domenica 30 gennaio 2011

Dal copyright alla censura web Tutti contro la delibera Agcom[

[La Repubblica 30/01/2011] STA PER arrivare in Italia un sistema automatico e diretto per sequestrare siti esteri, di qualsiasi tipo: da Wikileaks a giornali online stranieri; da blog a video amatoriali. E' quanto sostiene una campagna che partirà oggi pomeriggio, firmata da numerose associazioni e inviata in forma di lettera aperta indirizzata al Parlamento. Nel mirino c'è una delibera Agcom (Autorità garante delle comunicazioni) sul diritto d'autore e ora in consultazione pubblica. Prende forma quindi un allarme che già era nell'aria 1: cioè che quella delibera potrebbe trasformarsi in uno strumento di censura di siti stranieri. Ne sono convinti gli aderenti alla campagna, che con iniziative e spot su vari media: Adiconsum, Agorà Digitale di Marco Cappato (Radicali), Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio. Un sito web 2 consentirà chiunque di aderire alla campagna e di seguirne gli sviluppi. La lettera parla di rischio che nasca un "un sistema di controllo e censura pervasivo". E denuncia come "anticostituzionale" la delibera. Che adesso è in consultazione pubblica e sulla quale in meno di un mese la stessa Agcom - sentiti i pareri - dovrà prendere una decisione.

"Il motivo di questo allarme si scopre tra le righe della delibera Agcom", spiega Fulvio Sarzana, avvocato esperto di internet e tra i promotori della campagna. "Si legge che Agcom si riserva il diritto di sequestrare (cioè di impedirvi l'accesso agli utenti italiani) siti prevalentemente adibiti alla violazione del copyright o i cui server sono posti all'estero. Come si vede, con quella congiunzione "o" si apre un mondo". "Qualunque cosa connessa al diritto d'autore e posta all'estero può finire nel mirino dell'Authority, che deciderebbe il sequestro in autonomia, senza passare dall'autorità giudiziaria. E' una cosa inaudita nei Paesi democratici. Ed è incostituzionale", aggiunge Sarzana. "Addirittura si legge in delibera che nelle intenzioni dell'Authority questo sistema di sequestro dovrebbe diventare automatico".

Che cosa potrebbe succedere? "YouTube, che ha server in Irlanda, diventa irraggiungibile dall'Italia per un singolo video pirata", dice per esempio Sarzana, secondo cui inoltre la tutela del copyright potrebbe essere il pretesto per sequestrare siti o blog con contenuti sgraditi a qualcuno. "Nella trappola potrebbe capitare anche Wikileaks. Basta che qualcuno affermi che uno di quei documenti riservati viola il diritto d'autore e verrebbe sequestrato l'intero sito. Quando il server è all'estero, infatti, non si possono colpire i singoli file o pagine incriminate". Certo, i membri dell'Authority hanno ribadito che quella delibera serve solo a tutelare il diritto d'autore. "ma non conta quello che dicono a voce, bensì ciò che c'è scritto. E quello che c'è scritto dà gli strumenti per censurare siti e contenuti posti all'estero", continua Sarzana.

"Per scongiurare che tutto ciò avvenga in modo silenzioso, ci appelliamo all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni affinché effettui una moratoria sulla nuova regolamentazione sul diritto d'autore", si legge nella lettera. "Temiamo che i compiti che la regolamentazione affiderebbe all'Autorità Garante assumeranno dimensioni difficilmente gestibili dalla stessa Autorità e porteranno presto ad una congestione a cui seguirà probabilmente approssimazione o mera discrezionalità". I firmatari chiedono infine che sia il Parlamento, e non l'Authority, a partorire una nuova legge sul diritto d'autore.

"In questo modo si otterrà il risultato di ridare al Parlamento il ruolo di interlocutore privilegiato con la società civile, e di rispettare il principio di separazione dei poteri dello Stato". A chiedere all'Authority l'inedito compito di fare una legge sul diritto d'autore è stato il decreto Romani (di Paolo Romani, attuale ministro dello Sviluppo Economico). Che sia stata una forzatura lo sa bene però anche l'Agcom, che infatti in questo stesso contesto ha chiesto appunto al Parlamento 3 e al Governo di occuparsi di una revisione delle leggi sul diritto d'autore. Come a dire: noi lo facciamo perché ce l'ha imposto un decreto; ma anche noi sappiamo bene che questo dovrebbe essere compito di altre istituzioni.

L’Isit di Gorizia lancia il social network d’istituto

[Bora.La 30/01/2011] Se i social network hanno tanto successo, perchè non sfruttarli anche a fini didattici? E’ l’intuizione dalla quale sono partiti i docenti dell’Isit Galilei-Fermi–Pacassi di Gorizia per dare vita all’evoluzione del progetto Isitgooair: l’istituto non curerà solamente la web radio attiva già dal 2007, ma è pronto a lanciare una web tv e soprattutto una piattaforma di condivisione contenuti, messaggistica, didattica a distanza. Una sorta di Facebook, per farla veramente semplice rispetto a ciò che è in realtà IsitgoonairPeople, protetto e adattato alle esigenze di studenti e docenti.

“Isitgoonair 4 in 1: web radio, webTV, e-learning e social network”, questo il nome del progetto che nasce da un gruppo di docenti di informatica formato dal professor Gaetano Strano, ideatore della web radio Isitgoonair, coordinatore del progetto e referente della sezione webradio-Tv, dal professor Marco Corbatto responsabile dell’e-learning, e dal professor Maurizio Silvestri, gestore del social network.

Qui il link per accedere alla piattaforma di insegnamento, alla web tv alla web radio e al social network.

sabato 29 gennaio 2011

Internet e social network non sono né il bene né il male, ma il nuovo campo della battaglia per il potere

[IlSole24Ore 29/01/2011] Nei paesi dove si discute di cose serie si è aperto un gran dibattito sul ruolo dei social network, da Facebook a Twitter, nelle recenti rivolte democratiche nelle società chiuse, nei regimi repressivi, nei paesi totalitari. Le cronache raccontano di manifestazioni in Iran, in Tunisia, in Egitto convocate via Twitter, di gruppi di dissidenza organizzati su Facebook, di un uso libertario di Internet dalla Cina al Medio Oriente. Il dibattito non è frivolo, ma riguarda la formulazione della politica estera dei grandi paesi occidentali.

La rivolta in Egitto continua. ElBaradei: intifada fino alla caduta del regime

Internet, cellulari e tlc in black out. Così il governo egiziano spegne la democrazia in rete

Il segretario di stato americano Hillary Clinton si è impegnata a promuovere la libertà della rete ovunque nel mondo. La rivista Foreign Affairs, organo ufficiale dell'establishment americano di politica estera, ha aperto il suo ultimo fascicolo con un saggio di Clay Shirky, professore di new media alla New York University, intitolato "Il potere politico dei social media".

La tecnologia e internet in particolare sono diventati i fattori decisivi per la diffusione della libertà, secondo la tesi predominante del Dipartimento di stato e delle cancellerie occidentali. I messaggi sms, le email e i blog hanno agevolato le comunicazioni dei dissidenti, la diffusione della contro-informazione, le attività d'opposizione. Lo sostiene anche il direttore di Google ideas Jared Cohen, forte della sua esperienza di pianificazione politica al Dipartimento di stato prima con Condoleezza Rice e poi Hillary Clinton.

Ma non tutti sono della stessa idea. L'esperto di cose internettiane Evgeny Morozov, giornalista bielorusso di Foreign Policy e analista della New American Foundation, non ne è convinto. Sostiene anzi che questa visione catartica di internet sia un inganno, un'illusione, un'utopia cibernetica che semmai rischia di provocare l'effetto contrario e di consolidare le dittature. Sul tema Morozov ha scritto numerosi articoli, anche per questo giornale, e un libro appena uscito negli Stati Uniti dal titolo The Net Delusion – The dark side of internet freedom (Public Affairs).

La tesi di Morozov è che non c'è alcuna prova che le proteste di piazza a Teheran, a Tunisi e al Cairo non ci sarebbero state senza internet. Non c'è alcun automatismo, scrive, tra l'uso di una particolare tecnologia e la conquista di una maggiore sfera di libertà. Il determinismo tecnologico, secondo Morozov, è pericoloso perché porta i governi occidentali a sottovalutare le vere ragioni del cambiamento sociale e quindi ad adeguarsi all'illusoria equazione secondo cui basta più tecnologia per ottenere più democrazia. In realtà, scrive Morozov, internet e i social network sono usati ancora più efficacemente dai regimi dispotici per reprimere, censurare e sorvegliare.

l pessimismo hi-tech di Morozov è molto efficace nel distruggere i luoghi comuni su internet, ma non va oltre il gigioneggiare intorno alla nuova e indissolubile fede cibernetica. Morozov non offre alternative. Nel suo ragionamento manca una parte propositiva. Non spiega, per esempio, come mai per fermare l'opposizione la prima mossa dei governi dispotici sia sempre quella di bloccare il sistema dei messaggi sms e di sospendere il servizio internet, come è successo in Egitto.

Il pensiero unico dell'intellettuale collettivo illude la comunità occidentale a credere che sia sufficiente firmare una petizione online, condividere su Facebook una campagna politica o retwittare un appello per provocare un cambiamento sociale dall'altra parte del mondo. Le riflessioni di Morozov sono condivise da Malcom Gladwell, il geniale autore del New Yorker, e sono affrontate nella recentissima raccolta di saggi curata dalla filosofa Martha Nussbaum. The offensive internet, tra le altre cose, indaga sulla fallacia dell'idea romantica di internet come zona di libertà.

Mettere in guardia sugli abusi, sulle perversioni e sulle manipolazioni delle rete è doveroso, così come è giusto segnalare quanto le nuove tecnologie abbiano raffinato le attività di censura, di sorveglianza e di propaganda dei regimi dispotici. Ma è altrettanto vero che la rete ha cambiato il paradigma della battaglia politica fornendo alle opposizioni di tutto il mondo un impareggiabile strumento di comunicazione per organizzarsi, informare e chiedere conto al potere delle sue scelte.

Morozov sostiene che questi siano retaggi da Guerra fredda, strumenti politici di un'altra era, categorie che non funzionano più nell'epoca dell'informazione. Promuovere la democrazia via internet, secondo Morozov, è un'illusione perché la rete non è il samiszdat del XXI secolo, non è la scorciatoia per la liberazione dei popoli. Sull'Herald Tribune, l'editorialista Roger Cohen sostiene invece che la libertà di connessione sia uno strumento liberatorio e nel caso specifico della Tunisia anche un dono divino per tutto il mondo arabo.

Le tesi opposte di Morozov e Cohen non convincono in pieno. Far circolare informazioni non è un'arma specifica contro il comunismo, semmai contro tutte le società totalitarie. Twitter e Facebook non sono strumenti a disposizione dei regimi o dei ribelli. Sono il luogo dove si combatte la nuova battaglia, il terreno dove si coltivano le nuove dinamiche di potere. Internet e i social network sono le fotocopiatrici Xerox inviate trent'anni fa oltre la Cortina di ferro e le frequenze radiofoniche di Radio Free Europe durante la guerra fredda. Allo stesso modo possono essere usati in modo pernicioso dagli oppressori, per reprimere la dissidenza con più efficacia. Da soli, però, non sono né il bene né il male. internet è il mezzo, non il messaggio.

Christian Rocca

Dai giochi alle auto, addio proprietà Così si vive nel mondo in affitto

[La Repubblica 29/01/2011] La metafora del trapano funziona bene. Un giorno ti è servito per montare delle mensole. Poi, nei dieci anni successivi, si è limitato a occupare spazio in una cassetta degli attrezzi che a sua volta ha preso polvere in un ripostiglio. Assumendo che per fissare i ripiani si siano fatti sei buchi e che l'attrezzo sia costato centoventi euro, fanno venti euro a buco. Che è più una parcella da dentista che da carpentiere. Le nostre case sono piene di oggetti che usiamo una volta e dimentichiamo per sempre. Il consumismo vive di bisogni indotti e acquisti impulsivi. Oggi però, complici le nuove tecnologie, cresce dal basso una sorta di movimento contrario. Che alla proprietà (esclusiva) oppone l'affitto (collettivo). O, se preferite, il "consumo collaborativo" come recita il sottotitolo di What's Mine is Yours, quel che è mio è tuo, dell'americana Rachel Botsman, una sorta di manifesto che spiega perché la Società del Noleggio fa bene a noi, all'economia e anche all'ambiente.

Una delle prime formulazioni dell'idea risale a Jeremy Rifkin, economista sensibile alle transizioni sociali. In "L'era dell'accesso" (2000), sosteneva che la proprietà era slow e l'affitto rock. Contava l'esperienza che si faceva di un bene o di un servizio, non la relazione giuridica che ci legava ad esso. Ieri la teoria, oggi la pratica. Il campione del nuovo fenomeno si chiama Netflix. La società, sfortunatamente non ancora arrivata in Italia, ha rivoluzionato il noleggio dei film. Non si deve più andare al negozio, prelevare e poi riportare. Con meno di 10 dollari al mese scegli quanti dvd vuoi, te li mandano a casa e li rispedisci in busta preaffrancata. Uno schema tanto convincente che l'anno scorso, mentre l'omologo della Old economy Blockbuster annunciava il fallimento, il suo fatturato ha raggiunto quota 116 milioni di dollari. Alla stessa maniera, mentre le vendite di auto scendevano ai minimi storici, il loro noleggio faceva segnare nuovi record. Grazie a compagnie come Zipcar e ai suoi 400 mila utenti che possono affittare qualsiasi vettura e riconsegnarla in uno dei parcheggi disseminati nelle città statunitensi. Anche varie amministrazioni pubbliche, preso nota della tendenza, hanno puntato sulle due ruote. Poi, tra le 20 mila bici del Vélib parigino e le 200 romane, la differenza quantitativa è tanto forte da diventare qualitativa. Però, insomma, l'idea è passata.

Al punto che, oltre a questi esempi più tradizionali, ne sono spuntati altri in cui anche i privati condividono i beni. Zilok, ad esempio, è figlia del francese Gary Cige. In due anni di attività sulla sua piattaforma sono stati offerti 150 mila oggetti, con circa 6000 transazioni al mese. Per non dire di CouchSurfing, in cui si mette a disposizione il divano del proprio appartamento, o Zimride, per passaggi in auto a conoscenti via social network. "Il fattore limitante prima era la fiducia", spiega a Wired il suo cofondatore Logan Green, "ma ora Facebook l'ha risolto". Per mettersi in casa, o anche sul sedile accanto, un totale sconosciuto bisognava essere particolarmente bendisposti nei confronti del prossimo. Oggi bastano un paio di clic su Google per verificare la reputazione di quasi tutti. La stessa garanzia fa prosperare siti come Swaptree, dove si scambiano libri e cd, sino a SharedEarth, dove chi ha della terra la può far lavorare a chi non ha paura di sporcarsi le mani.

Se internet ha tolto le paure, principale ostacolo, gli altri due enzimi della recente esplosione del fenomeno sono stati la crisi e l'ambiente. Al grido di "toglietemi tutto, ma non la mia Louis Vuitton", molte donne hanno cominciato a rifornirsi da Bag Borrow or Steal, specializzato nell'affido temporaneo di borse d'alto bordo. Invece di spendere 1500 dollari per una Monogram Vernis, te la cavi con 60 dollari alla settimana. Con il valore aggiunto che ti dà la possibilità di cambiare in continuazione. Quel "libertinaggio consumistico" di cui ha scritto l'Economist. "Lo stesso succede per oggetti suscettibili di rapida obsolescenza, tipo i vestiti e i giocattoli per bambini. Che senso ha comprare una tutina di marca per un moccioso che dopo tre mesi è già dieci centimetri più alto? Da qui l'idea di thredUP, specializzato nello scambio, oppure Rent-That-Toy che fa lo stesso per i giocattoli. Ci guadagnate voi, ci guadagnano gli imprenditori che si sono buttati su questo segmento (come spiega un altro libro recente, The Mesh: Why the Future of Business is Sharing), ci guadagna il pianeta. Perché meno acquisti uguale meno packaging uguale meno Co2. C'è un sacco di roba inutilizzata in giro, e niente come il web è efficiente nel metterne in contatto domanda e offerta. Come sanno benissimo i quasi 8 milioni di utenti di Freecycle, gente che, smaltendo cose che non usa più, si risolve un problema risolvendolo a chi cerca proprio quelle.

In fondo la domanda cui si deve rispondere è semplice: è meglio essere signori assoluti di un certo numero di cose o padroni temporanei di tutte le cose possibili e immaginabili? Un giornalista del New York Times, raccontando dello straordinario senso di liberazione provato quando ha deciso di vendere casa e tornare in affitto, ha risposto mutuando un'immagine letteraria: "Preferirei poter prendere a prestito dalla biblioteca di Borges piuttosto che essere proprietario solo della mia". Un ragionamento che si può estendere a innumerevoli altri campi. I downsizers californiani, quelli che puntano a vivere con cento cose, decrescendo felicemente, saranno d'accordo. Con meno proprietà, tra l'altro, si procede più spediti. Magari cantando Trav'lin light, l'inno al "viaggiar leggeri" esistenzialista della precorritrice Billie Holiday.
RICCARDO STAGLIANO'

giovedì 27 gennaio 2011

Social web e rivolte popolari tecnologia abbatte censura

[La Repubblica 27/01/2011] ROMA - Viste una accanto all'altra, le mappe mondiali che illustrano la libertà di stampa e la censura sul web corrispondono quasi perfettamente. Le zone in cui internet subisce controlli governativi e blocco di siti sono quelle in cui diffusione di notizie trova più resistenze, quando non veri e propri muri. Eppure, nonostante le resistenze dei governi, nelle rivolte popolari che incendiano il Nordafrica negli ultimi giorni, i social network come Facebook e Twitter hanno svolto un ruolo prioritario nella comunicazione. Non a caso la Siria, dove non è ancora successo nulla, ha scelto di chiuderli.

INTERATTIVO: LA MAPPA DELLA CENSURA 1

La Rete che amplifica. Fino a pochi anni fa, le reazioni dei cittadini ai comportamenti di un governo erano poco più che rumori di fondo, facilmente sopprimibili. Con il web sociale, il rumore di fondo di ognuno è un flusso di notizie che ne alimenta uno di informazione. Che può ingrossarsi, ed è il caso delle rivolte degli ultimi giorni, fino ad assumere un'importanza e un'autorevolezza riservata finora ai media "tradizionali". Quando questo succede, radio e tv difficilmente possono ignorare le cronache dal mondo, soprattutto quando i documenti audiovisivi non hanno bisogno di commenti. Certo, incappare in un "falso" realizzato per propaganda non è impossibile. Ma sulla cronaca in tempo reale è un'eventualità remota. I cittadini "vivono" la Rete come e più di una piazza elettronica. Alla luce delle ultime rivolte nordafricane, internet è un luogo sociale riconosciuto, quasi fisico. Le informazioni immesse dal basso, in diretta, sul web hanno oggi un'importanza assoluta. E nel caso di scenari sociali instabili, rivolte e scontri, documentano una visione della realtà in un modo in cui nessun media ha finora potuto fare. Un modo che può far preoccupare molto chi ha bisogno di controllare l'informazione.

Cronache dal web. Il media si fa sociale, ogni individuo è un'emittente di informazioni, che e nell'epoca della Rete si diffondono in tempo reale. Era il 20 giugno 2009, e si chiamava Neda Soltani la ragazza uccisa da un miliziano durante le manifestazioni a Teheran, in una strada che adesso molti chiamano 'Neda Street'. Secondo la testimonianza di un amico, Neda aveva accompagnato il papà a vedere la folla in rivolta. Non partecipava alla protesta e non era armata, eppure un proiettile l'ha uccisa. I suoi ultimi istanti di vita, e quelli poco precedenti, sono documentati nei video che i manifestanti caricavano su Youtube in diretta dalla manifestazione. E che hanno raccontato al mondo su cosa avveniva in quelle strade, prima dei telegiornali. In questi giorni, il web ha portato all'attenzione del mondo un ragazzo che durante le proteste in Egitto, ferma un blindato 2 dotato di idrante parandosi davanti al mezzo, come nell'89 un altro ragazzo fermò un carrarmato a piazza Tien An Men a Pechino. In quell'occasione, fu una foto ad immortalare un momento che è rimasto impresso come fotogramma sui giornali e poi nella Storia. Stavolta, c'è un video in cui il blindato cammina, il ragazzo è davanti, il blindato spara il suo getto d'acqua e poi si ferma. Tutto questo affidato a internet, nelle sue mille forme e veicoli.

Tunisi, Egitto, Algeria. E poi Libano, Iran, Cuba, Russia. La censura sul web non spaventa i blogger, non impedisce ai gruppi di organizzarsi su Facebook, non ferma i micro-reporter dal pubblicare notizie di pochissime battute su Twitter. Attività che rimbalzano in pochi istanti nel mondo e che danno fuoco alle polveri della cyber-guerriglia. Tra siti oscurati e community irraggiungibili, arrivano i blog a fornire cronache al minuto di avvenimenti che altrimenti rimarrebbero sconosciuti. E dai blog al grande aggregatore di Google il passo è istantaneo, così che filtrare i racconti delle rivolte popolari diventa difficile. La censura riesce spesso a bloccare i canali più visibili ma ha difficoltà ad individuare i piccoli ruscelli di notizie, che però, questo è il fenomeno straordinario, riescono ad ingrossarsi fino a diventare fonti di notizie, ampiamente documentate. Che senza il web sociale, il mondo non avrebbe mai visto. E non solo: la rivoluzione digitale non è solo nelle piazze. E' soprattutto prima, nell'organizzazione. Dal flash mob alla protesta organizzata.

Rivoluzioni digitali. Tutti gli aspetti divulgativi delle ultime rivolte nordafricane hanno trovato su internet la loro base, dall'organizzazione dei gruppi alla logistica, fino ai diversivi per ingannare le milizie, che pure navigano in Rete. E dopo i piani, sul web sono apparsi prima che altrove cronache, video e foto degli eventi, in una lotta di mosse veloci tra i "cittadini giornalisti" e gli addetti alla censura. Un inseguimento fatto di siti che appaiono e scompaiono, connessioni che vanno a singhiozzo, rimandi verso nodi esteri della Rete per arrivare dove le autorità non vogliono. Si parla perciò di "rivolta digitale", dove il controllo di internet si sovrappone in tutto e per tutto a quello della piazza. Solo che a parità di mezzi tecnologici, il conflitto online è quasi ad armi pari. E quindi le informazioni trovano comunque un modo di uscire dai confini digitali. E prima dei moti di piazza e della guerriglia urbana, è sul web che nascono gruppi, forum, "hashtags", definizioni brevi che indicano argomenti caldi. E dalla Rete, i movimenti si trasferiscono in strada. E' la faccia violenta di quella che potrebbe essere un'idea di democrazia digitale, quella in cui la rappresentanza politica è del cittadino stesso. Ma che ora mostra solo la sua faccia più rabbiosa.

Il politologo: "fattori base, demografia e connettività". Le migliaia di manifestanti nelle strade del Cairo hanno raccolto l'appello di gruppi militanti pro-democrazia molto attivi sulla rete. Spiega il politologo Hisham Kassem: "La situazione attuale è il risultato di due fattori, la demografia e la connettività". Nonostante i dati sulla disoccupazione, stimata tra l'11 e il 17%, secondo numeri non ufficiali del Global Policy Network, e malgrado il 40% della popolazione viva nell'estrema povertà, l'egitto ha iniziato la sua rivoluzione tecnologica: a fine 2010, circa 23 milioni di persone avevano un accesso a internet, regolare o saltuario. Un quarto della popolazione, cifra in rialzo del 45% in un anno. Numeri molto importanti anche nella diffusione dei cellulari, che fanno di buona parte della popolazione egiziana dei potenziali reporter. Rabab al-mahdi, professore di scienze politiche all'università americana del Cairo, spiega così il fenomeno: "Quello che è successo in Tunisia ha spinto in strada la popolazione civile egiziana, e non militanti politici agguerriti. I manifestanti si sentono più forti di fronte alla polizia, esultano attraverso i social network". Che ora, non a caso, sono stati chiusi.


Ognuno è un social network. Il controllo delle notizie è complicato per chi prova a contrastare le ribellioni digitali. Perché non di soli Facebook e Twitter è fatto il web sociale. Quando si parla di internet "2.0" si indica proprio la Rete delle persone, sociale per definizione. E' la regola per cui ogni sito diventa un veicolo di informazioni, e dentro a un sito, ogni scampolo di informazione diventa condivisibile verso centinaia di altri ricettori e aggregatori. Di più: ogni testimone che durante una protesta di piazza raggiunge uno spazio libero del web e divulga informazione, diventa esso stesso un nodo sociale. La persona fisica coincide con quella digitale, che è molto più difficile da controllare perché esiste in una molteplicità di universi virtuali contemporanei.
Se arginare stampa e tv è un processo ormai acquisito per i regimi, controllare internet non è così scontato, a meno di non filtrare la Rete all'origine come accade in Cina con la Grande Muraglia Digitale. Da qui è chiaro come il controllo del web sia un concetto politico incompatibile con la democrazia, vera o presunta. I regimi hanno dei codici vigenti che consentono alle autorità di bloccare il web, in democrazia questo non può succedere. O per lo meno non dovrebbe.

mercoledì 26 gennaio 2011

Obama e Twitter

[26(01/2011 L'espresso] Come sta cambiando radicalmente la tecnologia dei mass media? L’ho toccato con mano martedì sera durante l’intervento di Barack Obama davanti al Congresso. Era il discorso sullo Stato dell’Unione, un appuntamento che si ripete ogni anno a fine gennaio. In passato ho sempre seguito l’intervento da casa visto che va in onda alle 21 e dura circa un’ora. Quest’anno sono andato al Greene Space.

WNYC-LEED-Greene-Space-3Cosa sia esattamente il Greene Space mi è difficile da spiegare. E’ una via di mezzo fra un auditorium e una sala di registrazione che da qualche tempo è stata aperta al pubblico dalla stazione radiofonica WNYC. Quest’ultima è un’ottima radio d’informazione finanziata sia con denaro pubblico che con donazioni private di corporations e di individui. WNYC – che per chi se ne intende è la struttura di New York di NPR, National Public Radio – con il Greene Space ha espanso le possibilità di trasformare la radio in un mezzo interattivo con la partecipazione del pubblico dal vivo. E così martedì sera ero una di quasi 200 persone in questo auditorum a livello strada con grandi vetrate su Varick Street cosicchè anche i passanti sono in un qualche modo partecipi di quanto avviene all’interno.

2794980310_4604e16abd_oA condurre la serata era Brian Lehrer, una delle voci più note di WNYC conduttore da anni di un seguitissimo talk show del mattino. Come ha spiegato Lehrer “solitamente negli auditori vi chiedono di spegnere il cellulare, noi invece vi chiediamo di tenerlo acceso”. Un invito motivato dal fatto che durante gli oltre sessanta minuti di discorso di Obama eravamo sollecitati a esprimere le nostre opinioni in diretta attraverso Twitter.

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3638204140_e955a8f4a3Per chi ancora ha dubbi su che cosa sia Twitter è un sito web che permette agli utenti di mandare e ricevere brevi messaggi (non oltre 140 caratteri) chiamati appunto Tweet. A differenza di messaggini sms con Twitter si può “seguire” un particolare ” Tweet stream” che fa da filo conduttore su uno specifico argomento.

Su un grande schermo era proiettato l’intervento del Presidente e su un monitor molto più grande appariva una schermata di computer con i commenti su Twitter che scorrevano a mano a mano che venivano aggiornati.

twitter-zoomed-inL’argomento specifico naturalmente era lo State of the Union e per accedere chiunque di noi presenti dotato di cellulare o di Ipad ha usato un particolare codice per dare via a questo “stream” interattivo. Chiunque avesse un’osservazione, un pensiero o una considerazione sulle parole di Obama poteva commentare in diretta con il suo messaggino che appariva sul grande schermo per essere letto da tutti.

Messaggi seri sui contenuti politici del discorso, messaggi scherzosi sui capelli di Hillary Clinton o sul colore della cravatta del vicepresidente Joe Biden. Messaggi emotivi e messaggi sostanziali. Messaggi buffi e messaggi di riflessione. Messaggi controversi e messaggi irrilevanti. Insomma, uno specchio delle più di centocinquanta persone – newyorkesi qualunque – nel Greene Space per il discorso di Obama.

Al di la dei contenuti specifici è stata la tecnologia della serata a colpirmi:

ERO PARTE DEL PUBBLICO DAL VIVO A UNA STAZIONE RADIO DOVE ERO PARTECIPE DI UN PROGRAMMA TELEVISIVO ATTRAVERSO UN SITO SU INTERNET.

lunedì 24 gennaio 2011

La pornografia online tra le maggiori fonti di minacce informatiche

[hwgadget 24/01/2011] BitDefender, importante fornitore di soluzioni innovative di sicurezza internet, annuncia i risultati di un sondaggio che dimostra che la pornografia online continua ad essere una tra le maggiori fonti di minacce informatiche.
Lo studio di BitDefender, che espone i rischi per la sicurezza dei dati e le implicazioni a cui si va incontro accedendo a siti di contenuti per adulti, conferma che il 63% degli utenti che ricerca un determinato tipo di contenuti online compromette la sicurezza del proprio computer in diverse occasioni.
BitDefender ha portato avanti un sondaggio riguardante il background psicologico degli utenti che utilizzano contenuti per adulti online e una ricerca per identificare i relativi malware e i problemi di privacy che ne conseguono.
Oltre il 72% dei 2.017 intervistati ha ammesso di ricercare e accedere a siti di contenuti per adulti (di cui il 78% uomini e il 22% donne). Lo studio ha inoltre scoperto che di tutto il materiale pornografico più popolare, un incredibile 91% è rappresentato da video che possono essere scaricati da diverse fonti, tra cui torrent, siti web e hub. I siti per adulti in tempo reale, come le video-chat e i siti di appuntamenti, si classificano al secondo posto nelle preferenze degli intervistati con il 72%.
Lo studio continua rivelando che il 69% dei partecipanti al sondaggio ha dichiarato di accedere ai siti per adulti da casa, mentre il 25% vi accede dal lavoro e solo il 6% da altre location (come per esempio da internet cafè). Le motivazioni principali che spingono ad accedere a questi siti sono il desiderio di rilassarsi (54%) e la curiosità (38%).
“Questo sondaggio di BitDefender conferma che gli utenti dovrebbero pensarci due volte prima di accedere a siti pornografici, essendo questa un area che i cyber criminali non si stancano mai di sfruttare”, afferma Sabina Datcu, specialista di Analisi di Minacce Online e Comunicazione e autrice del sondaggio. “Più del 60% degli intervistati ha ammesso di aver avuto problemi relativi a malware più di una volta come diretta conseguenza dell’accesso a siti per adulti. I risultati di questo studio vogliono spingere gli utenti a considerare se valga davvero la pena rischiare di compromettere i propri computer, i propri dati e il proprio lavoro per accedere a questo tipo di siti”.
Ulteriori dettagli relativi a questo sondaggio sono disponibili su Malwarecity.com.
Non è stata raccolta alcuna informazione o contenuto privato derivante da questa ricerca. Nessun dato o informazione confidenziale appartenenti a persone fisiche o società è stato o sarà divulgato, utilizzato per altri scopi o contro le persone che lo hanno rivelato.

venerdì 21 gennaio 2011

Come cambieranno i social media nel 2011

[21/01/2011 Web Copywriter] Con oltre 550 milioni di utenti su Facebook, 65 milioni di tweets postati al giorno su Twitter e 2 miliardi di visualizzazioni video su YouTube, i social media sono diventati una parte integrante della vita di ognuno di noi. Ma questo è solo l’inizio.

Negli ultimi due anni abbiamo assistito alla nascita dell’integrazione dei social emdia su nuove applicazioni e device, all’abbassamento delle barriere all’accesso alla tecnologia, alla pervasività del mobile e all’analisi del ROI sui social media (inteso soprattutto come ROE, return on egagement).

Il 2011 sarà contrassegnato da nuovi sviluppi che plasmeranno la materia stessa dei nostri comportamenti, della nostra cultura e della nostra identità.

  1. I social media diventeranno pervasivi. In seguito al successo dei social media esploderà il numero dei provider di applicazioni, widget, servizi di analisi del sentiment, ma anche società di consulenza nella gestione centralizzata delle presente corporate sui social media, con relative pianificazioni, strategie creative, esecuzioni di campagne.
  2. Le aziende integreranno i feedback provenienti dai social media nei loro processi decisionali. Nel 2011 un numero crescente di aziende finalmente andrà oltre l’uso dei social media come mero strumento di costruzione di awareness o di customer support. Come organizzazioni sociali, le aziende useranno il motore sociale per effettuare decisioni strategiche più consapevoli, perseguire gli obiettivi aziendali, pianificare le vendite, sviluppare nuovi prodotti. I managers evolveranno e nasceranno nuove forme di leadership. Vedremo nuove aziende che si focalizzeranno sui clienti e l’ambiente di lavoro, sulla scorta dell’esempio di Zappos e Amazon.
  3. Il mobile diventerà il nostro ponte sul mondo. Il 2010 è stato l’anno in cui le infrastrutture, la tecnologia ed il design hanno avuto convergenza nel mondo del mobile. Per la prima volta, le vendite di smartphones hanno sorpassato quelle di PC desktop e notebook; le applicazioni iPhone e iPad hanno registrato più di 7 miliardi di download, e ricerche di mostrano come l’accesso all’email via mobile stia crescendo vertiginosamente mentre declina sul computer. Nel 2011 il fenomeno si consoliderà, e la frequenza d’uso scalerà i numeri. Utenti, aziende, providers, editori si concentreranno su nuove soluzioni e servizi pensate per essere consumate via mobile. Il mobile doverrà l’estensione naturale della nostra esistenza, l’appendice tecnologica che ci aiuterà ad interagire con il mondo. Dal social shopping in mobilità alle transazioni senza carta, dai check-ins alla gestione della nostra salute in real time, il mobile divverà il punto di intersezione tra tutte le interazioni tra persone, tra persone e aziende e tra le persone e le informazioni in the cloud.
  4. I video saranno dappertutto. Con il precipitare dei costi di distribuzione dei video e la sempre più elevata accessbilità alle piattaforme di vidoe management, l’utilizzo da parte delle aziende dei video su più device crescerà significativamente. L’engagement degli utenti per i video continuerà a crescere. Nell’ottobre 2010, sono stati visualizzati 5.4 miliardi di video, di cui 2 miliardi su Facebook. Oggi gli utenti sono capaci di riprendere video in HD con i loro smartphone. La user experience dei video amatoriali è molto simile a quella dei video professionali, visto l’incremente singnificativo della qualità dei video (almeno dal punto di vista della qualità delle immagini). I video si inseriranno nella catena del valore dei prodotti: le aziende li utilizeranno per presentare al meglio i loro prodotti, i consumatori per recensirli.
  5. Il prossimo grande social network non sarà un network. I social network hanno trasformato le abilità dell’uomo, così come il trasporto moderno ed il telefono hanno fatto negli ultimi 150 anni. Ma hanno anche cambiato la nostra vera struttura relazionale, appiattendo i vari livelli di intimità che abbiamo con le varie persone nella vita reale. Nei prossimi anni vedremo la crescita di applicazioni e piattaforme per community dinamiche, engaging, facili da usare come Diaspora, Path e Looppa, che riproducono molto meglio la reale struttura delle relazioni (diversi livelli di intimità e confidenza tra i vari cerchi di amicizia/conoscenti/colleghi) e che permettono di conseguenza una migliore gestione delle relazioni online. Le persone ora cercano maggiore personalizzazione, autenticità, diversi livelli di privacy, contestualizzazione all’intero dei social network. Per gli utenti tutto questo significa la possibilità di creare comunità più piccole, più intime, legate a contesti più delimitati nei quali il proprio grafo sociale ed il proprio lifestream possa applicarsi meglio. Per le aziende, invece, questo significa avere la possibilità di creare esperienze più legate al brand, più dinamiche ed engaging sulle loro properties online, senza dove far affidamento a realtà esterne e molto dispersive come Facebook. Ancor di più le aziende dovranno pensare come delle media companies. E creare nuove tipologie di relazioni, più forti e durature, e costruite su community che creano reale valore per gli utenti.
  6. Il ROI verrà ridefinito. La maggior parte delle aziende non ha idea di come calcolare il ROI sui social media. Dal momento che le aziende passeranno dalla fase di “dobbiamore essere sui social media” alla fase di “vogliamo usare i social media”, dovranno andare oltre al conteggio di likes e di commenti per valutare il ritorno sui social media. Le azioni sui social media dovranno allinearsi agli obiettivi di business, i progetti dovranno diventare concreti in termini di vendite e la strategia sui social media dovrà contribuire a rafforzare l’approccio marketing dell’azienda.
  7. La psicologia dell’uomo sta cambiando. Se fino ad ora la psicologia umana è cambiata molto lentamente, aspettiamoci nell’immediato futuro che non sarà più così. La nostra percezione del tempo, della geografica e dell’età sta cambiano in fretta. Ora con iternet i cittadini possono far valere la propria voce, poichè hanno gli strumenti per fare rete e creare una massa critica. I consumatori possono connetersi facilmente e scambiarsi opinioni sui prodotti e sui servizi acquistati. Le relazioni tra utenti e tra utenti e aziende stanno cambiando molto velocemente: gli utenti diventano ambassador, ipercritici, suggeritori, commentatori, co-partecipatori dei prodotti.
  8. I cittadini si mobiliteranno. Con la possibilità di informarsi facilmente, connettersi e mobilitarsi, assiteremo ad una crescita nell’attivismo dei cittadini auto-organizzati. Il valore passerà della tecnologia all’”infrastruttura umana”. Wikipedia e FireFox nascono dalla capacità di creare valore di alta qualità attraverso l’organizzazione e la connessione di persone. Molte altre stanno crescendo (Causecast, OpenIDEO, It Gets Better) e ciascuno di noi ci avvicinerà ai gruppi che sente più vicini.
  9. La social intelligence e la questione della privacy diveranno temi caldi. Dal momento che saremo sempre più connessi, e che i nostri dati finiranno sempre più nelle mani di giganti come Apple e Google, la social business intelligence e la questione della privacy saranno un tema molto caldo. Wikikeaks e Do Not Track sono stati dei casi esemplari in questo senso. Tutte le aziende ora vogliono sfruttare le opportunità offerta dal web di collezionare sempre più dati sugli utenti e sui clienti. Anche se questi dati possono essere utilizzati per offrire user experience più personalizzate e profilate di grande valore sia per le aziende che per gli utenti, la linea che delimita l’uso e l’abuso dei dati è molto sottile. Le aziende raccoglieranno dati da più fonti possibili (PC, mobile e offline) ed è possibile che assisteremo a battaglie legali sull’uso consentito/illegittimo di tali dati.
  10. Il ruolo dei social media strategists evolverà. I giorni gloriosi in cui i social media strategists arrivavano alla celebrità da un giorno all’altro (e con un’esperienza professionale molto relativa) finiranno per sempre. Il ruolo dei social media deve essere quello di intersecarsi all’interno della struttura organizzativa e dei processi, e apportare a risultati tangibili. Nel 2011 gli strategists dovranno sporcarsi di più le mani, selezionando i tools più adatti, analizzando i dati, integrando social widgets, educando l’organizzazione, instillando nelle persone l’approccio sociale e relazionale al business, plasmando la cultura aziendale alla cultura della relazione. Disegnare processi, pianificare strategie, gestire vari stakeholders e eseguire progetti estesi e complessi saranno competenze necessarie. Le fonti di ispirazione saranno le digital agencies più specializzate e le aziende piccole ma più innovative.

Nel 2011 vedremo peranto un consolidamento dei trends già presenti nel 2010 (più utenti su Facebook, più video, più social widgets, più mobile, più applicazioni) ma anche significativi cambiamenti (i social media stanno cambiando la nostra psicologia ed i nostri comportamenti, dal momento che si stanno sempre più integrando nella nostra vita quotidiana). Le aziende modificheranno la loro struttura interna ed i processi decisionali; i consumatori cercheranno di razionalizzare e nello stesso tempo dare maggior senso e rilevanza alla loro esperienza online (e via mobile) ed ai loro rapporti.

Liberamente tratto da 10 Ways Social Media will Change in 2011

Il nuovo paradiso dei cyber criminali? I social network

[21/01/2011 La Stampa]
I social network sono la nuova frontiera del crimine informatico. Secondo l’ultimo rapporto della società di sicurezza Sophos, gli attacchi di questo tipo nel 2010 sono raddoppiati rispetto all’anno precedente. Con 500 milioni di utenti, Facebook è di gran lunga il sito più bersagliato; il 43 % degli internauti intervistati da Sophos ha lamentato di essere stato oggetto di tentativi di phishing (nel 2009 erano il 21 per cento), il 67 % ha ricevuto spam e virus e altri tipi di software maligni hanno minacciato il 40 % degli utenti.

C’è poi il fenomeno degli account compromessi, che si verifica quando qualcuno riesce ad accedere al profilo di un iscritto a un social network, rubandogli le credenziali di accesso. “Qualche mese qualcuno – racconta l’ethical hacker Raoul Chiesa - ha offerto sul mercato nero le password per accedere a tre milioni di account Facebook, ed era un’offerta reale, tanto che poco dopo è cominciata un’ondata di attacchi di phishing”.

Come afferma l’esperto di sicurezza di Sophos, Graham Cluley, “una volta che si è penetrati in un account Facebook è come aver scoperto una miniera d’oro: l’utente ha immesso tutte le sue informazioni personali, che sono a tua disposizione”. Non solo, ma impadronendosi di un account si ha spesso accesso a data di nascita, indirizzo email e spesso anche numero di cellulare degli “amici”.

Partendo da questa base, trovare poi altre informazioni utili a completare il profilo di un utente – da rivendere poi a società di marketing o da utilizzare magari per svuotare il suo conto bancario – è un gioco da ragazzi. E se, come spesso accade, l’utente utilizzava per accedere al suo profilo la stessa password usata per altri siti, ad esempio, per la mail, il furto dell’identità su Facebook è solo il primo passo per accedere a tutti i suoi profili online.

Un problema che potrebbe aggravarsi se il progetto di Zuckerberg del “single sign on” via cellulare - quello per cui, dopo aver effettuato l’accesso a Facebook in mobilità si potranno utilizzare varie altre applicazioni installate sul telefonino (per esempio, molti giochi), senza doversi autenticare di nuovo - dovesse prendere piede. “È un’arma a doppio taglio – commenta Chiesa – se usata con cognizione, tramite una connessione criptata e una password robusta, può essere vincente. Altrimenti rischia di peggiorare le cose”.

Uno degli attacchi che si stanno maggiormente diffondendo sui social network è il “clickjacking”, che consiste nell’ingannare il navigatore inducendole a cliccare su un pulsante apparentemente innocuo, che dovrebbe servire a condividere o a esprimere il proprio apprezzamento ( “mi piace) verso un certo contenuto.

Di solito si tratta di inviti accattivanti – qualche tempo fa circolava su Facebook un messaggio con un link che prometteva di far comparire un filmato “hot” di Belen. Gli esperti di Sophos hanno però constatato negli ultimi tempi il moltiplicarsi di link morbosi o grotteschi: storie di suicidi, di incidenti stradali, di persone attaccate da degli squali.

In realtà, quella che il navigatore visualizza è solo una specie di “maschera”, che nasconde il vero link: cliccandoci su, si viene indirizzati verso un sito contenente di solito del codice maligno, che serve a “iniettare” nel Pc del malcapitato un virus o uno spyware. Come se non bastasse, l’azione effettuata appare sulla propria bacheca e nello stream dei propri contatti, inducendoli a cliccare anch’essi e propagando così l’infezione.

Un altro dei pericoli di Facebook deriva dalle applicazioni di terze parti che, nonostante tutte le precauzioni prese, sono a volte costruite appositamente per catturare i dati degli utenti attraverso dei falsi sondaggi e che, una volta installato, procedono a spammare tutti i propri contatti per raccogliere ulteriori informazioni. “Le dimensioni delle attività fraudolente sul network sono ormai fuori controllo – sostiene Cluley – Il sito sembra essere incapace o non intenzionato a investire le risorse necessarie per bloccare il fenomeno”.

I responsabili del network sono soliti ribattere di avere a cuore la privacy e la sicurezza dei loro utenti; certi recenti scelte, come la decisione (poi rientrata) di autorizzare le applicazioni ad accedere al numero di telefono e indirizzo di casa degli utenti, o l’introduzione del “tagging” automatico delle foto, lasciano però più di un dubbio sulle loro reali intenzioni.

La ricetta migliore è forse quella di difendersi da soli: scegliere password lunghe, fatte di simboli, lettere e numeri; non usare mai la stessa password per più siti, perlomeno per quelli importanti, e non installare applicazioni non necessarie. E soprattutto, usare un minimo di buon senso e ricordare sempre che, se una cosa è troppo bella per essere vera, o troppo invitante, è facile che ci sia sotto qualche fregatura.

giovedì 20 gennaio 2011

Twitter, Facebook e Wikileaks: sarà la rete a liberare gli oppressi?

[21(01/2011 Giornalettismo]Timothy Garton Ash, grande studioso ed editorialista del quotidiano inglese Guardian, se lo chiede oggi in un editoriale sul quotidiano inglese. Quale è stato il ruolo di Internet, dei portali di social netrworking e di informazioni diffuse nel far nascere, favorire e portare alla vittoria la rivolta dei Gelsomini che ha deposto il governo di Ben Ali e che in questi minuti spinge verso il basso anche il fantoccio governo di unità nazionale a Tunisi?

RIVOLUZIONI 2.0 – Sta infatti diventando un luogo comune: senza la rete globale, tali eventi non sarebbero stati possibili. Ne è convinto persino un illustre vicino del regime deposto, Muhammar Gheddafi, leader della grande Jamarhya Libica Popolare e Socialista.

Persino voi, fratelli tunisini, persino voi avete letto questa Kleenex (nome con cui Gheddafi chiama Wikileaks). Qualsiasi inutile personaggio, qualsiasi bugiardo, ubriacone, istigato, qualcuno in overdose da droghe può parlare su internet, e voi leggete quel che lui dice e ci credete. Questo è chiacchericcio gratuito. Dobbiamo diventare le vittime di Facebook, Kleenex e Youtube?
Si, risponde Garton Ash, meglio la rete che le dittature. Ma, battute a parte, quale è il reale ruolo della rete, dicevamo, nel causare e supportare queste rivolte popolari che sono addirittura in grado di far cadere regimi ultradecennali?

Quale contributo danno siti internet, social networks e telefonini ai movimenti di protesta popolare? Siamo autorizzati ad etichettare le rivoluzioni tunisine, come alcuni hanno fatto, come “la Twitter revolution” o la “Wikileaks revolution”? Un importante e giovane attivista-analista bielorusso, Evgeny Morozov, ha appena sfidato i pigri dati di fatto dietro queste etichette politico-giornalistiche in un libro chiamato “La delusione della rete”, che è andato in stampa prima delle rivolte tunisine. Il sottotitolo della versione inglese si chiama “Come non liberare il mondo”. Morozov si è un po’ divertito deridendo e demolendo le visioni stupidamente ottimistiche che, particolarmente negli Stati Uniti, sembrano accompagnare l’emergere di qualsiasi nuova tecnologia di comunicazione (ricordo un articolo 25 anni fa chiamato “il fax ci renderà liberi). Il suo intento è mostrare che il contributo di Twitter e Facebook alla rivoluzione verde iraniana è stato sopravvalutato. Queste nuove tecnologie possono essere usate allo stesso modo da dittatori per guardare, intrappolare e perseguitare i propri avversari. Soprattutto, insiste sul fatto che Internet non sospende i metodi classici di operare della politica di potenza. E’ la politica che decide se il dittatore cadrà, come in Tunisia, o se i blogger saranno picchiati e rinchiusi, come in Bielorussia.

Da ridimensionare, dunque, il ruolo delle nuove tecnologie nello scoppio delle ultime rivolte popolari, secondo questo studioso. Alla fine della fiera, sono gli uomini in carne ed ossa a prendere le decisioni: e internet offre le stesse armi agli oppressori rispetto a quelle che offre agli oppressi.

INDISPENSABILI – Per Garton Ash, in realtà, lo studioso bielorusso, nella sua critica alla rete come veicolo di libertà, esagera “nel verso opposto”. E’ vero, le nuove tecnologie offrono- forse – uguali armi ad oppressi ed oppressori: ma pensare che dunque, la loro importanza non sia centrale in questa apertura di millennio sarebbe sbagliato. Esse forse non causano le rivolte dei giovani del 2000, ma sono indispensabili alla vittoria.
di cambiamento nel Maghreb. Se le cose vanno bene, internet e la tv satellitare diffonderanno le notizie nel mondo. Perciò si, internet fornisce armi per oppressi ed oppressori – ma non, come Morzov sembra sostenere, in ugual misura. Comparando, ne offre più agli oppressi. Credo che dunque Hillary Clinton ha ragione ad identificare la libertà di informazione mondiale in generale, e la libertà della rete in particolare, come una delle principali opportunità del nostro tempo. Ma ci sono anche pericoli in tutto questo: quelli che Morzov acutamente sottolinea.

Sulla bilancia dei pro e dei contro, dunque, internet è di grande aiuto alle popolazioni oppresse che tentano di liberarsi delle loro catene: un sostegno decisivo, questo, che vale tutti i rischi.

mercoledì 19 gennaio 2011

Create il vostro social network con Toonti

[Vocescuola 19/01/2011] e avete necessità di creare un vostro piccolo network sociale potete provare l’applicazione web gratuita Toonti. Interessante la funzionalità che consente di creare una rete privata o pubblica. Se decidete di rendere la vostra rete privata, solo le persone che inviterete potranno iscriversi e interagire con i membri del vostro network privato. Gli utenti potranno interagire tra loro tramite una bacheca, condividere file multimediali e documenti di diverso genere, in questo modo potrete agevolmente creare immediatamnte un gruppo di studio online.
Creare il tuo social network con Toonti richiede solo pochi minuti. Guardate il video che segue per saperne di più.
Creare il tuo social network con Toonti richiede solo pochi minuti. Guardate il video che segue per saperne di più.

Toonti è ancora in fase beta, quindi potreste trovare alcune parti ancora in via di sviluppo.

Toonti e servizi similari possono essere utilizzati dagli insegnanti per creare una piccola rete in modo da facilitare lo studio e la realizzazione dei compiti degli studenti a casa o ancora per migliorare il recupero degli studenti. In modo analogo potrebbe essere utile usare Toonti per creare una rete sociale tra scuola e genitori.

Generazione over 40, social community e nuove tecnologie

[ADNKRONOS 19/01/2011](IMMEDIAPRESS) Activagers AG: Generazione over 40, social community e nuove tecnologie AMBURGO, Germania, January 19, 2011 /PRNewswire/ -- activagers.com - la social community internazionale per generazione di mezza età (40-65 anni) - ha condotto recentemente 2 indagini tra i suoi utenti in UK, DE, FR, ES, IT, PT, RU per indagare il loro punto di vista sui social network e le nuove tecnologie. L’utente medio di activagers ha 44 anni (al 53% è femmina, al 47% maschio), possiede un istruzione superiore e ha una vocazione internazionale.

I risultati delle indagini gettano una nuova luce sulla generazione over 40. Community internazionali come Facebook o MySpace sono considerate dall’83% degli intervistati come un "must" per mantenere contatti esistenti mentre community specializzate come activagers sono usate per di più come un luogo dove incontrare nuove persone (66%) e discutere di vari argomenti (62%). Circa il 60% degli utenti di activagers sono utenti anche di almeno altre 2 social community e il 79% di loro sono su activagers perchè "trovano nuove persone come loro" (tra gli italiani e i francesi la percentuale arriva al 85%).

Sulle nuove tecnologie (i nuovi gadget per Internet) gli intervistati dicono di essere molto intereressati (92%). La generazione over 40 che, a differenza dei "nativi digitali", è cresciuta con i media tradizionali come la tv e i giornali dedica sempre più tempo alle attività online (Internet) togliendolo ai vecchi passatempi. In totale l’88% degli utenti intervistati ha trasferito più di 1 ora al giorno dalla TV a Internet e il 59% più di 2 ore. In UK il 100% passa più di 1 ora al giorno su Internet (in Germania il 95%). In Francia e Spagna Internet è usato soprattutto per lavoro (rispettivamente 39% e 35%). I tedeschi intervistati invece usano Internet principalmente per Chat/IM (39%).

Un altro dato emerso è che la generazione over 40 è interessata ai nuovi gadget per accedere a Internet come i tablet-PC (iPad e simili) - il 65% degli intervistati ha intenzione di comprarne uno (in Russia l’82%) - , ma solo il 23% ne ha già comprato uno (in Russia il 73%), principalmente per il loro alto prezzo ( 72%).

Per maggiori informazioni sui dati e i risultati dell’indagine: press@activagers.com.

Activagers AG
Dr. Paduano, CEO
Tel.: +49(0)40-53253591
Wrangelstr. 95
20253 Hamburg
Germany per maggiori informazioni: Activagers AG, Dr. Paduano, CEO, Tel.: +49(0)40-53253591, Wrangelstr. 95, 20253 Hamburg, Germany

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Giovani: 8 su 10 sul pc 3 ore a giorno

[19/01/2011 ANSA] Piu' di otto adolescenti su dieci trascorrono almeno tre ore al giorno su internet o mandando messaggi, e sei su dieci usano la 'rete' per puro divertimento.

Eppure, nella maggior parte dei casi (90%), non vi e' alcun controllo da parte dei genitori.Il quadro emerge dall'iniziativa 'Quanto ti vuoi bene', un percorso culturale e artistico sul mondo dei ragazzi ideato dalla fotografa australiana Jacqui James in collaborazione con Microsoft Italia, Acer e Dove.

martedì 18 gennaio 2011

Internet e minori: necessarie nuove difese dalla pornografia

[Sicilia Today 18/01/2011] metodi tecnologici e legali attualmente utilizzati per la prevenzione dei reati di pornografia infantile e di adescamenti dei minori in rete non sono sufficientemente efficaci e non raggiungono in larga parte il loro scopo. E' quanto asserito dai ricercatori presso l'Università di Göteborg, in Svezia, secondo cui sono necessari nuovi approcci per migliorare la tutela on-line per i nostri figli.

Marie Eneman, ricercatrice del Dipartimento di Applied Information Technology, nella sua tesi ha analizzato le modalità con le quali Internet viene utilizzata per la pornografia infantile e il grooming, cioè l'adescamento dei minori in rete da parte degli adulti a fini sessuali, ed i controlli tecnici e giuridici che esistono per proteggere i bambini. Ha studiato tutti i casi processuali verificatisi in Svezia in materia di reati di pornografia infantile nel periodo che dal 1993 al 2008 e ha intervistato un certo numero di persone condannate per reati di pornografia infantile.

"Il progresso tecnologico e l'utilizzo sempre più frequente della Rete ha reso più facile la produzione e l'accesso alla pornografia infantile da parte di un gran numero di persone ed ha aumentato, grazie all'anonimato, la possibilità che gli audlti possano adescare i minori a fini sessuali", dice la Eneman, che nella sua tesi identifica le carenze dell attuali modelli di regolamentazione giuridica e tecnica.

"Il quadro del ruolo delle tecnologie dell'informazione in questi reati è più complesso rispetto a quanto il legislatore, la polizia e le autorità giudiziarie avrebbero potuto prevedere. Per questo - continua la Eneman - la tecnologia ci pone di fronte una grande sfida".

Attualmente i rimedi tecnici consistono principalmente nei filtri applicati quasi esclusivamente ai siti web, ma nel suo studio la Eneman dimostra che oltre ai siti web, vi sono numerosi altri strumenti della tecnologia informatica che possono essere utilizzati per distribuire pornografia infantile. Un esempio è la condivisione di file, consentita dagli ormai innumerevoli programmi di file sharing disponibili gratuitamente in rete.

"L'informatica - scrive la Eneman - non è una tecnologia omogenea, si compone di varie tecnologie con caratteristiche diverse. E' quindi importante adottare una prospettiva più ampia nel guardare la tecnologia in modo da essere in grado di sviluppare efficaci modelli di regolamentazione".

La tesi dimostra inoltre come i trasgressori siano stati in grado di adattarsi ed abbiano sviluppato diverse strategie sociali e tecnologiche per ridurre il rischio di essere scoperti e per trovare il modo di aggirare il filtraggio.

Infine la Eneman si chiede se sia necessario accettare alcune restrizioni nostri diritti, al fine di migliorare la protezione per i nostri figli. "I diritti come la libertà di espressione e la privacy personali sono fondamentali e devono continuare ad essere difesi - conclude - ma devono essere adeguatamente bilanciati in relazione ad altri importanti diritti come il diritto dei minori a non essere vittime di sfruttamento sessuale".

Ultime letture: La mente accresciuta, Cyberstalking e Nuvole di byte

[Pandemia.info 18/01/2011] Il 2011 è cominciato sotto il segno delle letture. Autori ed editori italiani moltiplicano gli sforzi per divulgare l’evoluzione della tecnologia nella società e gli ultimi ebook letti vanno proprio in questa direzione.

La mente accresciuta

Derrick de Kerckhove offre un breve saggio a chi non ha avuto modo di ascoltarlo recentemente dal vivo. Un condensato di riflessioni sull’evoluzione della nostra mente in una società in cui la tecnologia è sempre più pervasiva e i mezzi di comunicazione diventano personali e sono sempre con noi. Una immersione totale che ha conseguenze reali sulle opportunità di comprendere il presente, di relazionarsi con il prossimo, di ragionare con un insieme di informazioni vasto e in espansione. La mente accresciuta è la nostra mente in contatto con la conoscenza condivisa della rete, che la espande e la arricchisce. Da non perdere!

Il Cyberstalking

Francesco Marinuzzi cerca di sensibilizzarci al fenomeno del cyberstalking e di fornirci qualche strumento pratico per difenderci. Da una panoramica del fenomeno, di come si sviluppa, su quali canali e con quali vittime potenziali, il libro analizza alcuni casi simbolo, raccontati in forma romanzata. Questa è la parte debole del libro, chiuso poi da una appendice sulla legislazione e sulla normativa più recente.

I racconti esemplificativi sono efficaci nel rappresentare i casi di cyberstalking ma sono carenti sotto molti altri punti di vista, non ultima la forma stessa del racconto. Più che da parola scritta, i racconti sembrano mettere su carta una conversazione con una forma più da parlato, più da docufiction televisiva, non efficace a mio avviso e meno credibile. Il libro sul lato opposto eccede in alcuni schematismi riassunti sotto forma di tabella, tutto sommato senza grande valore aggiunto per il lettore. Il mio consiglio sarebbe di rivedere la forma della parte centrale del libro, eliminando le tabelle a supporto dei casi, a favore di una conversazione sugli stessi contenuti, senza schemi.

Bella l’idea di fornire insieme al libro, in un’altra versione premium, un pacchetto comprensivo di una consulenza base personalizzata sul lettore che ne dovesse sentire la necessità.

Nuvole di byte

Il libro di Alessandro Prunesti edito da Edizioni della Sera è particolarmente indicato a chi, a digiuno o quasi, abbia bisogno di capire in maniera sintetica cosa si muove sotto il magma pulsante del social web e delle tecnologie emergenti, soprattutto da un punto di vista aziendale. Nelle tre parti in cui idealmente suddivido il volumetto, si parla di Web 2.0, Enterprise 2.0 e open source e tecnologie per l’impresa.

Pur con buone intenzioni e dovizia di statistiche recenti a supporto dello scenario, il libro pecca di mancanza di uniformità, volendo mettere insieme tre argomenti che non hanno un vero e proprio filo conduttore. La parte finale sull’open source contiene inoltre punti di vista che credo non rendano giustizia alla complessità di quel mondo, non un mero sistema per usare software risparmiando sulle licenze. Il libro non riesce ad approfondire l’argomento come avrei auspicato.

Resta un testo valido per muovere i primi passi a chi vuole avere qualche punto di riferimento sui tre macrotemi, da approfondire poi con altri volumi, considerando che lo stesso autore ne ha pubblicati due su social media marketing ed enterprise 2.0 (o impresa 2.0 che dir si voglia).

Disclaimer: i tre volumi mi sono stati girati gratuitamente dai rispettivi editori/autori.

Tutti i social network della nostra vita

[18/01/2011 Blogsicilia] Quando a dicembre il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg fu scelto come personaggio dell’anno dalla rivista Times, fu finalmente chiaro a tutti quello che i guru del web annunciavano da anni: la rete era social.

Sempre più spesso, infatti, la nostra navigazione si svolge all’interno dei social networks, lontano dal mare magnum del world wide web; di fronte all’infinità varietà di contenuti che ci vengono offerti, diventa essenziale disporre di filtri adeguati per distinguere gli elementi utili dal rumore. E quale filtro migliore, allora, delle persone che ci conoscono e di cui ci fidiamo?

Dunque a ciascuno il suo social network, e ce n’è davvero per tutti i gusti! Di Facebook inutile fare parola. Da tenere d’occhio invece la rapida crescita di Twitter che, dopo una prima fase di relativa freddezza, sempre più sta conquistando gli utenti italiani affamati di notizie; stessa sorte per Tumblr, piattaforma di microblogging versatile e segnatamente radical chic.

Per i professionisti invece c’è Linkedin, il network ideale per la valorizzazione della propria figura professionale dove far convergere contatti e curricula. A dispetto delle voci di fallimento, Myspace (almeno in Italia) continua a rappresentare un punto di riferimento importante per le band emergenti.

Flickr si conferma l’incubatrice migliore per i talenti della fotografia mentre su Zoopa i migliori copywriter si sfidano all’ultimo spot.

Ricchissima l’offerta dei social networks per gli amanti del libro. Fra le piattaforme più utilizzate resta saldamente in testa Anobii, per quanto molti utenti, stanchi della lentezza del sito e dei continui crash, stiano lentamente migrando verso il più stabile Goodreads; sempre per i lettori da segnalare anche Bookliners, social network tutto italiano dedicato agli appassionati del social reading sul quale è possibile condividere i propri appunti di lettura.

E ancora: per shopping-addicted e cacciatori dell’offerta dell’ultimo minuto, niente di meglio che fare un giro su Groupon, ai fan compulsivi della tracciabilità consigliamo Foursquare, a chi avesse da porre un quesito Quora (che in questi ultimi giorni fa molto hype, ma anche il più scalcagnato Yahoo answers può andare bene).

Per concludere gli amanti di cani e gatti possono contare su Dogster e Catster, i più religiosi potranno condividere il proprio credo su Mychurch e Godtube mentre gli amanti dei viaggi low coast si appoggeranno a Couchsurfing.

Infine, se foste diventati troppo social e non riusciste più a tener dietro alla vostra vita virtuale, potrete sempre aggiornare tutti i vostri profili in un colpo solo con FriendFeed e tenerne traccia su Memolane. Buona navigazione a tutti!


Giulio Passerini

lunedì 17 gennaio 2011

Nuovi Media e Musei: un universo di progetti 2.0

[Il Fatto Quotidiano 17/01/2011] Negli ultimi anni, istituzioni culturali e nuovi media sono protagonisti di una scena caratterizzata da un forte dinamismo che ha prodotto progetti interessanti, contribuendo spesso ad arricchire di contenuti informativi gallerie, musei, mostre temporanee ed eventi.

Strano a dirsi, ma a ben guardare ci sono progetti legati al web da parte di musei già nei primissimi anni ’90, anche in Italia. Poi, ovviamente, tutto è accelerato e oggi si assiste a musei che hanno una presenza web strutturata a 360°: dal sito web istituzionale al blog, fino ai social media. Diversi elementi che in realtà devono rientrare tutti in un unico, organico progetto di ampio respiro.

Ma perché è importante per un museo avere un’ottima presenza online? E soprattutto, quali opportunità ci sono nell’utilizzo dei social media?

Chiariamo subito. “Avere la pagina Facebook” oppure “avere un profilo su Twitter” non significa assolutamente nulla. Occorre realizzare vere e proprie strategie di comunicazione e approfondire le specificità dei singoli ambienti digitali per sfruttare completamente tutte le opportunità.

Che non sono solo quelle di marketing o promozione dell’istituzione, ma piuttosto creare un rapporto molto più diretto ed informale con il pubblico, costruire una comunità di appassionati e ancora di più veicolare contenuti informativi animando il dibattito culturale.

Ad ogni modo la realtà oggi è che, per un appassionato di nuovi media, il settore culturale mondiale offre progetti davvero stimolanti. E in questo spazio ne vedremo parecchi.

Tra questi, c’è un Museo che nel 2010 ha vinto moltissimi premi relativi alla sua attività online: Il Museo Picasso di Barcellona. Lo staff ha progettato una presenza digitale articolata, dialogando veramente con gli utenti e il successo dell’iniziativa è testimoniato proprio dalla risposta del pubblico. Qui trovate il blog che rimanda anche a tutti i canali social media.

Cos’è dunque una Social Media Strategy per un museo?
Conxa Rodà, Poject Manager del Museo Picasso ha realizzato questa bella presentazione per spiegare la loro strategia.

Prossimamente vedremo altri esempi: tra questi scuramente TATE, con il suo piano triennale per l’azione digitale.

Ecco Yoursocialbook: come creare un libro dal proprio profilo Facebook

[Corriere della Sera 17/01/2011] MILANO – L'editoria fai-da-te non era ancora arrivata a tanto: far diventare opera letteraria, da distribuire ad amici e parenti o da regalare a Natale, anche i movimenti più interessanti sulla bacheca dell'account di Facebook. Trasformando in libro quel che già alcune applicazioni del social network (come «My year in status») permettono di fare, ma solo online. Da febbraio invece ci sarà una nuova opportunità – accanto ai libri delle nostre foto, o al romanzo tenuto nel cassetto – e ordinando su internet a una cifra che parte da 18 euro circa si può ricevere direttamente a casa il Social book, il libro tratto dal nostro «Facebook».

IL PROGETTO – In verità tutto il progetto di Yoursocialbook è ancora una scommessa. La start-up americana che l'ha pensato è a caccia di fondi e per raccogliere i 10mila dollari necessari a far decollare il servizio si è rivolta a uno dei siti più popolari di fund raising per idee geniali o meno, ma certo innovative. Su Kickstarter c'è tempo fino al 5 febbraio per fare una donazione, o ancor meglio per prenotare la propria pubblicazione e pagarla anticipatamente, aiutando così ad arrivare alla cifra minima per far partire l'impresa. A oggi il progetto ha raccolto poco più di 300 dollari e per donare è anche possibile fare un'offerta minima di 1 dollaro, oppure appunto comprare una copia del proprio personale Social book: 18 euro per la versione-base in modello tascabile ed economico, 26 per quella patinata con copertina rigida (in entrambe i casi si parla di una pubblicazione di circa 50 pagine, che racchiude 6 mesi di vita sul social network), anche 75 euro per un tomo da 400 pagine.

IL LIBRO – Eccoli, i contenuti: niente di più che una cronistoria delle proprie azioni su Facebook, ben infiocchettate e impaginate per poterle sfogliare e consultare agevolmente. Per esempio un «aggiornamento di stato» particolarmente interessante, che ha ricevuto i commenti di molti amici virtuali, avrà tanta dignità da occupare un'intera pagina di libro. Così come gli album fotografici e le conversazioni con i migliori amici di Facebook: gli editor scelgono i 10 contatti più assidui e pubblicano i botta e risposta, gli scambi di link, i commenti alle azioni, le condivisioni di materiali tra noi e loro. A seconda del budget, si può poi scegliere se scavare nel tempo e dare dignità di stampa agli ultimi due anni di Facebook (la versione fino a 400 pagine), oppure se limitarsi a un più sobrio racconto degli ultimi 6 mesi (50 pagine), buttandosi il passato – almeno quello virtuale – tutto alle spalle.

Eva Perasso

domenica 16 gennaio 2011

Internet Sempre più Importante nella Vita delle Persone

[VirtuaLearn 16/01/2011]

Forse non ci rendiamo conto di quanto Internet ed il Web 2.0 siano entrati profondamente nella vita delle persone, eppure sono sempre più importanti, ed un numero sempre maggiore di persone utilizzano quotidianamente i Social Network per condividere i propri pensieri e per svolgere parte delle proprie attività.

A questo proposito, durante i giorni scorsi, è circolato un video, prodotto da Time, che mostrava l'astronomica quantità di dati condivisi dagli utenti su Facebook:

Numeri impressionanti, che sembrano dimostrare non solo che Facebook è il Social Network più utilizzato al mondo, ma anche e soprattutto che le persone sono portate a condividere con i propri contatti praticamente qualunque aspetto della propria vita, che siano foto, video, o semplici aggiornamenti di stato.

Un altro video, riportato pochi giorni fa da Infoservi, mostra invece come sia aumentato l'utilizzo di Internet, anche in Mobilità, da parte della popolazione (degli Stati Uniti, nella fattispecie):

Anche in questo caso, vediamo una crescita nell'utilizzo di questi strumenti, ed il video ci mostra anche le potenzialità offerte dalla tecnologia.

Grazie alla possibilità offerte da Internet e dai Social Network, possiamo non solo mantenerci in contatto con i nostri amici, colleghi e conoscenti, ma anche mantenerci più informati (anche in mobilità), ed accedere a pareri di persone come noi, per informarci adeguatamente prima di acquistare un prodotto (e quindi evitare di effettuare scelte infelici nei nostri acquisti).

Purtroppo, in Italia non siamo ancora ai livelli mostrati nel secondo video, ma è solo questione di tempo prima che anche nel nostro paese diventi possibile svolgere gran parte delle nostre attività ed effettuare acquisti non solo online, ma anche in mobilità.

venerdì 14 gennaio 2011

Donazioni e volontariato È il Facebook della bontà

[La Repubblica 14/01/2010] MILANO - Il Facebook della bontà sarà pronto tra poche settimane. Si chiama Shiny Note, ed è un progetto che ha l'ambizione di conquistare il mondo, partendo, stavolta, dall'Italia. Se Time ha incoronato il ragazzino Marck Zuckerberg come uomo dell'anno, inventore di una rivoluzione nel modo di comunicare, il nuovo social network che alla fine di gennaio sarà operativo su internet, ha tutte le caratteristiche per essere la novità di questi anni. Sul sito, che non è ancora operativo, ma che ha già raccolto un piccolo drappello di sostenitori, viene spiegato così: "Abbiamo immaginato un social network fondato su basi etiche. Lo abbiamo costruito intorno alle storie delle persone, e lo abbiamo destinato a coloro che sanno rintracciare nel quotidiano una scintilla di speranza". Se su Facebook si cercano i vecchi compagni di scuola, su Shiny Note di troveranno, come in un salotto virtuale, gli amici con i quali lavorare.

Gli strumenti di scambio restano quelli universali della rete; ma l'obiettivo è completamente diverso. Basta chiacchiere "da bar" trasferite sul pc. I "mi piace", non saranno riservati alla Nutella o alla Coca Cola, ma andranno a premiare i progetti migliori. Perché nella società afflitta dalla crisi economica globale, nel mondo alle prese con la necessità di ridisegnare il welfare, Shiny Note vuole essere uno strumento per intervenire sulla realtà. Per aiutare i tanti che hanno bisogno da una parte; e per consentire a chi vuole fare qualcosa per il bene collettivo di trovare il suo posto dall'altra. Soprattutto, vuole essere un faro acceso sulla speranza di costruire un mondo migliore. In Italia si tratta di una realtà di grande rilievo: l'8 per cento della popolazione dai 14 anni in su (4 milioni di persone, secondo i dati Istati del 2002), lavorano per gli altri, con un incremento a partire dal '97 del 55 per cento. Sono le regioni del Nord Italia ad essere quelle più generose, con il Trentino Alto Adige che guida la classifica (21 per cento), seguito dal Veneto (oltre il 14), dal Friuli e dalla Lombardia (10 per cento). Il problema non è la volontà di partecipare; spesso è la difficoltà a far incontrare domanda e offerta e naturalmente il finanziamento.

Il Facebook della bontà è stato battezzato così perché è destinato alla solidarietà, al no-profit, a quello che oggi tutti indicano come il fattore determinante del futuro, il Terzo Settore. La piattaforma vuole essere il luogo di incontro e di scambio tra privati, aziende, istituzioni, associazioni. E se il web funziona per la scelta di un viaggio da fare o di un film da vedere, gli organizzatori scommettono che funzionerà anche per i progetti cui contribuire. In tempi di crisi le attività di volontariato da un lato sono più necessarie, dall'altra più difficoltose. Le tariffe postali agevolate sono state annullate e una spedizione costa cinque volte più di prima; i contributi del 5 per mille sono stati cancellati azzerando, talvolta, i budget delle associazioni; sulla vendite per beneficenza i costi pesano in media fino al 30 per cento. Ogni donazione fatta attraverso l'acquisto di un'azalea comporta 87 centesimi di spesa per ogni euro raccolto.

Ma soprattutto quello che renderà Shinynote diverso, è la sua filosofia: sarà l'unico angolo del web dove passano solo le buone notizie. Saranno le singole, vere, storie a muovere la voglia di impegnarsi, classificate sulla base delle preferenze degli utenti. Storie saranno i racconti degli utenti, ma anche i progetti delle organizzazioni sui quali sarà possibile attivare una raccolta di tempo o di denaro. Nella rilevazione della fiducia, gli italiani hanno collocato la rete del volontariato al secondo posto. E lo slogan di Shiny Note ha la possibilità di essere vincente: "Cambiamo il mondo, una storia alla volta".

Lavagne web e robot per i compiti Ecco la classe del nuovo secolo

[La Repbblica 13/01/2011] LONDRA - Il vecchio gessetto bianco che stride sulla lavagna nera è sparito da un pezzo. La lavagna è diventata bianca, ci si scrive sopra col pennarello nero, la si illumina e la si trasforma in uno schermo, collegabile al computer per proiettarci sopra quel che si vuole. Ma adesso questo strumento fondamentale dell'istruzione scolastica fa un altro passo avanti: diventa non solo tecnologica e interattiva, ma capace di rispondere al tocco di un dito, anzi di più dita contemporaneamente. Ci si può scrivere sopra con le mani, o con qualsiasi altro dispositivo, penne di puntamento, stilo, matite. E le immagini che vi appaiono sopra non sono più soltanto a una dimensione, ma anche in 3D, come al cinema nei film dagli effetti speciali.

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La classe del ventunesimo secolo è stata presentata al Bett di Londra, la maggiore fiera mondiale dedicata alle tecnologie per la didattica, che resterà aperta sino a sabato 15 gennaio. Dentro ci si trova di tutto. Dai nuovi iPad o imitazione dei tablet della Apple, carichi di optional senza fili come videocamera, microfono, casse acustiche e sistema software per il riconoscimento della scrittura a mano, al Go-Robo Programmer, un robo-sapiens che insegna a scrivere facendo stupire e divertire; dai network per permettere agli insegnanti di monitorare meglio i compiti e il lavoro degli alunni, ai sistemi che aiutano le scuole a risparmiare energia e denaro controllando l'uso dei computer.

Ma la parte del leone la fanno le lavagne interattive della Smart Technologies, l'azienda leader mondiale in questo settore, presente anche in Italia. Sebbene la prima lavagna interattiva sia stata creata dalla Smart esattamente vent'anni or sono, queste sono un ultimo modello ad alta tecnologia a cui, un po' come agli "smart phones", i telefonini intelligenti, si può chiedere di fare un po' di tutto. L'aspetto più fantascientifico è che utilizzano delle fotocamere incorporate nel telaio per rilevare a distinguere gli input da parte di un dito, di un polso, dell'apposita penna per lavagna interattiva o anche di altri oggetti. La tecnologia touch ottica, spiegano i rappresentanti della Smart, offre molti vantaggi rispetto ad altre tecnologie "touch", tra cui la capacità di riconoscere il tocco della superficie senza bisogno di premere con forza, scalare a grandi dimensioni e supportare più tocchi da parte di più utenti.

Completate da un proiettore integrato a brevissima distanza che permette di incorporare contenuti multimediali, video e digitali in 3D, e da due altoparlanti, la nuova lavagna interattiva, disponibile in vari modelli, offre una possibilità di apprendimento e di lezioni coinvolgenti che le precedenti generazioni di studenti (e di insegnanti) non potevano neanche lontanamente immaginare. Naturalmente, costano più della vecchia lavagna con il gesso: da 999 a 1790 euro. Ma gli esperti del ramo sostengono che nel lungo termine queste ed altre tecnologie per la didattica, pur sembrano inizialmente un investimento costoso, riducono il budget e le spese per le scuole.

"Non a caso la richiesta di sistemi per lavagne interattive è in continuo aumento in tutta Europa", ha dichiarato nancy Knowlton, amministratore delegato della Smart, durante una conferenza stampa sui nuovi prodotti presentati alla fiera londinese. "Gli insegnanti richiedono strumenti facili da usare e che ottimizzino al meglio sia il tempo passato in classe, sia i budget limitati di cui dispongono". Budget che saranno ora ancora più limitati: in Gran Bretagna, per esempio, dove i passati governi hanno investito 50 milioni di sterline nella tecnologicizzazione della scuola, questi fondi sono stati azzerati a causa della crisi economiche e delle restrizioni alla spesa pubblica. Il primo ministro Cameron, in cambio, ha dato alle scuole, agli insegnanti, alle associazioni di genitori, più potere per decidere come insegnare, cosa insegnare (e dove trovare i soldi per farlo). In ogni caso, prevede il quotidiano Guardian di Londra, nel momento in cui ai docenti viene data più libertà per innovare, ci si aspetta che la tecnologia giochi un ruolo sempre più grande nel trasformare la scuola del ventunesimo secolo e il modo in cui viene impartita l'istruzione del futuro.

ENRICO FRANCESCHINI

giovedì 13 gennaio 2011

INTERNET. Studio UE: i genitori controllano i contenuti online cui accedono i propri figli?

[helpconsumatori 13/01/2010]

Con il web 2.0 e con i telefoni e i videogiochi connessi alla rete è sempre più vasto e incontrollato il materiale a disposizione di minori. Come possono fare i genitori a controllare i contenuti cui accedono i propri figli? Esistono una serie di strumenti che consentono ai genitori di controllare e bloccare alcuni contenuti del web, ma questi sono ancora poco utilizzati.

Da un'indagine EUKidsOnline, presentata oggi dalla Commissione Europea, emerge che soltanto un quarto dei genitori europei blocca o filtra i siti web (28%) e tiene traccia dei siti visitati dai figli (24%). Ma tra i vari Stati membri ci sono notevoli differenze: il 54% dei genitori inglesi, contro il 9% di quelli rumeni. Oltre all'uso di strumenti di controllo, il 70% dei genitori intervistati ha affermato di parlare con i propri figli delle loro attività online. Il 58% dei genitori dichiara di stare accanto ai propri figli quando usano Internet e oltre metà agisce attivamente, ad esempio suggerendo ai propri figli come comportarsi con gli altri online (56%) e parlando degli aspetti che potrebbero disturbare i bambini (52%).

La Commissione ha pubblicato un altro studio che ha analizzato i diversi strumenti di controllo a disposizione dei genitori, di cui 26 per PC, 3 per console per videogiochi e 2 per telefoni cellulari. Lo studio ha riscontrato che i programmi esistenti sono efficaci nel filtrare il contenuto per adulti, ma rimane almeno il 20% di possibilità che siti contenenti materiale inadatto ai bambini, in particolare quelli che spingono i giovani a comportamenti autolesivi (siti che promuovono l'anoressia, il suicidio o l'automutilazione) possano superare i filtri. Allo stesso tempo, vengono bloccati siti che contengono materiali destinati specificamente ai bambini.

Pochi, invece, gli strumenti in grado di filtrare i contenuti del web 2.0 (siti di social networking, forum e blog), di bloccare i messaggi istantanei e i protocolli delle chat o di filtrare le liste di contatti. Per quanto riguarda gli strumenti a disposizione dei genitori per controllare smart phone e console per videogiochi, non tutti i prodotti disponibili sul mercato sono in grado di filtrare i contenuti web, nonostante il 31% dei bambini in Europa acceda a Internet proprio con il telefono cellulare e il 26% con le console. I programmi di controllo parentale sono perlopiù in lingua inglese e l'offerta di strumenti in altre lingue è limitata.

Nel quadro del programma UE per Internet sicuro, la Commissione continuerà a finanziare l'analisi dei programmi di controllo parentale ogni 6 mesi fino alla fine del 2012 e monitorerà i progressi ottenuti. All'indirizzo www.yprt.eu/sip è disponibile un database nel quale i genitori possono cercare lo strumento di controllo più adatto ai loro bisogni.

Quora, il social network che ti risponde

[Digital.it 13/01/2010]

Se i social network attuali garantiscono una grande interazione ma sono poco ricchi di contenuti autorevoli, se al contrario siti come Wikipedia sono in grado di saziare la sete di conoscenza di molti ma non garantiscono quella flessibilità e quell'interazione che ormai sul Web sembra diventata una "condicio sine qua non", cosa può esserci di meglio se non un social network dedicato alla conoscenza?

Quello che si annuncia come il perfetto punto d'incontro tra un'enciclopedia aperta e collaborativa e un tradizionale network sociale si chiama Quora e, nonostante si presenti ancora in fase sperimentale, ha già raggiungo i 500.000 utenti.

Il progetto nasce dalle menti di due protagonisti in arrivo da Facebook, che hanno pensato bene di creare una specie di aggregatore di domande e risposte, un po' come già visto con servizi quali Yahoo! Answers o Ask.com ad esempio, ma con un'autorevolezza e una struttura che rendano tutti i contenuti meno slegati tra loro rispetto a quanto può accadere agli occhi degli utenti per alcuni dei siti di questo tipo già esistenti in Internet.

Su Quora si incontrano quindi esperti e utenti in cerca di risposte, con i primi pronti a rispondere alle più disparate domande dei secondi, secondo un meccanismo di scambio delle conoscenze che a ben vedere è il motore stesso della cultura e della civiltà da sempre, il tutto sullo sfondo del Web e delle sue mille potenzialità.

I numeri sono in costante crescita e testimoniano la validità dell'idea, ma con l'aumento della popolarità c'è il rischio che il progetto possa sfuggire di mano, lasciando spazio a spammer o a semplici buontemponi che, un po' per gioco un po' per il gusto di provocare, potrebbero mettere in discussione l'autorevolezza del servizio. Per questa ragione, l'obiettivo del team che lo gestisce è quello di salvaguardare le caratteristiche che hanno fatto finora crescere Quora, come spiega il co-fondatore Charlie Cheever:

Abbiamo varie misure per garantire sempre un'alta qualità di contenuti. Non è un problema semplice, e la soluzione non sarà un unico cambiamento che per magia renderà tutto perfetto.

Tra le novità di cui si parla ci sarebbero dei meccanismi modificati per il sistema di voto e dei feedback, mentre gli amministratori dovrebbero poter beneficiare di strumenti più potenti per la moderazione dei contenuti e della stessa community.

Tuttavia, l'impegno maggiore sarà quello di riuscire a mantenere una base di utenti in grado di inserirsi nello spirito del progetto e contemporaneamente di "formare" quanti di avvicineranno in futuro nel seguire in maniera corretta le regole stabilite dai fondatori. In tal senso, fra i piccoli cambiamenti da apportare a Quora si parla proprio di educare i nuovi utenti circa le policy e le linee guida del sito, di migliorare i meccanismi di voto e feedback, così come gli strumenti a disposizione di revisori e amministratori.

Qualcuno direbbe che il rischio di veder aumentare contenuti inappropriati e comportamenti poco costruttivi non è altro che il rovescio della medaglia guadagnata con la crescente popolarità. Quindi né più né meno di quanto già affrontato in passato da siti come Wikipedia e altri progetti assurti ai grandi numeri di Internet e più volte chiamati a difendere un'autorevolezza tanto preziosa quanto delicata da difendere.

mercoledì 12 gennaio 2011

[Esplora il significato del termine: Arriva la letteratura elettronica] Arriva la letteratura elettronica

[Corriere della Sera 12/01/2011] MILANO - Versi e frasi da leggere tra le immagini di un video, parole in movimento sullo schermo al ritmo di una colonna sonora, romanzi collettivi scritti su blog e social network. Mentre gli autori «tradizionali» hanno avviato da pochi mesi in Italia una riflessione sugli ebook e sulla nuova prospettiva di una scrittura digitale, c'è già chi si è spinto oltre. Aprendo ulteriori scenari su quali potrebbero essere, in futuro, gli sviluppi del binomio cultura-tecnologia. Si tratta degli esponenti della cosiddetta eLiterature (Letteratura elettronica), una forma espressiva per cui i supporti informatici - dal computer a Internet, ai singoli software - non rappresentano solo un mezzo di lettura dell'opera ma lo strumento stesso della sua creazione.

TESTI INTERATTIVI - Nessun contenuto ha origine sulla carta e viene trasferito in digitale, come sta invece accadendo, nella maggior parte dei casi, in questa prima fase di vita dell'ebook. I testi della eLiterature nascono già elettronici, quasi sempre interattivi, arricchiti da audio e video oppure animati da algoritmi che spostano singole lettere o interi capitoli sotto gli occhi di chi li guarda. Così la letteratura si spinge ai confini con l'arte e la fruizione sembra di volta in volta irripetibile. Grazie a un apposito programma, ad esempio, la mescolanza di suoni, immagini e testo varia a ogni riproduzione in The set of the U del francese Philippe Bootz, uno dei padri del sottogenere della poesia elettronica. Oltre cinquecento combinazioni, invece, in Bromeliads, opera in prosa dell'americano Loss Pequeño Glazier, ritenuto con Bootz e lo statunitense Michael Joyce (scrittore di ipertesti) tra i principali autori di eLiterature. Fatta risalire dagli studiosi al 1959, quando il linguista tedesco Max Bense creò i primi versi usando un calcolatore, la letteratura elettronica fu coltivata intorno agli anni Ottanta e Novanta come sperimentazione di nicchia in Francia e nel mondo anglo-americano.

Il 20 e 21 gennaio Napoli ospiterà 'Officina di Letteratura elettronica': il logo di Lello Masucci
Il 20 e 21 gennaio Napoli ospiterà "Officina di Letteratura elettronica": il logo di Lello Masucci
IL CONVEGNO A NAPOLI - Agli albori del nuovo millennio, invece, con la diffusione di Internet, la produzione divenne più ampia, accompagnata dalla riflessione teorica sullo statuto della nuova letteratura. Nel 2005 la prima definizione, seppure ancora generica, riconosciuta a livello internazionale, secondo cui la eLiterature include «lavori con importanti aspetti letterari che sfruttano le capacità e i contesti forniti dal singolo computer o da una rete di computer». Negli ultimi tempi l'interesse si è acceso anche in Italia. Ricerche sono in corso all'Università di Macerata con il dottorando Fabio De Vivo, che al tema ha dedicato un forum, un blog e una pagina su Facebook e che presto pubblicherà lo studio eLiterature. Analisi critica, strumenti interpretativi, potenzialità e possibilità applicative. Il 20 e 21 gennaio, inoltre, al Palazzo delle Arti di Napoli si terrà il convegno «Officina di Letteratura elettronica», il primo incontro internazionale sulla eLiterature che si svolge in Italia. A organizzarlo l'artista Lello Masucci e Giovanna di Rosario, docente di Letteratura elettronica all'Università di Jyväskylä (Finlandia) e membro del gruppo di ricerca Hermeneia a Barcellona.

CULTURA-TECNOLOGIA - «La tradizione letteraria "alta" e la minore accessibilità di Internet rispetto ad altri Paesi hanno fatto sì che in Italia la eLiterature sia stata finora ignorata - spiega la studiosa -. Adesso invece, per effetto della nascente editoria digitale e della diffusione di nuovi strumenti di lettura come gli ebook reader e l'iPad, il connubio cultura-tecnologia viene avvertito come più familiare». Basti pensare ai recenti esperimenti multimediali e interattivi di libri in forma di applicazioni, ovvero i software che consentono di unire il testo ad audio e video (un esempio: B. per i posteri, la versione per iPad e iPhone dell'ultimo saggio di Beppe Severgnini). D'accordo sulla crescita di popolarità della eLiterature l'artista italiana Caterina Davinio, pioniere nella poesia animata al computer già negli anni Novanta. Daniela Calisi, Filippo Rosso e Roberto Gilli, oltre a Lello Masucci, i nomi degli altri principali autori di casa nostra che hanno scommesso sul nuovo filone. «Perché la tecnologia è oggi il tessuto delle relazioni umane e lo diventerà sempre più - sostiene la Davinio -. Si pensi solo alla telefonia mobile e a Internet. Per quale ragione la letteratura dovrebbe rimanerne esclusa?».

Alessia Rastelli

martedì 11 gennaio 2011

Internet senza miti: un’ altra storia della Rete

[lsdi 11/01/2011] l tempo dei media non è quello della democrazia, ma è quello del commercio e dello spettacolo: la storia di internet, la storia vera, non la mitologia che si continua a diffondere a piene mani, lo sta dimostrando – In una lunga confessione su Novision, Narvic ricostruisce l’ evoluzione della Rete e il fallimento delle narrazioni che la vedevano come una ‘’seconda possibilità” per il giornalismo – Internet non ha aperto affatto una ”nuova era dell’ informazione” e non è stata la chiave per rovesciare l’ ”ordine mediatico”: alla fine, non offre niente che possa aiutare realmente a comprendere come va il mondo e a contribuire all’ emancipazione del cittadino quando è il momento del voto – Per i giornalisti tutto è perduto: non vedo per loro altro futuro che quello di ‘’addetti al trattamento editoriale in contesto commerciale’’ – Ma per l’ informazione non è detto che sia suonata la campana… – Fra gli interstizi della rete, dove i media non vanno, si intravedono delle cose che accadono, dei piccoli avvenimenti che si producono, dei pezzi di realtà che appaiono e che potrebbero forse diventare importanti, o forse lo sono già, o forse no – Un uso ‘’discreto’’ della rete per chi si è ‘’ritirato’’ dalla società del consumo e si prepara ad affrontare ‘’tempi difficili’’

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Une autre histoire de l’internet, à la veille des temps difficiles…

di Narvic
(Novovision)

(…) Internet, la ”rete delle reti” (inter-net significa ”interconnessione delle reti, dei network”) è stata concepita per sfuggire a ogni controllo, a ogni censura e a anche a ogni sorveglianza… O, per lo meno, così sosteneva ”una certa storia di internet” che, a mio avviso, è in larga parte una mitologia. Una bella storia, non totalmente falsa, ma certo non totalmente vera e la cui ”verità” non bisogna assolutamente prendere alla lettera.

Rete libertaria ”per natura”, perché non centralizzata, ritenuta in grado di resistere anche a un attacco nucleare, e in grado di continuare a funzionare e ad assicurare la continuità delle comunicazioni anche quando una parte delle infrastrutture fossero distrutte: rete inattaccabile, incontrollabile, indistruttibile… Epifania di una ”entità” libera, universale ed eterna. Nascita del cyberspazio

La Dichiarazione d’ indipendenza del cyberspazio, pubblicata da John Perry Barlow nel 1996, un testo tutto sommato molto bello, percorso da un soffio libertario, un bello stile e una innegabile poesia, è come un simbolo, una illustrazione perfetta, di questa mitologia di un internet che irriga, sin dall’ origine, l’ immaginario di tanti adepti incondizionati di questa rete delle reti:

« Governi del mondo industriale, stanchi giganti io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della Mente. A nome del futuro, chiedo a voi, esseri del passato, di lasciarci soli. Non siete graditi fra di noi. Non avete alcuna sovranità sui luoghi dove ci incontriamo’’.

Le speranze più folli si sono nutrite di questa mitologia. Internet è la ”nuova frontiera”, il cui attraversamento ci apre la visione di un ” nuovo mondo”. Internet è un nuovo Far west. La forza che è racchiusa in questa immagine della ”nuova frontiera”, profondamente e nell’ intimo, nello spirito di un americano, sfugge forse alla gran parte degli europei (o dei cinesi o degli indiani, d’ altronde), radicati come siamo in una storia millenaria, mentre rinvia per gli americani alla conquista del West, alla Nuova Fromntiera di John Kennedy, nel 1960…

Questa ispirazione è tipicamente e specificamente americana al punto che ogni presidente degli Stati Uniti cerca instancabilmente di rinfocolarla in tutti i modi possibili, dalle ‘’Guerre stellari’’ di Ronald Reagan, alle « Autostrade dell’ informazione » di Al Gore, sotto Bill Clinton, e fino alla conquista di Marte, con George Bush II, e non smette di espandersi su tutto il pianeta in quelli più influenzati dalla cultura popolare americana.

Questa mitologia della ‘’nuova frontiera di internet’’ ha quindi attraversato l’ Atlantico, imboccando i cavi transoceanici o i collegamenti satellitari che formano l’ infrastruttura intercontinentale di questa interconnessione di reti. E pochissimi hanno sottolineato fino a qual punto questo cammino contraddiceva l’ idea stessa, in realtà falsa, di una internet totalmente diffusa e decentralizzata che era invece al cuore di quella ‘’visione’’.

Un semplice cablogramma diplomatico, rivelato nei giorni scorsi da WikiLeaks, ci ricorda a qual punto, ad esempio, questa infrastruttura è in realtà vulnerabile, perché super-centralizzata: i punti di arrivo di questi cavi transoceanici – a Lanion, Plérin o Saint-Valery-en-Caux – son dei ‘’siti sensibili da proteggere’’ secondo il governo degli Stati Uniti, perché sono dei veri talloni d’ Achille di quella rete ritenuta indistruttibile.

Gli attacchi orchestrati recentemente contro il sito di Wikileaks, per renderlo inaccessibile alla maggior parte degli internauti o impedire di finanziarsi, ci ricordano anche fino a qual punto sia mitica l’ idea secondo cui la pubblicazione su internet sfuggirebbe a ogni censura (Julian Assange: ‘’Interessante vedere come funzioina la censura in Occidente’’).

I ‘’talloni di Achille’’ della rete delle reti, queste strozzature centralizzate che ne permettono il controllo sono innumerevoli e la loro esistenza spazza via completamente la mitologia di un ciberspazio irriducibile ai controlli e indistruttibile per natura: sono le ‘’dorsali internet’’ (backbone in inglese) di cui i cavi transoceanici non sono che un esempio; è la gestione stessa dei nomi dei dominii, il cuore del funzionamento di internet, che viene assicurata per l’ insieme della rete da 13 server radice (e tredici solamente) che rispondono ad un organismo unico, l’ ICANN, che, in ultima istanza, dipende dall’ autorità del governo federale americano…

I governi di tutti i paesi, nel timore di perdere il controllo di quel cyberspazio che minacciava di sfuggire loro, non hanno tardato a scovarne degli altri di quei talloni d’ Achille: la Cina e la sua ’grande muraglia elettronica’’ (e l’ Iran, l’ Arabia Saudita, la Tunisia, etc.), fino al governo francese (fra gli altri) hanno identificato come il principale ‘’punto debole’’ di tutta la rete fosse semplicemente quel pugno di fornitori di accessi a internet, le cui infrastrutture sono tutte ‘’fisicamente’’ situate sul territorio nazionale e soggette interamente alla sua giurisdizione.

Questa ‘’storia di internet’’, diventata molto spesso una vulgata presso i più ferventi adepti e difensori della mitologia del cyberspazio libertario, è da rivedere in profondità.

C’ è ‘’un’ altra storia di internet’’ che è arrivato il momento di scrivere oggi…

La parentesi incantata, un’ altra storia di internet

Si potrebbe riprendere questa ‘’storia di internet’’ facendone l’ oggetto specifico di studio per ricostruire come questa mitologia si è formata, per identificare le fonti ideologiche a cui si è abbeverata. Ho già sottolineato alcune volte su questo blog che le strade imboccate in questa direzione da Franck Rébillard, in ’’ Le web 2.0 en perspective. Une analyse socio-économique de l’internet’’, sono molto feconde: è dalle parti della ‘’rete come vettore di una orizzontalità egualitaria secondo Saint-Simon’’, della ‘’libera comunicazione come ideale sociale in Wiener’’ (e la cibernetica), e della ‘’autonomia della creazione come valore del nuovo spirito del capitalismo’’ (Boltanski/Chiapello), che bisogna cercare le fonti di questa ‘’ideologia della rivoluzione internet’’. E anche, l’ ho detto prima, nella mitologia della ‘’nuova frontiera’’ americana, che spiega come queste fonti si siano fuse, da qualche parte della Silicon Valley, in California, dando vita a un precipitato sotto una forma ‘’liberale/libertaria’’ che, vista dall’ Europa, mescola insieme confondendoli tutti i punti di riferimento ideologici che distinguono la destra dalla sinistra…

Ma si può anche procedere diversamente e tentare di proporre una storia ‘’alternativa’’ a questa vulgata liberale-libertaria e totalmente tecnocentrica dell’ emancipazione per grazia del ciberspazio…

Questa storia non comincerebbe con l’ invenzione del primo computer, la prima connessione di due computer in rete, la prima connessione di due reti di computer, la prima volta che un computer è stato connesso a un telefono, né con l’ invenzione del web da parte di Tim Berners-Lee fra il 1989 e il 1991… Questa storia comincia quando questa sperimentazione, sviluppata in origine da militari e ricercatori universitari, ha completamente cambiato la propria natura, quando l’ accesso al pubblico si è aperto a tutti, nella prima metà degli anni Novanta…

Dopo, le cose sono andate abbastanza velocemente, ma si può suddividere il tutto in tre periodi decisivi: prima del 1995; 1995-2010; dopo il 2010.

Prima del 1995 è stato il tempo delle sperimentazioni e dei tentativi, quando si mette in campo questa fantastica ”convergenza” delle tecnologie dell’ informatica con quelle delle telecomunicazioni. Se ci si ferma solo sul piano della storia delle tecnologie, d’ altronde, la vera ”rivoluzione” tecnica, il ”momento decisivo”, si situa ben più in questa ”convergenza” del computer e del telefono che nella sola apparizione di internet, che ne è una conseguenza, fra le altre (basta pensare al sistema di pagamenti bancari, che non passa affatto attraverso internet).

Il periodo 1995-2010, è il momento in cui questa ”convergenza” ha cominciato a produrre degli effetti socio-economici considerevoli; quando, per parafrasare Jeremy Rifkin, internet è entrata nella ”età dell’ accesso” per diventare un fenomeno sociale di rilievo dell’ economia e della stessa civiltà contemporanea.

Si potrà cercare nel digitale come si è snodato il processo. Il merito di Didier Lombard, l’ ex PDG di France Télécom nel suo libro del 2008 « Le village numérique mondial. La deuxième vie des réseaux » (Odile Jacob), è di riconoscere che il processo non è tanto tecnico (e certamente non politico, o filosofico-mistico) quanto frutto di una operazione puramente commerciale, che nasce dal mondo del marketing.

L’ obbiettivo era di fare di internet un oggetto di consumo di massa, di farne un relè di crescita per un intero settore economico dell’ industria e dei servizi legati all’ informatica e alle telecomunicazioni. A 15 anni di distanza è innegabile che è stato un formidabile successo commerciale!

L’ accesso a internet si è espanso con una rapidità sconosciuta per gli altri strumenti tecnologici come la radio, la televisione o il telefono. In una quindicina di anni, quasi tutte le abitazioni francesi sono collegate a internet a banda larga. (…)

Si apre ora un nuovo periodo, quello dell’ internet mobile, che è solo ai suoi inizi, e quello della banda ultra-larga, attraverso la fibra ottica ad esempio, che comincia a balbettare (le prime pubblicità per internet a fibra ottica sono apparse in televisione solo quest’ anno, nel 2010).

Fibra ottica e mobile aprono veramente un nuovo periodo, come sottolinea ad esempio Didier Lombard, che parla di ‘’seconda vita delle reti”, perché le condizioni economiche cambiano molto profondamente rispetto al periodo precedente. La prima era di internet, che si conclude in questo momento, è stata in effetti l’ ”età del rame”, quella dell’ accesso a internet per mezzo della rete di fili di rame che copre pressoché tutto il territorio e che è stato realizzato progressivamente dopo la seconda guerra mondiale per far accedere al telefono tutte le abitazioni. Per questa ‘’seconda vita delle reti” le nuove reti sono ancora tutte da costruire… e finanziare. (…)

Bisogna insistere su questo punto. Internet è arrivata nelle case per mezzo di una rete fisica, quella del telefono, che già esisteva prima della sua comparsa… ed era già ampiamente ammortizzata. E’ la ragione per cui è stato possibile proporre l’ accesso a internet per tutti a bassi costi, se non del tutto gratuitamente. Ricordatevi, quelli che hanno l’ età per ricordarsene, che non è stata una conquista al primo colpo.

Internet1

Ho raggruppato alcune delle pubblicità diffuse in televisione dai fornitori di accesso a internet alla fine degli anni 90 (l’ antologia è qui). Ricordatevi che se i fornitori d’ accesso, a quel tempo, si chiamavano tutti Free, Freenet, LibertySurf, ecc., e se nei loro spot ora non fanno altro che vantare l’ accesso ”libero” e ”gratuito” a internet, questa non era affatto la regola nei primi tempi dell’ apertura di internet a tutti.

E’ interessante notare che se, nello spirito di una buona parte della gioventù di oggi, internet appare come una rete quasi ”intrinsecamente” aperta, libera e gratuita (alcuni pretendono addirittura che questa sarebbe la sua ”natura”. Già, lo leggo ancora regolarmente…), abbiamo avuto accesso a internet, all’ inizio, solo attraverso delle reti totalmente chiuse, riservate e a pagamento, come Compuserve o AOL! Che interponevano fra internet e la gente un passaggio intermedio, una interfaccia digitale proprietaria, la cui logica era quella del club privato e non certo quella dell’ accesso libero. (…)

Non era nei progetti dei fornitori di accesso di proporre un servizio aperto, libero e gratuito, anche se l’ utilizzo di infrastrutture già ampiamente ammortizzate permettesse loro di farlo a basso costo. L’ hanno fatto contro voglia, per restare in gioco quando Free.fr aveva brutalmente cambiato le regole del gioco iniziale della concorrenza, inventando l’ ”accesso gratuito”. E quando poi è arrivata la tecnologia dell’ ADSL, che permetteva un considerevole aumento della banda sullo stesso doppino telefonico, la regola del gioco commerciale è cambiata ancora. E’ in quel momento che nasce davvero l’ internet di massa.

Anche se ci si ricorda ancora i primi tempi di questa ”internet gratuita”, ma in realtà non era affatto così. Internet non è mai stata gratuita per nessuno!

Free.fr ha certo inventato internet senza abbonamento… ma bisognava sempre pagare il tempo di connessione telefonica a France Telecom! La vera rivoluzione dell’ accesso a internet, quella che ha portato la diffusione di massa del servizio, non è mai stata quella di una pretesa gratuità, ma quella del forfait! La fine del pagamento a tempo e l’ avvio dell’ uso illimitato del collegamento a 29,90 euro al mese, connessione telefonica compresa (una tariffa che, notiamolo, avrebbe ”tenuto” fino ad oggi, quando vi si dice che siamo sul punto di cambiare periodo…).

La mitologia della gratuità. Tutti, o quasi, sono passati al forfait a 29,90 euro al mese, ma la mitologia della gratuità è rimasta saldamente ancorata nel nostro spirito.. Il fatto è che i fornitori di accesso non hanno smesso di arricchire la loro offerta, senza modificare di un centesimo il prezzo dell’ abbonamento: telefonia via internet, televisione, ecc. I fornitori di accesso hanno anche deliberatamente incoraggiato questa mitologia della gratuità di internet utilizzando l’ argomento del download di musica o di film per fare la promozione dell’ alta velocità sempre più potente che permette lo sviluppo della tecnologia ADSL. C’ è bisogno di sottolineare che questi stessi fornitori di accesso sapevano molto bene che la maggior parte del download era roba scaricata illegalmente, perché protetta dal diritto d’ autore?

La comparsa di nuovi servizi su internet, apparentemente gratuiti, rafforza ancora di più questa mitologia. Google ne è l’ illustrazione più chiara: nessuno dei servizi di Google è in realtà gratuito perché l’ azienda si finanzia con la pubblicità e la pubblicità, in fin dei conti, è sempre il consumatore che finisce per pagarla (anche se è quasi invisibile e indolore…).

La truffa del Web 2.0. E citiamo anche lo sviluppo, nella prima metà degli anni 2000, della vera truffa intellettuale – e commerciale- del ” Web 2.0″. Ricordiamo che il ”concetto” di Web 2.0 non è certamente nato negli ambienti degli hacker, della programmazione libera, dei partigiani disinteressati dell’ internet indipendente e non commerciale. Nasce invece, al contrario, direttamente dai giganti della Silicon Valley e dalla nebulosa di start-up che li circonda: non si trattava che di una campagna commerciale per rilanciare l’ economia di internet, dopo le grosse ferite provocate dall’ esplosione finanziaria della bolla di internet attorno agli anni 2000.

Il Web 2.0 ha fatto così l’ apologia della partecipazione on line di tutti, della generalizzazione dei contenuti creati dagli utenti (il cosiddetto UGC), del regno dell’ amatore, dell’ interazione, dello scambio e della condivisione online, di tutti e di qualunque cosa che si potesse scambiare e condividere. In questo non c’ era assolutamente niente di nuovo che internet non permettesse già sin dalla sua origine. Ma era solo una ”ispirazione” di marketing. Un qualcosa che, beninteso, doveva mettere in guardia chi già navigava da un po’ di tempo, ma i nuovi venuti ci hanno visto solo grandi novità. Ma andava bene così, era proprio a loro che il messaggio era indirizzato.

Che importava se c’ era uno sfasamento fra il ”messaggio” del web 2.0 e la realtà di questi nuovi utenti, che arrivavano in massa su internet proprio in quel momento? Che importava se la ”partecipazione” su internet non è mai stata altro che un fenomeno ultra-minoritario, quasi marginale? Il fatto che in materia di ”condivisione” questi nuovi utenti hanno sempre preferito in massa scambiare le produzioni dei professionisti della musica o del cinema piuttosto che le loro produzioni di utenti? Che la libertà di espressione di tutti su internet sia molto spesso monopolizzato dai giganti e confini di solito con la Legge di Godwin . L’ obbiettivo era prima di tutto vendere! Sempre più materiali, più computer, più connessioni… e sempre più commercio online!

Vendere, vendere, vendere! Il messaggio libertario degli inizi di internet avrà dato luogo in fin dei conti a un formidabile recupero pubblicitario e commerciale, che oggi finisce per annegare totalmente e marginalizzare, in questo web di massa, ciò che questa cultura iniziale aveva di autenticamente innovativo ed emancipatorio. «Sognavamo il web sociale…ma non quello di Facebook”.

Il tempo dei media e il mondo sotterraneo degli invisibili

Ho sempre cercato in questo mio blog di capire, con una ricerca quasi in diretta, quale sarà l’ avvenire del giornalismo e dell’ informazione al tempo di internet. Devo riconoscere oggi che non l’ ho capito. O piuttosto, quello che ho trovato è che il giornalismo non aveva, secondo me, nessun avvenire online, e che per l’ informazione non sarebbe andata meglio!

Ho sognato per un momento che internet potesse essere una ‘’seconda possibilità” per il giornalismo come lo concepivo io, e che la rete delle reti avrebbe aperto una ”nuova era dell’ informazione”. Oggi non ci credo più.

E non credo affatto che internet possa essere un mezzo per rovesciare l’ ”ordine mediatico”, quello dei media di massa, dell’ informazione mainstream, che del mondo non rinvia altro che l’ immagine di un vasto spettacolo superficiale e commerciale e che in definitiva non è niente altro che un’ appendice di questa società del consumo. Niente, o quasi, in tutto questo ha a che fare con quella pedagogia dell’ attualità che sono per me il giornalismo o l’ informazione. Niente che aiuti realmente a comprendere come va il mondo e a contribuire all’ emancipazione del cittadino quando è il momento che bisogna andare a votare.

Per un momento si era aperta su internet una sorta di parentesi incantata. Ma oggi si è quasi richiusa. Se internet mi ha dato per un attimo la sensazione, e la speranza, di sfuggire al ”tempo dei media di massa”, è perché quest’ ultimo semplicemente non l’ aveva ancora completamente coinvolta. Ormai lo ha fatto pienamente e, invece di fornire un rimedio a questa mala informazione che corrode la democrazia, internet contribuisce al contrario ad accentuarne tutti i difetti.

Ciò non si vedeva affatto ai tempi dei primi media di massa, quello dei giornali su carta che si sono sviluppati nella seconda metà del 19° secolo (anche se, guardandoli più da vicino…), ma è diventato evidente con la radio e poi con la televisione, nella seconda metà del 20° secolo, e ora con internet… nel 21°: i media di massa non esistono per diffondere l’ informazione e permettere ai cittadini di partecipare al gioco democratico; sono là per formare dei consumatori e permettere a dei clienti di partecipare al grande gioco della merce e del commercio.

Era ‘’scritto” nei loro ”geni”, fin dalla nascita: i media di massa sono nati dall’ improbabile matrimonio fra informazione e pubblicità, a partire dal 19° secolo. Difatti, questo matrimonio è subito apparso per quello che era, cioè contro natura, e si è cercato di salvarlo da questa trappola mortale, se non l’ informazione stessa per lo meno le apparenze, instaurando quella famosa e invalicabile ”muraglia cinese” fra l’ informazione da una parte, la comunicazione, la promozione e la pubblicità dall’ altra. E’ una illusione, fin dall’ inizio, e con internet le apparenze non reggono.

Il ”tempo dei media” non è quello della democrazia, è quello del commercio. Non metto in dubbio la buona fede o la buona volontà dei giornalisti, impegnati allo stremo (per lo meno la maggior parte di loro, certo ci sono anche dei collaborazionisti…) in questo gioco degli inganni. Per la natura stessa del loro finanziamento essenzialmente pubblicitario, i media di massa non hanno altra strada che rivolgersi a una clientela di consumatori, e non a un pubblico di cittadini. Il giornalista onesto e coscienzioso potrà sempre sforzarsi di fornire anche dell’ informazione a questo consumatore, ma il suo media è fatto in modo da selezionare automaticamente, da sé stesso, l’ audience in modo da indirizzarsi solo a dei consumatori, a quelli che sono sensibili alla pubblicità (e che possono comprare) e non agli altri, anche se sono dei cittadini. Non è per niente redditizio, sul piano economico, per un media di massa rivolgersi a un pubblico diverso da quello che la pubblicità è pronta a finanziare.

Spesso è stato rimproverato all’ antico padrone di TF1, Patrick Le Lay, di aver riconosciuto con schiettezza che il suo mestiere era di ”vendere alla Coca-Cola del cervello umano disponibile”. Con questa ammissione ha dato prova di franchezza e onestà, perché senza Coca-Cola non avrebbe potuto far altro che chiudere TF1 e gettare la chiave, andandosene in disoccupazione con tutti i dipendenti della sua azienda, giornalisti compresi.

Si può constatare tutti i giorni il risultato disastroso del funzionamento quotidiano di questa macchina mediatica infernale: mantenere lo spettatore in stato permanente di disponibilità alla distrazione, non fermarsi mai su niente, non concentrarsi su niente, non fare alcuna gerarchia, mettere tutto sullo stesso piano, tutto ha lo stesso valore, niente è importante, chiodo scaccia chiodo, domani è un altro giorno e la festa continua.

Bisogna dare sempre la priorità alla futilità delle novità rispetto alla noiosa ripetizione di ciò che è importante. Ma poiché è ricorrente, quello che è importante finisce per accumularsi. E allora bisogna parlarne prima che si sedimenti e diventi inevitabile e invada lo spazio con la sua noia, rovinando l’ atmosfera della grande festa consumistica permanente. Allora ci si dedica a sbrigare, a piccoli pacchetti, il più velocemente possibile, queste realtà che rovinano la festa, annegandole in tutto il resto per ingoiare meglio la pillola.

E non c’ è bisogno di immaginare chissà quale complotto, odiosa cospirazione, per capire come questo sistema ha potuto radicarsi. Ciascun giornalista, nel suo proprio media, non può fare altro che riconoscere a quale ‘’clientela’’ la sua testata si rivolge. E se non vuol perdere il pane, non può fare altro che adattarsi… o andare a vedere altrove. E’ la dura realtà del commercio, e di un mercato del lavoro che non ha mai visto il numero dei disoccupati scendere sotto i milioni di persone da almeno 30 anni. Ai tempi del pieno impiego c’ era almeno qualche margine, si poteva ancora resistere ed essere coraggiosi. Ma è da molto tempo che quel tempo nelle redazioni è finito.

Nel suo lavoro quotidiano ogni giornalista di un media finanziato dalla pubblicità sa bene che la sua attività è di natura commerciale. Ma non bisogna dirlo, bisogna mantenere il mito dell’ informazione. Così come bisogna mantenere il mito della pubblicità: non riconoscere mai che la pubblicità è una semplice menzogna, dire sempre che essa vende dei sogni, oppure – osiamo? Perché no? – che essa stessa è informazione! Non bisogna rompere lo charme, se no le cose non vanno, e il principe affascinante torna ad essere il rospo che in realtà non ha mai cessato di essere

Su internet le cose vanno allo stesso modo, anche se in peggio. La dipendenza dalla pubblicità è ancora più forte perché l’ audience è ancora più volatile e incostante. Per il momento non è redditizio: i media di massa online non riescono ancora a trovarla questa clientela che interessa i pubblicitari. E questa clientela non si interessa a loro perché non ha neanche più bisogno di passare attraverso i loro intermediari per crogiolarsi voluttuosamente nell’ orgia di consumo. Va diritta allo scopo, questa audience, direttamente sui siti commerciali, senza passare per la casa mediatica. Se cerca dei consigli per essere guidata nei suoi consumi, non ha più bisogno di intermediari e trova sui siti commerciali stessi i pareri dei suoi pari, metodicamente filtrati e classificati dagli algoritmi e dai motori di ricerca. E questo le basta. Anzi avrebbe la tendenza a preferire ciò. Forse anch’ essa, al fondo, la clientela, non ci ha mai creduto, non più che alla ”grande muraglia cinese”.

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In ogni caso essa non si distrae dalla sua orgia consumista online se non per divertirsi, giocare, intrattenere le sue relazioni sociali, eventualmente gettare un colpo d’ occhio sulle notizie, ma unicamente una informazione da ultime notizie, l’ essenziale in breve, per essere aggiornati. Un buon ”cannone di notizie di agenzia” le basta e avanza. In linea non mancano, ce ne sono dappertutto. Non costa molto fabbricarli, ma porta molto in cassa. Non saranno questi a sfamare molti giornalisti. D’ altra parte, questo sdarebbe ancora del giornalismo?

Allora, tutto è perduto? Per i giornalisti ho paura di sì. Non vedo per loro altro futuro che quello – l’ ho già detto più volte – , di addetti al trattamento editoriale in contesto commerciale. Ma per l’ informazione non è detto che sia suonata la campana… Una cosa mi sembra al contrario acquisita, ed è tanto più vera con internet: non è più nello spazio mediatico che si gioca la partita dell’ informazione, e forse neanche nello spazio pubblico (ma l’ uno e l’ altro non sono la stessa cosa?). La partita si gioca in un mondo invisibile e sotterraneo, sotto la superficie del velo mediatico che ricopre oggi tutta la realtà. Ancora una storia di mappe e territori (rileggere Borges, e Baudrilard, e anche Houellebecq).

E’ là che bisogna guardare se si vuol vedere qualcosa. Ai margini, negli interstizi delle reti. Là dove, giustamente, i media non vanno… E’ là che si intravedono delle cose che accadono, dei piccoli avvenimenti che si producono, dei pezzi di realtà che appaiono e che potrebbero forse diventare importanti, o forse lo sono già, o forse no…

Negli interstizi delle reti, alla ricerca di quelli che si preparano per i tempi difficili…

Oggi lo devo confessare: ho vissuto un momento in cui avevo la segreta speranza che uno spazio mediatico specifico di internet stesse là là per emergere, che avrebbe proposto una alternativa allo spazio mediatixco precedente, quello da cui non vedevo l’ ora di fuggire. Ho pensato che si poteva operare su internet una sorta di sostituzione. Ma mi sono sbagliato. Lo spazio mediatico di internet non è diverso da quell’ altro, non è altro che il suo prolungamento, in peggio.

Non accade niente. Sia nei ‘’siti dei media” che in quelli ”dei giornalisti”, nei forum o nelle sfilze di commenti che si susseguono, così come in quella parte della blogosfera o in quei cosiddetti siti ”alternativi”, collegati a quei media, di cui non sono che una sorta di escrescenza, alla maniera della chimera di Baudelaire, che riciclano la stessa materia e non mescolano che del vento, non producono altro che schiuma… Tutto ciò è senza importanza e senza conseguenze. Un flash radio la mattina, un telegiornale la sera mi bastano per l’ intera giornata. Quell’ internet così non mi insegna niente che io non sappia già.

Ho finito quindi per dirmi che se avevo questa sensazione di essermi ingannato, di non aver trovato, è forse perché ero nella situazione di chi ha perso le chiavi in una notte senza luna e le cerca sotto un lampione, perché è il solo posto illuminato. Ho finito per dirmi che quello che io cercavo avrebbe potuto stare proprio là dove non c’ era luce, che la luce avrebbe potuto anzi farlo svanire, e dunque che non avrei mai visto veramente. Si poteva appena aver sentore, nel fascio della torcia, solo di una immagine estremamente fugace che ci sfugge non appena si crede di averla catturata.

Le Cevennes dalle parti di Tarnac

Le Cevennes dalle parti di Tarnac

Questa intuizione mi è venuta per la prima volta in occasione della vicenda di Tarnac (alcuni episodi di danneggiamento della linea ad alta velocità, il TGV, fra l’ ottobre e il novembre 2008, che avevano portato il ministero dell’ interno, poi smentito, a parlare di sabotaggi da parte di gruppuscoli di ultrasinistra oscillanti verso il terrorismo, ndr). Me ne sono interessato prestissimo su questo blog e non ho smesso di approfondire le mie ricerche, in questa e in altre direzioni, e poi in altre ancora, visto che il filo che io tiravo era annodato ad altri fili e questi ultimi ancora ad altri, formando questa rete, o una piccola, una infima parte di quella rete che io cercavo e che mi sfuggiva perché io non cercavo all’ indirizzo esatto.

Mi sono interessato a « l’affaire » di Tarnac su questo blog come si fa con dei lavori pratici. Il mio obbiettivo iniziale era solo proporre una illustrazione concreta attraverso l’ esempio dell’ immensa capacità di internet di fornire informazioni a colui che le cerca, che le cerca veramente, e che sa come usarle. E’ quello che io chiamavo ”una inchiesta in pigiama”, per significare la grande possibilità aperta da internet di diventare, ciascuno per se stesso, il suo proprio giornalista. E questo aveva dato luogo nel gennaio 2009, a una inchiesta esclusiva di Novovision: Tarnac, ritorno sul fiasco di una indagine di polizia.

Dei ”media tradizionali” ci avrebbero messo dei mesi per arrivare alla stessa conclusione mia su questo ”affaire”. Un giornalista avrebbe scritto un libro intero cambiando solo un po’ l’ ordine delle cose. (…)

Non mi sono fermato a questo, avevo cose migliori da fare. Ho continuato a tirare i fili…

Ho cominciato a scoprire un mucchio di cose che accadevano su internet, che probabilmente non sarebbero mai accadute senza internet, oppure si sarebbero verificate in maniera diversa,e di cui im edia non parlano quasi mai. Dopo due anni che tiro questi fili – fino a consacrare alla fine la maggior parte del mio tempo disponibile a questa ricerca piuttosto che occuparmi di questo blog – ho finito per intravedere una specie di continente nero, un mondo sotterraneo che vive, prospera e si sviluppa ai margini dei media e sotto questo velo mediatico che ricopre la realtà oggi.

Non pretendo certo di avere per le mani lo scoop del secolo. Non c’ entra nulla. Né mi immagino per un istante solo di aver scoperto chissà che cosa che tutti gli altri avrebbero ignorato prima di me. Ho solo imparato un sacco di cose di cui i media non parlano mai. Non sono nascoste, basta cercarle…

Uno spazio discreto. Tutto ciò si trova da una ”qualche parte” su internet che è l’ esatto opposto di quello che viene considerato uno spazio mediatico, o uno spazio pubblico (in effetti si tratta della stessa cosa alla fine: lo spazio pubblico è lo spazio mediatico). Ma non è neanche uno spazio privato. E’ un immenso spazio che si dispiega su internet, uno spazio discreto, piuttosto che nascosto, che si situa… fra i due, fra il pubblico e il privato.

I fili che ho tirato, da parte mia, mi hanno condotto in delle direzioni particolari. Se ne avessi seguiti altri mi sarei trovato altrove… Ma non si tratta in realtà di un solo mondo, bensì di mondi multipli, che si rivelano solo quando li si esplora e di cui non si può mai capire quale sia l’ estensione totale. D’ altronde sono brulicanti, mobili, instabili e alla fine irraggiungibili. Ed è proprio per questo che questi mondi quasi volatili non esistono per i media, che li ignorano perché non sono capaci di raggiungerli.

Mi sono particolarmente interessato, ad esempio, a qualcuno di questi mondi che si tengono appunto ai margini di una società di fonte a cui esitano rispetto all’ atteggiamento da tenere: ritirata o ribellione? Non c’ è affatto da meravigliarsi se tali mondi sfugono ai media, ammesso che essi vi prestino una qualche attenzione: di fronte ad essi non potrebbero mostrare che un solo atteggiamento: ritirata o ribellione.

Alcuni degli abitanti di questi mondi discreti sono, ad esempio, dei pacifici giardinieri, che si limitano a coltivare il loro orto. Hanno trovato con internet un formidabile mezzo per entrare in contatto gli uni con gli altri, di condividere le informazioni, le esperienze, le tecniche, i ”consigli d’ amico”, di annodare amicizie che li portano a volte a incontrarsi ”dal vivo” e di scambiare dei semi che nelle reti commerciali sono introvabili e di cui a volte è perfino vietata la vendita, per degli oscuri motivi amministrativi, di cui vi risparmio i dettagli. E’ la loro piccola resistenza, conservare contro venti e maree un patrimonio botanico che senza di loro sparirebbe.

Un altro filo mi ha portato, altro esempio, verso il mondo degli auto-costruttori edili, persone che si costruiscono la casa da soli con le loro mani, in legno, in paglia oppure in malta, o anche con dei vecchi pneumatici, e a volte fanno appello alla buona volontà, pronti ad andare a dare una mano se c’ è bisogno all’ altro capo della Francia, se c’ è qualche rompicapo, e il piacere di fare conoscenza e diventare, forse, amici. A volte funziona, a volte no.. Ma alcuni fra di loro, probabilmente non tutti, lasciano online delle tracce, come dei sassolini che diventano dei segnali per quelli che vengono dietro e da queste esperienze traggono degli insegnamenti che daranno corpo ai loro tentativi successivi…

C’ è poi quel vasto e discreto mondo delle capanne e delle roulotte, un sacco di gente che non cerca altro se non un posto tranquillo da qualche parte nella foresta, senza chiedere niente a nessuno, ma che sono spesso braccati dalle norme urbanistiche e da quelli che le applicano in modo un po’ troppo pignolo. E allora devono cercarsi gli uni con gli altri e trovarsi per scambiare informazioni e organizzarsi. E trovano su internet un mezzo incomparabile per farlo e non se ne privano certo.

E poi ci sono ogni sorta di autarchici, survivalisti, peakisti, nuovi viaggiatori, decrescitisti o altri primitivisti, secondo i vari nomi che preferiscono assegnarsi e che a volte non si curano nemmeno di darsi. Un punto in comune che si ritrova facilmente fra costoro è il loro atteggiamento nei confronti di una società che essi ritengono in fase di perdizione, finita, usata, già perduta: più di ritirata che di ribellione. Si preparano già al ”mondo successivo”, che si farà con o senza di voi, ma non senza di loro.

Certo, in dosi più o meno massicce, c’ è del millenarismo in tutto questo. Alcuni lo esprimono, altri no, ma tutti… si preparano. Alcuni di essi hanno una parola chiave, che suona come un segno di raccolta: si preparano a dei ‘’tempi difficili’’. Alcuni sociologi delle religioni hanno già scovato le fonti di questo riferimento (da Charles Dickens a Giacchino da Fiore, passando anche spesso per Henry David Thoreau), un segno di adunata che resta sempre molto discreto, quasi anodino per la maggior parte di voi, ma che molte persone, che voi non sospettereste, sanno decodificare senza dire nulla, al loro interno…

Tutto questo sembra virare verso le sette, è vero, quando si affrontano questi mondi complicati della new age, dei vegani ultravegetariani radicali, degli eco-guerrieri, della ecologia profonda e dell’ anarchia verde, che non si dà altri obbiettivi, in parole povere, se non quelli di abbattere ‘’la civiltà’’ e che come un eroe alla Theodore Kaczynski, conosciuto meglio come Unabomber, messo fuori gioco con l’ accusa di diversi omicidi e rinchiuso da un po’ in una cella di massima sicurezza in qualche struttura della Prison Valley.

Questo ci fa tornare a Tarnac, questo pacifico villaggio dell’ altipiano di Millevache, nel Corrèze, che ho visitato in modo discreto a mia volta, un po’ di tempo fa, e in cui il nostro governo ha creduto di poter vedere per un attimo, mimetizzata in una piccola fattoria ai confini del paese, una sorta di scuola di terrorismo, un campo di addestramento per le truppe di questa ‘’Insurrezione in arrivo’’, e in cui io non sono riuscito a vedere altro che la realizzazione di un semplice programma ‘’post-nucleare’’: l’ unico modo di sopravvivere in questo ‘’mondo del dopo’’, alla Mad Max, è organizzarsi sin da ora attorno al trittico ‘’giardino, laboratorio, negozio di alimentari’’… E presto, certo, anche una segheria. Anche a Tarnac, sembra, ci si prepara… a ‘’tempi difficili’’.

E perché i media dovrebbero parlare di tutto ciò? Perché delle persone, provenienti da orizzonti tanto diversi e con delle giustificazioni così eclettiche, si preparano a dei ‘’tempi difficili’’; che interesse hanno queste persone, perché si dovrebbero mettere fuori gioco rispetto alla società del consumo e smettere di essere dei ‘’clienti’’? Si potrebbe cercare di convincerli con le minacce. Fatto, ma non ha funzionato. Farne degli animali da circo, da presentare in qualche spettacolo? Ma non sembra che siano molto collaborativi…

Allora, potrebbe essere interessante cercare di sapere oggi chi sono, perché sono così, quanti sono? La loro ‘’ribellione attraverso il ritirarsi’’ potrebbe fare scuola? C’ è una soglia sociale al di là della quale un ritiro massiccio dalla società dei consumi da parte di tutte queste varianti di ‘’adepti della decrescita’’, che disertano i centri commerciali, potrebbero – per il loro numero e il loro peso ‘’non economico’’ – far vacillare questa società?

‘’Hai un buon argomento, caro – mi sussurra già il capo redattore -. E’ parecchio torbido e può colpire. E’ roba che fa vendere questa, cocco mio…’’.

No, grazie, troppo poco per me. Io non mangio questo pane. E poi, soprattutto, so già bene che questa società è la prima a organizzare, essa stessa, il ‘’ritiro’’ massiccio – ma non volontario! – dalla società dei consumi di milioni di persone che condanna ogni giorno alla precarietà, all’ esclusione e alla povertà e che non si sente affatto minacciata di crollo…

Alla fine, forse, anche io mi sento meno tentato dalla ribellione che dal ritiro. E forse, a mia volta, mi vedrò bene ritirato in un luogo preservato dalla società, lontano dalla città, nella natura, per coltivare il mio giardino, preparando tranquillamente, nel mio orto… l’ arrivo dei tempi difficili.