[LoSchermo.it 16/09/2010] Con l'incontro di domenica scorsa si è parlato, tra l'altro, di Giornalismo 2.0, un ruolo - o una convenzione - che prelude ad una nuova concezione del rapporto che lega informazione, informatori e fruitori. Cosa sono, come si definiscono, qual'è il loro ruolo. Riapriamo la discussione, qui.
Bisogna partire - come scrive Giancarlo Livraghi - da due considerazioni importanti.
La prima è che le tecnologie vanno e vengono, le relazioni umane durano. La seconda è che il WEB non è l’INTERNET – e questo non è un “dettaglio tecnico” ma un fatto fondamentale. Molti oggi confondono internet e web, e certo giornalismo non ha contribuito in questo senso. Ora proverò a riassumere com'è andata.
Internet nasce circa cinquant’anni fa. Lo sviluppo è prima militare/universitario, poi commerciale ma solo dal 1991, quando nasce il web.
- - - - - - - -
Un po' di storia per determinare cos'è l'Internet e cosa il WWW.
Nel 1945 Vannevar Bush, il direttore del MIT e consulente del presidente Roosevelt, teorizzò un sistema di diffusione della conoscenza chiamato Memex. Il progetto non partì, ma ispirò pensieri futuri.
In quegli anni Neil Mc Elroy, un manager del settore pubblicità di Procter & Gamble, stava facendo carriera, fino a diventare presidente dell'azienda nel 1948. Lasciò Procter&Gamble nove anni dopo, chiamato dal presidente Eisenhower a sostituire il ministro della Difesa che si dimise il 9 ottobre del '57, giusto quattro giorni dopo il lancio nello spazio da parte dell'Unione Sovietica dello Sputnik I, il primo satellite al mondo. McElroy, pubblicitario e uomo di marketing, fu l'artefice, nel 1958, della nascita del progetto Arpa, che poi avrebbe prodotto gli studi di ArpaNet (l'antesignano di Internet) nei primi anni sessanta.
Nel 1965 Ted Nelson inventò il termine ipertesto per definire un linguaggio che permetta una gestione articolata nei contenuti (un concetto che era già stato definito vent’anni prima nel progetto Memex).
Nel 1967 si tiene la prima conferenza mondiale su ArpaNet, nel 1969 Arpanet fa il suo debutto operativo realizzando la prima rete tra quattro università americane.
Nel 1971 nasce il servizio di posta elettronica.
Nel 1973 si definisce il protocollo FTP per il trasferimento dati.
Nel 1981 c'erano complessivamente 200 host collegati alla rete delle reti nel Mondo
Nel 1982 il primo host internet italiano, il CNUCE di Pisa (oggi il CNR a Pisa è sede unica del NIC, cioè del registro dei domini .it)
Nel 1985 nascono le prime mailinglist, ossia gruppi di discussioni basate sullo scambio via email.
Nel 1989 Tim Berners-Lee al Cern di Ginevra sviluppò l’idea e le soluzioni pratiche da cui è nato il sistema world wide web, che lo avrebbero portato a mettere online il primo sito Web, il 6 agosto 1991. Oggi gli standard su cui è basato, in continua evoluzione, sono mantenuti dal World Wide Web Consortium (W3C).
Nei primi anni novanta si sviluppano i siti web un pò ovunque nel mondo, e aumentano velocemente gli host internet. Nacquero i primi motori di ricerca per il web e mororono pian piano quei sistemi di scambio e quei gruppi che erano basati su protocolli diversi dal worldwideweb, in (relativa) voga negli anni ottanta.
Poi si arriva al nostro decennio (2000-2010), con i dubbi sulla necessità di un sistema parallelo al primo (internet 2) a causa della possibile mancanza di indirizzi IP disponibili per le macchine collegate all'internet. Il problema non fu mai affrontato, grazie alla adozione di sistemi di distribuzione degli indirizzi per le aziende attraverso i router e con l'adozione dell'IPV6, che consentirà di gestire miliardi di miliardi di miliardi di indirizzi possibili.
E prende forma una nuova tendenza alla semplificazione, grazie anche alle relazioni con lo sviluppo della velocità di accesso all'internet. Si definisce per la prima volta il WEB 2.0
- - - - - - - -
Possiamo immaginare l'internet come una sfera di capi, di estremi, di collegamenti, alla quale ognuno di noi col nostro dispositivo (host) connesso è un estremo, ed è in relazione potenziale con chiunque altro. È nata in modo totalmente aperto e gratuito (internet è "stupida", grazie ai suoi inventori che erano intelligenti)
E possiamo immaginare il World Wide Web come un servizo che possiamo sfruttare una volta connessi all'internet, un servizio di relazione tra i contenuti cui si può avere accesso grazie agli ipertesti.
Ma come possiamo immaginare il Web 2.0? E di conseguenza, tutti i suoi derivati? Non è cambiato nulla dal punto di vista dei protocolli. Non è cambiato niente di tecnico, tra il world wide web di prima e quello di oggi. E allora?
Ma si tratta di un brand. Ossia di un marchio, creato ad hoc come per le patatine. Per vendere di più, o meglio, di nuovo.
Si dice che il termine Web 2.0 debba essere utilizzato per definire un particolare momento storico dell'evoluzione naturale dell'internet. Ecco, la prima riflessione da fare è sul "si dice".
Credo possa essere utilizzato anche per definire un paradigma, per superare un particolare momento di sfiducia dell'opinione pubblica e soprattutto degli investitori in relazione alla famigerata bolla speculativa nata per lo sviluppo smodato e vacuo di aziende (principalmente deputate alle transazioni commerciali) alla fine degli anni novanta. Tutti ricordiamo "la bolla delle dot com" come convenzione anche dell'informazione che etichettò la "new economy" come inconsistente attività.
Allora per cercare nuova linfa, per far partire nuove startup con maggiore attenzione e aspettativa di risultato si applicò un metodo sempre valido: cambiamo nome all'esistente. La comunicazione del world wide web aveva bisogno di uno slancio nuovo, per nuove applicazioni che offrissero le opportunità che l'internet davvero è in grado di offrire con la sua stolida efficienza.
La crisi globale che ancora oggi respiriamo è stata la fame che ha tolto il lupo dal bosco: un bosco che alla fine dei novanta era intricato di soluzioni, di tecnologia raccontata in modo misterioso e di idee di sviluppo dell'internet utopiche e assurde.
La convenzione è stata accolta dalle masse, grazie all'informazione (tradizionale, sui vecchi media) trasmessa presentando il Web 2.0 come la panacea della crisi che i servizi e i siti web avevano subito: un nuovo inizio, tutto bello, semplice e luccicante, come nuovo. Ma non sono i siti che consentono la partecipazione a determinare l'evoluzione.
C'è stato un cambiamento, nemmeno troppo auspicato dagli inventori del 2.0 sulla stampa e sui bollettini di marketing.
Il vero cambiamento è nella società.
Le persone, un pò alla volta, hanno cominciato a prendere coscienza del loro posto nella società in rete. Una società che per riunirsi non deve trovarsi nello stesso posto. Individui che nella società possono rivolgersi a chiunque, potenzialmente. Individui che potranno controllare l'informazione, discuterla, confrontarla, analizzarla.
Nulla di nuovo nel web, tranne la coscienza e le conversazioni. La partecipazione degli utenti. Strumenti più adatti per attrarre quel pubblico che prende le misure e si garantisce la possibilità di partecipare.
- - - - - - - -
Se quindi si definisce il neologismo "Giornalismo 2.0" anche qui siamo di fronte ad un marchio, e forse il giornalista crea uno spettro a se stesso per una questione di definizioni. In Italia c'è ancora una larga dissonanza di informazioni sull'argomento, più che in altri paesi, perchè si sta facendo chiarezza su temi che altrove nel mondo sono più noti alla società.
Il giornalismo si arricchisce o si evolve, così come si è evoluto nel secolo scorso, quando non esistevano giornalisti televisivi, e la novità fu salutata con sospetto anche allora.
La comunicazione, come ha sapientemente indicato Watzlawick possiede aspetti di contenuto e di relazione, ossia oltre il significato delle parole ogni comunicazione contiene più informazioni: l'approccio e il tono con cui chi comunica affronta i suoi ascoltatori, e anche la qualità intrinseca dello stile di comunicazione, per esempio.
Il giornalismo 2.0 è solo il giornalismo nell'era in cui ognuno ha accesso alla critica dell'informazione. Un ruolo che deve arricchirsi dei contributi dei lettori, che impone la qualità dell'approfondimento e la comunicazione "aumentata" da parte del giornalista, che necessita di profondità nel trattare qualunque notizia, e attenzione alla componente della relazione per farsi capire e coinvolgere i lettori.
La notizia oggi può fornirla chiunque. Il dovere del professionista è analizzarla, discuterne, riproporla.
Il commento è un esempio di comunicazione. Quello che lo differenzia dalla notizia che lo ha generato è la mancanza di una componente di relazione importante per il giornalismo, costituita tra l'altro dalla reputazione del giornalista e della testata su cui scrive. Quindi l'autorevolezza.
La marca "Giornalismo 2.0" ha senso solo se la intendiamo come cambiamento di socialità dell'informazione. Una volta acquisita e sentenziata nella forma ritenuta corretta dagli editori. Oggi arricchita, proposta con la certezza della fonte e miscelata con il commento - quello che nei contenuti è corretto e aggiunge valore.
Un ruolo nuovo per il lettore. Un ruolo sociale. Cogliamo l'opportunità.
Marco G. Matteoli