mercoledì 29 dicembre 2010

Consumi etici: i 10 migliori social tools del web

[GreenMe 27/12/2010]

Il Web 2.0 lo abbiamo visto diverse volte sta diventando anche la cassa di risonanza per comportamenti sempre più etici offrendo nuovi strumenti sociali e nuove soluzioni per il consumo etico: libero scambio, baratto, microfinanza e micropagamenti sono comportamenti che si stanno diffondendo velocemente nella rete. Soprattutto oltreoceano.

E come ogni tendenza, questi strumenti stanno cominciando a modificare anche i nostri consumi rendendoli un po' più responsabili. Ma quali sono in particolare questi strumenti? Noi ne abbiamo individuati dieci.

1) Dare e ricevere: Giftflow

Sei a corto di soldi e vuoi un regalo? Chiedilo a Giftflow e probabilmente lo riceverai. Il principio alla base del portale è quello del baratto: tu offri una cosa che hai, di cui non sentirai la mancanza, a qualcuno a cui invece quel oggetto interessa e sarà pronto ad offrirti qualcosa in cambio. Iil gioco è fatto: hai ricevuto il tuo regalo senza pagarlo.

2) Regalare: Freecycle

Il network di Freecycle è composto da più di 4.000 gruppi e oltre 7 milioni di soci sparsi in tutto il mondo. E’ un movimento di base, interamente non-profit, di persone che stanno dando (e stanno ottenendo) cose gratuitamente. Il principio che anima i Freecyclers è etico ed ambientale: si tratta di riutilizzare e mantenere fuori dalle discariche tutto ciò che è ancora “buono”.

3) Donare con un click: Flattr

Flattr è interamente basato sul concetto del bottone facebookiano “Mi Piace" e permette di effettuare donazioni attraverso un click. Le organizzazioni che fanno parte del network ricevono la donazione mensile corrispondente ai clik ricevuti. Insomma, una bella idea per una nuova moneta sociale.

4) iShop 4 Microfinance:

Puoi donare il 4% dei tuoi acquisti comprando on line migliaia di prodotti che usi ogni giorno.

5) Donare mentre si gioca: zynga

Non vado matto per i giochini on line, ma Zynga è qualcosa di più di un semplice passatempo..

6) Siti di Micropagamento: Goldplay

Partiamo da un concetto semplice: paghi quello che usi. E’ come se, invece di pagare un abbonamento mensile ad una rivista, di volta in volta paghi gli articoli che leggi. Cosa succede se per tre mesi non leggi quella rivista? Semplice, non paghi nulla. Bene, i siti di micropagamento come ad esempio Goldplay.it funzionano esattamente così.

7) Sostieni i siti che ami: Sprinkle Penny

Crediamo che i contenuti debbano essere gratuiti ed accessibili a tutti, ma questo non significa che non si dovrebbe sostenere. Se ci sono particolari siti che visitate regolarmente, Sprinklepenny consente di garantirne la sopravvivenza futura e sostenerli nella pubblicazione di contenuti di rilievo. Il tutto con la massima trasparenza: grafici e tabelle mostrano esattamente dove viene utilizzato il denaro e quali dei tuoi siti preferiti ricevono quanto.

8) Premiare i propri clienti in base ai loro comportamenti etici: bolder

Questo è un fenomeno appena nato, deve ancora prendere piede, ma sono sicuro che tra non molto saremo in tanti a compiere buone azioni quotidianamente. Fai del bene e ricevi una ricompensa, è questa la filosofia che anima Bolder. Questo sito chiede alle persone di aiutare una vicina anziana piuttosto che raccogliere rifiuti nel quartiere. In cambio vengono offerti buoni sconto, promozioni, ecc..

9) Investire in maniera etica: microplace

Microplace: Permette di guadagnare attraverso piccoli investimenti in progetti di finanza etica nel sud del mondo.

10) Social Network: Jumo

Persino facebook ha concepito la sua creatura dedicata al noprofit, Jumo, un social network che aggrega le persone in base agli interessi sociali, cercando di sensibilizzare gli utenti verso opere umanitarie e principi etici.

Insomma, modi per comportarsi in maniera etica e per sostenere le organizzazioni che ne hanno bisogno certo non mancano. E le ragioni per farlo nemmeno. Piccoli gesti molto diffusi possono avere conseguenze di notevole importanza: gli strumenti già ci sono, sta a noi usarli.

Arturo Carlino

martedì 28 dicembre 2010

L'origine dei nomi dei principali social network e servizi del web 2.0

[The Daily bit 28/12/2010]

In un noto spot televisivo di qualche anno fa Sylvester Stallone salvava i passeggeri di una lussuosa nave da crociera da un attacco di criminali, respinti i malintenzionati in passamontagna, una ragazza chiede il nome al suo eroe, ma Stallone rispondendo “Bubi” perde il suo fascino e viene immediatamente schernito da tutti i presenti. Il significato dello spot è chiaro: il nome fa la differenza.

Nell'ambito del marketing il naming è un fattore decisivo per comunicare efficacemente un prodotto o un servizio: deve rimanere impresso, avere personalità ma anche essere pronunciabile e leggibile. Inoltre mentre alcuni aspetti, come il logo o il packaging, possono mutare nel tempo, il nome rimane sempre costante. E' il tratto a cui, negli anni, verranno associati i valori legati al brand. Se si parla di servizi web la scelta deve tenere conto anche del fatto che il nome dovrà diventare un dominio ed essere ottimizzato anche in quest'ottica.

Vi siete mai chiesti come sono stati scelti i nomi dei servizi web più diffusi?
Ecco di seguito spiegate le origini del nome dei alcuni servizi e social network del web 2.0.

Picasa

Il servizio di photo-sharing e software acquistato da Google nel 2004 da Idealab prende il nome dall'assonanza con il nome del pittore Pablo Picasso e dall'unione delle parole “mi casa” (“la mia casa” in spagnolo) e “pic” abbreviazione della parola inglese “picture” (“immagine”)[1].

Flickr

Il nome del più diffuso sito di condivisione di foto è caratterizzato dall'assenza dell'ultima vocale. L'omissione della “e” nella ultima sillaba non solo ha introdotto un fattore novità ma è addirittura diventato uno dei trend in fatto di “nomi 2.0” (si pensi ad esempio a Tumblr oppure a Flattr ).
Tuttavia la scelta è stata casuale e non frutto di particolari strategie di brand naming, semplicemente il proprietario di flicker.com non era intenzionato ha cedere il dominio! [2]

Twitter

In un'intervista rilasciata al Los Angeles Times[3], Jack Dorsey, uno dei fondatori della piattaforma di microblogging, ha spiegato che la scelta della parola è avvenuta sfogliando il dizionario, il termine “twitter” grazie alla sua definizione fu quello che mise tutti d'accordo: "a short burst of inconsequential information" e "chirps from birds". Fu subito ben accolto l'evocativo riferimento al mondo degli uccelli a cui è associato anche il logo.

Google

In origine Larry Page e Sergey Brin battezzarono il loro motore di ricerca BackRub per la rilevanza data dal sistema ai backlink per la valutazione della qualità di un sito. In seguito il nome fu cambiato in Google che deriva da googol ovvero il numero intero esprimibile con 1 seguito da 100 zeri, un riferimento all'immensa mole di informazione che il motore può gestire.

Wikipedia

Il nome Wikipedia deriva dall'unione del termine “enciclopedia” e “wiki” il termine hawaiano che significa “veloce” ormai utilizzato per indicare un sito in cui i contenuti possono essere modificati dagli utenti.

Amazon

Il fondatore Jeff Bezos ha scelto inizialmente il nome cadabra.com e in seguito Amazon, ovvero la traduzione inglese di Rio delle Amazzoni. Bezos ambiva a creare il più grande flusso di vendite online e per questo ha scelto il nome del più lungo fiume al mondo.

Facebook

Facebook è il termine inglese che indica gli annuari con le foto e le informazioni base su ogni studente che alcuni college e scuole americane realizzano ogni anno per conoscere le persone del campus.

Anobii

Il nome Anobii deriva da Anobium Punctatum il nome latino di uno dei tarli del legno e della carta, un insetto che ama corrodere gli scaffali in legno delle grandi biblioteche.

Note

1. http://www.digitaljournal.com/article/259383
2. http://www.flickr.com/groups/central/discuss/532/
3. http://latimesblogs.latimes.com/technology/2009/02/twitter-creator.html

Prima di assumerti cercheranno il tuo profilo su Facebook

[VareseNews 28/12/2010] Tutti usiamo Facebook per condividere le nostre foto e i nostri pensieri con gli amici. Il celebre social network è diventato ormai una banca dati di profili dettagliatissimi: di ogni persona è possibile conoscere le abitudini, gli interessi, l'orientamento politico o la fede religiosa. C'è qualcuno che considera questa banca dati la cosa più preziosa al mondo: i responsabili delle risorse umane, chi in azienda dovrà decidere se assumervi o no.

Secondo una ricerca americana, nel 2007, già il 4% delle imprese usava i blog e i social network come Facebook per individuare i candidati ideali, specialmente nel settore informatico. I social network consentono infatti di cercare profili professionali anche molto dettagliati senza dover usare il telefono, ma semplicemente usando un motore di ricerca.

Un altro uso sempre più diffuso, però, è quello di sfruttare i social network per sapere qualcosa in più dei candidati, come le loro abitudini al di fuori del lavoro, i loro hobby, i loro interessi. Insomma, Facebook, Twitter e simili vengono usati per capire tutto quello che un curriculum non potrà mai dirci: quanto sia affidabile una persona nella sua vita professionale e non. Una ricerca del 2008 ha fatto emergere quella che è stata definita tecnica delle bandierine rosse: quando un responsabile delle risorse umane ha un elenco di candidati molto nutrito, può usare i social network per verificare che, dal punto di vista personale, un candidato non abbia abitudini che lo facciano apparire poco affidabile, o lontano dalla filosofia dell'azienda. Una foto scattata in un pub quando si è troppo ubriachi, ad esempio, non aiuterà. Un messaggio di stato inneggiante al duce, allo stesso modo, non vi aiuterà a lavorare in un'azienda con orientamenti politici.

Già in passato era abitudine degli esperti di risorse umane cercare il nome dei candidati su Google, ma con i social network è ora possibile avere uno spaccato più profondo della vita di una persona. Per questo è sempre importante, in questi anni, avere un controllo più consapevole della propria "reputazione on-line", decidendo consapevolmente quali foto e quali pensieri sia opportuno rendere pubblici.

Una buona soluzione consiste nell'impostare i propri profili come privati, e non pubblici. In alcuni casi, però, potrebbero non bastare. Come ha rilevato un'indagine del New York Times molte aziende hanno sviluppato trucchi per accedere comunque ai profili. In alcuni casi, ad esempio, chiedono a stagisti interni di diventare amici dei coetanei, per poter vedere i loro profili. La stessa Microsoft ha dichiarato di fare tesoro delle informazioni pubblicate sui social network dagli aspiranti collaboratori.

Non tutto è male, ovviamente: i social network sono un'arma a doppio taglio. Un brutto profilo potrà ostacolarci, ma è anche vero che un bel profilo, in cui traspaiono interessi rilevanti per un determinato impiego, potrà agevolarci. Per questo qualcuno ha visto il business e ha fondato una versione alternativa di Facebook specializzata unicamente nell'ambito del lavoro. Il social network si chiama LinkedIn ed è molto simile al più celebre Facebook. Chiunque può costruire un profilo, facendolo vedere solo ai colleghi. Solo che il profilo contiene sostanzialmente il nostro curriculum vitae e le relazioni a cui abbiamo partecipato, rendendoci più o meno appetibili dal punto di vista lavorativo. Già nel 2007 LinkedIn venivana utilizzato dalle aziende americane in cerca di buoni candidati nel 15% dei casi. Nel 2010 LinkedIn ha raccolto oltre 68 milioni di curricula, Gli italiani iscritti a LinkedIn sono quasi 1 milione.
Simone Gambirasio

Facebook? Mai così invadente E ora molti vogliono scappare

[Il Giornale 28/12/2010] Le aziende, la noia, gli soccorritori: il social network più famoso del mondo si è fatto un sacco di nemici. E il futuro non gli sorride
Mai, come nel 2010, Facebook è stato al centro dell’attenzione dei media. Il Time pochi giorni fa ha eletto «uomo dell’anno» l’inventore e fondatore Mark Zuckerberg, 26 anni. Nelle sale cinematografiche ha spopolato The Social Network, ispirato alla biografia di Zuckerberg stesso (indispettito dal risultato: ne esce come un sociopatico, proprio lui che ha aggiornato il significato della parola «amicizia»). Un trionfo per il regista David Fincher: fuochi d’artificio al botteghino, critica in sollucchero e probabile Oscar in arrivo. In luglio le iscrizioni a Facebook hanno raggiunto e superato quota 500 milioni dopo una cavalcata inarrestabile iniziata nel 2004 per rimorchiare ragazze all’università di Harvard. Negli ultimi dodici mesi solo Google, il motore di ricerca «egemone», ha avuto un maggior numero di contatti in rete.
Esserci dunque sembra un imperativo categorico. Mezzo miliardo di utenti (incluso chi scrive) ha risposto alla chiamata: aprendo una pagina personale, connettendosi e comunicando con «amici» selezionati, aggiornando con messaggi la bacheca, rendendo visibili foto, messaggi, video del proprio diario multimediale.
Eppure... se il 2011 fosse l’anno della fuga da Facebook? Sembra folle solo pensarlo a fronte dei fatti appena ricordati ma qualcosa si muove nel variegato mondo di internet. Mettiamo insieme qualche indizio. Un rapporto di Nielsen Rating (azienda che misura, fra le altre cose, l’audience del web) sostiene che su quattro minuti e mezzo di navigazione, l’utente ne dedica uno ai social network, Facebook o Twitter che siano. E cosa fa in quei sessanta secondi? Quasi sempre, nulla. Statistiche a parte, provate a pensare alle vostre pagine Facebook. Probabilmente avrete molti «amici». Altrettanto probabilmente, però, la percentuale di quelli che aggiornano con assiduità il profilo sarà piuttosto bassa. Qualche anno fa impazzava la moda di Second Life, un mondo virtuale in cui si entrava a far parte col proprio avatar. Per settimane non si parlò d’altro. Il sito ha ancora oltre un milione di iscritti ma sembra una città fantasma. Non sarà certo il caso di Facebook, infinitamente più semplice, utile e sensato ma anche il social network non sembra esplodere di vitalità. Una volta iscritto, sei dentro per sempre, la tua pagina rimarrà come una lapide funeraria anche post mortem. Cancellarsi è difficile (più semplice essere cancellato, spesso per motivi imperscrutabili): quante pagine sono in realtà inattive? Quante volte avete sentito dire a qualcuno che Facebook è una noia interrotta da messaggi di antichi scocciatori ora riapparsi come per magia digitale?
Poi, come raccontava la Repubblica qualche giorno fa, ci sono anche gli «antisociali» organizzati. Aziende o singoli che installano nel computer programmi al fine di escludere dalla navigazione qualsiasi sito abbia a che vedere con i social network. Pazzia? Tutt’altro. Le aziende li installano per evitare perdite di tempo prezioso. In qualche caso, il software antisociale è «prescritto» per interrompere la dipendenza da Facebook e affini. In molti altri è una questione di privacy: c’è chi preferisce tutelare i propri dati. Per vari motivi. Per esempio, chi seleziona il personale ormai butta un’occhiata alle pagine personali, e può trovare foto o commenti sgraditi.
Anche da un punto di vista «ideologico», i frondisti sono in crescita. A luglio, dicevamo, Facebook tagliava un traguardo numerico eccezionale. In agosto, il servizio di copertina di Wired, bibbia degli internauti, era dedicato alla «morte del web». Gli assassini? I motori di ricerca (tradotto: Google) e i social network (tradotto: Facebook) che monopolizzano il mercato e abituano il navigatore a una esperienza ipersemplificata del web. Nemico numero uno: Steve Jobs, creatore di un sistema chiuso in cui Apple controlla i contenuti e la tecnologia per fruirli (iTunes, iPhone, iPad).
Più «filosofica» l’opposizione di Jaron Lanier, rispettato pioniere di internet e della realtà virtuale (l’espressione è stata coniata da lui). Secondo Lanier Facebook è «un software antiumano» perché banalizza l’idea di amicizia e ci chiede di descriverci con tre o quattro parole. In altre parole, ci chiede di interagire con la macchina come fosse una persona. Il che implica che il nostro cervello potrebbe essere considerato niente più di un programma. Le nuove generazioni crescono così «con un’idea riduttiva di ciò che è una persona». Date tempo al tempo: quelle quattro parole diventeranno la nostra vera identità. A meno che non organizziamo una bella evasione da Facebook. Magari nel 2011.
Alessandro Gnocchi

lunedì 27 dicembre 2010

Ecco i Cives.net la Community politica

[La Repubblica 27/12/2010] Internet è ormai largamente riconosciuto come un luogo di coinvolgimento civico e politico. Il Web 2.0 ha infatti creato nuove opportunità per tenersi informati, discutere e partecipare. E i confini della sfera pubblica si sono allargati. Ma se negli anni è andata strutturandosi una sfera pubblica "virtuale", restano comunque saldi i legami con la dimensione tradizionale del mondo "reale". E' un nesso che viene confermato anche dai risultati della 27° indagine Demos-Coop (Osservatorio sul Capitale sociale degli italiani) 1, che in questo approfondimento si concentra sul rapporto tra internet, politica e informazione.

I cittadini più attivi nel Web, infatti, sono anche quei soggetti che non limitano il loro impegno nella dimensione online. Intrecciano modalità di e-partecipazione - come le petizioni via Internet - ad azioni collettive classiche, che si svolgono nelle piazze. Oppure, si informano e leggono i giornali quotidiani non solo cliccando sullo schermo di un pc, ma anche sfogliandone le pagine cartacee. Gli stessi movimenti nati in Rete hanno acquisito "concretezza" attraverso forme di partecipazione sul territorio; come il grillismo o il Popolo viola. In Italia la penetrazione sociale di Internet tocca ormai 30milioni di cittadini: il 52% della popolazione. 2Tra gli utenti della Rete due su tre (66%) dichiarano di leggere i quotidiani online. E la metà circa (48%), afferma di discutere e di informarsi di politica nel Web; partecipando a forum, blog, social network oppure via e-mail. A partire dall'uso o meno di queste due modalità di impiego della Rete si possono individuare quattro diversi gruppi di cittadini: gli Offline, gli Infonauti, gli Internauti e i Cives. net.

Gli Offline (39%) sono quelli che non utilizzano Internet. Gli Internauti sono il 15%: navigano in Rete, ma non leggono quotidiani online, né discutono di politica nel Web. Poi abbiamo gli Infonauti (17%): coloro che ricorrono alla Rete per tenersi informati. Leggono le versioni online dei quotidiani ma non discutono di politica via Internet. Infine, l'ultimo gruppo: i Cives.net (29%). Sono cittadini attenti e partecipativi rispetto alle questioni di pubblico interesse. E' una sorta di community particolarmente impegnata in Rete. Ma sono attivi anche nella sfera offline, come vedremo.

Il profilo socio-demografico di questi gruppi è prevedibilmente diverso: passando dai Cives.net ai cittadini Offline - cioè dai soggetti più coinvolti a quelli più distaccati - si riduce la componente di genere maschile, quella dei giovani e delle persone più scolarizzate. Diminuiscono quindi figure come gli studenti, i ceti medi impiegatizi e i professionisti. Cresce, invece, il peso di pensionati e casalinghe. I Cives. Net fanno un uso intenso della Rete. Sia in riferimento al tempo di connessione (il 77% resta collegato più di due ore al giorno, contro il 70% degli Infonauti e il 57% degli Internauti). Sia per la modalità di utilizzo di Internet.

Sono cittadini che non si limitano alle sole pratiche "civiche", di informazione e discussione online. In misura maggiore della media chattano (46%) e hanno fisicamente incontrato persone conosciute in Rete (25%). Acquistano prodotti attraverso l'e-commerce, scaricano musica, film, giochi e così via. In altre parole, hanno con il Web un approccio spontaneo, che è parte del loro stile di vita quotidiano; intrecciano finalità ludiche, di relazione oltre che di impegno civico e politico.

Sul piano della informazione il gruppo dei Cives.net mostra delle particolarità. Non tanto per la fruizione dei quotidiani cartacei (38%); solo qualche punto in più rispetto agli altri gruppi. Ma segue meno l'informazione televisiva. Presenta un'esposizione a questo mezzo sensibilmente più contenuta. Più degli altri ritengono Internet il luogo dove l'informazione è più libera e indipendente (65%). Sono particolarmente critici verso il sistema dell'informazione televisiva e giornalistica. Rispetto ai TG i Cives. Net in particolare, ma anche gli Infonauti, si fidano maggiormente del Tg3. Il TG di La7 e quello di Sky perdono consenso via via che dai Cives ci spostiamo verso i cittadini Offline. Questi ultimi si sentono più vicini al Tg1. Inoltre i Cives. Net apprezzano trasmissioni di approfondimento come Ballarò, Report, AnnoZero oppure di satira come le Iene, Parla con me, Che tempo che fa, Le invasioni barbariche. Porta a porta, invece, piace molto meno. Se consideriamo i due quotidiani più letti, il Corriere della Sera e la Repubblica, è quest'ultimo quello che viene privilegiato dai Cives.

Lo leggono nel 33% dei casi. E' evidente che queste valutazioni sui canali dell'informazione siano influenzate dall'orientamento politico di questo gruppo di utenti della Rete, che è sbilanciato verso sinistra e centro-sinistra. Il 42% dei Cives si riconosce in queste due posizioni ideologiche. Si dicono inoltre particolarmente interessati alla politica. Si fidano in misura maggiore dei partiti in generale (ma il loro voto è più orientato verso centro-sinistra, oltre che a favore del Movimento 5 Stelle e di Fli). Partecipano di più ad iniziative di carattere politico. Il 20% di loro ha preso parte a manifestazioni di partito e il 21% ad azioni di protesta (il doppio della media). Sono particolarmente attivi anche sul fronte delle nuove forme di impegno a favore dei diritti umani, come il consumo critico (49% vs. 30% della media ) o il boicottaggio di prodotti ritenuti eticamente non responsabili (26% vs. 14% della media).

Al tempo stesso partecipano anche sul Web. Il 19% ha sostenuto campagne online, sottoscrivendo petizioni via Internet, contro il 5% appena degli Infonauti e il 2% degli Internauti. Per i Cives, a differenza di altri cittadini, la linea di demarcazione tra offline e online non costituisce una digital divide, ma un confine permeabile. E' una community che si riconosce in determinati media e stili di comportamento. Si muove in una sfera pubblica dai contorni più ampi rispetto a quella degli altri cittadini; proprio perché hanno la capacità di intrecciare dimensione online e offline.
LUIGI CECCARINI e MARTINA DI PIERDOMENICO

Vince Facebook, perde il web?

[Vita Digitale di Federico Cella 27/12/2010]L’anno 2010 si è concluso con una consacrazione del Web. O meglio, con la premiazione di Facebook tramite la nomina a uomo dell’anno di Mark Zuckerberg, il (tuttora, è dell’84) giovane fondatore del sito di social networking. Che proprio Web esattamente non è, inteso come Rete mondiale a libero accesso, ma ne rappresenta un parte - che usa Internet come struttura di connessione - chiusa e proprietaria. In molti sensi alternativa al «Www». La scelta di Time arriva nell’anno in cui anche Hollywood ha voluto celebrare il mondo delle relazioni digitali a distanza - con il film The social network sulla vita e la figura a luci e ombre dell’ex studente di Harvard -, ma soprattutto dopo che Facebook (era metà marzo) ha superato Google come meta online più popolare negli Usa e il sito (metà luglio) ha raggiunto l’incredibile cifra di 500 milioni di iscritti. Tanti quanto la popolazione di Stati Uniti, Giappone e Germania messa assieme.

La copertina del settimanale americano è ancor più significativa se si considera che il «board» ha deciso di ribaltare la nomina che era stata votata a maggioranza online dai lettori di Time: 382 mila internettiani avevano invece scelto Julian Assange, volto di Wikileaks, come persona più rappresentativa del 2010. La rete di computer connessi tra loro è la stessa, Zuckerberg e Assange ne sono due espressioni assai diverse, si potrebbe dire contrapposte tra loro. Il primo come detto rappresenta una nuova frontiera della vita online, più strutturata e «brandizzata», l’altro al contrario è il simbolo della «vecchia» Rete, quella romantica e ingenua, forse anche un po’ pirata, dove i contenuti - anche quelli segreti - circolano liberamente e sono a disposizione di tutti. Significativamente i due aspetti messi a confronto (era agosto) da Wired nel servizio che ha fatto discutere tutto il mondo: «Il Web è morto?». Se è davvero così, le indagini dovranno partire proprio da Facebook.

sabato 25 dicembre 2010

Bookliners: la comunità italiana degli amanti dei libri e altro

[DIdattica col web 2.0 25/12/2010] Questo post nasce il giorno di Natale, anche se siamo tutti alle prese con pranzi familiari e canti natalizi, tra un giorno qualsiasi e nuove idee. Per essere più precisi e onesti, ho letto la segnalazione di Bookliners su Downloadblog, cui vi rimando per correttezza e completezza. Io qui desidero valorizzare e diffondere un’idea che mi pare interessante, meritevole. Bookliners si innesta nella tendenza sempre più presente del “libro digitale”, fra strumenti di lettura e contenuti. Chi è cliente Telecom, per esempio, può doversi sorbire la pubblicità del nuovo reader Biblet (nomen omen), alla conquista del mercato del libro digitale attraverso la collaborazione con Rcs Libri. Tuttavia, c’è da chiedersi perché mai Telecom non provveda a migliorare la propria rete di comunicazione e rendere l’Adsl veramente patrimonio di tutta Italia e non di pochi fortunati. C’è da chiedersi perché mai Telecom, che è pur sempre un “vettore”, diventi “ideatore” di contenuti digitali e culturali, specialmente in base a quali criteri, se non di monopolio: è il caso successo a Garamond, società da tempo presente nella didattica digitale e antesignana di elaborazione di contenuti culturali, che si è vista “fottere” (scusate il termine, ma è appropriato al caso) da Telecom la possibilità di dotare le LIM (Lavagne Interattive Multimediali) di contenuti didattici appropriati, pur avendo in catalogo un ricco campionario di offerte. In breve, l’Ansas ha scelto Telecom (e Mondadori) rispetto a Garamond. Chissà perché. Ecco perché anche la cultura è politica e sottende a un disegno complessivo di società



Ritornando a Bookliners, ricordo che esso è stato presentato al Salone del Libro di Torino 2010. Secondo Clelia Caldesi Valeri e Luca Novarino, ideatori di Bookliners, “il progetto nasce dalla convinzione che editoria e web siano troppo distanti tra loro e che dalla loro unione sia possibile trarre grandi vantaggi per tutti. L’idea è quella di ricreare in rete quell’esperienza di vendita e di lettura a cui i lettori sono già abituati. È infatti dimostrato come i lettori siano molto sensibili ai consigli e al passaparola diretto, ma queste possibilità attualmente non ci vengono fornite in quanto né gli store on-line, né i social network stile Anobii (dove manca il rapporto con la parte editoriale) sono in grado di fornirci interazioni efficaci. Bookliners è un sito web costruito per offrire un punto di incontro tra tutto ciò, un modo di arricchire la lettura usando il web per divertirsi a commentare il testo anche attraverso link a canzoni, immagini e video. I commenti possono poi essere inseriti come appunti personali o in gruppi di lettura pubblici o privati – facendo diventare il libro un punto d’incontro pagina dopo pagina.

Antisociali, un software per voi chiude la porta a Facebook&C.

[La Repubblica 25/12/2010] SAN FRANCISCO - LeechBlock, Freedom, Isolator, WriteRoom, Menu Eclipse, Ulysses, Scrivner e Think and Turn off the Lights e altri ancora. Benvenuti nell'era dell'anti-social networking, quando aziende e i singoli webnauti scelgono di autoescludersi - grazie a questi software - dalla navigazione da siti come Facebook, FourSquare, Twitter, Ning, LinkedIn, MySpace, YouTube e similari. Siti questi sui quali oramai ogni giorno convergono miliardi di persone da tutte le latitudini del globo per scambiarsi informazioni, per tenersi al corrente degli eventi che influenzano la vita delle persone amate e, secondo alcuni ricercatori, anche per perdere tempo.

Secondo un rapporto del Nielsen Rating, dell'azienda specializzata nella misurazione dell'audience di tv, radio e giornali, su quattro minuti e mezzo trascorsi sul web gli utenti almeno uno lo trascorrono sui siti del social networking facendo praticamente niente. Un'abitudine che secondo molti analisti sta compromettendo la produttività dell'economia americana e la creatività dei suoi ricercatori, dei suoi studenti e dei suoi scrittori.


Quale software? "Il semplice fatto di stare online limita la capacità di concentrazione di un individuo", afferma Fred Stutzman, PhD in Information Science alla University of North Carolina at Chapell Hill e creatore oltre di Freedom 1 (il vostro accesso all'internet viene bloccato completamente, per collegarvi al web dovrete anche in questo caso spegnere
e riaccendere il computer) anche di Anti-Social 2. Forse il più efficace dei software anti Facebook e affini, Anti-Social arriva ad escludere fino a 150 siti del social networking con uno semplice colpo di tasto. Il software è stato infatti precaricato con gli indirizzi dei siti da bloccare. "Uno si sente come se potesse immergersi nella folla in ogni momento", continua Stutzaman, "Usando Anti-social può riuscire a scrivere anche composizioni di 3000 parole in meno d'una giornata di lavoro".

LeechBlock 3,il blocca sanguisughe, è un software che permette di bloccare selettivamente i siti del social networking dai quali non si vuole essere disturbati. E questo non solo in entrata ma anche in uscita dal computer. Una volta installato il software e scelto, diciamo, di bloccare Facebook non lo si può accedere nemmeno se lo si vuole, a meno che ovviamente non si riavvia il computer.

Isolator 4 invece copre semplicemente tutte le icone che hanno a che fare con il social networking. Così anche a volerlo prima di collegarsi a Twitter bisogna ricaricare l'applicazione. Darkroom 5 e WriteRoom 6 invece trasformano un PC e un Mac in una tavolleta per scrivere e basta. Nel caso di DarkRoom la pagina viene oscurata così da escludere tutte le distrazioni in arrivo dal desktop. In questa maniera l'autore si concentra esclusivamente sulla sua scrittura. Verde fosforescente su sfondo nero, questa salta dalla pagina agli occhi dello scrivente.

"È una nuova tossicodipendenza". Gli scienziati la chiamano "Continuous Partial Attention", il termine è stato inventato da Linda Stone, una ex dirigente della Microsoft e della Apple che studia le deficienze cognitive causate dall'uso intenso dei computer. "Freedom e Anti-social sono il primo passo sulla via dell'affrontare questa nuova tossicodipendenza", afferma la Stone, "Ma la soluzione alla dipendenza dai social networking va cercata in scelte che mutano le nostre abitudini sul web". La Stone di recente ha scoperto la e-mail apnea, molti webnauti trattengo letteralmente il fiato mentre leggono le loro poste elettroniche, e si accompagna alla dipendenza da social networking.

Secondo una ricerca di AOL e Salary.com 7 (uno dei maggiori portali web degli USA la prima e la maggiore agenzia temp online statunitense la seconda), il lavoratore medio americano trascorre due ore e 10 minuti della sua giornata lavorativa chiacchierando sui siti del social networking con familiari, amici e colleghi. E queste ore non includono lo spacco per il pranzo, per il caffé di prammatica e per andare in bagno. "Una volta pressati, tutti gli intervistati hanno dichiarato che non avevano abbastanza da fare", hanno scritto alla fine i ricercatori nel loro rapporto. Nella media sono anche comprese professioni come il carpentiere e il sommozzatore, lavoratori che un computer a portata di mano non ce l'hanno così spesso.

Il costo di queste abitudini secondo 24/7, un blog al quale collaborano anche giornali come il Wall Street Journal, supererebbe l'astronomica cifra di 800 miliardi di dollari l'anno. Non sorprende quindi che, come riporta il blog, il 54 per cento delle aziende americane abbiano deciso di bloccare l'accesso ai siti del social networking. E adesso non sono solo le aziende a bloccarli, anche svariati dipartimenti di istituzioni accademiche di grande prestigio come Yale, Harvard e Stanford hanno cominciato a stabilire social networking free-zone, aree nelle quali se non esplicitamente proibito, l'uso dei social network è attivamente scoraggiato.

venerdì 24 dicembre 2010

Le emozioni, i dubbi, la rabbia Facebook studia il suo popolo

[La Repubblica 24/12/2010] ROMA - Un milione di pensieri degli utenti passati al setaccio, tra la popolazione di madrelingua inglese. Questa la via scelta da Facebook per provare a disegnare una mappa sociale basata sulle emozioni e gli stati d'animo, attraverso l'analisi dei messaggi di "status" lasciati dagli utenti. Ne viene fuori un quadro complesso che dipinge le correlazioni tra età e sensazioni condivise, pensieri e parole, argomenti che diventano importanti in orari ben precisi. Che delinea un livello di interazione tra individui finora inedito e che esiste perché esiste lo spazio virtuale del social network.

L'analisi. Facebook ha analizzato la correlazione tra età, argomenti e linguaggio utilizzato per esprimerli. E la linea tracciata dai risultati è chiara: i messaggi con contenuti positivi, spiritosi, ironici, raccolgono molti "mi piace": gli utenti cliccano volentieri sul pulsante di apprezzamento, un'approvazione silenziosa in termini di parole ma che crea comunque un volume di interesse. Se invece i messaggi sono di tendenza negativa, pensierosa o più articolata, gli utenti/amici di chi l'ha scritto tendono a commentare ed esprimere più dettagliatamente il loro punto di vista sull'argomento. Mal comune mezzo gaudio insomma, ma in questo comportamento si può leggere una strutturazione più complessa della risposta sociale: ti rispondo per aiutarti, ma anche per aiutarmi e per vedere se qualcun altro scriverà qualcosa che potrà aiutare anche me. Insomma, la
"rete sociale" nella sua realizzazione ideale.

Età e orari. Dal punto di vista dell'età, secondo i dati sono gli utenti più giovani quelli più arrabbiati, e focalizzati sulla propria persona. Nei loro messaggi ci sono più emozioni negative e parolacce rispetto a quelli degli utenti più adulti, che invece tendono a privilegiare argomenti come la famiglia, il lavoro e le vite degli altri: più si sale con l'età, più i pronomi si spostano dalla prime persone alla seconde. L'ora del giorno in cui si accede al network incide anche sulla scelta di argomenti e parole. A notte fonda, verso le 4, l'argomento più gettonato è naturalmente il sonno, mentre il lavoro è ciò di cui si parla prima di andare in ufficio. Quando il cielo è buio, intorno all'una di notte, arrivano le emozioni più negative, mentre all'alba, intorno alle sette, i commenti sono positivi e riflettono l'arrivo della luce. La linea emotiva dei pensieri accompagna infatti l'arco solare, iniziando positiva e esprimendo più negatività mano a mano che il sole tramonta.

Un quadro vivente. Con questa analisi, Facebook ha realizzato un'istantanea animata del campione sociale preso in oggetto, che probabilmente alla luce dei modelli di vita non dissimili, si può estendere all'occidente tutto e non solo ai paesi anglofoni. Sono però dati che rimangono dentro Facebook, e che studiati in dettaglio fuori dal social network potrebbero aiutare a comprendere meglio come vivono le persone, cosa spinge la gente a condividere un pensiero, e se davvero la misurazione della qualità della vita può basarsi ancora su parametri antecedenti alle reti sociali. Sono dati che dimostrano l'esistenza di una umanità che utilizza la tecnologia come ausilio alla socialità, dopo che nella scorsa era, quella della tv, l'aveva utilizzata per isolarsi.
TIZIANO TONIUTTI

martedì 14 dicembre 2010

Il televisore mangia tutto Computer, internet e console

[La Repubblica 14/12/2010]UN TEMPO si diceva televisore, ed era finita lì. Si sapeva bene cosa faceva e a cosa serviva. Oggi no, televisore vuol dire tante altre cose, perché sullo schermo si vede molto altro. Le foto di famiglia, ad esempio, le pagine di un giornale, i siti Internet preferiti, le trasmissioni del satellite, i videogiochi, il digitale terrestre e i film on demand, la posta elettronica e i social network, la radio e la musica. Insomma, l'oggetto che troneggia nel salotto di casa è diventato più largo, più sottile e soprattutto ha cambiato natura.

Tutto è cambiato da quando anche la televisione è entrata nell'era digitale, da quando, semplificando esageratamente, i chip hanno preso il posto del tubo catodico. Del vecchio televisore è rimasto poco o nulla. Sono cresciute le dimensioni degli schermi e si sono ridotte all'infinitesimo quelle delle altre parti, fino a trasformare le tv in futuristiche cornici, dallo spessore millimetrico, che possono elegantemente essere appese al muro come un quadro. Il televisore ha inglobato tutto, lentamente, costantemente, ribadendo il proprio ruolo centrale non solo nel nostro salotto ma, soprattutto, nella nostra vita. Due schermi resistevano, strenuamente, a questa lenta conquista, ed erano quelli del computer e dello smartphone. Entrambi hanno provato a fare il gioco contrario: prendere il contenuto della tv e portarlo dentro le loro trame, e qualche successo lo hanno ottenuto, ma chi produce computer e cellulari non si aspettava che la vecchia televisione fosse in grado di reagire,
potesse improvvisamente rimescolare le carte di un gioco che sembrava già deciso.

La parola magica è "convergenza", nata assieme all'era digitale e arrivata oggi, dopo essere stata annunciata centinaia di volte, davvero nelle nostre case. Tutto "converge" verso il televisore di casa, il telefono, il computer, il cavo, il digitale terrestre, Internet, tutto raccolto in un solo schermo. Fino a qualche anno fa, quando il mondo era analogico, i vari media non potevano essere mescolati, ognuno aveva la sua tecnologia e non c'era verso di mettere insieme, ad esempio, le pagine di un giornale e le onde della radio. Oggi non è più così, perché tutto si è trasformato in bit, e un bit di radio è uguale al bit di un giornale. Il che significa che i programmi televisivi e radiofonici, i giornali, i film, i giochi, possono passare tutti attraverso un unico terminale e finire in un unico schermo, quello della tv.

Il primo passo verso la convergenza lo ha fatto il computer, ed era ovvio che fosse così. La rivoluzione digitale nelle nostre case è iniziata da li, da quei computer sempre più "personal", che hanno iniziato a prendere sempre più spazio nella nostra vita e che, tramite Internet, hanno portato la radio, la tv, i giornali, i libri, sullo schermo del pc. Poi, però, sono arrivati gli smartphone, che hanno provato a fare di più e soprattutto dall'arrivo dell'iPhone in poi, hanno rivoluzionato tutto con le "apps", che ci consentono di fare non tutto ma di tutto. La televisione sembrava destinata a soccombere, a restare confinata in un angolo, toccata solo di striscio dalla diffusione del web, sempre più legata ad un pubblico di anziani, mentre i giovani restavano collegati al web attraverso pc e cellulari. Cosa è successo, cosa ha cambiato le carte in tavola, cosa ha portato improvvisamente la vecchia tv a riconquistare il suo spazio? Anche la tv è diventata digitale: abbandonate le vecchie frequenze analogiche, in Europa come negli Usa, tutta la tv ha iniziato a vivere di bit. E, visto che di bit si tratta, era naturale che qualcuno pensasse di metterli insieme, sullo schermo della televisione.

I produttori di televisioni si sono mossi immediatamente, offrendo una ampia gamma di televisori che si collegano alla Rete e che sono in grado non solo di ricevere i segnali della nuova televisione digitale, ma anche quelli del Web, tramite moltissime "apps" pensare apposta per la tv, con contenuti spesso sorprendenti, come quelli dei giornali. E anche Repubblica ha realizzato la propria app, per far arrivare le notizie in diretta sui nuovi televisori "connected".

Questi televisori si collegano a Internet via cavo, tramite una presa Ethernet, o in wi-fi. I contenuti e i servizi di cui è possibile fruire su una "connected tv" sono di vario tipo, si va dalla visualizzazione di notizie e informazioni alla navigazione web, dalla videoconferenza via Skype o videosorveglianza fino alla riproduzione in streaming di film, anche in alta definizione, presenti sul proprio pc o direttamente dalla rete, su YouTube o disponibili attraverso servizi di vendita o noleggio online, ricette, giochi, contenuti per bambini ed esercizi per il fitness, un po' di tutto, insomma. Poi si sono attrezzati i produttori di console per videogiochi, la Microsoft, la Sony e la Nintendo, trasformando le loro macchine in centrali multimediali in grado non solo di far giocare gli adolescenti, ma di far vedere film e tv ai genitori.

E quindi sono arrivati i grandi operatori del mondo digitale che hanno scoperto che lo schermo del computer o quello del cellulare non erano abbastanza grandi per stare in salotto e che le nuove tv servivano bene al loro scopo. Lo ha fatto la Apple, presentando la sua Apple Tv qualche settimana fa, lo ha annunciato Google, che proporrà tra breve la sua Google Tv, Yahoo nel frattempo ha preparato "apps" e "widget" attraverso le quali distribuire anche i propri contenuti, dimostrando che il mondo di Internet è più che interessato a conquistare spazio nei nuovi televisori. "E' un mercato per noi importantissimo", dice Arlo Rose, direttore dell'area "connected tv" di Yahoo!, "stiamo portando una grande varietà di contenuti e servizi della Rete direttamente nel salotto degli utenti, incorporando il video on demand, i social network, i giochi, lo shopping online, e rendendo più semplice per i telespettatori personalizzare il proprio consumo televisivo. Stiamo cambiando le regole del gioco".

Per il futuro già si parla di standard comuni per le tv "connesse", Loewe, Philips e Sharp lo hanno già annuciato, come sottolinea Stefano Borgognoni amministratore di Loewe Italia: "E' una novità che allargherà molto lo sviluppo di nuove applicazioni e di nuovi canali, facendo diventare queste televisioni sempre più utili per molte cose, non solo per guardare programmi, ma anche per acquisti, interattività, giochi". Ne è convinto anche Paolo Sandri, vicepresidente della divisione audio-video di Samsung Italia: "Aumenteranno le possibilità d'interazione con lo spettatore, i nuovi televisori diventeranno sempre più centrali nella vita quodidiana". E accanto a loro ci sono Lg, Sony, Panasonic: gli analisti prevedono che nel giro di 5-6 anni tutti i nuovi televisori avranno il collegamento alla rete e che per il 2015 la maggior parte delle case sarà dotata di una "connected tv".

Del resto i numeri parlano chiaro: il pubblico della tv tradizionale è in ritirata, è diventato sempre meno numeroso e sempre più vecchio, mentre il pubblico di Internet, più numeroso e più giovane, è alla ricerca di contenuti video sempre più interessanti, da vedere al di fuori delle regole del vecchio palinsesto, con piena libertà di orari e di scelta. E' per intercettare questi nuovi spettatori, pronti a sostituire i vecchi, che la tv sta cambiando, si confonde con la rete, prova a diventare più "social", più interattiva, più personalizzata, abbandonando innanzitutto il vecchio palinsesto. "La vera innovazione è rappresentata da quello che gli anglosassoni definiscono "mash-up", l'incontro tra i tradizionali palinsesti lineari ed i contenuti on demand, permesso dal collegamento dello schermo con le reti a banda larga", sottolinea Marco Ghiglioni, direttore generale di Telecom Italia Media, ed è proprio in questo territorio "ibrido" che possono nascere gli esperimenti più interessanti. Come quello di qualche giorno fa, la diretta su Facebook di "Le invasioni barbariche", il talk show di Daria Bignardi.

E gli artisti, cosa pensano di questo "schermo unico" che sta per inglobare tutto? "Gli artisti sono sempre stati multimediali", dice Jovanotti, "ma la cosa bella di questa epoca è che gli spazi si espandono bel oltre il luogo fisico", Da sempre interessato alle nuove tecnologie, primo artista al mondo ad essere su Ping, il social networkl della Apple, sempre impegnato sul fronte del video in maniera creativa, Jovanotti non teme le nuove tecnologie: "Sfido chiunque a non entusiasmarsi per i nuovi media, chi non si entusiasma è solo per timore del nuovo. Una cosa positiva è che nessun nuovo media cancella quelli passati ma si aggiunge, espande, rilancia". Lo schermo unico, quello del grande televisore in salotto, digitale, multimediale, interattivo, prova a catturare l'attenzione di una generazione che fino ad ora lo ha snobbato, preferendo comunicazioni mobili, veloci, leggere. "Si, l'iPad, la consolle Wii e i nuovi videogame stanno introducendo nuovi sistemi di navigazione che superano strumenti come il mouse e il joystick e il futuro è nel 3D e nei suoi sviluppi", aggiunge Jovanotti, "Credo nell'immersione all'interno dello spazio digitale con tutto il proprio corpo. Non è la realtà virtuale che si pensava in passato, quella con gli occhiali per intenderci, ma l'animazione dello spazio reale, la sovrapposizione della rete e della realtà, credo che ne vedremo delle belle".
ERNESTO ASSANTE

Social network per studenti: Edmodo

[trackback 14/12/2010] Tra i social network per studenti un posto molto importante è occupato da Edmodo. E’ un’applicazione web che si configura come un portale di “social learning“, un luogo virtuale nel quale condividere appunti e risorse per gli studi, che possono essere utili ad amici, compagni di classe e colleghi di università. Il servizio web è molto apprezzato soprattutto negli Stati Uniti, dove fin da subito è stato accolto molto bene. In Italia non c’è ancora una presenza massiccia da parte degli studenti, ma le potenzialità del portale web social sono molte e presto la situazione potrebbe cambiare.


Edmodo è dedicato sia agli studenti che agli insegnanti, perché integra delle funzionalità diverse a seconda della tipologia dell’utente che effettua la registrazione, proprio come succede con altri strumenti online come Schoology, un altro social network dedicato a studenti e insegnanti.

Comunque il progetto su internet è molto valido perché diventa un vero portale di e-learning collaborativo, dato che ha al suo interno strumenti dedicati agli studenti, che potranno facilmente condividere appunti, lezioni, note, collaborare con gli amici per la risoluzione di problemi e per la discussione di argomenti relativi al programma scolastico.

Gli insegnanti inoltre possono avere ulteriori strumenti per diffondere il programma delle lezioni o per realizzare dei sondaggi ai quali gli studenti potranno rispondere. Tutto questo quindi fa del portale un sito internet web 2.0 nel quale è la condivisione ad avere un posto privilegiato. Anche questo social network è una valida alternativa a Facebook per le esigenze che riguardano il mondo della scuola.

Social plugin: strategie e consigli

[Redomino Labs 14/12/2010]

L'esplosione di Facebook e Twitter non accenna a fermarsi, facendo così del social networking il nuovo paradigma del web.
Si potrebbe pensare che l'inserimento di bottoni sociali, come il "Mi piace" di Facebook e quello per la condivisione su Twitter, sia da ricondursi al tentativo di aggiornare i siti web a una nuova concezione del web. Vero, ma non è solo una questione di tendenza o moda.

Il social media marketing b2c e il buzz marketing infatti si basano sulla consapevolezza che la viralità di un contenuto è determinata anche dal passaparola tra contatti e dalla visibilità sui social media.

Una buona strategia da seguire per ogni contenuto è:

  • integrare il "Mi piace" di Facebook: si tratta di uno strumento facile da incorporare e che consente ai 500 milioni di utenti del social network di consigliare una pagina web ai propri amici, con un clic veloce e non impegnativo. Cliccando il tasto "Mi piace", sul vostro profilo Facebook e sullo stream dei vostri amici verrà visualizzato automaticamente il vostro gradimento per questo articolo: provate!
  • inserire il tweet button di Twitter: anch'esso è facilmente incorporabile nel proprio sito internet, magari vicino a un articolo, un comunicato stampa o a un prodotto, e consente agli utenti di Twitter di segnalare l'apprezzamento per il contenuto. Se volete provarlo, ecco a voi il tasto per twittare questo articolo sullo stream dei vostri contatti.
  • inserire il Linkedin button: si tratta di una novità di Linkedin. Serve per condividere su LinkedIn, il popolare social network per professionisti, articoli interessanti dal punto di vista lavorativo. Provate a cliccare qui per vedere come funziona! Share1
  • valutare l'idea di inserire uno strumento per mandare un contenuto via email ai propri amici: tale strumento non è particolarmente innovativo, ma genera alti tassi di conversione. Se un utente segnala qualcosa su un social network, esso può essere di interesse collettivo; se invece lo manda via mail a una persona significa generare una visita ancora più attenta e sicura ("se il mio amico mi ha mandato il link a questo prodotto significa che è proprio ciò che fa per me");
  • inserire bottoni che permettano la veloce condivisione su Delicious, il social network per la condivisione di link interessanti, e su altre piattaforme.

Quando si parla di social media, bisogna considerare che si tratta di mezzi di diffusione rapida e virale:

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  • Una recente ricerca della CNN sui social media ha riferito che l'87% dei contenuti è veicolato dal 27% dei suoi lettori tramite i social network.
  • La condivisione aggiunge valore al contenuto: l'utente infatti lo arricchisce di un gradimento, lo consiglia, lo ritiene importante per i suoi contatti.
  • Su Facebook ma soprattutto su Twitter si tende ad aggiungere persone con interessi affini ai nostri, quindi è altamente probabile che ciò che ha segnalato un amico sia anche di mio gradimento: non a caso la stessa ricerca sui social media conferma che, rispetto a una pagina web trovata per caso, abbiamo il 27% di probabilità in più di trovare maggiormente interessante un contenuto condiviso da un amico.
  • La diffusione di un contenuto sui social network aumenta la reputazione del contenuto stesso o di chi l'ha prodotto. Per questo i social network restituiscono spesso quella che viene chiamata Return On Influence (in qualche modo contrapposto al Return On Investment classico): il social network fa circolare un prodotto, un brand, un contenuto, rendendoli più trendy e interessanti rispetto ad altri.

Cosa succede se non si integrano i pulsanti sociali nelle proprie pagine web? Si rinuncia a quelle comodità che facilitano l'utente nella condivisione rapida e virale dei contenuti.

  • L'utente, che sta iniziando ad abituarsi alla comodità di condividere con un click, deve prendere manualmente l'url, metterla sul social network, eventualmente accorciarla per Twitter (ricordiamo che il limite per ogni tweet è di 140 caratteri) e condividerla.
  • L'utente deve aprire la casella di posta elettronica, magari effettuando il login, copiare e incollare il link, e solo a quel punto può inserire il nome del destinatario.
  • L'utente può avere l'impressione di trovarsi su un sito vecchio, non aggiornato, e quindi ne va della reputazione del brand.

Quanti di voi hanno già adottato questa strategia? Che consigli avete per migliorarla?


Ludovico Spagnolo

lunedì 13 dicembre 2010

"Comunicazione e media" del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese (2010)

[ Comunicazione & Media 13/12/2010] Il 3 dicembre scorso è stato presentato il 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Nel capitolo “Comunicazione e media”, emerge che il futuro di Internet dipenderà dal modo in cui verranno sciolti due nodi rimasti irrisolti: i problemi di sicurezza delle transazioni on line e la questione riguardante la totale gratuità o meno dei contenuti reperibili in rete. Al momento solo il 43% degli italiani che utilizzano Internet si dice pienamente fiducioso in merito alla sicurezza delle transazioni (per il 5% sono del tutto sicure, abbastanza sicure per il 38%): un dato nettamente più basso del 58% medio rilevato a livello europeo. Molti gli utenti che hanno incontrato problemi legati alla navigazione in Internet. Il 64% lamenta di ricevere una quantità eccessiva di spam, al 58% è capitato di essere infettato da un virus informatico, l’8% si è imbattuto in incidenti relativi alla violazione della privacy, il 3% denuncia problemi legati alla sicurezza dei minori, il 2% è stato vittima di phishing. Tra le principali precauzioni adottate c’è quella di evitare le transazioni finanziarie on line (e-commerce, e-banking, ecc.), come dichiara il 55% degli utenti (un dato più alto di quello medio europeo, pari al 42%). Venendo al secondo nodo irrisolto, secondo una indagine del Censis per il 64,2% degli utilizzatori di Internet la forza della rete sta nella piena libertà dell’utente, che verrebbe compromessa dalla richiesta di pagamenti per l’accesso ad alcuni siti. L’11,8% sostiene che dovrebbero essere Google e gli altri aggregatori di notizie digitali a condividere i loro profitti con i produttori dei contenuti, dal momento che grazie alle inserzioni pubblicitarie monetizzano il traffico generato proprio da quei contenuti. Il 24% è invece favorevole al superamento dell’opzione «tutto gratis»: il 14,9% si dice disposto ad accettare il pagamento da parte dell’utente dei contenuti di informazione reperibili sul web attraverso il meccanismo dei micropagamenti, mentre il 9,1% si dimostra consapevole che la garanzia della libertà di informazione dipende anche da bilanci sani degli editori, che dovrebbero poter trarre qualche profitto dalle versioni digitali del loro lavoro.

Un dato interessante che emerge riguarda il ruolo dell’editoria digitale. Le previsioni individuano che la quota di mercato dei libri digitali triplicherà quest’anno, passando dallo 0,03% allo 0,1%, per un valore di oltre 3,4 milioni di euro. Si registra anche una forte crescita delle vendite di libri on line: +94,4% tra il 2006 e il 2009, +11,9% tra il 2008 e il 2009, con ricavi superiori a 100 milioni di euro. Anche i primi mesi del 2010 sono positivi: rispetto al giugno del 2009, le librerie on line fanno registrare un incremento dell’attività del 24,5%. Nel 2009 i libri elettronici pubblicati sono stati 685, per un totale di 2.257 opere disponibili sul mercato. I dati al settembre 2010 mostrano una produzione pari a 945 titoli (+38%), raggiungendo così un totale di 3.202 titoli elettronici disponibili nel nostro Paese (+41,8%). D’altra parte, gli utenti Internet rappresentano per alcune testate giornalistiche una significativa percentuale del totale dei lettori: il 19,6% per la Repubblica, il 18,2% per Il Sole 24 Ore, il 15,1% per il Corriere della Sera.

L’accelerazione tecnologica e l’evoluzione dei media rendono la triangolazione «famiglie, minori, media» sempre più complessa. Il 18,2% dei minori utilizza il Pc da solo in casa. Le differenze tra i bambini e i ragazzi di 3-17 anni dovute al titolo di studio dei genitori sono molto forti: ha usato il Pc negli ultimi 3 mesi il 64,9% dei bambini e dei ragazzi con almeno un genitore laureato rispetto al 34,6% di quelli con genitori con al massimo la licenza elementare. I bambini e i ragazzi con genitori con titoli di studio bassi sono svantaggiati sia nell’uso a casa sia nell’uso combinato casa-scuola, a dimostrazione del fatto che la scuola non riesce a colmare il profondo divario dovuto a uno svantaggio sociale.

sabato 11 dicembre 2010

Treviso, ecco Qwert: il social network protetto per i ragazzi

[La tribuna di Treviso 11/12/2010]TREVISO. Nasce in città il primo social network destinato agli studenti dagli 11 ai 14 anni. Il suo nome è «Qwert», da da lunedì consentirà di mettere in rete fra loro i 2.500 ragazzi delle scuole medie di Treviso. L'idea è di Usl 9 e Comune, che vogliono offrire ai giovani una piazza virtuale protetta ed educativa. Al progetto hanno già aderito 250 studenti. Nome non casuale. «Qwert» è la sequenza delle prime lettere in alto a sinistra sulla tastiera del pc.

Per assonanza ricorda «cuerta», la coperta in dialetto, fino ad evocare il buon Linus. Il social network vuol essere un ambiente virtuale protetto. Per accedere ogni famiglia deve sottoscrivere una liberatoria da consegnare a mano alla scuola, che provvederà con il distretto sociosanitario 1 a rilasciare la password di accesso a www.myqwert.it.Qesto per essere certi dell'identità dei giovani utenti. Potranno iscriversi alla rete solo i ragazzi delle medie di Treviso, a differenza del più globale Facebook. Un team di educatori, psicologi, assistenti sociali e operatori sociosanitari seguirà i ragazzi in rete per aiutarli a popolare di contenuti il network.

I ragazzi avranno un loro profilo, potranno aderire a gruppi, partecipare a discussioni, caricare immagini e video, proporre e realizzare concorsi, segnalarsi reciprocamente eventi e iniziative in città. Affiancate ad attività in classe gestite da insegnanti e operatori per aiutare gli studenti al corretto uso della piattaforma, ma anche per promuovere le «abilità di vita» descritte previste dall'Oms: creatività, pensiero critico, capacità di relazione, empatia, gestione delle emozioni. Fra gli obiettivi anche il rispetto delle regole: eventuali anomalie nell'uso del network potranno essere segnlate dagli stessi utenti. Il progetto nasce dalla collaborazione fra l'assessorato al sociale del Comune e l'Usl 9, con il distretto socio sanitario 1 diretto da Enrico Di Giorgi. Supporto economico del Lions club Treviso Sile, tenico di H-Farm.


L'ufficio scolastico di Treviso lo condivide, e la polizia postale del veneto ha impresso il suo «timbro di sicurezza». E' costato 45 mila euro: 21 mila forniti dal Lions, 12 dal Comune e 11 da «H-Farm». «Vogliamo iniziare a dialogare con i giovani utilizzando i loro strumenti di comunicazione - spiega l'assessore Mauro Michielon. «E' un progetto sperimentale - aggiunge Claudio Dario, direttore generale dell'Usl 9 - domani potrebbe estendersi a tutta l'Usl 9». Ovvero a 10 mila preadolescenti. «Qwert non vuole sostiursi a Facebook, ma affiancarlo - spiega Riccardo Donadon di H-Farm. La promozione del network, ora, nelle scuole e sui bus.

giovedì 9 dicembre 2010

Social network per studenti e insegnanti: Schoology

[09/12/2010]Schoology è un social network dedicato a studenti e ad insegnanti. Il servizio web si configura come uno strumento a metà tra un portale social e una web application dedicata all’e-learning, un’innovazione che negli ultimi tempi sta ottenendo sempre più importanza anche nel nostro Paese. Il servizio online consente al docente di creare uno spazio personale riservato alla propria classe. In questo modo ogni studente avrà la possibilità di iscriversi al gruppo e partecipare alle attività che ogni insegnante può organizzare online, sfruttando gli strumenti social offerti da Schoology.


Abbiamo visto recentemente delle alternative a Facebook molto interessanti tra i social network presenti attualmente sulla rete. Ci sono strumenti online di questo tipo adatti a tutte le esigenze degli utenti, come Thounds, social network dedicato interamente alla musica.

Anche Schoology è un social network interessante, per il fatto che riesce a mettere a disposizione dell’amministratore tante funzionalità utili per il lavoro degli insegnanti. Mentre un docente può effettuare l’iscrizione al portale per creare una classe, ogni studente potrà accedere attraverso un codice, per associarsi al gruppo già creato.

L’insegnante potrà in questo modo specificare un elenco delle prossime lezioni da effettuare, creare degli esercizi e dei test online da sottoporre agli studenti, predisporre tabelle e schemi con i nomi di ogni studente, ai quali associare commenti o indicazioni particolari. Tutto all’insegna del web 2.0.

Naturalmente l’insegnante potrà anche condividere con la classe link, immagini relative alle lezioni o suggerimenti sugli argomenti da studiare. Oltre a rilasciare vere comunicazioni di servizio sulle attività da svolgere in aula.

Utilizzo di strumenti web 2.0 per il coinvolgimento dei cittadini

[Lab4 Blog 09/12/2010]

Negli ultimi due anni sono sempre di più le Amministrazioni che si affacciano sui social media per provare ad instaurare un rapporto di dialogo con i propri cittadini, ma perché questo dialogo divenga realmente efficace è necessario un cambiamento culturale ed attitudinale nel settore pubblico nella capacità di utilizzare in modo più efficace questi strumenti ed impegnarsi attivamente con i cittadini via Internet, o come viene chiamato oggi il Gov 2.0.

Le moderne tecnologie e strumenti di comunicazione devono essere integrate in maniera forte nell’attività quotidiana di governo e gestione della Pubblica Amministrazione per realizzare a pieno tutto il loro potenziale e creare un nuovo dialogo fra cittadini e Amministrazione non più basato su un rapporto di sudditanza ma su uno scambio paritario.

Prendiamo ad esempio il rilascio in forma aperta dei dati in possesso delle Pubbliche Amministrazioni, questa politica di gestione delle informazioni, è un grande segnale di apertura, trasparenza e coinvolgimento e se anche oggi rappresenta un grande sforzo a lungo termine consentirà una gestione più facile ed efficiente dei dati delle amministrazioni rispetto a quella attualmente in corso.

Il Gov 2.0 o l’Open Governement fa riferimento a tre pilastri fondamentali ovvero la democratizzazione dei dati, i servizi incentrati sui cittadini e il governo come forma di partecipazione la più ampia possibile. Tenendo a mente i tre elementi chiave appena illustrati credo che i social media possano fornire una buona piattaforma per quello che la Pubblica Amministrazione può dare ed ottenere applicando le tecnologie innovative e le nuove metodologie di comunicazione.

Le Amministrazioni che intendono coinvolgere realmente i cittadini, utilizzando gli strumenti online per ampliare il normale processo di consultazione devono creare un processo veramente aperto, accessibile, trasparente e collaborativo che si concretizzi in un sistema di consultazione costante dei cittadini attraverso lo strumento dei social media.

Il coinvolgimento attraverso lo strumento dei social media è un ottima opportunità per rappresentare diversi punti di vista e raccogliere una vasta gamma di competenze, in particolare sui temi di maggiore attualità ed interesse.

Il nostro sistema legislativo già prevede molti meccanismi formali per la partecipazione ai processi di governo, ma credo che creare un luogo online dove discutere in maniera diretta sia di grande interesse per il pubblico e per chi governa una collettività.

Attraverso questi strumenti tutte le persone sul territorio possono partecipare e impegnarsi allo stesso modo dando il loro contributo al governo del territorio.

Ma se un Comune volesse realizzare un sistema del genere come dovrebbe agire? Nelle righe che seguono, cercherò di dare alcune indicazioni su come costruire un sistema che consenta il pieno coinvolgimento dei cittadini e come rendere tale coinvolgimento proficuo per chi gestisce la Pubblica Amministrazione e per i cittadini.

Il primo aspetto fondamentale da tenere in considerazione è non solo la progettazione del sistema di coinvolgimento, ma anche la ricerca di quali saranno i potenziali interlocutori.

  1. Obiettivi Qualsiasi progetto parte dalla definizione di quali sono gli obiettivi che si intende raggiungere. Nel caso della creazione di un luogo di dialogo e partecipazione online ciò è ancora più determinate poiché le persone saranno spinte a partecipare se il risultato che si intende realizzare è chiaro, coerente e ben definito.
  2. Individuare chi è interessato. Capire quali sono le persone e i gruppi interessati al coinvolgimento. Combinare in maniera adeguata competenze, esperienze e opinioni è importante, per rendere il dialogo ricco ed interessante per ogni interlocutore e per fornire ritorni all’Amministrazione. Inoltre le persone devono essere rassicurate circa il fatto che i loro contributi saranno valutati tutti in egual maniera. Questa ricerca andrebbe fatta attraverso iniziative o gruppi già attivi sul territorio
  3. Progettazione partecipata. Se l’obiettivo è il coinvolgimento e la partecipazione, è bene che questa ci sia fin dall’inizio. Lavorare e costruire il luogo virtuale di dialogo in collaborazione con le parti interessate consentirà di affinare il processo di partecipazione, evitare errori e migliorarne la qualità.
  4. Lancio – Aprire la fase di coinvolgimento e consultazione esortando le comunità di riferimento individuate precedentemente a diffondere la notizia. In questa fase è fondamentale non solo avere approntato tutti gli strumenti necessari a consentire il dialogo online ma anche aver preparato la documentazione del progetto, che deve dare ai cittadini un visione chiara della consultazione in modo che possano fidarsi abbastanza da voler partecipare.

Superata la fase di avvio è fondamentale porre massima attenzione allo sviluppo del coinvolgimento.

  1. Discussioni Incoraggiare i partecipanti a discutere fra loro, essere sempre pronti a raccogliere gli spunti di tutti e a rispondere alle idee ed ai feedback.
  2. Incoraggiare i contributi Incoraggiare la gente a inviare idee, proposte e feedback, cercare di costruire collegamenti con altri soggetti in rete attivi sugli argomenti oggetto della partecipazione, per arricchire l’iniziativa con idee e spunti sempre interessanti ed attuali.
  3. Costruire eventi live Realizzare degli eventi live, siano essi in un posto fisico o sulla rete non è importante, questo farà si che le persone sentano un senso di appartenenza alla comunità che si è sviluppata e cresce intorno alla consultazione.

Dopo essere riusciti a coinvolgere le persone è fondamentale consolidare il gruppo di partecipazione per non disperdere il tesoro di conoscenza e competenze che si è accumulato.

  1. Pubblicazione dei dati Rendere pubblici nel più breve tempo possibile tutti i dati che si hanno a disposizione. Il registro dei post su Twitter o Facebook, i commenti raccolti, le mail ed ogni altro contributo, per rendere le persone partecipi degli sviluppi della discussione. In questo modo le persone rifletteranno sulle informazioni e genereranno nuovi feedback andando così ad alimentare ulteriormente la discussione.
  2. Utilizza un wiki Crea un progetto che raccolga tutte le idee che scaturiscono dalla consultazione e pubblicalo su un wiki in modo che anche questo elemento accresca il senso di partecipazione e coinvolgimento. promuovi regolarmente il wiki ed incoraggiane un uso attivo.

Le indicazioni raccolte fin qui possono essere utilizzate tanto per costruire un processo di coinvolgimento intorno ad un progetto specifico quanto per costruire un luogo di partecipazione e dialogo continuo in cui i cittadini esprimono le loro idee sapendo di essere ascoltati dall’Amministrazione.

Ritengo sia fondamentale affiancare al coinvolgimento online anche un coinvolgimento più tradizionale, di persona, questo può aumentare la volontà di partecipare da parte delle persone.

Per migliorare il risultato di questo tipo di consultazioni è fondamentale la collaborazione con alcune delle persone più appassionate sugli argomenti, queste creeranno un valore incredibile partecipando e saranno in grado di attrarre tante nuove persone.

domenica 5 dicembre 2010

L'informazione 3.0 sale in cattedra al via il progetto OpenJournalism

[La Repubblica 05/12/2010] Il giornalismo universitario interpretato attraverso il social networking: questa la filosofia alla base del progetto OpenJournalism, un nuovo ambiente informativo/partecipativo che sarà operativo nelle prime settimane del 2011. Si tratta dell'evoluzione della webzine CircÓs, osservatorio giornalistico online sul mondo dell'Università, all'interno del portale ThePrimate realizzato da Xoolab - giovane realtà nel settore dell'ICT - e da Più Srl, spin-off della Fondazione Crui. Attraverso questa implementazione, dunque, la piattaforma web - rinnovata nei contenuti e nel design - si aprirà ai contributi della community universitaria che gravita intorno al portale, con l'obiettivo di creare un ambiente "open" in cui poter condividere informazioni con tutti grazie alle nuove tecnologie.

Twitter docet. Un progetto complesso che si basa sull'architettura del web-semantico e sulle regole del social networking, strizzando l'occhio alle 5W del giornalismo, come spiega Giuseppe Laquidara, fondatore di Xoolab e responsabile di OpenJournalism: "Il nostro vuole essere un laboratorio 'social'di giornalismo per creare contenuti di cronaca universitaria e condividerli attraverso le tecnologie utili per la diffusione delle notizie: in primis Twitter, che rappresenta uno dei nostri pilastri, ma anche LinkedIn e Flickr". Il tutto cercando di sfruttare appieno le potenzialità del giornalismo partecipativo: la valutazione incrociata della veridicità delle informazioni, l'abbattimento delle censure
e la partecipazione attiva degli utenti per stimolare approfondimenti.

Dalle facoltà alle redazioni. Il mondo giornalistico e quello universitario sono più vicini di quanto non si pensi: gli atenei rappresentano, da sempre, una palestra per giornalisti in erba che si sono fatti le ossa scrivendo sul "giornalino" della propria facoltà prima di approdare nella redazione di un giornale "vero". Ora, con OpenJournalism, questa attività di "training on the job" potrà avere maggiore visibilità, come sottolinea Laquidara: "Nelle università ci sono una marea di testate locali di piccolo calibro e il giornalismo ha una radice storica negli atenei: vogliamo aprire le porte agli universitari per creare insieme a loro un archivio ampliato di informazioni da condividere".

Folksonomia e fattore umano. I principi base sui quali si fonda il nuovo progetto sono quelli che contraddistinguono la piattaforma ThePrimate fin dalla sua nascita - social, condivisione, rating, reputation - interpretati però in chiave innovativa, per esempio attraverso la folksonomia: gli articoli inviati saranno sottoposti al giudizio da parte della community secondo regole fatte dai fruitori del sito (una sorta di "autovalutazione" allargata dei propri lavori, ndr) e riceveranno un indice di gradimento. Inoltre ci sarà una redazione ad hoc che dialogherà in tempo reale - attraverso forum, chat e instant messaging - interagendo con gli utenti del portale, dando spazio alle tante sfumature del "fattore umano" che spesso sfuggono alla fredda logica delle macchine.

Informazione e contestazione. Un altro aspetto del progetto di web-giornalismo, legato all'attualità della protesta studentesca, è rappresentato dalla possibilità di moltiplicare le occasioni di incontro e agire da cassa di risonanza per la contestazione e le voci "non allineate" presenti negli atenei. Pubblicare informazioni senza censura e cercare insieme le chiavi interpretative per spiegare le ragioni del conflitto, rilanciare sul web iniziative pubbliche, promuovere discussioni collettive sulla Rete: tutto questo sarà possibile in un unico ambiente online open source.

Non solo testo. I materiali pubblicati su OpenJournalism, in linea con la natura multimediale del portale ThePrimate, non saranno solo testuali: porte aperte a video "fai-da-te" realizzati con il telefonino, fotonotizie in digitale, file audio e link a ipertesti presenti sulla Rete. Il tutto andrà a creare un grande "repository" giornalistico aperto: un deposito online dove gli utenti autoarchiviano i materiali che via via caricano sul portale, in modo tale che siano immediatamente visibili, ricercabili e utilizzabili dalla community. E l'informazione universitaria 3.0 sale in cattedra.

MANUEL MASSIMO