[DireGiovani.it 07/02/2012]
BOLOGNA - Insulti e video (o foto) offensivi affidati al web al posto di botte e spintoni. Con l'aumentare della dimestichezza nell'uso delle nuove tecnologie, il cosiddetto cyberbullismo sta lentamente rimpiazzando il fenomeno tradizionale. E' questo il dato più importante che emerge dal progetto europeo 'Cyberbullying in adolescence: investigation and intervention in six european countries', finanziato dal programma Daphne III della Ue. Il progetto è coordinato da Maria Luisa Genta, Antonella Brighi e
Annalisa Guarini, ricercatrici del Dipartimento di Psicologia dell'Alma Mater di Bologna, che riunisce diversi partner da tutta Europa ed è stato realizzato in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale dell'Emilia-Romagna, per volontà del vicedirettore generale Stefano Versari. Il progetto, che fa il paio con quello analogo realizzato nel 2007, ha l'obiettivo di studiare le caratteristiche e la diffusione del cyberbullismo in Europa (Italia, in Emilia Romagna e Calabria, Spagna, Inghilterra, Grecia, Germania e Polonia) tra gli adolescenti delle scuole secondarie di secondo grado, per poi pianificare interventi di prevenzione del fenomeno. Il focus sui risultati emiliano-romagnoli sarà presentato durante il convegno 'Cyberbullismo in adolescenza' l'8 e il 9 febbraio prossimi nel Dipartimento di Psicologia a Bologna, a cui seguirà una seconda presentazione durante l'Agorà del programma Arte e Scienza in Piazza, il 12 febbraio alle 16 a Palazzo Re Enzo.
Dottoressa Guarini, qual è il dato più importante che emerge dalla ricerca in Emilia-Romagna?
Un primo studio che abbiamo condotto è stato valutare il cambiamento dei fenomeni di bullismo tradizionale e cyberbullismo dopo tre anni in alcune scuole secondarie di primo e secondo grado della provincia di Bologna, Ferrara e Forlì. Grazie al primo progetto europeo, avevamo raccolto circa 2.000 questionari anonimi compilati da studenti nell'anno scolastico 2007-2008, i cui risultati erano stati presentati in una conferenza al Dipartimento di Psicologia nel febbraio 2009. Dopo tre anni abbiamo somministrato nelle stesse scuole il questionario coinvolgendo circa 1.650 studenti. I risultati hanno mostrato un maggior uso delle nuove tecnologie da parte degli adolescenti. Se infatti la percentuale di adolescenti che possiede un cellulare personale è stabile (96%), quella che dichiara di avere una connessione a internet nella propria casa sale dall'83% al 95%. Chi ha una connessione nella propria camera passa dal 48% al 59%. Inoltre, i risultati mostrano una migliore percezione da parte degli adolescenti del clima scolastico e una diminuzione dei fenomeni di bullismo tradizionale. In particolare, rispetto a botte, spinte, prepotenze, insulti, ingiurie e intimidazioni, le percentuali di vittime scendono dal 15% all'11% e di bulli dal 15% al 10%. Lo stesso andamento si ritrova nel bullismo tradizionale indiretto (pettegolezzi offensivi, esclusione sistematica dal gruppo) le vittime calano dal 23% al 18% e i bulli dal 23% al 15%. Per il cyberbullismo, invece, si è riscontrato un andamento più complesso. Se l'aggressione avviene tramite cellulare, vi è un decremento nel ruolo di bullo dal 9% al 5%, mentre le percentuali di studenti che si dichiarano vittima restano stabili (circa 8-9%). Al contrario, se si usa internet le percentuali di vittime crescono dal 7% al 9%, mentre restano stabili le percentuali di bulli (circa 6%-7%).
Chi è il bullo per antonomasia e quale la vittima preferita?
In primo luogo, i nostri dati mostrano una forte continuità tra il ruolo di bullo o vittima online e offline. In altre parole, i bulli tradizionali aggrediscono spesso le loro vittime attraverso le nuove tecnologie diventando cyberbulli e anche per le vittime c'è una certa continuità tra le aggressioni online e offline. Inoltre, i nostri dati mostrano una percentuale significativa di 'trasposizioni di ruolo': ovvero, alcune vittime del bullismo tradizionale possono diventare cyberbulli. In questo senso, il cyberbullismo sembra dare potere a chi, nella vita reale, si sente meno forte degli altri o è costretto a subire aggressioni senza poter reagire, grazie all'anonimato e alla possibilità di colpire con azioni che difficilmente espongono il responsabile a conseguenze dirette. Per quanto riguarda i ragazzi che subiscono le aggressioni, invece, la percezione di solitudine nelle relazioni con i pari e nel rapporto con i propri genitori sono fattori di rischio per la vittimizzazione on line.
Cosa spinge a praticare il cyberbullismo? Perchè lo fanno?
In alcuni casi, il diventare un protagonista attraverso la diffusione di video diffamatori o che ridicolizzano la vittima, postati ad esempio su Youtube, può essere un mezzo per costruire un'identità 'vincente' nel gruppo dei pari. La psicologia sociale, in questo senso, parla di comportamenti devianti come funzionali alla 'gestione della reputazione'. Ci sono poi altre motivazioni legate alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie: la possibilità di offendere o attaccare senza vincoli legati allo spazio e al tempo, la percezione dell'anonimato e una (errata) idea di impunità dei reati che si commettono online, la possibilità di attaccare la vittima senza dover necessariamente possedere una superiorità fisica, numerica o psicologica. Tra le motivazioni elencate nei questionari dagli aggressori, poi, risultano più frequentemente risposte legate alle caratteristiche della vittima, ad esempio 'è uno sfigato', e a motivi di ritorsione o vendetta.
Quali sono le angherie più diffuse e gli strumenti più utilizzati?
Rispetto al ruolo di bullo e di vittima nel cyberbullismo, i maggiori comportamenti rilevati dai questionari risultano essere il dire cose spiacevoli e l'offendere qualcuno tramite sms o su internet, direttamente o inviando queste informazioni a terzi. Oppure si decide di escludere qualcuno in un social network o in una chat room, entrare di nascosto nell'account di altri, pubblicare foto o video imbarazzanti. Meno frequenti, anche se presenti, risultano comportamenti come attaccare o insultare qualcuno in un gioco on line, modificare le foto altrui giù pubblicate on line e diffondere informazioni personali.
Come si combatte il cyberbullismo e chi se ne deve occupare?
Adolescenti, famiglia e scuola sono i tre soggetti principali a cui è rivolto l'intervento che abbiamo proposto all'interno del progetto europeo. A livello dell'intera scuola, proponiamo azioni di formazione e supervisione degli insegnanti e azioni volte al coinvolgimento delle famiglie. In particolare, ai genitori si propone un incontro informativo sul fenomeno del bullismo elettronico e sui rischi che l'utilizzo di internet comporta. Con gli insegnanti, invece, si pensa a cinque incontri basati su un training interattivo che utilizza tecniche cooperative e di supporto reciproco tra insegnanti, unito a un programma di costante supervisione. A livello della singola classe, invece, il ricercatore dovrebbe fare sette incontri, con l'obiettivo di fornire maggiore informazione che possa tradursi in aumentata sensibilità rispetto al fenomeno del cyberbullying. Si tratta di programmi specifici rivolti agli alunni, perché possano apprendere strategie utilizzabili in caso di cyberbullismo e perché possano sviluppare le competenze relazionali necessarie per instaurare rapporti basati sul rispetto di sé e degli altri, su empatia e prosocialità e non su credenze normative che approvano la violenza.
Che consiglio dare a un genitore il cui figlio pratica il cyberbullismo?
La strategia adottata dai genitori deve variare in funzione dell'età del figlio. E' infatti consigliabile un attento monitoraggio dell'uso di internet, soprattutto in fase preadolescenziale, con semplici comportamenti negoziati con il figlio, ad esempio assistere alla navigazione o mettere il computer in un luogo visibile. I genitori devono inoltre essere consapevoli che i ragazzi spesso sottostimano l'effetto dei loro comportamenti online grazie alla natura delle tecnologie stesse, come l'impossibilità nel vedere le reazioni delle vittime, la mancanza di risposta empatica, la giustificazione morale e la distorsione delle conseguenze, del tipo: 'tutti in rete lo fanno'. E' cruciale mantenere un dialogo aperto con i figli e, soprattutto in questo ambito, i genitori possono fare molto, aiutando i ragazzi a riflettere sulle conseguenze psicologiche e morali, ma anche legali di certi comportamenti. L'importante è che i genitori non abdichino al loro ruolo genitoriale, pensando che le esperienze online siano meno importanti di quelle offline. Per molti adolescenti l'online rappresenta un'integrazione delle esperienze del mondo reale e l'agire con comportamenti aggressivi online dovrebbe accendere un campanello d'allarme anche per comportamenti simili offline.
di Andrea Sangermano