[Linkiesta 14/09/2013]
Ogni volta che si diffonde una nuova moda basta poco tempo perché
qualcuno inizi a interrogarsi sui possibili effetti negativi per la
gioventù. “Mio figlio che ascolta la musica rock diventerà un adoratore
di Satana?”, “La mia bambina che ora mette la minigonna si avvia al
meretricio?”, “Quei giovani che si piastrano i capelli e ascoltano
lamenti strazianti spacciati per musica avranno tendenze suicide
collettive manco fossero dei lemming?”.
Se poi la moda riguarda una tecnologia precedentemente ignota è
facile che le preoccupazioni parentali abbiano come comune denominatore
il rischio di danni permanenti al cervello dei figli. Se già
nell’Ottocento c’era chi criticava la diffusione dei romanzi, che
avrebbero ridotto la capacità di concentrazione dei giovani, quando nel
secolo successivo si sono diffuse le radio, la tv e i computer (con
annessi videogame), gli apocalittici dell’evoluzione tecnologica hanno
avuto molto materiale su cui discettare.
Comportamenti antisociali, morte della fantasia, disprezzo per l’autorità e inclinazione alla violenza sono solo alcuni degli
effetti collaterali che deriverebbero da un’eccessiva esposizione a una
“certa” tv e a “certi” videogame. I casi di cronaca in cui i colpevoli
ammettono di essersi ispirati a film o videogiochi – ad esempio è
successo vicino a Udine lo scorso aprile – sembrano la dimostrazione
scientifica della fondatezza dei peggiori sospetti.
Dopo la straordinaria diffusione di smartphone e tablet – nel
2013 Gartner stima che saranno attivati 1,2 miliardi di mobile device –
era solo questione di tempo prima che iniziassero gli interrogativi
anche riguardo questi strumenti. In particolare la preoccupazione si è
concentrata sui più piccoli, i bambini in età pre-scolastica. Chiunque
abbia avuto modo di osservare l’interazione tra un bambino piccolo e un
tablet non potrà che parlare di amore a prima vista. Lo schermo
luccicante che, se toccato, cambia colori ed emette suoni esercita
un’attrazione irresistibile rispetto a qualsiasi altro giocattolo che
pure possa essere presente nella stessa stanza.
E qui sta il problema: la dipendenza. Secondo alcuni scienziati americani il cervello del bambino che gioca
con tablet o smartphone rilascia dopamina, un neurotrasmettitore
associato al piacere. Nel momento in cui i genitori provano a sottrarre
al figlio il suo personale spacciatore di felicità – “ci hai già giocato
cinque ore di fila” – il bambino tende a dare in escandescenze.
La dipendenza è poi il presupposto di una serie di altre conseguenze spiacevoli legate ad un eccessivo utilizzo di mobile device.
Secondo l’associazione dei pediatri americani rimanendo esposti per
numerose ore ai nuovi media si rischiano problemi di attenzione,
difficoltà scolastiche, disordini alimentari e del sonno, obesità e
predisposizione a comportamenti illegali o rischiosi.
Non tutti sono d’accordo con questa visione giudicata eccessivamente allarmista. Il
Joan Ganz Cooney Center, un’associazione che si occupa di apprendimento
dei bambini nell’era digitale, ad esempio ha concluso che i bambini dai
quattro ai sette anni hanno molto migliorato il loro vocabolario
(+27%), usando una app educativa chiamata “Martha speaks”. Altri studi
analoghi testimoniano come, essendo la tecnologia touch molto
interattiva (a differenza ad esempio della tv), i bambini siano in grado
di sviluppare abilità e ampliare le proprie conoscenze grazie ad essa.
«Bisogna evitare gli approcci ideologici, in un senso o
nell’altro», afferma Alba Marcoli, psicologa esperta di infanzia e
scrittrice. «È chiaro che l’uomo si deve adattare
all’evoluzione della società. Ciò che apprendono i bambini poi lo
utilizzano nel resto della vita». Quindi se immaginiamo che nel futuro
questo tipo di tecnologie avranno sempre più spazio non è assurdo
lasciare che i bambini familiarizzino con esse fin da subito.
«Il pericolo che va evitato – prosegue la dottoressa Marcoli
– è che l’eccesso di tecnologia impedisca ai bambini di costruire i
propri contenitori mentali, cioè la capacità, che si costruisce
lentamente nell’infanzia, di adattarsi alle situazioni difficili della
vita senza esserne distrutti. Faccio un esempio: un ragazzo che in
tenera età abbia potuto costruire i suoi contenitori mentali, anche
accecato da un momento di rabbia, saprà dare uno sfogo evolutivo alle
sue emozioni. Al contrario se quei contenitori mancano è più facile
avere comportamenti esagerati o autolesivi. Purtroppo si vedono sempre
più spesso bambini che sono cognitivamente molto grandi, ma emotivamente
ancora piccoli».
Non esiste una regola aurea con cui evitare che la tecnologia danneggi la formazione di questi contenitori.
«Ognuno – afferma la dottoressa Marcoli - trova il proprio sistema. Non
si può avere la pretesa di avere una sola soluzione unica e valida per
tutti. Ciò che rende pericoloso l’eccesso di tecnologia è che spesso va a
scapito delle relazioni, che sono il contesto in cui i contenitori
mentali di cui parlavo si creano. Invece anche in questo ambito è
fondamentale che ci sia una relazione - conclude la dottoressa -
specialmente tra genitori e figli».
Il consiglio insomma è sempre quello: non lasciare soli i bambini con questi strumenti, guidarli nella scoperta e
nell’apprendimento, evitare che entrino nel tunnel (nel caso, evitare
di arredarglielo), limitare le ore di esposizione agli schermi e
insegnargli anche a divertirsi in altro modo. Se poi ci fossero
conseguenze ulteriori e imprevedibili legate all’utilizzo di questa
tecnologia lo scopriremo a breve. Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal
i bambini di due-cinque anni che oggi usano l’Ipad (o altri apparecchi
touch-screen) devono essere considerati delle “cavie”. La tecnologia
touch-screen ha iniziato a diffondersi sul mercato da un paio d’anni
mentre per studi scientifici rigorosi è necessario un periodo di
osservazione di tre-cinque anni. Nel frattempo la scelta tra lassismo e
paranoia, con un generico buon senso nel mezzo, è lasciata ai genitori.
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