia al 48° posto, dietro Croazia e Montenegro, nel processo di digitalizzazione

[05/04/2012 Key4biz]
L’Italia non attira gli investimenti digitali per via dei ritardi accumulati nel campo dell’istruzione e delle innovazioni, oltre che di un potere politico che non accelera sulle iniziative che potrebbero far decollare il nostro Paese.

Situazione che fa finire l’Italia al 48° posto della classifica mondiale contenuta nel Report “The Global Information Technology Report 2012: Living in a Hyperconnected World del World Economic Forum (Wef), della società di consulenza globale Booz & Co e della Business School Insead.

Una valutazione a livello globale di 142 Stati su condizioni infrastrutturali e competenze umane necessarie a fornire tecnologie informatiche e di comunicazione oltre che internet.

[Leggi tutto...]

lunedì 2 aprile 2012

Giornalismo e new media, sotto con l'integrazione

[02/04/2012 Wired.it]
Internet fa bene o male al giornalismo? Una domanda ricorrente, che da anni risuona nei convegni, durante i telegiornali, persino davanti ai banconi del bar. Ma se la domanda non è cambiata, a mutare nel tempo è stata sicuramente la risposta. All’inizio, l’opinione diffusa tra gli operatori del settore era che blog prima e social network poi fossero come una pistola carica nelle mani di giornalisti improvvisati, incapaci di verificare le fonti o distinguere la verità dalle fandonie, ma in compenso abilissimi nel diffondere e rilanciare balle incontrollabili e spesso anche pericolose.

Questo forse in parte era vero e in parte –obiettavano gli entusiasti del nuovo “giornalismo dal Basso” – un tentativo estremo ed inutile della stampa di difendere posizione, ruolo e privilegi. Quale che fosse la ragione, quel periodo di duro confronto sembra essere ormai alle spalle: la conferma arriva da alcune testimonianze raccolte durante la seconda giornata del Social Media World Forum a margine di un panel dedicato a “Social media and the news”. Il primo a dare un’idea precisa del nuovo corso è Mark Jones, Global Community Editor per Reuters, secondo il quale “i media sociali stanno migliorando il giornalismo, perché mettono a disposizione di chi fa informazioni nuove e valide fonti, diffondendo informazioni in un formato chiaro e semplice da usare”.

Gli fa eco Nick Petrie, Social Media & Campaigns Editor per The Times, che arricchisce il quadro sostenendo che “uno dei principali cambiamenti introdotti nella professione dall’avvento dei social media è che i giornalisti non hanno più il controllo delle storie che raccontano”, perché nel momento in cui le pubblicano esse appartengono ai lettori. Questi si guardano bene dal fruirle passivamente e le rilanciano, integrano, commentano oppure demoliscono mentre ci costruiscono intorno una conversazione alla quale il giornalista può e deve partecipare, che può provare a indirizzare ma che non può governare. E questo perché, dice sempre Petrie, nel moderno mondo dei media, “una volta pubblicata, la storia di ognuno diventa la storia di tutti”.

In questo contesto incredibilmente dinamico, dove l’ informazione è liquida e scorre ad altissima velocità, il mestiere del giornalista non passa certo di moda, ma assume una funzione nuova e richiede nuove skill: se infatti è vero che la “verifica delle nuove fonti è ancora una forma d’arte in via di definizione” - come ammette ironicamente Mark Jones - altrettanto vero è che il lavoro del giornalista si focalizza sempre di più sulla “content curation”, ovvero sulla selezione, la verifica dell’attendibilità, la cura (di forma, struttura), e la presentazione dei contenuti giornalistici dispersi nel world wide web. Oltre che ovviamente la produzione di approfondimenti ed analisi.

E se la cura dei contenuti diventa centrale alla professione, magari agevolata dal fatto che i social media consentono al giornalista di sentire il polso del lettore e capire cosa gli interessa davvero, allora la velocità di pubblicazione passa – finalmente - in secondo piano. Perché nessuna testata, per quanto grande, può competere con un esercito composto da milioni di potenziali citizen journalist, e perché il fattore differenziante, il focus del lavoro giornalistico diventa l’analisi delle cose e dei fatti. Che per definizione richiede tempo.

“Il giornalismo è cambiato, passando dal controllo dell’agenda delle notizie alla content curation e alla produzione di contenuti di qualità”, spiega infatti Peter Bale, Vice Presidente e General Manager per Cnn. Che poi sentenzia: “Un pezzo di 600 parole pubblicato due giorni dopo un evento ormai è morto in partenza. Oggi è tutto breaking news da 140 caratteri cui devono fare seguito approfondimenti di qualità”. Ed è qui che i professionisti del mestiere possono e devono fare la differenza.

Altro tema emerso a Londra riguarda la presenza del giornalista in rete: nel web sociale, dove la personalità emerge prepotentemente dietro la professionalità e dove il confine tra pubblico e privato diventa labile fino a sparire, “ogni giornalista è un brand” – afferma ancora Peter Bale – e deve svolgere un ruolo di ambasciatore presso gli utenti, contribuendo in prima persona all’immagine e alla credibilità della propria testata.

E quando infine chiediamo agli intervistati quali sono secondo loro le abilità fondamentali che ogni giornalista moderno dovrebbe avere, questi rispondono all’unanimità: deve abitare e conoscere i social media, sapere mettere in relazione fatti, notizie e fonti per effettuare puntuali verifiche incrociate e, soprattutto, deve essere (molto) scettico.

Alessio Iacona

Facebook, le app sanno tutto di te i dati rimangono in quelle degli amici

[31/03/2012 La Repubblica]
IL NUMERO DELLE APP su Facebook è in crescita continua. Difficile per gli iscritti al social network non provarne nemmeno una, e così per i loro amici. Ma una volta che si decide di disattivarle, non è detto che gli amici facciano altrettanto. E le informazioni raccolte sul di voi da quella applicazione rimangono custodite nel codice, perché sia l'utente che gli amici dell'utente hanno accettato, attivandole, che queste app prelevassero dati "social" dai profili personali e collegati. [Leggi tutto...]

[Esplora il significato del termine: Dopo Bauman anche Sennett ha dubbi sui social network] Dopo Bauman anche Sennett ha dubbi sui social network

[31/03/2012 Corriere.it]

“Tempo a breve termine”: è il concetto-chiave dell’ultimo libro di Richard Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione. La riduzione del tempo che le persone trascorrono insieme dipende dall’instabilità lavorativa: un giovane entrato nella forza lavoro nel 2000 cambierà posto da dodici a quindici volte nell’arco della sua vita lavorativa. I gruppi di lavoro non durano più di nove-dodici mesi, disincentivando la costruzione di legami fiduciari.

Questo determina l’effetto silos: l’isolamento di individui e dipartimenti in unità separate e scarsamente comunicanti. Con il risultato che le persone vengono dequalificate a praticare la co-operazione impegnativa.

Le vie individuate da Sennett per “riconfigurare” la co-operazione sono tre. Innanzitutto, la conversazione dialogica, aperta all’ascolto, per contrastare il “feticcio dell’asseverazione”, l’impulso a far prevalere comunque la propria tesi, caratteristico della conversazione dialettica. Se la dialettica genera simpatia perché supera le differenze dell’altro attraverso uno sforzo di identificazione, l’empatia collegata allo scambio dialogico è una pratica più impegnativa, perché richiede di prestare attenzione all’altro alle condizioni poste da lui. Infine, le formule dubitative: il condizionale attenuativo apre spazi di sperimentazione, la formulazione esitante (“scusate ma…”, “forse…”, “avrei detto che…”) invita alla partecipazione.

Alla luce di queste considerazioni, Sennett critica i meccanismi di co-operazione online. E lo fa a partire dalla sua sperimentazione della versione beta di Google Wave, un progetto lanciato nel 2009 ma chiuso solo un anno dopo, in cui ha riscontrato una logica dialettica del “Noi contro di Loro”, un linguaggio denotativo e meccanismi di esclusione precoce di interventi erroneamente giudicati irrilevanti. Nei siti di social network osserva comportamenti di “esibizione competitiva”, in cui il valore di una persona è dato dalla quantità dei suoi contatti e il consumo diventa guardare gli altri vivere.

Sennett si dichiara consapevole del rischio che la critica sociale scada nel caricaturale e mantiene una forte attenzione alle sfumature: nelle stesse pagine, ricorda che la tecnologia può anche consentire comunicazioni di interesse collettivo, come nella chatroom di pazienti colpite da tumore al seno studiata da Shani Orgad o nell’utilizzo dei social network in Cina a supporto della guanxi.

Esperienze che aprono nuove possibilità rispetto al quadro delineato da Sennett, perché i social media consentono di coltivare relazioni altrimenti erose dall’instabilità dei luoghi e dei tempi di lavoro. E quindi potrebbero favorire il mantenimento di legami durevoli, seppur fondati su “reti sociali portatili” anziché su contesti relazionali stabili. Il condizionale attenuativo, in questo caso, si traduce in domanda di ricerca.

Ivana Pais

Microsoft e Polizia Postale contro gli abusi online sui minori

[30/03/2012 Pubblica Amministrazione.net]

Dalla collaborazione tra Microsoft e Polizia Postale nasce un nuovo strumento finalizzato a combattere gli abusi sui minori nel Web: si chiama PhotoDNA, ideato da Microsoft e NetClean e basato su una sofisticata tecnologia di corrispondenza delle immagini.

Uno strumento indispensabile per combattere la pedopornografia online, sempre più dilagante, analizzando le immagini in Rete e identificando le vittime al fine di prestare assistenza nel minor tempo possibile. PhotoDNA è infatti reso disponibile gratuitamente per le forze dell’ordine, e attraverso il programma CETS (Child Exploitation Tracking System) aiuta a indagare sui casi sospetti di abusi sui minori online, che possono essere tracciati dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni.

Una tecnologia che rappresenta, ancora una volta, la volontà di Microsoft di impegnarsi nella tutela dei minori e di collaborare attivamente con le forze dell’ordine, nell’ottica di rendere il Web molto più sicuro soprattutto per i piccoli utenti.

«Microsoft è da sempre impegnata in iniziative volte a rendere la Rete un luogo sicuro. La nostra azienda sente infatti la responsabilità di garantire soluzioni sicure e, grazie allo sviluppo di questa tecnologia innovativa, dispone di una nuova opportunità per aiutare le forze dell’ordine a contrastare uno dei crimini più odiosi che esistano, la pedopornografia. Le forze dell'ordine svolgono quotidianamente un lavoro straordinario per combattere lo sfruttamento dei minori e noi siamo orgogliosi di contribuire oggi con un nuovo strumento gratuito, PhotoDNA.»

Pietro Scott Jovane, AD e Presidente Microsoft Italia, ha illustrato il progetto mettendo in evidenza come anche la tecnologi possa mettersi al servizio delle forze dell’ordine, soprattutto quanto si parla di sicurezza Web per i minori. Anche da parte della Polizia postale c’è stata piena approvazione del progetto, che rappresenta un passo in avanti nella lotta contro gli abusi online e si aggiunge alle altre iniziative messe in atto dalle grandi aziende che operano nel settore tecnologico, come ha ribadito Antonio Apruzzese, Direttore della Polizia Postale e delle Comunicazioni.

«La lotta agli abusi sui minori e l’impegno per la sicurezza in Rete sono i nostri obiettivi primari in un ambiente in cui le insidie possono essere numerose. La nostra attenzione è costantemente alta e grazie alla disponibilità di PhotoDNA, da oggi disponiamo di un nuovo strumento per condurre le nostre indagini in maniera ancora più efficace. La collaborazione con Microsoft, che dal 2006 ad oggi ha già prodotto ottimi risultati, garantirà ancora ulteriori traguardi nella lotta contro la pedofilia. Grazie anche al sistema CETS sono state coordinate oltre 10.000 indagini con i seguenti risultati investigativi: persone arrestate 422; persone denunciate 7584; perquisizioni 6548; siti web attestati e oscurati in Italia 179; siti pedopornografici inseriti nella black list 1086; siti web monitorati 361787.»

Teresa Barone

L’archeologia ai tempi del web 2.0: scoperti 14.000 siti archeologici con le foto satellitari

[26/03/2012]
L'archeologia è una disciplina complicata ma oggi con l'aiuto di internet e delle foto satellitari, è stato quasi un gioco scoprire 14.000 antichi insediamenti umani. Basta un PC, una connessione ed esperienza.

I moderni archeologi o gli appassionati possono esaminare i territori direttamente da casa guardando un semplice monitor. Con una connessione ad internet e l'ausilio di Google Earth chiunque può avere accesso alle foto satellitari, ed esaminando i resti in pietra, diventa molto più veloce l'individuazione di possibili luoghi in cui fare una spedizione. Direttamente dall'MIT e dall'università di Harvard arriva un nuovo software in grado di aiutare chi di antico se ne intende.

Come spiega Jason Ur, archeologo ricercatore, molti che fanno il suo stesso mestiere potranno risparmiarsi un bel pò di fango e di tempo grazie alle nuove tecnologie. Ur insieme ad un esperto di informatica, hanno messo a punto un software in grado di rilevare i resti antichi. Il software servendosi delle immagini satellitari fornite dal satellite ASTER della NASA, riesce ad identificare gli insediamenti, facendo riferimento al colore del terreno che è diverso dove c'è stata presenza umana, e ad altri fattori.


Utilizzando il software sviluppato dalla collaborazione dei due studiosi, è stato possibile trovare più di 14.000 villaggi umani costruiti negli ultimi 8.000 anni. La scoperta è avvenuta studiando 23.000 chilometri quadrati di foto satellitari dell'antica Mesopotamia, nella parte orientale della Siria. Più di 9.000 sono i siti più elevati rispetto al suolo circostante, e ciò significa che nel corso dei millenni ci sarebbero stati più insediamenti costruiti sulle macerie di quelli più antichi.

Il software permette all'archeologo di velocizzare l'individuazione dei siti, ma per accertarsi della veridicità della scoperta, bisogna comunque andare sul luogo e sporcarsi le mani verificando con i propri occhi se quello che è stato trovato sono semplici strutture recenti per gli animali, o antichi insediamenti umani.