[Corriere di Mantova 11/02/2014]
di Cinzia Lucchelli
E’ sul divano, solo. Ha un telefonino tra le mani. Apparentemente è al
sicuro. Ma per uscire nel mondo non c’è solo la porta d’ingresso di
casa. Adescamenti online e cyberbullismo oggi coinvolgono anche i
bambini. Dietro un caso denunciato ce ne sono cento che non vengono a
galla. Esistono norme e strumenti per rendere la navigazione in Rete dei
minori più sicura. Ma fatica a prendere piede nelle scuole la
formazione di una cultura digitale e non sempre i genitori sanno
spiegare ai propri figli come sfruttare i mezzi e le opportunità di
internet chiarendone anche i limiti. Sono loro, a volte, a registrarli
su un social network troppo presto. Bambini e ragazzi non sempre
percepiscono il pericolo nascosto dietro un messaggio, un’immagine o una
condivisione. E quando sono presi di mira non ne parlano con un adulto
per vergogna oppure per il timore di perdere le chiavi di accesso di un
luogo dove si è spostata una buona fetta della loro vita sociale.
Le storie. A. ha appena compiuto 10 anni quando
subisce un furto di identità digitale: una compagna di classe si
iscrive a suo nome sulla chat Stardoll e con questo profilo fittizio
manda messaggi denigratori alle comuni amiche. La madre se ne accorge,
trova un muro di gomma con i genitori dell’autrice del furto. Interpella
la polizia postale che le sconsiglia la strada della denuncia, anche
solo per sopprimere quel profilo finto: la sede legale sella società che
gestisce la chat si trova in Gran Bretagna, troppo lungo e costoso
l’iter per identificare legalmente l’autore dei messaggi. Da quel
giorno il controllo di quello che la bambina scrive e riceve dalle sue
amiche si fa serrato e costante. “Se usi Internet senza permesso - dice
alla piccola- è come se uscissi da sola di notte”.
B. a 11 anni riceve in dono un lettore multimediale. Ha un sistema
operativo android ed è dotato di wifi, quindi a tutti gli effetti è un
tablet senza l'uso del telefono. Dà anche la possibilità di scaricare
applicazione tra cui chat. In alcune registrarsi è facile, basta un
nickname e una mail, poco importa che il limite d’età per farlo sono i
13 anni. Il padre è consapevole delle potenzialità del mezzo, è attento e
attiva l’opzione di ricevere, via email, un resoconto delle interazioni
della figlia con Internet. Non si accorge però che la bambina, che nel
frattempo si è creata un altro account di posta elettronica, scarica una
decina di chat. Fino a quando viene contattato da un altro padre,
preoccupato: “Sua figlia ha fatto vedere delle foto con evidenti scene
sessuali tra uomo e donna alla mia”, gli spiega. Ricostruiscono i fatti e
scoprono che mentre chattavano sono state contattate da uno sconosciuto
che ha inviato foto di sesso. Nome e foto del profilo dell’uomo erano
inequivocabili ma le ragazze non hanno percepito il pericolo che si
nascondeva dietro.
“Ogni volta che apro la casella di e-mail leggo sempre gli stessi
insulti, ogni volta che accedo al mio blog lo trovo invaso dalle
parolacce, ogni volta che vado su Facebook scopro che qualcuno ha messo
sulla mia bacheca informazioni false e che mi fanno sembrare una poco di
buono…io credo di sapere chi sia ma quello che davvero mi pesa è
vedere che non la smette, che ormai su Internet mi contattano solo per
darmi della prostituta e quando cammino in corridoio a scuola mi sento
tutti gli occhi addosso e le risatine degli altri cominciano davvero a
farmi passare la voglia di andare a scuola…” E’ il messaggio di una
dodicenne vittima di cyberbullismo che ha trova il coraggio di
rivolgersi alla polizia postale.
La strategia dell’Europa. Internet non è stato concepito per i più piccoli,
ricorda la Commissione europea,
eppure oggi il 75% ne fa uso, un terzo tramite la telefonia mobile. I
contenuti vanno allora adeguati, devono essere interattivi, creativi ed
educativi, e va garantita la sicurezza dei minori che si muovono in
questo mondo. "Viviamo ormai nell'era digitale e le generazioni più
giovani sono anche le più attive online – ha detto Cecilia Malmström,
commissaria europea per gli affari interni-. Questi giovani hanno una
grande dimestichezza con l'uso di internet, ma rimangono vulnerabili
alle minacce online. È nostro dovere di genitori tutelare la sicurezza
dei nostri figli anche sulla Rete". Verso questa direzione si muove oggi
l’
Agenda digitale europea,
che si propone di sfruttare il potenziale delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione per favorire l’innovazione, la
crescita economica e il progresso; obiettivi da raggiungere entro il
2020. “L’agenda europea è fondamentale – dice
Andrea Rigoni, direttore generale della fondazione GCSEC (
Global Cyber Security Center)
ed esperto della presidenza del Consiglio dei ministri sui temi di
sicurezza digitale - poiché molti dei problemi da risolvere sono
globali, così come le aziende e le infrastrutture che possono
cooperare”. L’Italia, in questo contesto, “ha portato avanti alcune
iniziative di grande successo, come il contrasto alla pedopornografia e
al cyberbullismo. Ma molto resta da fare, c’è ampio spazio per inserire
meccanismi e tutele nei confronti dei minori. Le lacune maggiori sono
sulla formazione di competenze digitali nelle scuole”.
Intervista integrale ad Andrea Rigoni
I casi di cronaca più recenti. Da una parte le strategie europee, dall’altra i casi calati nella quotidianità. Tragici a volte: a Cittadella
una ragazza di quattordici anni presa di mira dagli insulti sulla chat Ask.fm si è uccisa.A Mantova
una quattordicenne si è allontanata da casa
irretita da uno sconosciuto che l’aveva adescata tramite un social
network. E’ stata trovata dai carabinieri di notte in un paese in
compagnia dell’uomo, trentenne. A Reggio Emilia due adolescenti hanno
scoperto
un blog che rimandava ai loro profili Facebook
rendendo nota la loro disponibilità ad avere rapporti sessuali con chi
le avesse contattate. A Catania un’insegnante ha scoperto che un’alunna
di dodici anni aveva ricevuto proposte sessuali in chat da un uomo che
si era fatto credere più giovane e si era fatto inviare foto sexy dopo
averla aiutata a fare i compiti. Storia finita con l’arresto dell’uomo.
I rischi più frequenti. “Essere adescati da sconosciuti è uno dei rischi più diffusi. I primi casi si verificano alle scuole elementari”, dice
Marco Valerio Cervellini,
responsabile progetti educativi sulla navigazione dei minori sulla rete
internet della polizia postale e delle comunicazioni. Racconta il caso
di alcuni ragazzi di 17-18 anni che di recente hanno preso di mira
bambini di 8. Ne hanno studiato i profili, privi di impostazioni di
sicurezza, per poi crearne di analoghi. Nascosti da un’identità
fittizia, costruite ad arte, li hanno contattati e hanno intessuto un
rapporto di amicizia, fino a farsi consegnare i numeri di telefono. Le
conversazioni si sono spostate dai social network a whatsapp, servizio
di messaggistica, agli mms, dunque ai messaggi telefonici corredati da
immagini. Alcuni bambini alla fine sono stati convinti a inviare foto in
cui comparivano nudi. “Ma sono frequenti anche i casi di violazione
della privacy con pubblicazione di foto, video, dati personali in spazi
web equivoci – dice Cervellini-. E poi i furti d’identità digitale”.
Sempre connessi. I ragazzi passano buona parte del
loro tempo in Rete. Un ragazzo su tre è sempre connesso, uno su quattro
afferma di aver incontrato una persona conosciuta sul web, uno su
quattro confessa di aver preso in giro qualcuno condividendo contenuti
imbarazzanti su di lui. Sono alcuni dei dati che emergono da una ricerca
a cura si
skuola.net
(campione di 2000 persone, 57% femmine, 43% maschi tra gli 11 e i 20
anni, con prevalenza di ragazzi tra i 14 e i 17 anni, pari al 54,5% del
campione). I giovani, che dicono di usare i social network per
risparmiare sulle telefonate e per fare nuove conoscenze, solo nel 25%
dei casi usando questi mezzi si relazionano con i genitori o con qualche
adulto della famiglia: il 46,9% non lo fa mai. Il 53%ha fatto nuove
conoscenze su Internet: da questi incontri virtuali è passato a incontri
reali nel 27,2% dei casi. Avvenuti, nel 23,3% dei casi, senza che
nessun amico o parente ne fosse stato informato. Condividono pezzi della
loro vita con generosità e senza paura postando foto o video che li
riguardano senza alcun pensiero delle eventuali conseguenze nell’8,3%
dei casi; solo il 29,1% delle volte restringono le impostazioni di
privacy.
Quanti sono i minori in Rete. Nel 2013 (
dati Audiweb)
l’accesso a Internet da qualsiasi luogo e strumento ha raggiunto l’82%
della popolazione italiana tra gli 11 e i 74 anni, pari a 39 milioni di
individui (22 milioni da smartphone e 7 milioni da tablet). Di pari
passo aumentano i minori online, soprattutto i più piccoli. L’Agcom, nel
Libro bianco Media e Minori,
riporta che nel 2011 rispetto al 2010 è stato registrato un incremento
del 16,2% per la fascia 2-11 anni, e del 7% per la classe d’età 12-17
anni. Nel giorno medio nel mese di marzo 2011, gli utenti attivi dai 2
agli 11 anni erano 222mila (collegati almeno una volta a internet
tramite computer, per 49 minuti); 746mila quelli dai 12 ai 17 anni (per
un'ora e 12 minuti).
Facebook il social network più amato dagli adolescenti
Cosa cercano. Secondo i genitori a 4-5 anni sul Web
per lo più i bambini giocano con videogiochi individuali (34,1%),
guardano siti, vanno su Youtube; tra i 6 e i 10 anni l’attività
preferita rimane quella di giocare (56,7%) ma cominciano anche a fare
ricerche per la scuola (31%) e a frequentare social network come
Facebook e Twitter (20%); tra gli 11 e i 13 anni si ritrovano su social
network (45,3%) e chat (24%).
(Fonte: Libro bianco Media e Minori, Agcom-Censis).
(L'articolo continua dopo la tabella)
Fonte: Libro Bianco Media e Minori, Agcom-Censis
Quante sono le denunce. I dati delle denunce danno
solo in parte la misura del fenomeno perché molti casi rimangono
sommersi. “Come polizia postale per quanto riguarda adescamento online e
commercio produzione e diffusione di materiale pedo pornografico nel
2013 abbiamo arrestato 55 persone - dice Marco Valerio Cervellini-;
denunciate 344; monitorato 28.063 siti web presunti pedopornografici e
di questi ne abbiamo inseriti in una black list 165. I dati sono in
aumento ma per ogni denuncia fatta ce ne sono 100 sommerse”. Informare
direttamente i giovani, spiegando loro rischi e opportunità della Rete
aiuta. “Abbiamo notato che da quando entriamo nelle scuole per parlare
di pericoli e comportamenti da evitare quando si naviga, le denunce
legate al cyberbullismo sono aumentate”.
Di quali reati si tratta. “Cyberbullismo” è un termine
che si usa per indicare un insieme di azioni di prevaricazione,
violenza, ingiuria, diffamazione reiterate nel tempo e messe in atto da
un minore nei confronti di altri minori attraverso mezzi elettronici..
“Il bullo insegue la vittima ogni volta che si collega in Rete. Per un
nativo digitale Internet equivale al mondo reale ed essere escluso, ad
esempio, da una chat equivale ad essere cacciato dal gruppo del
muretto”, spiega il dirigente di polizia postale. A differenza del
bullismo tradizionale, non si ha di fronte la propria vittima e questo
può rendere la persecuzione più dura. La polizia distingue due fasce
d’età: tra gli 8 e i 12 anni prevaricazioni e molestie sono
inconsapevoli; tra i 13 e 17 subentra la consapevolezza di fare del
male. “Il cyberbullismo in sé non esiste come reato, ma sotto questo
nome si configurano reati come violenza privata, stalking, diffamazione,
ingiuria, minacce, molestie, furto di identità, diffusione di materiale
pedo pornografico, violazione della privacy.”, spiega il dirigente
della polizia postale e delle comunicazioni. Per alcuni reati si procede
d’ufficio, altri invece solo su querela di parte. Spesso si patteggia
al primo grado.
Intervista integrale a Marco Valerio Cervellini
Quello che non si dice. Ma perché tante storie
rimangono sommerse? “Vince la vergogna di raccontare oppure il timore
che per punizione i genitori possano proibire l’accesso a internet”.
Spesso manca anche la consapevolezza di quello che si fa, di cosa sia un
reato. Vince la smania di apparire. “Abbiamo notato che bambini e
ragazzi riconoscono i furti di identità ma non comprendono, ad esempio,
la gravità della pubblicazione di dati privati associati a inviti a
contattare la vittima, credono si tratti di un atto scherzoso”, dice
Cervellini.
Cosa fare. Filtri nella navigazione. “Esistono filtri
che limitano l’accesso a contenuti non adatti (“parental control”) e si
possono applicare restrizioni nella privacy dei singoli social network
in cui i minori si sono iscritti per limitare il numero di persone con
cui condividono informazioni personali”, spiega Andrea Rigoni. Esistono,
ma il punto è che non si applicano se manca la consapevolezza del
pericolo. “L’unico filtro che funziona davvero è di tipo
cognitivo-culturale”, dice Andrea Rigoni. E’ prima di tutto una
questione educativa. Occorre ripartire da famiglia e scuola.
Cosa fare. Regole nelle famiglie. Strategie, norme,
strumenti per una navigazione più sicura possono non essere sufficienti
se manca il supporto della famiglia. Sono 15 milioni (dati Audiweb) le
famiglie che dispongono di un accesso a Internet da casa attraverso
computer. “I genitori devono dare ai figli e far rispettare regole
certe”, dice Marco Valerio Cervellini. Non lasciarli soli con uno
smartphone in mano troppo a lungo ad esempio, applicare sui loro
smarthpone e pc filtri per la navigazione. “Alcuni genitori non
realizzano che bambini e ragazzi corrono rischi reali. Lo dimostra il
fatto che talvolta sono loro a registrarli su un social network”. Soli
in Rete equivale ad essere soli in casa con la porta d’ingresso aperta.
Cosa fare. Informazione nelle scuole. L’attenzione
della famiglia va integrata nelle aule. “Vanno insegnati gli strumenti
giusti a partire dalle scuole – dice Andrea Rigoni -. Non si tratta di
nozioni di informatica: cultura digitale non significa usare le lavagne
elettroniche. Cultura digitale è comprendere come sfruttare al meglio i
meravigliosi mezzi messi a disposizione dalla tecnologia conoscendone i
limiti e i rischi”.
Il progetto: “Una vita da social”. Si inserisce in questo contesto “
Una vita da social”,
campagna di informazione della polizia dedicate proprio alla sicurezza
in Rete dei ragazzi. Il progetto, che entra nelle scuole di trenta città
italiane, nasce per far capire ai più giovani i rischi che si possono
correre in Internet e nei social network, spiegare le regole con cui
navigare sicuri on line, evitare violazioni della privacy, difendersi da
bulli ed adescatori. Esiste anche un
commissariato online, per informarsi e porgere denuncia. Il capo della polizia Alessandro
Pansa, tra le priorità del suo mandato ha messo proprio la tutela dei minori e delle fasce più deboli.
Pesciolini nella rete. Ma a dieci, undici anni si è in
grado di distinguere tra positivo e negativo, di riconoscere un
messaggio ambiguo? “ in un certo senso sì – dice la psicologa
Silvia Vegetti Finzi.-
ma si è attratti da chi cerca di adescare in rete perché si presenta,
in modo abilissimo, come alternativo alla famiglia, come emancipatore:
“ormai sei grande, basta fare tutto quello che vogliono papà e mamma”.
Spetta ai genitori intervenire individuando la strategia adatta. Le
strade sono diverse: “rinviare il collegamento internet, attivare filtri
creati proprio per tutelare i bambini; entrare nella loro posta e
controllare i contatti che stabiliscono; chattare insieme;
responsabilizzare i piccoli internauti insieme agli insegnanti
scolastici”. Solo all’inizio delle scuole superiori hanno la maturità
per iscriversi ai social network creando profili online. Prima si
possono anche adottare soluzioni miste come aprire un profilo condiviso
genitori-figlio o farsi consegnare le password. Ma il successo non è
garantito, anzi. “Dipende dal rapporto di fiducia che si è instaurato e
vale sole nei primi tempi. Poi si rischia il doppio regime: ufficiale e
segreto”. Rimane essenziale, comunqeu, rendere consapevoli i ragazzi dei
rischi cui possono andare incontro quando mettono il naso fuori di
casa, virtuale o materiale che sia. “I ragazzi dovrebbero essere già
stati messi inguardia per quanto riguarda la realtà esterna (il tragitto
casa-scuola, le docce della palestra i cortili dell’oratorio, etc.”) La
realtà virtuale è più subdola e intrigante, ma altrettanto pericolosa.
Gli adolescenti amano “ errare” nel doppio senso della parola:
gironzolare e trasgredire”.
L’intervista integrale a Silvia Vegetti Finzi
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