venerdì 23 dicembre 2011

La comunicazione ai tempi dei social network: i ragazzi italiani sono i più a rischio

[Marketing arena 22/12/2011]

Dopo le tele­vi­sioni a cri­stalli liquidi e quelle al pla­sma, e tante altre tec­no­lo­gie che si posi­zio­nano come inno­va­zioni sul mer­cato, si è giunti in una nuova era, e in una straor­di­na­ria rivo­lu­zione digi­tale, volta a modi­fi­care le moda­lità di vita, di pen­siero e di lavoro.

I nuovi media danno luogo ad una moda­lità comu­ni­ca­tiva, intesa come con­tem­po­ra­nea e reci­proca par­te­ci­pa­zione attiva dei par­te­ci­panti ad un pro­getto comune di comu­ni­ca­zione, che si svi­luppa secondo per­corsi natu­rali e crea­tivi e quindi non programmabili.

La tec­no­lo­gia digi­tale tende a cam­biare la natura dei mass-media, nel senso che da una situa­zione in cui le infor­ma­zioni ven­gono sospinte verso l’utente, si passa ad una in cui sono gli utenti ad atti­rare a sé le infor­ma­zioni.
L’interattività dei nuovi media, in que­sto ambito, tende a tra­dursi nella capa­cità dei sistemi di acco­gliere le richie­ste dell’utente e di sod­di­sfarle contestualmente.

Ci si chiede quindi se l’utilizzo di inter­net possa essere fina­liz­zato a scopo edu­ca­tivo, cer­cando un modo inno­va­tivo e “social” per avvi­ci­narsi ai ragazzi di oggi, cer­cando cioè di par­lare come loro, dando nel con­tempo delle linee guida con cui vei­co­lare il loro com­por­ta­mento nella rete, pre­ve­nendo i rischi che ogni ambiente “sco­no­sciuto” comporta…

Da una ricerca euro­pea con­dotta su un cam­pione di 25.142 ragazzi dai 9 ai 16 anni in 25 Paesi euro­pei, finan­ziata dal Safer Inter­net Pro­gramme della Com­mis­sione euro­pea, emerge un dato impor­tante: i ragazzi ita­liani risul­tano quelli più vul­ne­ra­bili nella sco­perta del mondo 2.0, ini­ziando tardi, rispetto alla media dei ragazzi euro­pei, a navi­gare in Rete, dive­nendo poi però i più assi­dui fre­quen­ta­tori (quasi tutti si con­net­tono in rete, più della metà tutti i giorni).

Paral­le­la­mente, ci tro­viamo a dover far fronte anche ad un’altra con­sa­pe­vo­lezza: si dif­fonde, in maniera espo­nen­ziale, l’utilizzo dei social tra­mite smart­phone, che diventa una situa­zione rischiosa in quanto meno con­trol­la­bile. A dif­fe­renza degli altri Paesi, i ragazzi ita­liani inol­tre dif­fe­ri­scono per non avere accanto geni­tori o inse­gnanti che rie­scano ad edu­carli al mondo di inter­net e a ciò che esso com­porta. Unire, in altre parole, pas­sione e con­sa­pe­vo­lezza.

Nasce spon­ta­neo chie­dersi dun­que: Come si può edu­care e accom­pa­gnare i ragazzi ad un uso sicuro del web?
A rispo­sta di que­sta domanda Tele­com Ita­lia rea­lizza un pro­getto volto pro­prio alla sen­si­bi­liz­za­zione dell’importanza di avere con­sa­pe­vo­lezza nel web.
Con Navi­gare Sicuri, Tele­com Ita­lia si pone da tra­mite con le fami­glie ita­liane cer­cando di spie­gare di que­sto magico mondo di Inter­net, che però può risul­tare illu­so­rio e peri­co­loso, se non lo si affronta con i giu­sti stru­menti.
Per que­sto motivo ha deciso di orga­niz­zare GENITORI VS FIGLI– Alleati sicuri o sicuri rivali?, una round table che pone a con­fronto gli edu­ca­tori e i figli cer­cando di spie­gare rischi e risorse della rete, creando un canale di comu­ni­ca­zione in cui entrambe le parti pos­sano espri­mersi e dialogare.

Cristina Bando

Twitter e giornalismo, un amore nato nell’era del web 2.0

[pmi servizi 22/12/2011]

Con le modifiche apportate alla definizione di breaking news per il premio Pulitzer si segna una definitiva nuova era del giornalismo. Il fenomeno esiste da anni, si chiama reporter diffuso o anche citizen journalism, tutti termini che indicano che il web grazie alla sua modalità democratica di condivisione dei contenuti dà la possibilità a chiunque di fare del giornalismo. Bastano uno smartphone, una fotocamera e una connessione per rendere noto al pubblico un evento a cui si sta assistendo. A fare da padrone in questo panorama c’è sicuramente Twitter, 160 caratteri e possibilità di aggiornamento continuo permettono di dare una notizia, corredata di foto, in pochi secondi. Le prove ci sono state in occasione delle recenti rivoluzioni in nord Africa, durante le quali le notizie arrivavano dagli account Twitter delle testate ufficiali, ma ancor di più da quelli privati dei giornalisti. Vanno poi ricordati i 12 fotoreporter che la CNN ha sostituito con le immagini scattate dagli utenti. Sulla stessa linea l’ultimo lancio dello shuttle, la cui immagine che ha girato il mondo è stata scattata da una persona comune con un normalissimo smartphone dal finestrino dell’aereo su cui stava viaggiando.

Da una parte le varie testate giornalistiche si sono dovute adeguare alla nuova tendenza, se non avessero fatto così avrebbero chiuso da tempo. Il 2009 è stato infatti un anno di forte crisi anche per le testate più importanti, che si sono trovate a fare i conti con mancate inserzioni pubblicitarie ed è per questo che fra il 2010 e il 2011 c’è stata un’inversione di rotta, i grandi media tradizionali si sono accorti che il web era una nuova opportunità e hanno cominciato a frequentarlo in maniera massiccia. Dall’altra parte i social non hanno potuto fare a meno di cogliere la palla al balzo. In particolare Twitter ha dedicato una sezione proprio a chi il giornalismo lo fa di mestiere ed è costretto ad utilizzare Twitter con lo scopo di farsi ascoltare e diffondere. È nata così la sala stampa, una sorta di pagina tutorial rivolta ai giornalisti, per insegnare loro ad utilizzare al meglio Twitter. Si chiama Newsroom e contiene le sezioni:

  • Report, per cercare informazioni attraverso vari livelli di approfondimento, sia le più recenti che quelle di archivio.
  • Engage, indicazioni su come raggiungere e coinvolgere gli utenti Twitter con la presentazione di case history di successo.
  • Publish, strumenti e aiuti per una pubblicazione più efficace.
  • Extra, link e risorse utili esterni a Twitter.
  • Security, informazioni su come preservare l’account da intrusioni esterne.

Facebook ha invece dedicato una Fan Page al giornalismo, si chiama Facebook + Journalism e qui i giornalisti possono condividere i propri contenuti o incontrarsi per discutere argomenti e confrontarsi.

martedì 20 dicembre 2011

Archivio Stampa ‘Informazione tv e minori, è vera tutela?’

[Rai Televideo 20/12/2011]
Come e cosa fare per tutelare bambini e adolescenti, quotidianamente bombardati da notizie e immagini che possono influenzarne negativamente la crescita, garantendo allo stesso tempo, nell’informazione e comunicazione,la libertà d’espressione?

L’argomento, delicato e di ampio respiro, è stato affrontato nel corso di un convegno-seminario di studio, “Informazione tv e minori. E’ vera tutela?”, organizzato a Messina dall’Aiaf (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori).

Giuristi, giornalisti, docenti di diritto internazionale e costituzionalisti si sono confrontati su questo tema, ricordando le Carte siglate per la salvaguardia dei giovani, dalla Convenzione Onu sui “Diritti del fanciullo” (firmata a New York nel 1989 e ratificata in Italia nel 1991), alla “Carta di Treviso” (codice di autoregolamentazione dei giornalisti) e alle direttive dell’Unione europea, con un occhio alle nuove tecnologie e alla normativa in materia In altri Paesi..

“Abbiamo voluto porre attenzione a tutti i problemi che nascono quando i minori vengono a contatto con i mezzi d’informazione, tv, internet, social network, non solo come soggetti attivi ma anche come soggetti passivi” , spiega l’avvocato Remigia D’Agata, presidente Aiaf Sicilia.

Chi deve provvedere a che contenuti poco adatti ai giovani non appaiano su giornali, su riviste?
“Da parte di chi gestisce l’informazione occorre una maggiore attenzione al rispetto sia delle norme nazionali e internazionali, sia della Carta di Treviso che gli stessi giornalisti si sono dati”, risponde D’Agata, “ i giornalisti dovrebbero evitare scene particolarmente cruente o che coinvolgono minori in situazioni poco opportune”.

Su internet la tutela dei minori è più complicata, aggiunge D’Agata, “per tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, telefonini, videocamere, con le quali si riprende tutto indiscriminatamente e tutto si riversa sul web. Sarebbe forse opportuna un’attenzione maggiore da parte dei genitori”.

La comunicazione “ai tempi di facebook” è l’argomento affrontato da Aldo Mantineo del Dipartimento Formazione Associazione siciliana della stampa. “Noi giornalisti, operatori dell’informazione in genere, dobbiamo avere una consapevolezza diversa rispetto al passato perché il panorama dei mezzi di comunicazione è cambiato. I ragazzi che si avvicinano al mondo dell’informazione molto spesso lo fanno attraverso social network, o blog, e il vero nodo di internet è rappresentato dal fatto che normalmente la verifica (che in tutti i media tradizionali, anche quelli on line viene fatta da redazioni, da giornalisti, specificatamente attrezzati per questo), nel caso di alcuni contenuti presenti sulla rete, scarica questo compito essenziale (dell’attendibilità dell’informazione), sul fruitore finale. E se questa verifica la deve fare un adulto, con la propria esperienza, con i propri mezzi, è un conto, se la deve fare un ragazzino di 12-14 anni, è ben altro”.

Cosa si può fare?
Noi, come giornalisti, dobbiamo avere la consapevolezza dei cambiamenti che ci sono stati negli ultimi 20 anni e che hanno stravolto il modo stesso di fare la professione e dobbiamo riuscire a gestirli, questi cambiamenti, risponde Mantineo “sapendo bene che dall’altra parte i nostri possibili lettori, fruitori, possono anche essere dei ragazzi, che non hanno tutti gli strumenti e l’attrezzatura professionale giusta per poter decodificare quello che è il nostro messaggio. Abbiamo dunque bisogno di entrare direttamente in contatto con loro attraverso un linguaggio che sia facilmente comprensibile ma occorre anche una impostazione di contenuti che sia molto più attenta ai valori”.
Cinzia Gorini

Social network e televisione, intesa perfetta

[Europa 16/12/2011]
Il rapporto tra tv e social network è ormai sempre più indissolubile, e ce ne accorgiamo ogni volta che davanti al piccolo schermo accediamo a Twitter o a Facebook.
Ora a certificarlo arriva anche una ricerca, realizzata da Nextplora e commissionata da Facebook Italia.
Lo studio è stato condotto nel periodo settembre/ottobre 2011 su un campione di 2.004 intervistati, rappresentativi della popolazione internet oltre i 16 anni. Internet supera la televisione in termini di tempo speso, perché si guarda la tv nei giorni feriali in media per circa 1 ora e 43 minuti, mentre si naviga nel giorno medio per circa 2 ore e 39 minuti (il motivo è anche banale: la navigazione è possibile anche al lavoro, al contrario della visione della tv). Nel prime time, però, la tv ha ancora un ruolo da protagonista indiscusso, per abitudini condivise e importanza dei programmi trasmessi. Internet più che rubare tempo al piccolo schermo cambia le modalità di fruizione: il 52 per cento del campione quando guarda la televisione usa abitualmente anche il pc e il 31 per cento naviga sui social network. Molte sono le attività internet legate ai contenuti televisivi abitualmente fruiti: il 35 per cento vede video delle trasmissioni tv (spezzoni o puntate intere), il 28 per cento commenta sui social network cosa sta vedendo, il 24 per cento visita il sito ufficiale, il 22 per cento legge news su siti non ufficiali.

Piccolo schermo vitale
È la forza dei social network, che gli investitori pubblicitari dovrebbero cominciare a prendere in considerazione.
Facebook o Twitter sono utili alla tv per fidelizzare l’audience e offrire forme di interazione.
Un connubio produttivo per entrambi i media, che dimostra però la vitalità della tv, sempre data per spacciata e invece ancora media principale di cui (s)parlare, anche sul web. E per meriti propri, perché la tv ha saputo adattarsi. Il piccolo schermo ha saputo espandersi sui nuovi media, con i siti ufficiali e con i siti legati al fenomeno del fandom, esploso grazie a prodotti pensati ad hoc per creare affezione. La televisione si è anche resa visibile su web con una circolazione sia legale che illegale del materiale. I testi televisivi infatti sono pensati ormai per essere frammentati e condivisi (per questo va talvolta benedetta l’azione di bracconaggio del pubblico che fa circolare i contenuti rubacchiandoli al canale ufficiale). Accade anche a uno show classico come quello di Fiorello, accadrà anche per Sanremo, che avrà una pagina Facebook per votare giovani promesse. Sì, la tv c’è. E ti viene a cercare.

Smart Tutor, l’applicazione Android che protegge i minori lanciata da Vodafone

[Sos Tariffe 16/12/2011]

Grazie alla collaborazione tra la compagnia telefonica Vodafone Italia e la Polizia di Stato (Polizia Postale e delle Comunicazione) nasce l’applicazione Vodafone Smart Tutor, un tool gratuito che consentirà di proteggere lo smartphone nel momento in cui viene utilizzato dai minori.

Grazie all’applicazione, infatti, i genitori potranno non solo bloccare chiamate e messaggi, ma anche limitare l’uso di alcune funzionalità del cellulare, come ad esempio il browser Web, il Bluetooth o anche la fotocamera.

Si potranno settare delle modalità di utilizzo a seconda delle fasce orarie (ad esempio per evitare che venga utilizzato durante le ore di scuola), gestire le applicazioni (consentire o vietare l’installazione o la disinstallazione di alcuni programmi) etc…Insomma, un’app molto utile e, come ha affermato Maria Cristina Ferradini, Head of Sustainability & Foundation di Vodafone Italiauno strumento a disposizione per i genitori adatto a guidare i propri figli in un percorso educativo verso tematiche importanti come la privacy, la condivisione dei contenuti in rete e le molestie telefoniche“.

L’app, scaricabile gratuitamente dall’Android Market, dal sito smart.vodafone.it o dal portale InFamiglia, viene incontro ai cambiamenti della società e dell’utilizzo sempre più frequente dei telefonini da parte dei minori. Ecco la lista degli smartphone supportati ufficialmente:

  • HTC Desire
  • HTC Desire HD
  • HTC Explorer
  • HTC Magic
  • HTC Sensation (Z710e)
  • HTC Tattoo
  • HTC Wildfire
  • HTC Wildfire (A3333)
  • Huawei U8150 IDEOS
  • Huawei Vodafone 845
  • Samsung Galaxy 3 (GT-i5800)
  • Samsung Galaxy Europa (GT-i5500)
  • Samsung Galaxy Gio (S5660)
  • Samsung Galaxy Mini (S5570)
  • Samsung Galaxy S (GTi9000)
  • Samsung Ace (GT-S5830)
  • Sony Ericsson Arc
  • Sony Ericsson X10 Mini Pro
  • Sony Ericsson X10i
  • Sony Ericsson Xperia X8
Silvio Spina

Gli adolescenti si scambiano più di 3.000 SMS al mese

[Telefonino.net 17/12/2011]
Secondo i dati di una ricerca effettuata dalla Nielsen, i teenager sono la categoria che ha maggiormente incrementato l'utilizzo di connettività dati.

Ricerca Nielsen
Analizzando il periodo che va dal terzo quarto del 2010 allo stesso periodo del 2011, i ragazzi con età compresa tra i 13 ed i 17 anni sono passati mensilmente da 90MB a 321MB utilizzati, il che rappresenta una crescita del 256%. La fascia d'età compresa tra 18 e 24 anni, fa registrare invece un incremento del 147% con un consumo medio mensione che passa da 216 a 534MB. Crescita meno sostenuta per la fascia d'età compresa tra i 25 ed i 34 anni che passa da 264MB a 578MB. Sale del 133% la fascia d'eta compresa tra 35 e 44 anni, del 91% quella 45-54 e 126% per la fascia 55-64. Gli over 65 sono passati da 30MB a 70MB.

Ricerca Nielsen
Per quanto riguarda l'utilizzo degli SMS, i teenager la fanno da padroni con la fascia d'età compresa tra i 13 e 15 che fa registrare ben 3.417 messaggi scambiati al mese. Il numero scende progressivamente con il crescere della fascia d'età.
Antonio Monaco

giovedì 15 dicembre 2011

Video games: the serious business of fun

[The Economist 10/12/2011 from the print edition]

OLD stereotypes die hard. Picture a video-game player and you will likely imagine a teenage boy, by himself, compulsively hammering away at a game involving rayguns and aliens that splatter when blasted. Ten years ago—an aeon in gaming time—that might have borne some relation to reality. But today a gamer is as likely to be a middle-aged commuter playing “Angry Birds” on her smartphone. In America, the biggest market, the average game-player is 37 years old. Two-fifths are female. Even teenagers with imaginary rayguns are more likely to be playing “Halo” with their friends than solo.

Over the past ten years the video-game industry has grown from a small niche business to a huge, mainstream one (see our special report). With global sales of $56 billion in 2010, it is more than twice the size of the recorded-music industry. Despite the downturn, it is growing by almost 9% a year.

Is this success due to luck or skill? The answer matters, because the rest of the entertainment industry has tended to treat gaming as being a lucky beneficiary of broader technological changes. Video gaming, unlike music, film or television, had the luck to be born digital: it never faced the struggle to convert from analogue. In fact, there is plenty for old media to learn.

Video games have certainly been swept along by two forces: demography and technology. The first gaming generation—the children of the 1970s and early 1980s—is now over 30. Many still love gaming, and can afford to spend far more on it now. As gaming establishes itself as a pastime for adults, the social stigma and the worries about moral corruption that have historically greeted all new media, from novels to pop music, have dissipated. Meanwhile rapid improvements in computing power have allowed game designers to offer experiences that are now often more cinematic than the cinema.

But even granted this good fortune, the game-makers have been clever. They have reached out to new customers with new gadgets: Nintendo’s Wii console showed that games with cross-generational appeal can make money faster than a virtual Rafael Nadal returns your puny serve. They have branched out into education, corporate training and even warfare, and have embraced digital downloads and mobile devices with enthusiasm. Big-budget shoot-’em-up franchises such as “Call of Duty” and “Halo” are still popular, but much of the growth now comes from “casual” games that are simple, cheap and playable in short bursts on mobile phones or in web browsers. “Angry Birds” has been downloaded 500m times.

On to the next level

The industry has excelled in two particular areas: pricing and piracy. In an era when people are disinclined to pay for content on the web, games publishers were quick to develop “freemium” models, where you rely on non-paying customers to build an audience and then extract cash only from a fanatical few. In China, where piracy is rampant, many games can be played online for nothing. Firms instead make money by selling in-game perks and “virtual goods” to dedicated players. China is now the second-biggest gaming market, but does not even rank in the top 20 markets for the music business.

As gaming comes to be seen as just another medium, its tech-savvy approach could provide a welcome shot in the arm for existing media groups. Time Warner and Disney have bought games firms; big-budget games, meanwhile, now have Hollywood-style launches. Homo ludens is here to play.

Tree-Nation, il social network per piantare gli alberi

[Mondoeco blog 15/12/2011]

Spesso si discute dell’utilizzo di internet e dei social network, se lo si fa in maniera positiva o negativa. Ovviamente si possono presentare entrambi i casi, ma è indubbio che internet è una risorsa che ha molto da dare e lo stesso vale per i social network, se bene utilizzati.

Il mondo dell‘ecologia comprende anche la sfera online, dove vengono condotte molte battaglie per amore dell’ambiente. L’ultima idea nasce con Tree-Nation, il più grande social network ecologico che ha come obiettivo quello di combattere la deforestazione, la desertificazione ed anche il cambio climatico, con la consapevolezza dell’utilità degli alberi per purificare l’aria.

Attualmente sono settantamila le persone che hanno aderito al progetto e 120 imprese internazionali non l’hanno lasciato passare inosservato. La riforestazione è un fattore molto importante soprattutto in quei Paesi in cui è necessario creare nuovi posti di lavoro e la risorsa principale da sfruttare può essere l’agricoltura. Il progetto di Tree-Nation ha preso vita a partire dalla Nigeria ed entro il 2015 dovranno essere piantanti ben otto milioni. Il processo di desertificazione in quest’area dell’Africa ha subito un’accelerazione negli ultimi anni, ma Tree-Nation opera in altri Paesi come la Colombia, il Madagascar e il Nicaragua, dove si impegna per la preservazione delle bio-diversità e per compensare le emissioni di CO2.

Dopo essersi iscritti, si può piantare il proprio albero virtualmente, attraverso il sito, per poi seguirne la crescita passo dopo passo. Per chi ama davvero l’ecologia, anche questa potrebbe essere un’idea regalo originale per Natale 2011, dopo l’adozione di un cucciolo del WWF.

L’utente, grazie a questo social network, oltre ad informarsi sulle tematiche ecologiche che riguardano gli alberi e l’ambiente in genere, possono occuparsi anche di alberi altrui, per esempio per innaffiarli o creare boschi, quando poi la voce si sparge e si coinvolgono gli amici, come accade con le persone più “social”, è ancora meglio, la nostra Terra ha bisogno di ossigeno.

Internet e minori, gratuita sul Web una guida per genitori e ragazzi

[Corriere delle Comunicazioni 14/12/2011]
Firmata Aemcom, società della fibra di Cremona, un manuale destinato a tutte le famiglie italiane
Arriva da Aemcom, società che gestisce la rete metropolitana in fibra ottica di Cremona e servizi a banda larga della città, una nuova guida gratuita per le famiglie che vedono i propri figli affacciarsi nel mondo del Web. La guida è disponibile gratuitamente per tutti al link www.sicurinelweb.it e può aiutare i genitori nel comprendere meglio una tematica che i propri figli sentono ormai di utilizzo quotidiano.

Secondo il sindaco di Cremona Oreste Perri " negare oggi l’accesso a Internet ai propri figli sarebbe anacronistico: vorrebbe dire privarli di tutte le opportunità offerte dalla Rete. Ma con le opportunità aumentano anche i rischi. E allora come evitare che la navigazione in Rete si trasformi in una odissea? La guida mette in luce i rischi più comuni promuovendo un uso consapevole e responsabile di internet, andando incontro al crescente bisogno di sicurezza”.

La guida si sviluppa come frutto di un incontro su Facebook tra due personaggi, Pixie e MisterLove. Dice Alessandra Mariotti, professionista specializzata nell'ideazione e realizzazione di percorsi formativi di educazione alla cittadinanza e all’uso consapevole dei new media: "I bambini ed i ragazzi devono sempre avere la massima diffidenza per gli incontri offline, quelli dal vero. Se non si conosce chi sta “dall’altra parte del PC” i guai possono essere veramente grandi”.

Per Gerardo Paloschi, direttore generale di Aemcom “con questo progetto editoriale Aemcom dà il via a un percorso di promozione sul territorio cremonese del programma europeo “Safer Internet” il cui obiettivo è proprio quello di sensibilizzare i minori e i loro genitori all’uso sicuro di internet e dei nuovi media. La guida non rappresenta dunque una iniziativa isolata, ma si colloca all’interno di un più ampio servizio di supporto ai genitori sui temi della sicurezza in Rete che Aemcom intende offrire alla comunità cremonese. Proprio per individuare le esigenze delle famiglie è stato predisposto anche un questionario che permetterà ad Aemcom di impostare successivi incontri di formazione/informazione rivolti ai genitori sull’uso sicuro delle nuove tecnologie. E poi abbiamo reso disponibile la guida per tutti: basta andare sul sito www.sicurinelweb.it e scaricarla. Oltre ai genitori di tutta Italia,anche altre scuole possono accedere gratuitamente alla guida e metterla al centro della propria azione didattica”.

Piero Lombardi, coordinatore del Progetto, racconta: “Ho incontri molto frequenti con tutto il personale didattico e dirigenti delle scuole, che sono molto contente di poter disporre di uno strumento di supporto per famiglie e per i ragazzi. La scuola versa in grandi difficoltà economiche e disporre gratuitamente di un aiuto qualificato come questo è intervento molto apprezzato”.

Rita Morini, dell’agenzia creativa Pierrepi di Brescia, che ha curato la realizzazione grafica, le illustrazioni e i racconti della guida commenta: “Poiché la guida si rivolge ad un pubblico di bambini, abbiamo pensato ad un simpatico personaggio guida, Pixie, che accompagna i ragazzi alla scoperta delle insidie e delle opportunità del mondo di internet. La linea grafica ludica e frizzante caratterizza l’intero volume e parla ai piccoli lettori attraverso un linguaggio illustrato, con uno stile semplice e diretto senza rinunciare al sorriso e al divertimento”.


di M.S.

10Share « Precedente Commenti (0) TrackBack (0) 14 dicembre 2011 - 9:04 Humanistic Management 2.0: la visione di Gary Hamel

[Il Sole 24 Ore 14/12/2011]
Gary Hamel sta diventando uno dei paladini del passaggio dal Management 1.0 allo Humanistic Management 2.0. Abbiamo già dato conto del pensiero espresso in un suo post pubblicato sul tema a novembre. Hamel adesso ha scritto un nuovo articolo che offre altri interessanti spunti di riflessione e che vale la pena riprendere anche alla luce dell’indagine Delphi 2.0 La rivoluzione social e le aziende cui stanno aderendo numerosi manager ed esperti italiani e che è tuttora in corso.

In primo luogo merita una menzione il titolo dello scritto di Hamel: The Facebook Generation vs. the Fortune 500, che richiama irresistibilmente quello da me dato ad un post risalente ad ormai quasi tre anni fa: Facebook vs HR.

Non è una coincidenza. Hamel infatti rivolge la sua attenzione alle aspettative della "Generazione F" - la generazione Facebook- nel momento in cui entrano in una organizzazione: un problema di competenza squisitamente HR. “Come minimo", osserva lo studioso, "questi giovani si aspettano un ambiente di lavoro che rifletta il contesto sociale del Web, ben diverso da quello in cui sono destinati ad impattare e le cui caratteristiche sono ancora quelle di una burocrazia weberiana (intesa nel senso più deteriore del termine) risalente metà del 20 ° secolo. Se la vostra azienda spera di attirare i membri più creativi ed energetici della generazione F, avrà quindi bisogno di capire molto bene queste ​​aspettative, derivanti dal modello conversazionale imposto da Internet (come già avvertiva un inascoltato rapporto da Gartner Group del 2008, ndr), e poi reinventare le sue pratiche di gestione. Un passaggio inevitabile: chi non avrà investito ora nelle competenze della generazione Facebook si troverà ben presto fuori dal mercato”.

Ciò premesso, Hamel ha compilato una lista di 12 caratteristiche rilevanti della vita online. Questi sono i parametri di valutazione che i dipendenti utilizzeranno sempre più frequentemente per determinare se la loro azienda si è adattata alle sfide del management 2.0, post-burocratico e conversazionale. Nella preparazione di questo breve elenco, spiega Hamel, “non ha cercato di catalogare ogni caratteristica saliente dell’ambiente sociale del Web, ma solo quelle che sono più in contrasto con i metodi e i processi di lavoro ereditati dal passato ancora fortemente presenti nelle grandi aziende.”

1. Tutte le idee competono su un piano di parità. Sul web, ogni idea ha la possibilità di ottenere seguito e nessuno ha il potere di uccidere un'idea “sovversiva” o un dibattito imbarazzante. Le idee si impongono o in base al loro merito percepito, piuttosto che sul potere politico dei loro sponsor.

2. Conta il contributo effettivo più che le credenziali. Come a dire, occorre essere autorevoli, non autoritari. Quando si posta un video su YouTube, nessuno ti chiede se sei andato a scuola di cinema. Quando si scrive un blog, a nessuno importa se il blogger ha una laurea in giornalismo. Nelle strutture burocratiche aziendali vige ancora un criterio di selezione basato su titoli accademici e anzianità. Sul web, ciò che conta non è il tuo curriculum, ma quanto puoi contribuire.

3. Le gerarchie sono naturali, non prescritte. In ogni forum ci sono alcuni individui che ottengono più rispetto e attenzione di altri e hanno più influenza di conseguenza. Questi individui tuttavia non sono stati nominati da una qualche autorità superiore. Invece, il loro peso riflette l'approvazione liberamente data dei loro coetanei. Nella terminologia dello Humanistic Management 2.0, ciò di cui Hamel parla in questo e nel successivo punto è la leadership convocativa, estesamente descritta da Piero Trupia in Potere di convocazione (Liguori 2002) e da me proposta come chiave di volta della leadership 2.0 (vedi ad esempio la presentazione effettuata al management di Illy qualche tempo fa). In particolare c’è una differenza fondamentale fra il potere di convocazione e le altre forme di leadership: proprio come osserva Hamel, si costruisce nel suo esercizio anzi nel tentativo di esercitarsi. Le altre forme di potere invece – il prestigio, il carisma, la tradizione, l’autorità… - sono pre-dati: sono già costituiti prima del loro esercizio. Di pre-dato nella convocazione c’è solo la volontà di esercitarla. Il prestigio viene esibito, l’autorità esercitata, il carisma irraggiato: la convocazione discorsiva viene costruita nell’interazione e in cooperazione con il convocato.

4. I leader servono, piuttosto che presiedono. Sul web, scrive Hamel, ogni leader è un leader di servizio, nessuno ha il potere di comando o sanzione. Argomenti credibili, competenza dimostrata e comportamento altruistico sono le leve per ottenere risultati attraverso altre persone. In maniera a mio avviso più precisa, lo Humanistic Management 2.0 parla di “potere di convocazione” del leader 2.0, un potere che esiste da quando esistono comunicatori efficaci, ovvero coloro che sanno attivare la comunicazione di altri: Gesù, Kennedy, Mandela, ad esempio. Il convocatore è colui che sulla base di una idea forte sa aprirsi agli altri con l’ingenuità del principe Myschkin, l’idiota, facendoli aprire a loro volta al dialogo.

5. Le attività sono scelte, non assegnate. Quando una persona contribuisce a un blog, lavora su un progetto open source, o condivide consigli in un forum, sceglie di lavorare sulle cose che la interessano, afferma Hamel. Non a caso il tema del commitment diffuso è uno dei task centrali del nostro Delphi online.

6. I gruppi sono auto-definizione e auto-organizzazione. In ogni comunità online, si ha la libertà di collegarsi con alcuni individui e ignorare il resto, di condividere profondamente informazioni e competenze con alcune persone e nulla con gli altri. Così come nessuno può assegnare un compito noioso o non interessante, nessuno può costringerti a lavorare con colleghi stupidi o che più semplicemente non condividono i tuoi interessi. Anche da qui scende la sfida-chiave della Formazione 2.0, la trasformazione delle famiglie professionali in learnig communities (vedi schema proposto da Jane Hart).

7. Risorse attratte, non assegnate. Nelle grandi organizzazioni, le risorse (tecniche, economiche ed umane) vengono assegnate top-down, in un politicizzato stile sovietico, come lo definisce Hamel. Sul Web, i flussi di risorse si dirigono verso idee e progetti che sono interessanti (e divertenti), mentre si allontanano da quelli che non lo sono. In questo senso, il Web è un'economia di mercato in cui sono milioni di individui a decidere, momento per momento, come spendere la moneta preziosa del loro tempo e attenzione.

8. Il potere viene dal condividere le informazioni, non dal loro accaparramento. Il Web è anche una economia del dono. Per guadagnare influenza e status, si deve offrire la propria esperienza e competenza. E devi farlo in fretta, perché, se non lo fai, lo farà qualcun altro che raccoglierà il credito che potrebbe essere stato tuo. On-line, ci sono un sacco di incentivi per condividere la conoscenza, e pochissimi ad accumularla.

9. Le opinioni mescolate e le decisioni peer-reviewed. Su Internet, le idee davvero intelligenti fanno rapidamente guadagnare un seguito, non importa quanto dirompenti possano essere. Il Web è un mezzo quasi perfetto per aggregare la saggezza della folla, l’intelligenza collettiva. E una volta aggregata, la voce delle masse online può essere usata come un ariete per sfidare gli interessi consolidati delle istituzioni nel mondo offline.

10. Gli utenti possiedono potere di veto sulle decisioni più politiche. Molti hanno imparato a proprie spese quanto gli utenti online sono testardi e rumorosi, pronti ad attaccare qualsiasi decisione o cambiamento politico che sembra contrario agli interessi della comunità. L'unico modo per mantenere gli utenti fedeli è quello di dare loro un ruolo nelle decisioni chiave. Fin qui Hamel. Torna, per citare ancora Trupia, il modello del convento, alternativo a quello della caserma (che prescinde dal coinvolgimento, dalla crescita personale e dalla motivazione): qui è dove tutti i membri della confraternita hanno “voce in capitolo”, ovvero potere di parola. Quando questa condizione si realizza il social network diviene un vero mondo vitale (cfr. Il mondo vitale di Facebook). By the way, è opportuno ricordare che “l'ordinamento conventuale è al massimo coinvolgente; la motivazione è altrettanto forte ed è di tipo ideologico sub-specie confessionale. La crescita personale è prevista, ma segue un cursus totalizzante (non diversamente da quanto accade ai “sacerdoti” di Wikipedia), secondo la formula "o prendere o lasciare", con la clausola implicita nella pronuncia dei voti della esclusione dell'alternativa lasciare. D’altro canto le community online sono abitate da discussioni feroci, ma anche questa non è una novità. “E' noto che i grandi santi hanno dovuto aprire un conflitto con la propria comunità, per poter affermare la loro visione innovativa. San Giovanni della Croce, quando annunciò di voler riformare il proprio ordine, il carmelitano, venne addirittura imprigionato dai propri confratelli. Dovette materialmente evadere dalla cella con un prodigio di astuzia e di serenità spirituale (Alonzo, 1987)” (Secondo Rapporto sulla comunicazione d'impresa CNEL, 2000, p. 308).

11. Le ricompense intrinseche contano di più. Il web è una testimonianza del potere di ricompensa intrinseca. Pensate, esorta Hamel, a tutti gli articoli che hanno contribuito alla crescita di Wikipedia, a tutto il software open source creato, a tutti i consigli liberamente dati su Yahoo! Answers: sono tutte ore di puro volontariato ed è ovvio che gli esseri umani danno generosamente sé stessi quando è data loro la possibilità di contribuire a qualcosa che effettivamente condividono valorialmente. Il potere del denaro è grande, ma lo sono pure il riconoscimento e la gioia della realizzazione. Tema anche questo ben presente nel nostro Delphi. Al punto 11 infatti proponiamo questa riflessione: “Nel quadro economico attuale, segnato dalla rivoluzione social ma anche da una profonda crisi a livello mondiale e dall’emergere di nuove modalità contrattuali, l’empowerment coniugato a forme flessibili di retribuzione, di orario, di organizzazione si ottiene solo se la persona trova consistenti ragioni di adesione psicologica alla mission della società di appartenenza. La rivoluzione social richiede un profondo ripensamento di comportamenti manageriali che mai come oggi devono essere ispirati da una forte visione etica. Come già molti anni fa ha osservato Peter Drucker, sotto questo profilo, il modello di riferimento per le aziende profit dovrebbero essere le associazioni non-profit, che possono contare sulla risorsa più importante di tutte: l’entusiasmo. L’entusiamo è derivante dalla consapevolezza o, almeno, dalla fiducia nel fatto che l’organizzazione persegue un fine giusto, per cui è importante battersi. La condivisione di valori che si traduce in progetti concreti a beneficio della società diventa cruciale per rafforzare la coesione aziendale e in ultima analisi la sua stessa forza produttiva.”

12. Gli hacker sono eroi. Le grandi aziende tendono a rendere la vita scomoda ad attivisti e sobillatori, per quanto costruttivi essi siano. Al contrario, la community online di frequente abbraccia con forza quelli con forte punto di vista anti-autoritario. Anche questo è un elemento che sta emergendo nel nostro Delphi: “La rivoluzione social richiede un profondo ripensamento di comportamenti manageriali che mai come oggi devono essere ispirati da una forte visione etica. Che deve confrontarsi ancora una volta con prospettive nuove, come quella dell’”etica hacker “una nuova concezione del lavoro che rigetta i valori tipici dell’etica capitalistica e li sostituisce con altri: passione, libertà, valore sociale, apertura, creatività” (Bennato 2011, p. 131).”

Queste caratteristiche della vita Web-based, conclude Hamel, “sono inscritte nel DNA sociale della generazione F, che però mancano completamente nel DNA manageriale della media delle società “Fortune 500”. Sì, ci sono un sacco di ragazzi in cerca di lavoro in questo momento, ma pochi di loro potranno mai sentirsi a casa in “cubicolandia”. Così, cari lettori, ecco un paio di domande: Quali sono i valori sociali basati sul Web che si pensa siano più in contrasto con il DNA manageriale che si trovano all'interno di un tipico gigante aziendale? E come dovremmo reinventarne gestione per renderlo più coerente con queste sensibilità emergenti online?” Questioni critiche, quelle poste da Hamel, a cui non possiamo che invitare a rispondere anche i manager italiani, ad esempio partecipando a La rivoluzione social e le aziende.

dal blog

Le Aziende In-Visibili di Marco Minghetti & Living Mutants Society

martedì 13 dicembre 2011

Usa, minori su Facebook mentono sull'età con l'aiuto dei genitori

[La Stampa 13/12/2011]
Ai minori di 13 anni è proibita l'iscrizione a Facebook, ma i divieti, si sa, accendono i desideri: sono milioni, infatti, i ragazzini americani che non resistono al richiamo del social network e creano account mentendo sulla propria età.

Sorprende un po' che mamma e papà, tutt'altro che contrariati, diventino complici della violazione. Secondo un’indagine della New York University, il 55 per cento non lo considera un problema e il 76 per cento ha anche aiutato i propri figli ad aprire un profilo. Il 19 per cento dei genitori ha dichiarato, poi, di avere un figlio al di sotto dei 10 anni con account su Facebook.

«Tutti i suoi amichetti ce l’hanno - ha commentato un genitore di Brooklyn - ormai non si mandano più email e comunque teniamo il computer in un’area della casa dove c’è sempre uno di noi che controlla. Trovo che il limite di 13 anni sia sciocco, visto che Internet è ovunque ormai e non credo che Facebook sia una cosa di cui preoccuparsi».

«Mappe condivise» e «cittadini sensori» Il web 2.0 per «gestire» le situazioni di crisi

[Corriere della Sera 12/12/2011]
Al bordo della frana che ha cancellato la piazza del paese. Poi al pilone del ponte trascinato da acqua e fango. Smartphone in una mano per documentare i danni dell’alluvione che aveva devastato Mulazzo, in Lunigiana. E nell’altra, tablet per controllare e condividere le informazioni con la Protezione civile. A pochi giorni dal disastro, con il paese isolato dal fiume, Elena Rapisardi, web content strategist, era “sul campo” ma anche in Rete scambiando tweet, foto e video. «Si tratta di passare dalla partecipazione emotiva, quella che ci fa mandare foto e video ad amici o follower per condividere un'emozione, a una partecipazione consapevole, verificata e utilizzabile», dice Elena Rapisardi che dal 2005 si occupa di progetti per l’utilizzo del web 2.0 nelle situazioni di crisi. Lo sta facendo collaborando con le strutture dei soccorsi e formando nuove leve di volontari attraverso la prima Sala Ooperativa 2.0 realizzata con il Centro intercomunale di Protezione civile Colline Marittime e Bassa val di Cecina, una decina di comuni tra Pisa e Livorno.

SISTEMA CITTADINI-UNIVERSITÀ-SOCCORSI - E con un progetto ambizioso: preparare “cittadini sensori”, vedette che di quelle terre hanno saperi completi. Tesi e progetto (in partenza a gennaio) del suo dottorato al dipartimento di scienze della Terra dove con NatRisc dell’Università di Torino il mondo scientifico-accademico fa sistema con quello dei soccorsi e dei cittadini. «Tecnologie web e mobile sono ottimi strumenti per operatori e scienziati per gestire l’informazione», spiega Elena Rapisardi che in Lunigiana faceva lei stessa il “cittadino sensore”.

GEOLOCALIZZAZIONE - - Immagini geolocalizzate, blog e crowdmap su piattaforma Ushahidi (nata in Kenya ai tempi delle violenze post elettorali del 2007 significa “testimone”, in swahili) sono state utilizzate durante il terremoto di Haiti e lo tsunami in Giappone. «Integrare i nuovi media rende più veloce e immediata la comunicazione operativa, fondamentale per aiuti e prevenzione, tra protezione civile, vigili del fuoco, strutture di soccorso. E più concreta l’informazione dei media tradizionali». Applicazioni, gratuite e veloci, mettono in relazione i movimenti e le azioni delle squadre in perlustrazione con l’organizzazione degli aiuti. Sulle crowdmap, attraverso le funzionalità di google (doc, map, earth, latitute) ogni intervento è un punto. Ogni punto si apre con testi e immagini. Si usano dagli rss per i meteo, agli storyfile dell’esondazione di un fiume. Mai come in nei giorni dei disastri in Liguria e in Toscana i media tradizionali hanno citato twitter e facebook come fonti da cui partivano allerta e notizie. A Genova, per esempio, fin dalle prime ore dell’alluvione, migliaia di tweet con hashtag concordato (#allertameteoLG) hanno raccolto le segnalazioni sull’emergenza in un’unica pagina.

I SOCCORSI IN WEB 2.0 - E l’operazione sul campo ad Aulla e Mulazzo è un esempio italiano di un nuovo approccio alla gestione dei soccorsi. Le immagini scattate da Rapisardi, geolocalizzate dal gps del cellulare finivano su una “mappa collettiva”, appunto una crowdmap sulla quale altre persone, vigili, volontari, abitanti, inviavano dati e notizie, segnalavano spostamenti, indicavano altre frane, altri danni. Nel Coc (centro operativo comunale) allestito tra le macerie, da Antonio Campus, geologo e responsabile del Centro intercomunale della val di Cecina arrivato in Lunigiana con l’esperienza del progetto Sala operativa 2.0, condivideva le informazioni raccolte dalle squadre di soccorso da una mappa su web. «La popolazione era rimasta isolata tre giorni», racconta. «Gli aiuti erano concentrati sulle Cinqueterre. Qui la gente si era organizzata con le pale. Ma non erano sufficienti. Dal comando, ad Aulla, era difficile capire cosa serviva ed era necessario registrarle e condividerle anche a distanza». Applicazioni, gratuite e veloci, sono stati gli strumenti con cui Campus ha raccolto e messo in relazione le informazioni delle squadre in perlustrazione. E poi organizzato i soccorsi. La mappa è ancora attiva. Attraverso le funzionalità di Google (doc, map, earth, latitute) ogni intervento è un punto. Ogni punto si apre con testi e immagini che potevano essere aggiornati, nello stesso momento, da chi era sul campo e chi era nel centro operativo.

PREVENZIONE INCENDI - La filosofia (ideale e pratica) del crowdsourcing (partecipazione attiva e democratica della comunità) è la base del soccorso e della prevenzione secondo il modello di Elena Rapisardi che, nel gennaio 2010, ha avviato Open Foreste Italiane. Un progetto pilota che raccoglie segnalazioni di esperti e abitanti a una mappa utili alla prevenzione di incendi: indicando dalla presenza di volontari alla collocazione di idranti, agli specchi d’acqua.

ESERCITAZIONI E CREATIVITÀ - Una piattaforma, come quella della Sala operativa 2.0 del Centro intercomunale di Antonio Campus. «Nelle esercitazioni i volontari sperimentano diverse situazioni di crisi, di strumenti e di media», dice il geologo. «Dagli rss per i meteo, agli storyfile (aggregatori di social network) dell’esondazione di un fiume con cui è possibile aveve una lettura multimediale, aggiornata e condivisa della situazione”. Teorie che l’emergenza, e qualche punta di creatività, ha messo in campo. Come l’idea di un’associazione di volontariato della val di Cecina che ha utilizzato dei vecchi cellulari con gps sul collare dei cani per, tracciare il cammino delle squadre in perlustrazione, rendendo visibile in tempo reale il quadro dell’azione di ricerca a alla sala operativa dalla parte opposta. Ed è così che i “cittadini sensori” diventano, come direbbe il premier Mario Monti, strumenti “salva Italia”. Durante i disastri. E soprattutto prima. Luisa Pronzato

Social media job hunting: trovare lavoro grazie al web 2.0

[Ninja Marketing 2/12/2011]


I social media non hanno profondamente cambiato solo le strategie di marketing e comunicazione, ma anche i processi di costruzione e gestione del personal branding delle persone e dell’employer branding organizzativo.

Per chi cerca lavoro è molto importante aggiornare il proprio profilo sul Web 2.0 (mostrando le competenze in possesso e il percorso formativo fatto), utilizzando le piattaforme anche per cercare offerte di lavoro e interagire con altri utenti che hanno avuto esperienze in particolari aziende. Ma anche le stesse aziende possono sfruttare gli strumenti web per posizionarsi e promuovere le posizioni interne vacanti, ricercare attivamente potenziali candidati e/o intervenire in caso di crisis management (causata per esempio da lavoratori scontenti).

“Can Facebook Get you a Job?” è un’infografica creata da MBA online utilizzando i dati di una survey USA Jobvite che riassume l’impatto dei social media sui processi e le modalità di job hunting e recruiting: vediamo come Facebook, Twitter, LinkedIn e le altre piattaforme possono essere usate con questo scopo!

Alberto Maestri

venerdì 9 dicembre 2011

Istruzione domiciliare: la scuola che va a casa

[Education 2.0 07/12/2011]
Utilizzare le tecnologie e il Web 2.0 per potenziare i processi di insegnamento/apprendimento a domicilio, di norma basati su poche ore di presenza fisica di un docente presso l’abitazione del giovane degente.



È ormai nota la sensibilità del mondo della Scuola nei confronti degli alunni che, per ragioni di salute, non possono frequentare regolarmente le normali lezioni d’aula. Testimoni ne sono le normative che regolano la Scuola in Ospedale e, più recentemente, la cosiddetta Istruzione Domiciliare (ID). Quest’ultima è definita come “il servizio scolastico previsto per quegli alunni che, affetti da gravi patologie o patologie croniche, dopo l’ospedalizzazione non possono far rientro a scuola e quindi seguire le lezioni con i propri compagni”. Quindi, per dualità, se l’istruzione ospedaliera è vista come “la scuola che va in ospedale”, quella domiciliare e “la scuola che va a casa”.

Negli anni, l’ID si sta rilevando un’esigenza sempre più impellente per gli studenti costretti a lunghe degenze (o a cure ripetute nel tempo). Degenze che, anche per i noti problemi economici-gestionali della sanità, sono e saranno sempre più caratterizzate da una riduzione dei tempi di permanenza in ospedale e da un aumento di quelli di cura presso la propria abitazione. In questo contesto, grandi attese si stanno creando attorno la possibilità di utilizzare le tecnologie (in particolare quelle del Web 2.0) per potenziare i processi di insegnamento/apprendimento a domicilio, di norma basati su poche ore di presenza fisica di un docente presso l’abitazione del giovane degente.

La massiccia diffusione della tecnologie Web consente oggi di mantenere un canale sempre aperto fra l’allievo disagiato, la propria classe di appartenenza e gli insegnanti che periodicamente si recano presso la sua abitazione. Non si tratta però del solo uso della teleconferenza come strumento per surrogare la partecipazione a lezioni tenute a distanza, quanto piuttosto la realizzazione di laboratori personalizzati per l’apprendimento (Personal Learning Environment), fruibili a domicilio, costruiti, a cura degli insegnanti, attorno al giovane degente e animati da più soggetti (i compagni di classe, gli insegnanti, i genitori, gli amici). Se da un lato le esperienze di uso didattico della teleconferenza risalgono ad almeno un paio di decenni fa (senza, peraltro, sortire effetti particolarmente significativi sul piano didattico-pedagogico), quelle legate all’uso delle tecnologie Web 2.0 sono, per ragioni cronologiche, decisamente più recenti. I primi tentativi in questo senso sono datati 2004-05 e si collocano nell’ambito del progetto del Ministero dell’Istruzione denominato HSH@Network. Per la precisione, in un filone dello stesso progetto (HSH@Teacher) curato dall’Istituto Tecnologie Didattiche del CNR (ITD-CNR) e indirizzato a diffondere conoscenze e competenze sull’uso didattico delle tecnologie di rete fra gli insegnanti impegnati nell’istruzione ospedaliera e domiciliare. Allora non era ancora d’uso comune parlare di Web 2.0, benché, di fatto, se ne stesse già introducendo l’impiego educativo.

A più di un lustro dall’iniziativa HSH@Teacher, è stata da poco completata un’indagine nazionale finalizzata a comprendere il tipo di follow-up prodotto da quell’esperienza formativa nella Scuola. Gli esiti di tale indagine verranno illustrati in un convegno che si terrà a dicembre, in occasione di un evento formativo organizzato dal Ministero dell’Istruzione e indirizzato ai docenti coinvolti in questo impegnativo contesto. Sarà un’occasione per commentarne i risultati e suggerire possibili linee di azione per una diffusione sempre maggiore dell’uso didattico delle risorse 2.0 sia nell’ID sia nella scuola in ospedale, per certi versi vista come una “domiciliare sui generis”. Diffusione che non può prescindere da processi informali di mutua crescita degli stessi educatori attraverso il lancio di comunità professionali, inizialmente organizzate attorno al corpus centrale delle pratiche censite nell’indagine, dalle quali poi partire per lo sviluppo di nuovi modelli d’uso del Web 2.0 a supporto di un’ID centrata sul concetto di “laboratorio di apprendimento domiciliare”.

Trentin Benigno Repetto

L’insegnamento ai tempi dei social network

[PMIservizi 06/12/2011]

I bambini e i ragazzi di oggi utilizzano internet con una grande facilità, navigano, cercano e hanno molti meno problemi a farlo degli adulti, sono nativi digitali, per loro il computer e altri oggetti tecnologici sono sempre esistiti. C’è chi pensa che sia negativo, altri vedono la cosa in maniera positiva, fatto sta che nell’insegnamento questa propensione all’uso di internet e degli strumenti per comunicare online può portare i suoi frutti. Infatti è possibile usare Facebook, ma anche altri social creati ad hoc e dedicati all’insegnamento, per infondere la conoscenza negli studenti di oggi. Mashable (Fonte: 5 Best Practices for Educators on Facebook) ha suggerito alcune strategie per l’utilizzo di Facebook, ma poi esistono piattaforme come Edmodo, Twiducate e Schoology e infine MyInnova, progetto tutto italiano.

Facebook

Nel momento in cui si decide di utilizzare Facebook per l’insegnamento è importante porre degli obiettivi e degli scopi, non si può dire a chi generalmente usa questo mezzo per giocare o chiacchierare che genericamente verrà utilizzato Facebook a scuola, sarebbe semplicemente controproducente.
Inoltre non è buona politica che insegnanti e alunni stringano amicizia su Facebook, potrebbero scatenarsi polemiche di ogni genere. Ecco perché ai fini dell’insegnamento si possono usare le Fan Page Facebook e i gruppi. I gruppi danno diverse possibilità:

  • creare un gruppo chiuso di studenti e insegnanti, a cui non possono iscriversi elementi esterni;
  • creare una discussione di gruppo continua;
  • infondere maggiore sicurezza a quegli studenti un po’ intimiditi dalla classe nel porre domande;
  • fornire del personale di supporto;
  • spingere e favorire gli studenti nella creazione di gruppi di studio.

Le Fan Page, a differenza dei gruppi, sono tipicamente aperte a tutti gli utenti Facebook, quindi vengono usate in altro modo. Di solito servono a raggiungere un pubblico ampio, magari per un confronto su metodologie usate o per la condivisione di alcuni risultati. Si può dire che le pagine siano più un mezzo di diffusione della conoscenza, piuttosto che un luogo di discussione intimo e circoscritto agli studenti di una classe o scuola.

Edmodo

È un social network che nasce proprio con lo scopo di insegnare e apprendere. Ha quindi tutte le tradizionali caratteristiche di un social: chat, messaggi, condivisione. Ma in più è possibile assegnare dei compiti, condividere dei documenti, pubblicare degli avvisi, creare dei gruppi e condividere un calendario. Insomma, strumenti utili per i ragazzi e per i loro insegnanti. Per ora le lingue in cui è disponibile sono inglese, spagnolo, portoghese, tedesco e greco.

Twiducate

Nonostante il nome, che ricorda molto più Twitter, in realtà Twiducate assomiglia a Facebook. Anche qui ci sono molti strumenti utili agli insegnanti, è possibile infatti creare una vera e propria classe virtuale, con la quale il o gli insegnanti potranno mettersi in contatto. Potranno essere inserite date da ricordate, come quelle dei compiti in classe o degli incontri con i genitori. Sembra meno completo, anche dal punto di vista grafico, di Edmodo, visto che l’unica possibilità di condivisione sono post e link. L’unica lingua in cui è disponibile è l’inglese.

Schoology

È un sistema che appare molto funzionale, ha una grafica semplice e chiara e offre la possibilità di iscriversi anche come genitore e non solo come insegnante o studente. L’interfaccia garantisce la possibilità di condividere documenti, appuntamenti, ma anche discussioni aperte su attività da svolgere o problematiche. In più gli insegnanti possono tenere un registro delle presenze e dei voti direttamente online. È disponibile in inglese, malay e spagnolo.

MyInnova

È un’iniziativa in fase sperimentale, promossa dal Dipartimento per la Digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’innovazione Tecnologica, in collaborazione col Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. I docenti potranno creare un proprio profilo, legato al loro indirizzo di posta elettronica di istruzione.it. I professori potranno creare diverse community, ad esempio una per ogni classe che seguono. Avranno a disposizione la chat, i messaggi, i calendari, uno spazio per la condivisione di materiale didattico. La presentazione ufficiale di MyInnova è consultabile a questo link in formato pdf.

sabato 3 dicembre 2011

Internet – Come cambia Twitter, ora il social network è il re della comunicazione

[Italia H2403/12/2011]
Nel momento in cui è nato Twitter ha faticato a crescere soprattutto per la diffidenza degli internauti, ormai abituati a utilizzare in modo particolare Facebook per le loro attività di comunicazione e poco propensi a provare uno strumento diverso che era stato presentato soprattutto come una sorta di “micorblogging”, dove i post non dovevano superare i centoquaranta caratteri , ma recentemente il sito sembra essere notevolmente cambiato nei consensi del pubblico al punto tale da farlo diventare un mezzo diverso da quello che avevano in mente gli ideatori. Inizialmente, infatti, gli utenti che sceglievano di iscriversi a Tiwtter trovavano come tag line all’interno del loro profilo “Cosa succede nel tuo mondo?”, mentre ora questa frase si è in parte modificata in “Cosa succede nel mondo?” in modo tale da creare una conversazione meno diretta con gli altri iscritti, che può essere realizzata più facilmente con altri strumenti.

Il numero di tweet che ogni giorno vengono pubblicati sul social network sembrano essere così in costante crescita e infatti si è passati dai duecento milioni del mese di giugno ai duecentocinquanta milioni toccati a metà ottobre dato che si è capito che in questo modo si possono diffondere facilmente e velocemente pensieri stringati, ma allo stesso tempo efficaci. Ora Twitter non può più essere considerato un social network, ma più che altro un “information network”dato che sono sempre di più gli utenti che scelgono attraverso un tweet di diffondere notizie che li riguardano o che li hanno toccati in modo particolare in modo tale da poter suscitare commenti , anche se non tutti gli utenti hanno un comportamento attivo sulla piattaforma ma si limitano a leggere quello che gli altri iscritti pubblicano online.

Chi non vuole un semplice sito adatto a comunicare i propri stati d’animo finisce quindi per privilegiare l’utilizzo di Twitter ed è per questo che appare sempre più probabile, anche se non ancora confermata, una collaborazione con “Mixi”, il Facebook diffuso in Oriente, con cui da tempo Marck Zuckenberg ha provato ad attuare un accordo senza riuscirci, ma importante è anche l’acquisizione di Whishper System che servirà a garantire la sicurezza dei dati per chi ha un dispositivo Android. Facebook, infatti, finora ha sempre avuto come lacuna principale quella di non riuscire a garantire sicurezza e privacy per i suoi iscritti, mentre Twitter ha compreso bene come possa essere utile per continuare in un processo di crescita e non è da escludere quindi che questo possa finire per portare a danneggiare il colosso della “Grande F”.

Ilaria Macchi

Internet e bambini, un rapporto più sicuro

[BitMat 02/12/2011]

Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione europea, è riuscita ad ottenere l'impegno di ben 28 colossi del settore IT per una maggiore protezione online dei minori


Anche i bambini, ai giorni nostri, costituiscono una buona parte degli utenti che utilizzano internet, ed è per questo che il mondo del web deve acquisire una maggiore sicurezza, per poter diventare un luogo più sicuro.

Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione europea ha convinto 28 aziende leader del settore tecnologico, fra cui Google, Apple e Microsoft ad impegnarsi per applicare tanti piccoli accorgimenti che messi insieme possono offrire immediati risultati sul fronte della sicurezza online, proprio come EMC si è occupata di Cyber Sicurezza per i bambini e le PMI.
Tra i possibili miglioramenti: facilitare la segnalazione di contenuti dannosi, assicurare che le impostazioni sulla privacy siano adeguate all'età, offrire una maggiore gamma di opzioni per il controllo parentale e riflettere le esigenze di una generazione che naviga attraverso il web ad un'età sempre più bassa e utilizzano i Tablet come strumenti di apprendimento e divertimento.

I grandi colossi coinvolti, come primo passo, hanno stabilito una dichiarazione di intenti 'nella quale sono previste misure in cinque settori': strumenti di segnalazione semplici ed efficaci, impostazioni sulla privacy, la quale associata all'innovazione crea un connubio vincente, che siano adeguate all'età, un maggiore utilizzo della classificazione dei contenuti, un'elevata disponibilità e un uso di sistemi di controllo parentale ed infine, un'effettiva rimozione di materiale pedopornografico.

Dal documento ufficiale in cui sono riportati i risultati delle ultime indagini sul campo, risulta che già all'età di sette anni i bambini, in Europa, incominciano ad utilizzare Internet. 'Il 38% dei bambini di età compresa tra i 9 e i 12 anni che navigano in Internet affermano di avere un profilo su un social network nonostante le restrizioni d’età. Più del 30% dei bambini che usano Internet lo fanno da un dispositivo mobile e il 26% tramite la console per i videogiochi'.

Neelie Kroes ha dichiarato con soddisfazione che: 'Questa nuova coalizione fornirà sia ai bambini che ai loro genitori strumenti di protezione chiari e coerenti per sfruttare nel modo migliore l’universo online. I membri fondatori della coalizione sono già dei leader nel campo della sicurezza dei minori online. Lavorando insieme tracceremo il percorso da seguire per l'intero settore e avremo delle solide basi da cui partire per responsabilizzare i minori che utilizzano Internet'.

giovedì 24 novembre 2011

Agenda Digitale: l’Europa ci tira le orecchie

[Webnews 24/11/2011]Se Mario Monti ha fatto un cenno all’Agenda Digitale nel proprio speech di apertura in Parlamento, il motivo è probabilmente dettato dall’urgenza con cui l’Italia deve rispondere alle imposizioni provenienti dall’UE. E se l’urgenza non fosse ancora chiara a tutti, la Commissione Europea ha voluto ricordare al nostro paese, assieme ad altri 15 stati membri, che i tempi sono scaduti e che occorre affrettarsi prima che sia troppo tardi.

«La Commissione europea ha inviato una comunicazione scritta a 16 Stati membri che, sei mesi dopo il termine previsto, non hanno ancora pienamente recepito nel diritto interno la nuova normativa unionale in materia di telecomunicazioni»: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovenia, Spagna, Ungheria e, come anticipato, l’Italia sono i destinatari della missiva proveniente da Bruxelles.

Un’attuazione parziale di tale normativa nei 16 Stati membri limita di fatto i diritti dei consumatori. Le norme in parola garantiscono ai consumatori dell’Unione europea nuovi diritti in materia di telefonia fissa, servizi mobili e accesso a internet.

La Commissione ha pertanto inviato il proprio “parere motivato” come diffida ultima, ricordando come ulteriori ritardi potrebbero costringere l’UE alle previste sanzioni pecuniarie. In passato, infatti, un primo monito aveva già portato alla regolarizzazione delle posizioni di Lettonia, Lituania, Lussemburgo e Repubblica Slovacca; il monito attuale ci vede ancora in difetto e costringerà ora il Governo Monti ad una ulteriore corsa contro il tempo per fare in modo che tanto la direttiva “legiferare meglio” quanto quella sui diritti dei cittadini possano essere pienamente recepite nella legislazione italiana.

Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Malta, Svezia e Regno Unito sono stati gli unici paesi a rispondere appieno alle direttive entro il tempo massimo dello scorso 25 maggio. L’Italia, alle prese con un ritardo cronico aggravatosi a seguito della recente impasse governativa, è nel gruppo dei rimandati. L’UE ci ha però presi per la giacchetta ricordando che le direttive non ammettono ritardi. E che ogni ritardo ulteriore avrà un prezzo (ossia l’ultima cosa che serve in questa precisa fase storica dell’economia del nostro paese).

Fonte: Commissione Europea

Leggi tutto: http://www.webnews.it/2011/11/24/agenda-digitale-leuropa-ci-tira-le-orecchie/#ixzz1ed3nQ7pL

lunedì 24 ottobre 2011

Tutte le generazioni dei videogiochi

[La Stampa 24/10/2011] Una schermata nera, un’astronave stilizzata e un obiettivo vecchio come il mondo: colpire e affondare l’avversario. È il 1961, e in un laboratorio del Massachusetts Institute of Technology nasce, quasi per caso, il papà di tutti i videogiochi. Si chiama «Spacewar!» è spartano e rozzo. Per qualche mese non esce dalla aule del professor Steve Russell: mancano il pubblico e i supporti su cui farlo girare.

E poi: perché un docente in carriera dovrebbe sprecare tempo dietro una freccia che rimbalza da una parte all’altra del monitor?

Eppure, per chi si occupa di scrivere la storia dei videogame, bisogna partire da lì, da quella manciata di bit che si rincorrono su computer ancora giganteschi, per capire ciò che verrà: una cavalcata di mezzo secolo tra tecnologie e tuffi nel passato, idee folgoranti e flop leggendari. A 50 anni dalla creazione di «Spacewar!», arriva in libreria «1001 videogiochi da non perdere» (Atlante edizioni), enciclopedia con velleità da testo sacro compilata da Tony Mott, direttore-guru della rivista specializzata «Edge» e curata, nella versione italiana, da Andrea Dresseno, responsabile dell’archivio videoludico della Cineteca di Bologna.

Si parte con il primo, vero, successo nella storia dei videogame: «Pong», anno di nascita 1972, precursore di tutti i rompicapo della generazione Atari. Poi tocca ai classici: «Space Invaders», «Asteroids» e «Pac-Man» che con la loro grafica elementare hanno fatto la fortuna di Amiga, Sinclair e Commodore.

«I giochi di fine Anni 70 hanno segnato l’immaginario - dice Dresseno e creato un mondo riconoscibilissimo e indimenticabile, ma l’evoluzione più significativa è arrivata a metà Anni 80 con Super Mario». Tuta, berretto rosso e baffi, l’idraulico a 8 bit ci mette un lampo a trasformarsi in icona: con 200 milioni di copie vendute è ancora il giochino di maggior successo. Secondo Tony Mott spetta a «Super Mario 3» il titolo di miglior videogame della storia. Il peggiore? Il gioco di «E.T.», uscito nell’82 per sfruttare l’onda lunga del film di Spielberg.

Il simbolo della Nintendo è rinato un’infinità di volte, fino all’ultima incarnazione in 3D. «Super Mario», per i produttori, è la svolta: per la prima volta il mondo algido dei pc incontra quello colorato delle fiabe. Seguiranno altri titoli mitici: da «The Legend of Zelda» fino a «Final Fantasy».

La sbornia a base di elfi e pozioni magiche dura poco e negli Anni 90 dentro lo schermo piomba la realtà: «Halo», «Gran Turismo» e «Resident Evil» monopolizzano il mercato. «All’inizio - spiega Dresseno - lo schema era semplice. Un protagonista buono, un’invasione da evitare, un nemico nascosto. Una concezione molto occidentale del mondo».

È il periodo in cui le sale giochi fanno il pieno - oggi non esistono quasi più - il prezzo delle console scende, i genitori devono rinunciare al Tg della sera perché la tv è ostaggio dei baby-giocatori, gli stessi che continuano spendere, spinti da una nostalgia inarrestabile: il boom dei videogiochi non conosce crisi. Secondo l’Esa - l’associazione che riunisce i più grandi produttori americani- nel 2010 l’industria ha creato un giro di affari di oltre 25 miliardi di euro: il doppio di quanto incassato al botteghino dai film di Hollywood. All’inizio del Duemila irrompono le console dei giganti, Microsoft, Nintendo e Sony.

Il resto è storia recente: giochi in rete e piccoli culti tipo «Angry Birds», applicazione dei record che viaggia sugli smartphone. Inventato nel 2009 da tre studenti americani, «Angry Birds» è stato scaricato 100 milioni di volte: l’impero del «padre spirituale» vale 50 milioni di dollari, in primavera uscirà la versione cinematografica. Eppure - nonostante iPhone, Android e 3D - l’ossessione per la pallina che corre da una parte all’altra dello schermo resiste.

Per preservare le cartucce dei primi, rudimentali giochi, l’università del Maryland ha investito due milioni di dollari in una task force che ha l’obiettivo di creare l’archivio che salverà dall’oblio i vecchi passatempi di studenti e professori. Una missione fondamentale, dice il capo del progetto Matt Kirschenbaum, perché «la storia del nostro pianeta è impacchettata in mondi digitali e in fondo Super Mario ha la stessa dignità dei fratelli Karamàzov».

I social media come nuovo tessuto culturale

[LSDI 22/10/2011]

Solis1

Brian Solis, uno dei maggiori esperti di nuovi media, parte dai dati di una recente ricerca della Nielsen sull’ uso dei social network negli Stati Uniti per sostenere che ormai essi rappresentano la ‘’nuova normalità’’ e per lanciare il suo ultimo saggio, The end of business as usual

———-

Le donne e gli internauti (di entrambi i generi) fra i 18 e i 34 anni sono, fra gli americani, i maggiori frequentatori dei media sociali (social network e blog). Le persone della fascia 35-49 sono dei visitatori altrettanto avidi visto che frequentano i social media con un tasso del 4% superiore alla media di tutti gli internauti americani.

Sono alcuni dei dati emersi da un recente Report della Nielsen sui Social Media.

Come si vede nella tabella, le donne superano nettamente i maschi – 103 a 96 -, mentre gli utenti fra i 18 e i 34 anni hanno una frequentazione delle reti sociali dell’ 8% superiore a quella della media degli americani.

SolisBrian Solis, uno dei principali esperti Usa di nuovi media, offre sul suo blog (SocialmediaToday) una sintesi in sette punti degli altri principali risultati della Ricerca:

1) Gli scettici verranno indicati come dei retrogradi: i media sociali non sono una moda, un capriccio. Il Rapporto spiega come negli Stati Uniti social media e blog siano ormai al primo nella classifica dei modi con cui gli americani utilizzano il loro tempo, con un valore di circa il 25% del tempo totale dedicato a internet.

2) Quattro internauti su cinque visitano ogni giorno i social network

3) Nel resto del mondo, nei 10 maggiori mercati blog e social media raggiungono il 75% degli internauti attivi

4) Il 60% delle persone che usano tre o più strumenti di ricerca per l’ acquisto di prodotti online hanno avuto notizia di un brand o di un rivenditore specifico attraverso qualche sito di networking. E il 48% di questi consumatori hanno risposto a qualche offerta pubblicata dalle aziende su Facebook e Twitter.

5) Il 70% degli adulti attivi online sui network comprano su internet.

6) Il 53% degli adulti ottivi online seguono un marchio

7) Tumblr ha quasi triplicato il suo bacino di utenza in appena un anno.

Nell’ articolo Solis annuncia anche un suo nuovo libro (The end of business as usual ) e per ribadire la sua tesi secondo cui ‘’i social media stanno diventando la nuova normalità’’, il nostro nuovo ‘’tessuto culturale’’.

I social media stanno chiaramente diventando la nuova normalità. Dopo aver aggiunto per diversi anni il termine ‘’social’’ a qualsiasi cosa – dai media al gioco, dal commercio al marketing, fino al business -, siamo finalmente arrivati al punto più alto della parabola e possiamo cominciare a capire che cosa tutto questo significhi e in che modo si possa applicare ai media e al business.

Via via che i media sociali diventano parte del nostro tessuto culturale e a mano a mano che vediamo quanto imprese, governi, società sportive e ogni altra organizzazione condividano socialmente i loro sforzi, ci rendiamo conto che tutto quello che vediamo non è che l’ inizio di ciò che un giorno diventerà molto più importante del medium stesso.

In effetti, i social media stanno influenzando il comportamento e nulla è più importante in ultima analisi della capacità di influenzare decisioni e modi di comportarsi. Insomma, non è tanto interessante sapere chi fra di loro vincerà la competizione, quanto piuttosto vedere come la gente consuma il suo tempo, interagendo e connettendosi gli uni con gli altri, e quale sarà il risultato di tutto questo.

lunedì 17 ottobre 2011

Gli italiani sono preoccupati per la privacy: social network nel mirino

[Tech Bloglive.it 16/10/2011]

Gli italiani temono la violazione di privacy. Nonostante tutti gli avvertimenti riguardanti metodi di navigazione sicura, in un recente studio è stato riscontrato che la percentuale di utenti che temono per la propria privacy è maggiore quando si parla di social network.

Lo studio Privacy&Permission Marketing Report 2011 è stato condotto da Diennea MagNews in collaborazione con Human HighWay ed ha messo in risalto che la percentuale di utenti che è preoccupata per la propria sicurezza online è in calo rispetto a due anni fa.

Questo dato dovrebbe far riflettere: infatti, se da una parte è saggio evitare inutili paranoie ( se non si ha nulla da nascondere, non si ha nulla da temere) , dall’altra parte questo potrebbe significare che alcuni italiani non credono che la loro sicurezza sia a rischio. Un dato molto particolare, però, indica che il 53% degli italiani teme Facebook.

Il social network per eccellenza è molto usato in Italia, ma purtroppo bisogna ammettere che è usato male: spesso diversi utenti introducono nella lista di amici perfetti sconosciuti e condividono pubblicamente le proprie foto. E proprio qui nasce il problema: lo studio ha messo in evidenza che il 53% degli italiani teme di essere “taggato” in foto postate sul social network Facebook.

Facebook fa più paura delle intercettazioni telefoniche, delle e-mail, della geolocalizzazione e della tracciabilità dei siti navigati. Da notare, che la pura dei social network è stata accompagnata nel 44% dei casi da modifiche alle impostazioni della privacy.


Alessio Fasano

Bambini che non capiscono la carta

[La Stampa 15/10/2011]
Nei giorni scorsi ha circolato moltissimo un video (che puoi guardare qui sotto) in cui una bambina di un anno cerca di manipolare delle riviste cartacee come se fossero un iPad.
Si intitola: «Una rivista di carta è solo un iPad che non funziona».
Il video è montato sapientemente e l'autore, il padre della bimba, commenta -tra il serio e il faceto- dicendo che per la piccola ormai è molto più intuitivo capire come funziona un tablet piuttosto che capire come funziona la carta.
«Qui si vede», dice l'autore, «come i nativi digitali abbiano difficoltà a comprendere la logica di una rivista»



L'impatto è forte. In pochissime immagini ci fornisce un esempio (molto emotivo) di come stia cambiando il nostro rapporto con gli strumenti e con i supporti. Ma ci racconta anche tanto su come oggi si siano abbassate completamente o quasi le barriere di accesso alla tecnologia. Il computer, tradizionalmente, è sempre stato un oggetto difficile, che richiedeva la risalita di una lunga curva di apprendimento per poter essere utilizzato. Le generazioni che hanno imparato a conviverci nel ventesimo secolo hanno dovuto confrontarsi con molte complicazioni per addomesticare programmi e sistemi operativi.
Questa nuova generazione di «aggeggi», invece, ci dà un accesso immediato e molto più semplice ed intuitivo al mondo (di contenuti, di relazioni, di conoscenza) che la tecnologia apre.

I commenti sono forse la parte più interessante, perchè raccolgono reazioni diverse anche quasi tutte di meraviglia. Mediabistro rilancia il video in un post intitolato Quello che una bambina moderna pensa della lettura. «Il video è molto bello» scrive invece Ysolt Usigan su TechTalk, «ma devo essere onesto. Da amante dei libri e delle riviste di carta, mi intristisce un po'».
«Questi sono i bambini del futuro», argomenta Brian Moylan su Gawker, «non vivranno mai più in un mondo senza iPad. I bambini della sua generazione potrebbero davvero vedere la fine dei supporti di carta, perchè non sapranno come usarli, come farli funzionare nel modo efficace che si aspettano».

Più critico invece Daniel Donahoo su Wired. Rileva infatti che il messaggio centrale del video, quello secondo cui la tecnologia codifica le nostri menti e cambia il nostro modo di pensare, è falso. Il video mostra una bambina che sviluppa le sue capacità motorie e di contatto con il mondo attraverso un iPad invece che con i tradizionali Lego o con i consueti giochini per bimbi.
«La questione vera», scrive, «non è capire se le riviste significhino qualcosa o meno per i bambini. Piuttosto bisogna ragionare su quanto la tecnologia sta avendo un impatto nello sviluppo di queste abilità. E su come cambierà le aspettative e su cosa questo significherà per il futuro». Il blog di Donahoo su Wired si intitola, non a caso, Geek dad e il post (che merita una lettura integrale) chiarisce subito il punto di vista: Why the A Magazine Is an iPad That Does Not Work Video Is Ridiculous

Sembra difficile trarre delle conclusioni. Da un lato è molto interessante osservare come si sia quasi azzerata la difficoltà di accesso alla tecnologia. Prima delle interfacce touch, anche i genitori più tecnologici, aspettavano che i bambini raggiungessero i sette o gli otto anni almeno per farli avvicinare ad un computer. Oggi moltissimi bambini, anche piccolissimi, trovano intuitive le gestualità che goveranno un iPad e un iPhone. E questo ha significati profondi, perchè la tecnologia non è un fine, ma un mezzo per accedere a delle gratificazioni, che ci vengono dalla lettura (di libri, di news), dalle relazioni con gli altri, da un mondo che si apre. Sul piano delle gratificazioni si combatte la battaglia tra i supporti: l'accesso rapido ai contenuti, i benefici che si ottengono, eccetera. Da questo punto di vista, lo ricordavamo spesso, la carta ha terminato il suo ciclo di innovazione. Mentre quello del digitale è appena agli inizi.
Dall'altro lato, invece, è chiaro che non si può dare a questo video alcun significato generale. I veri nativi digitali non sono necessariamente gli individui di una o più generazioni anagrafiche. Sono, piuttosto, le persone -giovani o meno giovani- che hanno accesso alla tecnologia, che vivono in un contesto culturale adatto per capirla, che hanno gli strumenti concettuali per usarla nel modo corretto.

Ma non c'è dubbio che l'annosa opposizione 'carta versus digitale' sia solo una delle questioni che dobbiamo affrontare, una tra le mille in un contesto molto più ampio: quello di un grande mutamento del modo in cui la cultura funziona e del modo in cui pensiamo a noi stessi in rapporto al mondo esterno.
E da questo punto di vista è utilissimo osservare come si comporta chi non ha imparato a vivere in un mondo che funzionava in modo diverso.

Privacy: dai social network agli smartphone, siamo sempre più tracciati

[AgoraVOX 14/10/2011]

Una nuova ricerca scientifica conferma i timori inerenti la tutela dei dati personali on line: la maggioranza dei siti esaminati da uno studio condotto dall'Università di Stanford monitora i propri utenti e passa i dati a soggetti terzi che possono utilizzarli per crearne un profilo molto dettagliato. E con la diffusione degli smartphone la situazione va peggiorando

Il 61% dei 185 siti web analizzati, invia informazioni personali come username e indirizzo e-mail a soggetti terzi, chiaramente senza un consenso esplicito e consapevole degli utenti stessi. E non è escluso che queste informazioni, soprattutto in paesi extra europei con una legislazione più lasca sulla tutela dei dati personali, possano arrivare ad enti e agenzie goverative. La motivazione di tutto ciò sta nella possibilità di avere una conoscenza più approfondita dei navigatori, per proporre offerte commerciali più adeguate ai loro gusti.

Il presidente della Federal Trade Commission (ente Usa per la concorrenza e la tutela dei diritti dei consumatori), Jon Leibowitz, ha coniato il termine "cyberazzi", per identificare questa specie di paparazzi digitali che "scattano" fotografie di quella che è la nostra "data immagine", le impronte che ci lasciamo dietro durante le nostre navigazioni o durante tutte le attività che facciamo on line, dal prenotare il biglietto di un treno al comprare un libro su Amazon, fino a quando clicchiamo sul pulsante "mi piace" sotto il video del nostro musicista preferito.

Precedenti ricerche, come quelle condotte dall'italiano Alessandro Acquisti, hanno dimostrato come sia facile arrivare ad una serie di dati sensibili, partendo da alcune foto pubblicate on line e utilizzando un software di riconoscimento facciale.

Dal Pc ai mobile devices come smartphone e tablet, il monitoraggio e la profilazione degli utenti è un prcesso pressoché ininterrotto, anche grazie all'intervento delle compagnie telefoniche. Verizon, ad esempio, ha effettuato una modifica nelle sue privacy policy, in base alla quale, di default, gli url che vengono visitati, così come le informazioni di geolocalizzazione (ovvero, dove si trova il cellulare che si connette) verranno automaticatamente inviate ad aziende partner. Bisogna dunque intervenire per cambiare le proprie impostazioni di base se si vuole evitare tutto ciò. Ma quanti ne sono a conoscenza?

Ogni nostra attività on line va ad ingrassare la mole di dati archiviati da aziende come Facebook e Google. Facebook ad esempio mantiene traccia dei differenti computer dai quali ci logghiamo, "ricorda" gli eventi ai quali siamo invitati, conserva le nostre chat e i messaggi che cancelliamo. La storia di un utente medio, iscritto nel 2007, sta in un pdf di 880 pagine. Come ha dimostrato il gruppo austriaco Europe Vs Facebook, nel vecchio continente abbiamo il diritto di accedere alle informazioni possedute dal re dei social network (così come dagli altri). Ma non necessariamente a tutte. L'azienda di Zuckerberg infatti, si è rifiutata di comunicare alcuni dati, adducendo la ragione che la loro pubblicazione violerebbe il segreto industriale e i diritti di proprietà intellettuale.

Il problema della tracciabilità delle nostre navigazioni è di fatto una forma di controllo, paradossalmente accettata ben volentieri dai controllati.

"Pensate che è come quando in seguito a un acquisto il commesso di un centro commerciale comincia a seguirci e ad annotare quello che compriamo negli altri negozi per aspettarci all’uscita e farci un’offerta che proprio non possiamo rifiutare. Inquietante, no?", scrive Arturo Di Corinto, giornalista, blogger e ricercatore che da tempo tratta queste tematiche.

Benché aumenti la consapevolezza su questi temi, sembra che la stragrande maggioranza degli utenti sia disposta a rinunciare a parte della propria riservatezza per poter condividere facilmente foto, documenti con amici e conoscenti, o addirittura per aver pubblicità mirate ai propri interessi. E come se on line cadessero alcune naturali diffidenze che ci impediscono ad esempio di rivelare il nostro numero di codice fiscale al primo sconosciuto che incrociamo.

Alcune aziende riescono a definire in maniera abbastanza circoscritta chi siamo, quali sono i nostri gusti, le attitudini al consumo, ma anche le nostre idee politiche, gli orientamenti sessuali, le informazioni sanitarie e sull'appartenenza etnica. lo ha ben dimostrato il giornalista del Time Magazine, Joel Stein, che con un'inchiesta sui propri dati sparsi on line, ha scoperto su di sé cose che neanche lui sapeva...

Francesco Sellari

lunedì 3 ottobre 2011

Rivoluzione Facebook: pronti?

[L'Espresso 30/09/2011] Stavolta l'ambizione dell'ex ragazzo prodigio, multimiliardario, Mark Zuckerberg non ha remore: vuole trasformare il suo Facebook nello specchio totale della vita degli utenti. E' questa la funzione Timeline, appena resa disponibile sul social network più famoso al mondo.

«La cosa più innovativa mai vista sul web», secondo Zuckerberg. «La maggiore minaccia alla privacy degli ultimi tempi», replica Marc Rotenberg, direttore dell'Electronic privacy information center.

Timeline stupisce e spaventa perché è un diario automatico e condiviso: raccoglie e mette in bell'ordine cronologico tutti gli eventi, fatti, foto e notizie che l'utente pubblica. Un'enorme autobiografia digitale aperta agli "amici" del network. Timeline diventerà il nuovo Facebook: per ora è una funzione opzionale, ma dall'8 ottobre sarà attiva per tutti.

«Fino ad oggi qualsiasi nuova attività entrava a far parte della pagina home che mostra tutte le attività del gruppo di amici. D'ora in poi invece, ogni nuova attività andrà immediatamente a far parte di Timeline, ma non entrerà nella pagina delle attività degli amici a meno che l'utente non decida di farlo», ha spiegato Zuckerberg.

«I grandi eventi che riguardano il singolo utente saranno nella parte centrale della pagina, mentre lateralmente ci sarà spazio per colonne con eventi collaterali e altre attività; inoltre sarà possibile raggruppare le attività in sezioni differenti».

Timeline non si limita a mettere in ordine cronologico gli eventi pubblicati dall'utente d'ora in avanti. No, va oltre: si presta a essere subito un diario e un album dei ricordi passati. Possiamo cliccare su una data qualsiasi e aggiungervi immagini, informazioni su come ci sentivamo all'epoca, il lavoro che facevamo, "questa è un'immagine di quando i miei genitori erano ancora vivi", "ecco il mio quarto compleanno", "nel 1998 ho cambiato di nuovo lavoro" e così via. Dalla nascita al presente. L'utente può sempre indicare gli amici con cui condividere certe informazioni.

Timeline diventerà il nuovo profilo Facebook gradualmente: dal 4 ottobre sarà così per tutti. Ma è già possibile attivare la nuova funzione, per provarla subito. Il modo più rapido è scrivere "sviluppatore" nel motore di ricerca in alto, su Facebook, cliccare su quest'applicazione e abilitarla. Clic poi su "Crea applicazione". Dobbiamo fingere di crearne una, per impersonare il ruolo di sviluppatori di Facebook e quindi provare Timeline. Scriviamo un nome a caso per la nostra fittizia applicazione, poi scegliamo il comando "OpenGraph". Facebook ci proporrà quindi di adottare Timeline. Accettiamo ed eccoci subito catapultati nel futuro del social network. Gli esperti di privacy temono che s'innescherà un processo pericoloso: le persone condivideranno aspetti della propria vita sempre più intimi. «Agli utenti si dovrebbe concedere di decidere di partecipare ai cambiamenti che Facebook crea, ma il social network non dà questa opzione. Semplicemente continua a marciare nella sua direzione e gli utenti devono acconsentire», protesta Rotenberg, in una lettera alla Federal trade commission americana (come la nostra Antitrust).

«Ogni volta che Facebook cambia qualcosa, bene o male impatta sui nostri comportamenti e sui nostri schemi mentali», aggiunge Charlene Li, analista indipendente fondatrice dell'osservatorio Altimeter. A conferma che il tema non vada sottovalutato.

Perché Facebook lo faccia, rischiando le polemiche, è presto detto. «Potrà lanciare pubblicità ancora più finemente personalizzata sui gusti e le attività dei propri utenti», spiega Sean Corcoran, analista di Forrester Research. Obiettivo, 5,8 miliardi di dollari di ricavi nel 2012, contro i 3,8 miliardi previsti nel 2010.

«Ma non è solo un fatto di soldi puro e semplice», aggiunge Whit Andrews, analista di Gartner. Bisogna ricordare infatti che Facebook ora ha il primo vero rivale: Google+, il social network di Google, che ha aperto al pubblico la settimana scorsa. «Con Timeline lo scopo di fondo è intrappolare l'utente in Facebook», dice Andrews. «Come puoi andartene altrove, infatti, quando lì trovi la storia di tutta la tua vita?».
Alessandro Longo