mercoledì 20 novembre 2013

Adolescenti ‘app-generation’, sempre meno capaci di scrivere

[Ansa.it 18/11/2013]
Rispetto agli adolescenti degli ultimi venti anni i ragazzi 'app-generation' di oggi hanno una grande quantità di mezzi digitali e dimostrano di avere un livello superiore di creatività nelle arti grafiche e visive ma, di pari passo, zoppicano nella scrittura che, negli anni, si è appiattita, ha perso sfumature, è diventata più semplice e banale. Lo dimostrano i ricercatori della University of Washington e della Harvard university che hanno analizzato 354 campioni di arti visive e 30 esempi di scrittura creativa degli adolescenti americani, confrontandoli con ciò che creavano e scrivevano i ragazzi delle precedenti generazioni a ritroso fino al 1964. Lo studio sarà pubblicato a dicembre su Creativity research journal. "I giovani oggi dimostrano di sapersi giostrare meglio nell'uso dei mezzi informatici per la produzione di disegni e arti visive dimostrando un alto livello di sofisticazione e complessità nei loro lavori, insieme ad un uso più ridotto delle illustrazioni a penna" spiega Katie Davis, coautrice del libro 'The App-generation" uscito a fine ottobre, e direttore dello studio. "Al contrario la scrittura negli ultimi 20 anni è diventata più convenzionale, con un trend di appiattimento, mancanza di sfumature e maggiore banalità, con un linguaggio più semplice".

I ricercatori evidenziano che negli anni osservati c'è stato un aumento notevole dell'innovazione in ambito dell'arte digitale e i ragazzi della 'app-generation' hanno molti strumenti in più per la produzione artistica creativa. "Rimane una questione aperta se il declino nelle capacità letterarie sia la conseguenza di questa grande offerta di mezzi digitali negli ultimi 20 anni. La questione andrebbe approfondita meglio e merita più attenzione" ha precisato Davis.

La costruzione dell'identità e i social network

[Huffington post Italia 18/11/2013]
Usare e "stare" sui social network ha amplificato il mio radicato interesse per il tema della costruzione e percezione dell'identità. Come molti, anche io mi sono chiesta perché tutto questo successo dei social? Perché siamo tutti lì a dire cosa abbiamo mangiato, dove siamo andati in vacanza e cosa sogniamo? Perché far sapere agli altri i nostri gusti musicali? E perché questo compulsivo bisogno di condividere?
Gran parte di questo successo, mi viene da pensare, è forse dovuto al fatto che sui social media noi possiamo costruire, plasmare e, apparentemente, controllare le nostre identità-plurime. Possiamo diventare supereroi, possiamo esplorare gli aspetti più oscuri della nostra personalità, più o meno in incognito--sempre presunto ovviamente perché, si sa, niente in rete è veramente in incognito.
Su Twitter per esempio, vedo che tra i tanti, tantissimi, che si identificano indicando un nome e cognome (non necessariamente veri) ci sono anche un "buonoanullo" un "lama elegante" un "signor nessuno" un "MisterX", un "Diavolo", un "Dio" una "ballodasola", una "solostronza" e una "corposenzatesta". Giusto per citarne qualcuno. Una bella signora sposata, si definisce così: "fighting 40+, UK" e posta foto più o meno porno con o senza lingerie (il suo modo di contrastare la crisi d'identità che accompagna la pre-menopausa). Ognuno si dedica liberamente a diventare ciò che vuole o che forse non può essere nel quotidiano. Twitter è la trasgressione potenziale, il travestimento drag accessibile, facile e gratuito. Con tanto di flirt, twitt-cottarelle e sesso virtuale.
Pare infatti che Twitter funzioni meglio dei siti d'incontri. Mentana, tempo fa, con il suo annuncio pubblico e pubblicizzato, di cancellarsi da Twitter voleva denunciare proprio il rischio insito nel non doversi necessariamente esporre in prima persona. Con un finto profilo infatti, si può criticare, flirtare, insinuare e offendere chiunque senza rischiare conseguenze concretamente problematiche--tipo una denuncia.
Ci sono quelli che preferiscono Facebook e quelli che preferiscono Twitter. La grande differenza, la maggiore direi, tra i due social è che su FB si tende a modificare l'identità reale. Ovverosia ad imbellire l'io quotidiano, filtrando accuratamente cosa postare e cosa non, quali foto taggare, quali citazioni condividere. In base all'idea che abbiamo dell'io desiderabile (ricco, magro, viaggiatore, politico, pubblico, misterioso, intellettuale, simpatico...) aggiungiamo pezzetti di un puzzle immaginario che ci deve rappresentare così come riteniamo di voler essere.
Al contrario, twitter-che non richiede veri o presunti amici come pubblico, ma predilige gli sconosciuti-si presta meglio a costruire un'identità completamente nuova e spesso del tutto staccata dall'io quotidiano e, attraverso questa, permette di esplorare soprattutto chi poter essere. Non è certo un caso che, sempre più spesso, chi deve assumere del personale, controlli in rete chi o cosa questa persona sia e l'immagine di sé che il candidato vuole dare. E a voler cascare nella trappola del "prima e dopo", prima di questo boom dei social, l'identità veniva costruita attraverso l'album fotografico e i filmini delle vacanze o del matrimonio. Adesso attraverso Linkedin, FB o Instagram e di questi tempi è più pressante e vitale esistere in rete che esistere nella realtà. E penso al famoso adagio: se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, fa rumore? Egualmente, se qualcuno esiste, ma non è visibile in rete, non è contattabile, non è rintracciabile, esiste sul serio?
Il 24 maggio 2012 al New Museum di New York, l'artista Constant Dullaart ha voluto puntare il dito su questo fenomeno in modo provocatorio e ha reso pubblica la password necessaria per accedere al suo account Facebook. Da quel momento, non ha più avuto alcun controllo sul suo diario online. Su questa scia, l'artista tedesco, Tobias Leingruber, ha fondato il Social ID Bureau, un servizio che mette a disposizione carte d'identità basate sulla nostra presenza nei social network. Nato come Facebook ID Bureau e lanciato con una performance a Berlino nel marzo scorso, il progetto ha immediatamente stimolato la risposta legale di Facebook.
E così continuo a perdermi nelle mie riflessioni. Cosa vuol dire, di questi tempi la parola "identità"? E come ci possiamo identificare adesso che anche l'identità è diventata, citando Bauman, liquida? Ma soprattutto, adesso che possiamo non-essere e cambiare chi essere come cambiamo abiti, che rappresentazione del reale cercheremo?
Sasha Perugini

#eJournalism, il 96% dei giornalisti Uk usa i social media per lavoro

[Key4biz 18/11/2013]

Quasi tutti i giornalisti del Regno Unito usano i social media per lavoro, tutti i giorni. E' l'indicazione di un sondaggio compiuto su 589 giornalisti del paese nell'ambito del "2013 Social Journalism Study" curato da Cision e dalla Canterbury Christ Church University, secondo cui il 96% è sui social media ''tutti i giorni'' e il 92% usa soprattutto Twitter.
Un fortissimo aumento rispetto al 70% di due anni e all'80% che l'anno scorso diceva di utilizzare Twitter (Figura 1).

Il 42% loro ritiene che i social media "siano così importanti che ormai non sarebbero in grado di svolgere il loro lavoro senza di essi" , aggiunge il rapporto. [Leggi tutto...]

Le policy sui social media dei giornali italiani: LaStampa.it ha reso diponibile il suo decalogo, si apra un dibattito

[18/11/2013 Lsdi]
Recentemente la Social Media Editor della Stampa, Anna Masera,  ha pubblicato sul suo blog la bozza di social media policy del giornale che risale a gennaio 2012, richiedendo osservazioni e proposte. In effetti la pubblicazione di questo decalogo con tutti i suoi limiti può essere una interessante piattaforma di partenza per discutere del rapporto fra old media, redazioni e social network.
In effetti  parlare di social media policy pare un po’ eccessivo; meglio parlare di regolamento aziendale, di un decalogo per l’ uso dei social media che rende maggiormente fede alla tipologia del documento che sostanzialmente pone delle restrizioni e definizioni di competenza operativi piuttosto che un framework operativo esteso.



di Vittorio Pasteris

La cosa che più balza all’occhio dalla letttura del documento è che l’approccio con il mondo esterno, quello dei lettori, è decisamente poco social. Pare che l’ obiettivo del documento stesso sià più di creare un confine netto fra il mondo della redazione e dell’editrice e quello che sta fuori “dal firewall aziendale”, oppure um metodo per evitare fughe di notizie ed informazioni piuttosto che un galateo sociale di Rete.

Sembrano insomma più le regole di ingaggio di un plotone militare che deve sapere militarmente che fare o non fare, piuttosto  che delle linee guida di condivisione e rapporto con i lettori. Anzi il termine lettori o qualcosa di simile non appare proprio nel testo.

Dando una lettura a quanto proposto dal NYT la differenza è evidente e lascia la discrezionalità al buon senso dei giornalisti

We treat our readers no less fairly in private than in public. Anyone who deals with readers is expected to honor that principle, knowing that ultimately the readers are our employers. Civility applies whether an exchange takes place in person, by telephone, by letter or online.

Analogamente la differenza con quanto propone il Guardian nelle sue pagine è evidente.

Ma almeno La Stampa ci ha provato e ha reso pubblico il suo approccio al problema, sarebbe interessante che ora gli altri giornali old media o nativi digitali dicessero la loro sul modus operardi sui social media.

Il testo del decalogo della Stampa.it:

1) I giornalisti de La Stampa che intendono utilizzare i social networks per conto del giornale saranno inseriti nelle pagine dedicate del sito web. In tale caso La Stampa garantisce assistenza legale, previa adesione al decalogo.
2) I giornalisti de La Stampa sono tenuti a identificarsi come tali se utilizzano i loro profili per lavoro (e non solo per interesse personale).
3) Le notizie vanno date prima al proprio giornale, cartaceo o digitale.
4) Una proposta rifiutata dall’edizione cartacea perché considerata non adeguata alla linea del giornale, manterrà naturalmente la stessa inadeguatezza anche sulle piattaforme digitali.
5) E’ proibito divulgare sui social media notizie che La Stampa non ha ancora pubblicato, non importa in quale formato (per es. anticipare articoli in uscita il giorno dopo in edicola). Fanno eccezione i casi in cui ci sia un’esplicita scelta della direzione di promuovere in anticipo contenuti destinati all’edicola .
6) E’ proibito pubblicare nel proprio profilo materiale di proprietà de La Stampa o confidenziale (per es. lettere aziendali interne, o comunicati del CdR).
7) E’ bene linkare i contenuti de La Stampa, non è bene farne il copia e incolla sulle proprie pagine personali (soprattutto senza link alla fonte).
8) E’ bene tenere presente che tutto ciò che si pubblica su Internet rischia di essere permanente e può essere rintracciato dai motori di ricerca in ogni sua singola parola anche molti anni dopo la pubblicazione.
9) I giornalisti de La Stampa sui social networks devono sapere che qualsiasi informazione personale che rivelano di sé o dei loro colleghi può essere associata al nome della Stampa.
Ormai è risaputo che su Internet niente è davvero privato: quindi bisogna impostare con cura le scelte per la privacy (per esempio su Facebook * ) * Saranno fornite istruzioni a riguardo per chi le richiedesse.
10) I giornalisti de La Stampa devono tenere presente che qualsiasi opinione esprimano sui social networks può danneggiare la reputazione e la credibilità del loro giornale. Si raccomanda di applicare buon senso e professionalità.
E’ bene dichiarare sempre che le opinioni che si esprimono sono personali, ma è bene anche tenere conto che parlare male di chiunque ha sempre conseguenze negative sia per i giornalisti che per la testata. Sono altamente scoraggiati i battibecchi.
Quando si interagisce con il pubblico sui social networks e nello spazio riservato ai commenti nei blog è buona prassi ringraziare quando le critiche sono giuste e rispondere puntualmente a quelle sbagliate per ristabilire la verità, ma sempre con educazione: anche quando gli interlocutori sono a dir poco maleducati.
Nel caso i giornalisti siano vittime di attacchi di “troll”, sono invitati a segnalarlo all’azienda, e – nel frattempo – a ignorarli.

Il social network delle grandi inchieste

[18/11/2013 La Repubblica]
D al tweet al racconto il passo è breve. Almeno per Evan Williams, uno dei quattro cofondatori di Twitter. Il quale, dopo aver fatto una fortuna con il social network della sintesi, ha deciso di andare oltre i 140 caratteri. E insieme al sodale Biz Stone, che lo ha accompagnato anche nell’avventura di Twitter ora abbandonata da entrambi, ha fondato Medium: una piattaforma a metà tra il blog e il social network, che invita gli utenti a produrre e a leggere contenuti più estesi. «Storie che contano - sottolinea Williams decisamente più lunghe di un tweet. Con Medium stiamo provando a creare il luogo ideale per la condivisone di storie e di idee. Contenuti di sostanza, che non possono essere racchiusi in 140 caratteri, e che non sono stati pubblicati solo a uso e consumo degli amici”, come invece accade spesso sui social network». L’idea alla base di Medium, fondato circa un anno fa, è proprio quella di rendere più semplice ed efficace la condivisione di contenuti di maggiore ‘spessore’. E di permettere loro di diventare virali, proprio come accade per le vignette e i memesu Twitter e Facebook. «Su Medium trovano spazio molti argomenti diversi», sottolinea Williams, che della start-up è anche Ceo e l’ha presentata in grande stile con un’ampia intervista al mensile Wired, edizione americana. «Possono esserci post di natura professionale o personale, di fiction o di non fiction. Su Medium ci sono prospettive, idee e persino reportage giornalistici».
Per questo il servizio, invece di raccogliere i post per autore, preferisce un raggruppamento sulla base dei temi trattati. E se da un lato offre un’esperienza utente semplificata, con un’interfaccia minimale che permette l’autopubblicazione in pochi semplici passi , dall’altro mette in campo un’importante limitazione: un algoritmo che valuta la qualità dei contenuti editoriali e l’interesse suscitato negli utenti. Una sorta di filtro che mette in luce i post ritenuti di maggior qualità, a scapito di quelli individuati come di bassa fattura, e che costituisce il vero valore aggiunto del nuovo servizio. A questo si aggiunge una squadra di 40 editor e accordi con vari produttori di contenuti professionali, fra cui Epic, azienda americana che si occupa di trovare storie interessanti da trasformare in libri o film: industrial writer, come li chiama Williams, contrapponendoli a blogger e giornalisti della rete. La rivoluzione cui punta Medium, infatti, parte dalla presa di coscienza che la comunicazione su Internet, oggi, premi più la velocità e la praticità che la profondità. «Molti servizi hanno avuto successo nell’aprire a tutti la possibilità di produrre contenuti e condividerli - aggiunge il Ceo - ma ci sono stati meno progressi nell’innalzamento della qualità dei contenuti prodotti ». Invertire la tendenza non è semplice, ma secondo Williams è più che mai necessario: «Le necessità economiche portano i siti di news ad attirare l’attenzione degli utenti senza preoccuparsi della qualità editoriale». Basta, dunque, con le notizie a base di sesso, sangue e soldi: «Stiamo costruendo un sistema dove i buoni contenuti possono brillare e ad avere attenzione. E c’è un pubblico per idee e storie che fanno leva su qualcosa di più dei desideri di base degli esseri umani». Con Medium, ha precisato ulteriormente il fondatore, «non stiamo tentando solo di creare la piattaforma giusta per la condivisione. Ci sono già altri servizi che danno questa possibilità. Ognuno può crearsi il proprio blog, anche se pensiamo che la creazione di un blog non sia un’attività per tutti. Il buco che cerchiamo di riempire è principalmente sul lato della creazione». E dal punto di vista della creazione di contenuti, la precedente esperienza professionale di Williams è sicuramente d’aiuto. Nel curriculum del quarantenne americano, infatti, spicca, oltre a Twitter, anche la fondazione di Blogger, il servizio per la pubblicazione semplificata di blog, acquistato nel 2003 da Google. Un’evoluzione che sembra tracciare un disegno preciso: Twitter ha aperto la rete a chiunque avesse 140 caratteri da comunicare, Blogger a chi volesse avere una presenza sul web più strutturata. Adesso Medium – il cui nome sembra indicativo – si pone a metà tra i due modelli, fondendo sistema editoriale e social network. Presentando funzioni, come il commento dei singoli paragrafi e l’indicazione del tempo necessario per la lettura, di cui non dispongono nemmeno le più avanzate piattaforme di blog. Una forma di comunicazione che Williams ha contribuito a lanciare qualcuno ritiene che lo stesso termine blog sia stato reso popolare proprio da lui – ma che ai suoi occhi adesso sembrano segnare il passo. «I blog spesso creano una cultura superficiale», dice il Ceo sempre a Wired. «Parte della ragione per cui molti blog di tecnologia sono di cattiva qualità è che le persone che ne scrivono i contenuti non capiscono davvero la materia di cui si occupano. Le notizie, la maggior parte delle volte, sono irrilevanti. E le persone preferirebbero spendere il loro tempo consumando meno notizie e più idee». Tutto il web, nella visione di Williams, è infestato di contenuti di bassa qualità. Ce ne sono sui blog, ce ne sono su tutta la rete. E ce ne sono, a volte, anche su Medium: il servizio, quest’estate, è stato criticato per aver dato spazio a post offensivi, contrariamente all’obiettivo dichiarato. «Anche su Medium abbiamo contenuti di scarsa qualità», ammette Williams. «Ma stiamo lavorando per filtrarli e lasciare spazio a quei grandi contenuti che sono presenti sulla piattaforma e che senza Medium non vedrebbero la luce del sole». Alcune cifre sui due maggiori social network, Facebook e Twitter. Ora si aggiunge Medium per contenuti di qualità.

La storia dell’hasthag: il celebre simbolo di Twitter

[16/11/2013 Pionero Digital Innovation]

Proprio nei giorni in cui si assiste al grande successo della quotazione in borsa di Twitter – il popolarissimo Social Network per il microblogging – Offerpop ha pubblicato una interessante infografica per rendere omaggio alla storia dell’hashtag e delinearne in qualche modo il futuro, dove questo semplice simbolo ricoprirà un ruolo sempre più centrale per definire trends, collegare in tempo reale le conversazioni, l’organizzazione dei dati sociali e il rapporto tra aziende e clienti.
Per  i pochi chi non ne fossero a conoscenza, ricordo che l’hashtag (#) è il simbolo del carattere “hash” (cancelletto, da non confondere con il diesis) utilizzato per creare etichette (tag) finalizzate a facilitare la ricerca dei contenuti nel mondo social.
Questo simbolo, utilizzato in rete per la prima volta per etichettare i gruppi e gli argomenti di IRC (Internet Relay Chat) -  la prima chat web della storia – è poi diventato celebre grazie al suo utilizzo su Twitter, dove da semplice elemento per raggruppare conversazioni o argomenti è diventato il più potente e pervasivo strumento dei social media. Basti ricordare il ruolo fondamentale giocato da Twitter e dall’hashtag #IranElections per denunciare la repressione delle proteste in Iran durante le Elezioni presidenziali del 2009.
L’hashtag si dimostra anche uno strumento perfetto per fare controinformazione, grazie alla sua natura difficilmente controllabile. Sono numerosi i casi di questo tipo di utilizzo dell’hashtag, forse il caso recente più importante di quella che viene definita eterogenesi dei fini del social media marketing italiano è quello della campagna pubblicitaria di Enel guidata dall’hastag #guerrieri.
L’esplosione della comunicazione mobile, che domina con il 60% dei tweet inviati, ha fatto il resto: ad oggi circa il 70% delle comunicazioni fatte sui social contiene un hashtag e un tweet che ne contiene almeno uno ha il 50% di probabilità in più di essere ri-twittato.
Dopo Twitter infatti, Instagram, Google+ e per ultimo Facebook han deciso di adottare l’hashtag come strumento per veicolare e raggruppare le discussioni e le campagne di social media marketing.

Francesco Montanari

Eccovi l’infografica:



Infografica hashtag

martedì 19 novembre 2013

Giovani in rete: iperconnessi, narcisisti e mammoni

[13 novembre 2013 Corriere.it]
Iperconnessi e sempre più narcisisti. Ma, con una caratteristica tutta italiana, legati alla famiglia anche sui social network. È il ritratto degli adolescenti lombardi tracciato dalla ricerca dell’Università Cattolica «Family.tag –Technology Across Generations» condotta su un campione di 693 ragazzi tra i 13 e i 23 anni e 867 genitori.
Ritrovarsi in famiglia su Facebook: potrebbe essere questo il titolo dell’indagine, coordinata da Camillo Regalia, psicologo sociale e da Pier Cesare Rivoltella, pedagogista, e realizzata con l’obiettivo di studiare la presenza e gli effetti dei social network nelle relazioni familiari.
Innanzitutto, l’uso degli smartphone ha reso ancora più diffuso l’accesso a internet e ai social: il 99,1% degli adolescenti intervistati ha uno o più cellulari in famiglia, connessi al web nel 76,3% dei casi. Inoltre, nel 39,5% delle case è presente almeno un portatile e nel 61,9% almeno un pc.
È proprio la rete creata da Mark Zuckerberg il social network più usato dai ragazzi lombardi: l’83% ha un profilo attivo e utilizza Facebook per comunicare con fratelli e sorelle (il 58% dichiara di averli nella rete di amici), con i cugini (85,7%) o con altri parenti (40,2%).
Più controverso il rapporto – anche digitale – con i genitori. Soltanto un quarto dei ragazzi intervistati, infatti, dichiara di aver stretto amicizia sul social con la mamma (25,8%) o il papà (24%). In questo senso, con l’aumentare dell’età diminuisce, come è abbastanza ovvio, il desiderio di aver i propri genitori tra gli amici di Facebook. Anche perché la funzione di controllo spesso svolta dai genitori oltre che nella vita reale anche sulla bacheca dei propri figli inizia a stare stretta.  Lo confermano i dati: nella prima adolescenza,
tra i 13 e i 17 anni, sono i figli a richiedere per primi l’amicizia ai genitori (65% dei casi), mentre con il passare del tempo, la percentuale scende al 40%.
Per quanto riguarda il tempo di connessione, il 55% dei ragazzi naviga da 1 a 3 ore al giorno (lo fa anche il 23,6% dei genitori). L’uso del social è però diverso in molti aspetti. Il più evidente è la scelta dell’immagine del profilo, dove emerge il desiderio degli adolescenti di dare un’immagine di sé che colpisca: il 28% posta una propria foto “artistica”, il 23,3% sceglie un’immagine di sé nella vita quotidiana e il 21,5% si ritrae con gli amici.
Gli scambi su Facebook tra genitori e figli sono comunque limitati. Con padre e madre, precisa Pier Cesare Rivoltella, «il legame sembra debole. Anche se presenti nella rete, i genitori sono raramente emittenti/destinatari di informazioni». Soltanto quando i rapporti familiari sono problematici nella vita reale, i social network diventano uno strumento di comunicazione alternativo e quindi prezioso.  In generale, i genitori vedono i social network più come pericoli che risorse e dichiarano di essere preoccupati dall’isolamento che possono provocare (37,8%), dalla possibilità che i figli ricevano informazioni rischiose (65%). Per questo un quarto di loro dichiara di essersi impegnato per parlare con i figli di cosa è giusto fare o non fare sul web, con particolare attenzione per il divieto di contattare sconosciuti (29,8%). In realtà, la maggior parte dei figli intervistati sostiene di non discutere di questi argomenti con i genitori.
Olivia Manola

lunedì 11 novembre 2013

Adolescenti in Piemonte, il bullismo dilaga anche su chat e social network

[La Stampa.it 07/11/2013]
Torino - Un adolescente su tre diffonde su Internet notizie false e offensive sui coetanei. Uno su cinque ha ricevuto l’invito a far parte di un gruppo nato per prendere di mira qualcuno. Il 14 per cento è stato vittima di un messaggio minaccioso o offensivo.
Nelle chat sempre online e sempre più veloci cresce il rischio del cyberbullismo. I tempi cambiano con la tecnologia nel modo di essere verbalmente e psicologicamente violenti.

L’allarme degli esperti
L’allarme arriva dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte, e i segnali ci sono tutti: un’indagine condotta da Ipsos rivela che il 4 per cento degli intervistati, nella nostra regione, ha addirittura scoperto su Internet una propria immagine imbarazzante postata senza permesso. Il 9 per cento dei ragazzi intervistati, infine, si è visto «rubare» una mail riservata o fatta leggere con fiducia, e ritrovata poi su un profilo pubblico.
«Il dato più sconcertante - spiegano le dottoresse Alessandra Simonetto e Patrizia Cavani, presidente e segretaria dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte - riguarda i pericoli percepiti dai ragazzi: il 72 per cento dei giovanissimi riconosce oggi nel cyberbullismo la più grande minaccia da cui difendersi. E questa «aggressione», che può giungere in ogni momento e in qualunque luogo attraverso i nuovi mezzi tecnologici, viene ritenuta più pericolosa della droga (55%), del rischio di subire una molestia da un adulto (44%), o della possibilità di contrarre una malattia sessualmente trasmessa (24%)». Nel tritacarne delle chat si diventa vittime soprattutto perché considerati «diversi» per l’aspetto fisico (67%), per l’orientamento sessuale (56%) o perché di un’altra nazionalità (43%). Discriminazione, omofobia e razzismo si diffondono più rapidamente di un tempo.

Consulenza gratuita ai genitori
Anche per questo, anche per i genitori, da lunedì prossimo, gli psicologi piemontesi aprono i loro studi a una consulenza gratuita durante il «Mese del benessere psicologico»: «L’obiettivo è prevenire, intervenire sulla salute individuale e delle organizzazioni, riconoscere le criticità prima che assumano caratteristiche conflittuali o patologiche». Il malessere che può derivare dal cyberbullismo è solo una delle minacce per cui gli psicologi offrono una prima consulenza gratis. Ma è talmente attuale che l’ordine ha deciso di aprire il lungo elenco di incontri aperti al pubblico a Torino e in altre città piemontesi proprio affrontando il tema dell’adolescenza: «Il cyberbullismo - sottolinea la dottoressa Simonetto - accomuna ragazzi e ragazze, gli studenti delle diverse tipologie di scuola secondaria, italiani e stranieri». Un fenomeno «particolarmente evidente nel passaggio dalla scuola media a quella di secondo grado».

Le chat fanno male alla scuola
Per 38 ragazzi su cento il bullismo che passa attraverso chat come WhatsApp e social network come Facebook arriva a compromettere il rendimento scolastico, nel 65 per cento dei casi - rivela un’indagine di Save the Children - porta all’isolamento distruggendo la volontà di aggregazione della «vittima», fino ai casi più gravi che arrivano a veri e propri disturbi psicologici.

lunedì 4 novembre 2013

Negli Usa bambini connessi 24 ore a settimana: i pediatri prescrivono una dieta da pc e smartphone

[Blasting news 02/11/2013]
I bambini statunitensi vivono davanti a una tv, uno smartphone o un pc 24 ore alla settimana. I ragazzini tra gli 8 e i 10 anni arrivano a 8 ore in un solo giorno per salire a 11 ore nell'adolescenza.
Secondo i pediatri dell'American Academy of Pediatrics (Aad) tutte quelle ore passate sotto i bombardamenti di tutti i dispositivi oggi a disposizione dei più giovani sono troppe. Sono necessarie secondo loro nuove regole perché se ne faccia un uso più ragionato e lanciano così una "dieta dei media".
L'obiettivo dei pediatri americani è di ridurre i danni potenziali che l'uso spasmodico di tv, pc, tablet e smartphone può procurare in età preadolescenziale: dalla obesità alla perdita di sonno, fino a comportamenti aggressivi. Il dott. Marjorie Hogan, fra gli autori del documento pubblicato anche sull'edizione online di Pediatrics è convinto che: "Una dieta dei media è possibile solo con il coinvolgimento di genitori, educatori e gli stessi pediatri", soggetti che si spera non eccedano più dei ragazzi nel controllare di continuo posta elettronica e profilo sui social network.
La guida dei pediatri americani invita i genitori a non far navigare da soli i propri figli. L'ideale sarebbe pianificare l'uso dei vari mezzi per non più di 1 o 2 ore al giorno, mantenendo lontane le ore dei pasti e la sera prima di andare a dormire. Decisamente vietato l'uso di tablet e smartphone ai bimbi sotto i 2 anni.
La battaglia per promuovere la dieta digitale per i pediatri americani non è una crociata contro le nuove tecnologie. Evitare le cattive abitudini e gli stimoli eccessivi nell'età della crescita sono principi basilari che, dicono nel documento, ogni pediatra dovrebbe ricordare alle famiglie dei propri pazienti: un uso fatto con regole precise aiuta a sfruttare meglio le opportunità che portano le nuove tecnologie stesse.
Giovanni Ruggero

I social network possono aiutare i giovani depressi

[West 31/10/2013]
Chattare su internet può avere effetti positivi sui giovani che pensano di suicidarsi. Una ricerca condotta dalla Oxford University su 4.313 soggetti under 25 sottolinea, infatti, quanto i social network possano incoraggiare gli individui stressati ad avere un atteggiamento positivo e a ricercare il supporto degli altri. Infatti, su 3219 messaggi inviati da ragazzi depressi tramite web, circa il 28,3% ha utilizzato il dispositivo informatico per chiedere aiuto informalmente. Per questo motivo ci si augura che le chat interattive possano diventare strumenti utili agli operatori socio-sanitari per raggiungere quanti si trovano in condizioni di fragilità emotiva, al fine di informarli e sostenerli.
 
Mariangela D'Ambrosio

USA: il 70 per cento degli Smartphone sono usati da adolescenti

[Pianeta cellulare 30/10/2013]
Non è un segreto che il mercato dei featurephone è in rapido declino, con sempre più persone che preferiscono avere in mano uno smartphone, prodotto che continua a dominare il mercato dei dispositivi mobili. E' però ormai arrivato al punto di saturazione il mercato degli smartphone tra gli adolescenti e tra i giovani adulti negli Stati Uniti, secondo un nuovo studio pubblicato da Nielsen.
Secondo il rapporto, il 70 per cento dei ragazzi di età compresa tra 13 a 17 anni utilizzano uno smartphone, e il 79 per cento dei giovani adulti di età compresa tra 18 e 24 anni usa uno smartphone. Nel 2012, il 58 per cento dei ragazzi americani possedeva uno smartphone, e nel 2011 solo il 36 per cento.
Nielsen Q3 2013 smartphone
Al terzo trimestre di quest'anno, l'11 per cento degli utenti di telefonia cellulare degli Stati Uniti ha cambiato il proprio telefono cellulare e quasi quattro quinti di questi hanno cambiato preferendo uno smartphone. Con questo aumento, il livello di penetrazione di smartphone è ora al 64,7 per cento per tutti gli utenti di telefonia mobile degli Stati Uniti, contro il 62 per cento nel secondo trimestre di quest'anno.
Su quali tipi di smartphone ricade la scelta di queste persone? La stragrande maggioranza compra un dispositivo di Apple o Samsung: l'iPhone di Apple ha conquistato il 41 per cento della quota di mercato e Samsung ha il 26 per cento di quota. HTC e Motorola hanno entrambe l'8 per cento di quota, seguite da LG con il 7 per cento. La quota di mercato del 3 per cento va a BlackBerry, ma il numero è in continua diminuzione, secondo Nielsen.
Nielsen Q3 2013 smartphone
Mentre Apple domina in termini di numero di dispositivi venduti, Android domina come piattaforma più diffusa. Negli Stati Uniti, il 52 per cento dei possessori di smartphone usano Android, mentre il 41 per cento usa iOS. A seguire troviamo BlackBerry OS al 3 per cento e Windows Phone al 2 per cento.
Nielsen rileva che, mentre l'uso dello smartphone è in forte espansione negli Stati Uniti, il mercato è ormai saturo, soprattutto perchè i 'pochi' utenti di featurephone rimasti sono gli utenti che Nielse dice essere 'duri a morire': "Come il mercato degli smartphone matura negli Stati Uniti, l'adozione di smartphone sta raggiungendo la fase di saturazione, con i consumatori di questo mercato che possono essere riluttanti al pensiero di sostituire i loro telefoni funzionanti", Nielsen ha scritto in un post sul blog. "I produttori di dispositivi potrebbero voler spostare la loro attenzione di marketing per attrarre questo nuovo pubblico [i clienti 'duri a morire' di featurephone], pur lavorando nel cercare di non perdere le loro basi esistenti di possessori di smartphone".

I bambini amano i tablet

[La Stampa 29/10/2013]
New York, I bambini, si sa, seguono l’esempio dei genitori. Così, in un’epoca segnata dall’uso smodato di smartphone e tablet da parte degli adulti, anche i loro figli passano il tempo sulle nuove tecnologie. Da quelle educative a quelle sui personaggi tv, dai giochi (Angry Birds il favorito a tutte le età) a quelle di musica e arte, ci sono ormai tantissime app per i bambini, anche per i più piccoli, disponibili gratis o a basso prezzo.  

A parlarne è un nuovo studio, “Zero to Eight: Children’s Media Use in America, 2013”, condotto da Common Sense Media, una nonprofit di San Francisco che esamina il rapporto tra la tecnologia e i bambini, citato dal New York Times.

Lo studio è stato condotto su 1.463 genitori con bambini fino a 8 anni. Quello che emerge è un notevole cambiamento negli ultimi 24 mesi: tra i bambini con meno di due anni, il 38% ha usato iPhone, tablet o Kindle; la stessa percentuale, invece, si registrava due anni fa tra i bambini under 8. Molto più comuni sono diventati, in questo periodo, i tablet: il 40% delle famiglie ora ne possiede uno, contro l’8% di due anni fa; il sondaggio di quest’anno ha inoltre evidenziato che il 7% dei bambini ha un proprio tablet.

«Sono rimasta impressionata dalla rapidità del cambiamento - ha detto Vicky Rideout, autrice di entrambi i rapporti -Tablet e iPhones sono dei ”game changers” perché sono così facili da usare».

Non è quindi merito delle capacità dei bambini, come amano pensare molti genitori, ma soprattutto dell’uso facile e intuitivo dei nuovi dispositivi, spesso usati dagli adulti per godere di una pausa rilassante: «So che se ho bisogno che Zoe stia tranquilla per un’ora, posso darle l’iPad e non la sentirò» ha detto la dottoressa Laurel Glaser, che ha due figlie di 5 (Zoe) e un anno (Maya).

Glaser è una dei pochi genitori intervistati che segue il consiglio dell’associazione dei pediatri americani di non mettere davanti a uno schermo i bambini nei primi due anni di vita. «Non sono così rigida e qualche volta guardiamo la tv con entrambe le bambine - ha detto - ma non abbiamo delle “baby apps” per Maya».

Ma la raccomandazione è in gran parte ignorata: secondo il sondaggio, i bambini con meno di due anni trascorrono in media un’ora al giorno davanti allo schermo, guardando la tv, usando il computer o giocando con le app su smartphone e tablet. La media raddoppia per i bambini tra i due e i quattro anni, mentre quelli tra i 5 e gli 8 anni passano 2 ore e 20 minuti davanti allo schermo. 

Cultura e Società: Media e minori: i "nativi digitali" costringono a riscrivere il Codice

[Roma Sette 28/10/2013]
Il nuovo presidente Maurizio Mensi ricorda le innovazioni tecnologiche intervenute in questi anni nelle modalità di fruizione della tv: «Al Comitato si affianchio famiglia e scuola» di Vincenzo Corrado (Agenzia Sir)

Quindici membri in rappresentanza di emittenti radiotelevisive, associazioni di utenti e Istituzioni. È composto così il Comitato Media e Minori, che si è insediato il 23 ottobre a Roma, dopo quasi due anni di assenza. Ricostituito con decreto del 17 luglio scorso su iniziativa del viceministro dello Sviluppo Economico con delega alle comunicazioni, Antonio Catricalà, il Comitato ha il compito di assicurare, attraverso un’attività di monitoraggio e di controllo, l’applicazione del Codice di autoregolamentazione «Tv e Minori», nato nel 2002 come atto di autodisciplina delle emittenti radiotelevisive e successivamente diventato oggetto di un obbligo di legge per tutte le emittenti attive in Italia. Ma compito del Comitato è anche promuovere iniziative di educazione e sensibilizzazione all’uso corretto dei media, rivolte a scuole, famiglie e al pubblico in generale. E non solo... Ne parliamo con il nuovo presidente Maurizio Mensi, già avvocato dello Stato, funzionario della Commissione europea e direttore del Servizio giuridico dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ora professore di diritto pubblico dell’economia e di diritto dell’informazione e della comunicazione all’Università Luiss Guido Carli di Roma.

Quali sono le principali questioni sul tappeto oggi per il Comitato?
«Il primo compito sarà quello di esaminare le segnalazioni pendenti e, al contempo, promuovere l’adeguamento e la revisione delle regole del Codice al mutato quadro di riferimento tecnologico. Il Comitato deve, infatti, diventare sempre più uno strumento al servizio del cittadino e delle Istituzioni, in stretto raccordo con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e i Comitati regionali delle comunicazioni, che sia tale da assicurare una risposta tempestiva a tutte le segnalazioni, attraverso un meccanismo d’interazione con il cittadino che sia trasparente, rapido ed efficace».

Il Comitato è nato per un settore radiotelevisivo analogico, dopo undici anni è chiamato ad aggiornarsi, adeguandosi al mutato quadro tecnologico. In che modo intervenire con strumenti efficaci e adeguati alle nuove tecnologie?
«Da quando il Codice è stato sottoscritto sono trascorsi undici anni di profonde innovazioni tecnologiche che consentono ora ai giovani di costruire il proprio palinsesto in maniera del tutto autonoma e indipendente dalla programmazione proposta dalle grandi reti generaliste e tematiche. Otto milioni di ragazzi e bambini, circa il 13% della popolazione, sono “nativi digitali” per i quali è soprattutto Internet lo strumento di maggior utilizzo. Tuttavia, come emerge dai risultati di una recente ricerca dell’organismo di regolamentazione inglese (“Children and Parents: Media Use and Attitudes”), anche se la fruizione di contenuti avviene attraverso nuovi dispositivi e non più attraverso lo schermo tradizionale, la programmazione televisiva riveste un ruolo fondamentale per i bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Ecco perché, per non trovarsi a combattere una battaglia “di retroguardia”, il Comitato dovrà sollecitare fin da ora l’aggiornamento delle regole del Codice del 2002, per renderlo applicabile alle piattaforme dei ‘nuovi media’ e più in generale alla multimedialità, affinando tecniche e modalità d’intervento in linea con i migliori esempi internazionali e alla luce dei contenuti del Libro Verde comunitario sulla convergenza d’imminente adozione».

I pronunciamenti del Comitato sono quasi sempre visti come qualcosa di negativo, “in difesa di...”. È possibile ribaltare il quadro e guardare al positivo che c’è?
«Sono convinto che un impegno serio e realmente proficuo, non possa fondarsi soltanto sull’impianto repressivo, ma su un’azione di promozione e sensibilizzazione di una cultura che promuove e tutela l’infanzia. Non è, infatti, sufficiente che la programmazione sia sicura, ma è importante che sia anche di qualità. Occorre svolgere un’azione di sostegno a programmi che propongano esempi positivi, stimolando i giovani all’approfondimento, incentivando la cultura del ‘bello’ e del ‘buono’, e che siano portatori di valori positivi: la solidarietà, il dialogo, il rispetto degli altri, l’educazione a una cittadinanza responsabile. Soltanto in tal modo si potrà fornire un utile ausilio alla famiglia, a cui è affidata la principale responsabilità educativa».

L’azione del Comitato s’intreccia, per certi versi, con la “preoccupazione” cui la Chiesa italiana sta dedicando questo decennio: l’educazione. Negli Orientamenti pastorali viene chiesto, peraltro, di stringere «un’alleanza fra i diversi soggetti». È uno sforzo condiviso?
«Senza dubbio. Uno degli elementi qualificanti e distintivi dell’azione del Comitato dovrà essere la promozione d’iniziative di educazione e sensibilizzazione all’uso corretto dei media, straordinario ‘ambiente di vita’ abitato soprattutto da giovani, da avviare e realizzare insieme alla scuola e con il contributo di tutti gli attori del sistema. È questa la sfida con la quale si misurerà il Comitato».

In sintesi, quali sono gli elementi-cardine per il lavoro futuro del Comitato?
«Il Comitato orienterà la sua azione secondo tre principali elementi: responsabilità, innovazione, educazione. Sono le famiglie, insieme alla scuola, ad avere la fondamentale responsabilità di guidare e orientare i propri figli al rispetto dei valori e delle regole, per un’educazione e una formazione costruita su solide fondamenta. In tal senso, il Comitato si concentrerà in particolare su azioni mirate, rivolte ai minori, ai genitori e al pubblico in generale per l’uso corretto dei media, da avviare e realizzare sul territorio insieme alle istituzioni scolastiche»

Web: l’Italia e' piu' Social degli Stati Uniti

[La Voce 25/10/2013]

Secondo una ricerca di LiveXtension, agenzia di marketing e comunicazione dell’incubatore Digital Magics, l’Italia è più social degli USA. l’Italia avrebbe infatti un tasso di penetrazione dei social network maggiore rispetto agli USA, soprattutto fra gli over 50

Incrociando i dati sull’utenza internet americana del report Pew Research 2013 (aprile-maggio) e quelli italiani di Audiweb (giugno 2013) è emerso che la penetrazione americana – rispetto a coloro che usano la rete – dei social network è del 72%, in Italia è invece del 75% (20.597.000 milioni di italiani utilizzano almeno un sito di social networking), sfiorando nei mesi scorsi l'80%.

Un segnale inatteso è dato dall’analisi della diffusione dei social network per fascia d’età: se in Italia la popolazione più anziana è decisamente meno digitale che altrove, quando utilizza internet è invece super social: oltre il 60% degli utenti internet italiani over 64 usa anche i social network. Negli Stati Uniti sono solo il 43%.

Per quanto riguarda invece la fascia d’età 50-64:
il 60% degli americani usa i social, mentre in Italia è il 75%.1

Una verifica ulteriore di questo fenomeno è stata effettuata confrontando i dati relativi al mese di luglio 2013 di Nielsen USA e di Audiweb per quanto riguarda l’uso dei social network. Pur con qualche differenza rispetto ai dati di Pew Research, il “vantaggio” italiano rimane.
La penetrazione complessiva dei social network in America è del 63,4% e sui 50-64 del 65,4%. In entrambi i casi siamo lontani dai dati del nostro Paese, gli Italiani che navigano sui social network corrispondono al 73% e al 74,5% nella fascia 50-64 anni. Per quanto riguarda gli over 64 gli USA si allineano al dato italiano del 60%.2.
Sono gli italiani over 50, insomma, che rendono l’Italia più social rispetto al Paese che ha inventato i social network! Questi siti rappresentano un fenomeno assolutamente di massa, che coinvolge ormai larghissime fette degli utenti internet di tutte le età, non solo quelle più giovani.

Per un uso corretto dei social, senza incorrere nei rischi

[News Rimini 25/10/2013]
Il meeting sociale del progetto IOR (Impact of Relationship) si è tenuto a Rimini ieri e oggi, aperto dal saluto di benvenuto del presidente della provincia Stefano Vitali, e chiuso con la relazione e sui numeri del rapporto tra giovani e social network.
Ventisei i partner presenti da tutta Europa a Rimini (ente promotore e capofila): Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Rep. Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria

Durante il meeting, che si è chiuso oggi, sono emersi alcuni aspetti che accomunano i diversi paesi: oltre il 90 per cento degli adolescenti europei ha un profilo su Facebook ma la popolarità del social è in calo, in molti paesi è molto più di moda WhatsApp perché permette di scambiare foto, video e commenti in modo molto più rapido; altra cosa riscontrata è la difficoltà di fare statistiche reali perché molti delle persone che si iscrivono sui social fornisce dati falsi, sia di età sia di genere; le più attive in rete sono le ragazze; i commenti nella maggior parte dei casi non vanno al di là del “mi piace” e aumentano esponenzialmente quando viene postato un video rispetto ad un testo; in molti paesi risulta difficile entrare nelle scuole a parlare di social network mentre funzionano bene workshop che coinvolgono le famiglie in cui si parla del tema in modo indiretto.
L’obiettivo di tutti i partner per i prossimi mesi (il progetto si chiuderà a maggio del 2014) è aumentare la conoscenza dei profili sui diversi social network e fare azioni di sensibilizzazione diretta con genitori e ragazzi.

Interessanti, soprattutto i dati emersi dal convegno:

Alcuni dati regionali
Circa 2/3 degli adolescenti dichiara di possedere uno smartphone (65,6%) che negli ultimi anni sembra avere sostituito il cellulare tradizionale. Il 10,6% degli adolescenti dichiara di navigare in rete tra le 3 e le 5 ore al giorno. Mentre la televisione nel 61,5 per cento dei casi è vista in compagnia dei genitori, internet è per lo più utilizzato in solitudine (92,8 per cento) o insieme ad amici (41,1 per cento). Solo il 16,5 per cento chiara di navigare insieme ai genitori. Circa le attività svolte su internet sono per il 48 per cento su social network  e per il 46 per cento chat.

Alcuni dati nazionali
 Secondo un’indagine nazionale condotta da “Save the children” a gennaio 2013 tra ragazzi dai 12 ai17 anni: Il 79% possiede o usa un suo computer personale, il 56 % passa su internet dalle 2 alle 4 ore al giorno, all’85 % capita spesso di chattare con amici e conoscenti, il 57% posta proprie fotografie in internet. Il 92 % (con più di 16 anni) dichiara di avere un profilo su Facebook e il 74 % di questi lo aggiorna quasi quotidianamente.
Secondo un’indagine di Telefono Azzurro del 2012, i ragazzi dai 12 ai 18 anni dichiarano di trovare on line: foto o video imbarazzanti che ritraggono loro coetanei (40 %), loro foto che per quanto non imbarazzanti non avevano ricevuto un’autorizzazione ad essere messe online (32%), pettegolezzi o falsità sul proprio conto (23%), foto o video imbarazzanti che ritraggono adulti di loro conoscenza (20%), foto personali che hanno creato loro imbarazzo (20%), frasi che rivelano dei loro fatti personali (17%), video spiacevoli in cui erano presenti (11%).
Secondo un’indagine nazionale condotta nel 2012 dalla Società Italiana di pediatria su un campione di ragazzi della scuola secondaria di primo grado si evidenzia che: il 68 % dei ragazzi ha il pc in camera, il 65% può collegarsi a Internet dal proprio cellulare, l’11% ha pubblicato in internet un’immagine provocante e il 52% conosce qualcuno che l’ha fatto.

Prossimi appuntamenti:
Per quanto riguarda la Provincia di Rimini sono in programma due incontri aperti agli adulti in contatto coi i ragazzi (genitori, insegnanti, educatori, ecc) allo scopo di informare anche loro sui possibili rischi e su come tutelare i giovani: il 19 novembre a Cattolica alle 21, in collaborazione con il Centro per le famiglie, presso la sede della biblioteca comunale in piazza della Repubblica e il 14 dicembre a Rimini, in collaborazione con Università Aperta, dalle 9 alle 13 presso la sede della Provincia in via Campana 64.

Facebook non è più il sito preferito dai teenager americani. La competizione tra i social network è aperta

[ Prima On Line 26/10/2013]
Facebook non è più il social network più apprezzato dai teenager degli Stati Uniti. Lo comunica il rapporto semestrale sulle abitudini dei teenager americani di Piper  Jaffray, riportato dall’Huffington Post Usa. Ora è il sito preferito solo dal 23% degli under 20, mentre nel 2012 era la pagina più visitata dal 42% dei teenager.
“Ho creato un account Facebook al mio sesto anno della scuola primaria, per un po’ ne sono stata ossessionata. Poi ho scoperto Twitter e Instagram e ho dimenticato Facebook”, così una ragazza di 14 anni ha dichiarato al centro di ricerca Pew Research durante un’intervista del sondaggio Teens, Social Media and Privacy. Dal rapporto di Piper Jaffray però emerge che anche Twitter è in calo (ha perso 4 punti negli ultimi sei mesi).
Secondo Pew Research il social network di Zuckerberg è ancora il social network con il maggior numero di utenti registrati: il 94% dei ragazzi statunitensi ha un profilo Facebook, il 24% ha un account Twitter e l’11% è registrato a Instagram (che è di proprietà dello stesso Facebook).
Utilizzo dei social network tra i teenager americani
Dal rapporto di Piper Jaffray però non emerge un nuovo vincitore: Twitter supera (di poco) Facebook, mentre Instagram è quello che registra la crescita più rapida. Il dato più significativo è la categoria “altri”: si riferisce a servizi sociali neonati come Vine e Snapchat che, nel sondaggio, non hanno una categoria precisa. Si può concludere che, se fino ad ora, i social network hanno avuto un re, Facebook, adesso c’è una reale competizione nel mercato. E conquistare quote tra i teenager sembra un obiettivo chiave.
La strategia di Facebook (che non ammette di avere un problema con i giovani) consiste nel rassicurare gli investitori. Zuckerberg infatti ribadisce che la quasi totalità dei teenager americani ha un profilo sul suo social network. Ma essere registrati è diverso dall’utilizzare un sito in modo attivo (ed è ciò che interessa agli investitori pubblicitari). L’Huffington Post Usa commenta: “Registrarsi a Facebook è una cosa, cliccare ‘Mi piace’ è un’altra”.

Ecco il cyber-poliziotto: va a caccia di bulli e pedofili sui social network

[La Stampa 25/10/2013]
Un commissariato aperto 24 ore su 24 per dare la caccia a cyber-bulli, hacker, pedofili e truffatori svelti con il mouse. La polizia sbarca sui social network ed entra nei computer degli italiani. Dietro l’ultimo restyling del sito ufficiale, infatti, si nasconde un cambio di passo: dal poliziotto di strada a quello di Facebook. L’obiettivo è prevenire il cyber-crimine, che in Italia fa 22mila vittime al giorno.

«Il servizio è pensato soprattutto per i ragazzi - dice Marcovalerio Cervellini, responsabile dei progetti educativi della Polizia Postale e delle Comunicazioni -. Scopriamo che i nostri figli sono su Facebook solo quando abbiamo ricevuto la loro richiesta di amicizia. Dobbiamo proteggerli, per noi intervenire dopo un abuso è una sconfitta».
Gli uomini coordinati da Alessandra Belardini hanno stampato in mente il caso di Carolina, la ragazza di Novara che si è tolta la vita dopo le minacce dei bulli. La rissa scoppiata a Bologna, nata sul sito Ask e degenerata ai giardini. E le migliaia di file pedo-pornografici sequestrati a Trapani, con otto arresti e 109 denunce. Il direttore della Polizia Postale Apruzzese aveva annunciato la svolta mesi fa. Da oggi debutta uno spazio che, spiega, «rappresenta la presenza fisica della polizia in questo ambiente virtuale». 
Alla centrale di Roma, una spianata di computer collegati ai grandi monitor appesi alle pareti, lavorano in 17. Sono smanettoni, esperti di informatica. Si alternano davanti ai siti e alle pagine dei forum, filtrano le segnalazioni che provengono dagli utenti. «Il picco delle segnalazioni arriva la notte», spiega Cervellini. Anche nei commenti ai post sul social network. Quando gli investigatori si imbattono in una ipotesi di reato girano la pratica alla Postale, attiva sul territorio con 20 compartimenti e 80 sezioni speciali. «Il bisogno di sicurezza cambia nelle diverse fasi storiche: la sicurezza prima di internet è diversa dalla sicurezza che va garantita oggi» ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano all’inaugurazione del servizio.

Anche gli spunti per le indagini passano dal Web. Con i giganti dell’hi-tech che gestiscono i portali, Facebook in primis, c’è un canale privilegiato. Su segnalazione italiana, per la prima volta, il sito di Zuckerberg ha aperto i server centrali. Ora i tentativi di adescamento svelati dalle chat sono nelle mani dei magistrati milanesi. Ma quali sono i rischi più concreti per chi naviga? «Il pericolo numero 1 arriva dai social e dal mobile. Poi ci sono la navigazione e le mail - è la tesi di Raoul Chiesa, hacker etico -. L’attacco più diffuso resta il phishing, che dalla mail si è spostato ai social. Su queste piattaforme le connessioni sono maggiori e non c’è la stessa attenzione riservata alla mail».