domenica 31 ottobre 2010

Scuola digitale, protocollo d'intesa MIUR-Telecom Italia

[BitCity 31/10/2010]Il Ministro dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca Mariastella Gelmini e il Presidente di Telecom Italia Gabriele Galateri di Genola hanno siglato un Protocollo d'Intesa finalizzato alla realizzazione di azioni congiunte a supporto del Piano Nazionale per la Scuola Digitale promosso dal Ministero.
La collaborazione, di durata triennale, prenderà il via con il lancio di nuove attività nell'ambito di Navigare Sicuri (www.navigaresicuri.org) il progetto di sensibilizzazione a un uso attento e consapevole del Web da parte di bambini, adolescenti e genitori. Inoltre, nell'ambito dell'iniziativa ministeriale Cl@ssi 2.0, nel corso dell'anno scolastico alcuni istituti superiori sperimenteranno l'utilizzo di testi elettronici che, grazie a una piattaforma interattiva messa a disposizione da Telecom Italia, potranno essere adattati alle specifiche esigenze didattiche di studenti e insegnanti.
La prima iniziativa, oggetto di uno specifico accordo tra le parti, riguarda la realizzazione di un progetto per la navigazione sicura che sensibilizzi famiglie, docenti e studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado individuate in collaborazione col MIUR, mostrando loro le opportunità offerte da Internet e allo stesso tempo tutelando i minori alle prese con le prime esperienze sul Web.
A questo scopo Telecom Italia scenderà in campo con Navigare Sicuri, il progetto lanciato nell'ottobre 2009 in collaborazione con Fondazione Movimento Bambino e Save the Children: il 3 novembre un bus Navigare Sicuri partirà da Torino per un tour che toccherà scuole e piazze di 10 regioni e 20 città su tutto il territorio italiano, distribuendo materiali e organizzando attività rivolte a studenti tra i 5 e i 15 anni, insegnanti e genitori.
Il Ministro dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca Mariastella Gelmini ha dichiarato: "Con l'accordo di oggi facciamo un altro passo in avanti verso la digitalizzazione della didattica e l'innovazione della scuola attraverso la diffusione delle nuove tecnologie in classe. Il Protocollo d'Intesa, oltre a consolidare il rapporto di collaborazione tra due settori determinanti come l'istruzione e l'innovazione tecnologica, consente di avvicinare la scuola ai nuovi linguaggi e alle abitudini dei più giovani, i principali fruitori delle nuove tecnologie e degli strumenti offerti dal web".

giovedì 28 ottobre 2010

I nuovi media visti dai bambini

[La Stampa 28/10/2010]
La ricerca di People per Terre des Hommes
ROMA
Come vedono i new media i bambini? E quanto i genitori sono in grado di capire e normare il rapporto, spesso “caldissimo” dei loro figli con i media? Sfide, criticità e suggerimenti sono contenuti nella nuova ricerca svolta da People, società di ricerche di mercato di Milano, per Terre des Hommes con il contributo di Google, Vodafone Italia e Fondazione Ugo Bordoni.

Il primo dato che emerge dalla ricerca è che si inizia sempre più da piccoli ad utilizzare i nuovi media: il 40% dei bambini naviga su Internet prima dei 10 anni, il 60% dopo; ci si iscrive ai social network molto prima dell'età minima (13 anni per Facebook), infatti degli intervistati il 16% lo ha fatto addirittura prima dei 10 anni. Il 30% usa già il cellulare prima dei 10 anni.

Per i più piccoli la Rete è un mezzo di scarsa importanza, su cui il controllo dei genitori è piuttosto elevato. Anche i social network entrano nella quotidianità solo dopo i dieci anni, ma per i più grandi rivestono il ruolo di palestra della socializzazione. I ragazzi mostrano consapevolezza dei rischi per la sicurezza in cui si può incorrere nella frequentazione di social network e tale consapevolezza determina, per esempio, la loro scelta su quale social network utilizzare e per quale fine. I ragazzi tendono a tutelarsi non accettando richieste di amicizia da parte di sconosciuti.

La fruizione del cellulare sembra essere molto più libera rispetto ad altri media, per nulla limitata temporalmente. Il controllo dei genitori in questo caso sembra mancare, se non per gli aspetti di tipo economico. Per i più grandi lo strumento diventa imprescindibile nella quotidianità e la relazione che si costruisce si può descrivere per analogia con la relazione con il "cuccio".

Tv e videogiochi sono i media che i bambini utilizzano con maggior coinvolgimento e con sessioni anche piuttosto lunghe, che avvengono spesso in assenza dei genitori. Il mezzo perde invece attrattiva nella pre-adolescenza, quando si tende a privilegiare la navigazione e la socializzazione via Web.

La ricerca ha analizzato in dettaglio anche il ruolo dei genitori nell’accompagnare e normare l’utilizzo dei mezzi da parte dei figli. I due terzi dei genitori intervistati dichiara di conoscere bene come il proprio figlio utilizza la tv, la percentuale si riduce decisamente quando si parla di Internet, cellulare e soprattutto Facebook. La maggioranza è preoccupata dall’avvento dei nuovi media perché non si sente sufficientemente competente per tutelare i figli dai rischi dei new media e impongono loro molti divieti e regole di utilizzo, senza però essere sempre in grado di argomentarli. Vi sono, però, anche quelli contenti che i propri figli sappiano destreggiarsi con i nuovi strumenti e lo vivono come un segnale tangibile delle capacità dei ragazzi I permissivi vedono la tecnologia come una normale conseguenza dei tempi e lasciano che i media riempiano il tempo libero dei ragazzi, senza richiedere impegno ai genitori.

La ricerca "Bambini e Nuovi Media" è stata presentata a margine della premiazione del "Child Guardian Award 2010", dedicato alle imprese che tutelano l’immagine dei minori, coniugando il rispetto dei diritti dell'infanzia con un linguaggio comunicativo efficace. Con l'occasione è stata presentata anche la campagna Mondiale "Io proteggo i bambini" che si terrà dal 7 al 21 novembre.

Il web 2.0 entra in aula con Telecom Italia

[Working capital 28/10/2010] Arriva la didattica 2.0. Telecom Italia, in collaborazione con Olivetti, CRIAI (Consorzio campano di ricerca per l’informatica e l’automazione industriale) e Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli, porterà in classe laptop e software collaborativi.

La sperimentazione riguarderà due classi del suddetto istituto, il II liceo linguistico e il V ginnasio classico, e andrà avanti fino a fine anno scolastico. Italiano, latino, francese, inglese e fisica le materie coinvolte.

Ogni allievo e i relativi docenti avranno a disposizione una serie di strumenti del web 2.0 a supporto della condivisione di informazioni, tra cui blog, forum e piattaforme wiki. Il supporto hardware, fornito da Olivetti, sarà costituito da una lavagna interattiva multimediale Oliboard per l’aula e un netbook M1025 per ciascun allievo. La piattaforma web è stata realizzata appositamente da Telecom Italia in collaborazione con CRIAI.

La supervisione scientifica del progetto è della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Suor Orsola Benincasa, presieduta da Lucio D’Alessandro.

Favorire il processo di digitalizzazione della scuola e contribuire alla modernizzazione del sistema paese sono le finalità che il Gruppo Telecom Italia intende perseguire attraverso lo sviluppo e la diffusione di soluzioni tecnologiche innovative. “Obiettivo della sperimentazione è la valutazione dell’impatto delle nuove tecnologie sull’evoluzione della didattica verso modelli innovativi e della relativa efficacia sul piano formativo”, fa sapere l’azienda. “L’iniziativa consentirà inoltre l’individuazione dei contenuti più adeguati ai nuovi strumenti di fruizione, la definizione dei benefici conseguibili nell’apprendimento per ciascuna materia e l’identificazione di nuovi percorsi formativi per gli insegnanti”.

Gli allievi, verrebbe proprio da dire, sono già ben allenati all’utilizzo di questi strumenti che, per la prima volta, escono dall’alveo ormai rodato dell’intrattenimento e della socialità ed entrano nel contesto più istituzionale dell’apprendimento scolastico, promettendo di dispiegare tutta un’altra dimensione di utilità e di supporto alla crescita personale.

martedì 26 ottobre 2010

Sui social network il 70% dei manager Ma soltanto un'azienda su tre

[Corriere della Sera 01/11/2010] MILANO - I social network hanno conquistato i manager delle società italiane: sette su dieci frequentano abitualmente i nuovi strumenti di comunicazione online (Linkedin e Facebook soprattutto), mentre le aziende da loro guidate restano ancora ai margini. E solo una su tre utilizza i social network per le proprie attività. È quanto emerge da un’indagine condotta da Hsm, azienda leader nell’executive education, su un campione di 680 manager selezionati tra i quasi 2.000 partecipanti alla settima edizione del World Business Forum, evento rivolto alla business community del nostro Paese (27 e 28 ottobre a Milano).

INFORMAZIONE E BUSINESS - Secondo le risposte date nel corso dell'indagine, i social network vengono utilizzati dai manager per creare relazioni di business (39%) e per tenersi informati su competitor, clienti, partner e altri manager (18%), mentre le aziende prediligono Facebook (71%) con l’obiettivo principale di informare i consumatori. Il social network preferito dai manager è Linkedin (76%), seguito però a poca distanza da Facebook (70%). Twitter si ferma al 21% delle preferenze e Youtube al 18%.

POCHE AZIENDE - Le aziende invece sembrano non avere ancora adottato l’abitudine di utilizzare i social network come strumenti di comunicazione e di relazione. Solo un terzo degli intervistati (33%) conferma la presenza della propria azienda sui social network, e di questi il 71% indica Facebook come canale preferito. Sorprende al secondo posto tra i social network più utilizzati dalle aziende Twitter (64%), seguito da Youtube e Linkedin (entrambi al 50%). Obiettivo delle aziende sui social network è quello di informare i consumatori (28%), mentre solo l’11% si pone come obiettivo quello di ascoltare i consumatori. D’altra parte il 47% delle aziende presenti sui social network lo è a partire solo dal 2009. Nelle aziende, inoltre, sembrano mancare figure preposte a gestire i social network. Il 48% degli intervistati ammette che nella sua azienda non ci sono competenze specifiche e il 37% indica il dipartimento comunicazione come area che si occupa dei social network.

lunedì 25 ottobre 2010

Social Network nella didattica

E-book, i libri per bimbi sono la nuova frontiera

[Ansa 25/10/2010]

ROMA - Bambini che colorano libri illustrati, leggono o ascoltano storie su una lavagnetta elettronica. E' il futuro a cui guarda Barnes & Noble, che per crescere nel mercato degli e-book punta a un target ancora poco considerato dai rivali: i giovanissimi. Stando al Wall Street Journal, la piu' grande catena statunitense di librerie sarebbe pronta a lanciare una ricca collezione digitale pensata per bambini dai 3 agli 8 anni, da sfogliare su una nuova versione del lettore Nook.

Barnes & Noble dovrebbe rendere disponibili a breve, sul sito NookKids.com, 12 mila libri per ragazzi, a cui da meta' novembre si aggiungeranno un centinaio di libri illustrati. La compagnia avrebbe gia' raggiunto accordi in questo senso con 15 tra i principali editori di libri per ragazzi. Alcuni e-book integreranno una versione audio, sostituendosi ai genitori nella lettura, mentre con altri i bambini potranno interagire toccando lo schermo con le dita.

Il colore e il touchscreen, indispensabili per questo tipo di e-book, sono funzionalita' non presenti sull'attuale Nook, il lettore di libri elettronici lanciato da Barnes & Noble poco piu' di un anno fa. Stando alle indiscrezioni circolate nei giorni scorsi, comunque, a queste mancanze potrebbe presto esser posto rimedio.

La compagnia ha infatti convocato la stampa per domani a un evento in cui, secondo gli analisti, dovrebbe essere presentato un nuovo Nook, con sistema operativo Android di Google e schermo da sette pollici, a colori e sensibile al tocco, dal prezzo accattivante: 249 dollari. Nella conquista dei bambini, e dei loro genitori, Barnes & Noble tuttavia non si affidera' solo al Nook. Entro la fine dell'anno i libri per l'infanzia saranno infatti disponibili anche per l'iPad di Apple e per altri dispositivi.

domenica 24 ottobre 2010

Dai socialnetwork al social-Moot

[Mentelab 24/10/2010]
Nel web sempre più si vivono realtà molteplici, realtà aumentata, la mente così si deve addattare e trasformare alle nuove dinamiche sociali,tribali.
L’Io digitale ( Digit-Io ) si frammenta vivendo una molteplicità del sé, multipersonalità, identità mutevoli nomadiche, dove domina la comunicazione always-on , comunque e ovunque, con qualsiasi media, e nelle forme di ultramedialità.

Tutto va sperimentato condividendo esperienze, relazioni socialmediali ampiamente disponibili e fruibili in net-gruppi o net-tribù di breve durata, o creati per l’occasione, o vissuti in comunità di interessi.
Nascono così nuovi socialnetwork,nosocial, che superano,aboliscono l’esistente, in favore di presenze anonime , vedi 4chan.org o canv.as (di Christopher Poole ), in “città digitali” dove gli abitanti rigidamente anonimi vivono senza legge/regole, senza preoccuparsi delle conseguenze, ove, anche se per pochi istanti, tutto è consentito; vengono così rigurgitati messaggi/foto/insulti/denigrazioni/ecc…, senza lasciare tracce di sé.
Nuove forme di socialità/relazioni net-socialità e R-tech (J.Rifkin) in cui tutto va sperimentato, condividendo esperienze, (“socialnetworktualità ” ) al limite della civiltà e/o rispetto altrui, alcuni infatti parlano di socialità boorderlaine, parasocialità, imbarbarimento, i nuovi barbari, neotribù intorno al totem dell’anonimato.


Si vivono così mutevoli forme di coscienza, digitIo proteiforme (R.J.Lifton), flessibile, capace di adattarsi continuamente alle nuove circostanze (on-line), esplicitando le possibili forme dell’auto-racconto del sè, o sviluppando nuove relazioni qualitativamente significative
( Valkenburg,Peter) ma anche con possibili fenomeni di cyber-violenza, relegando così l’off-line agli “immigrati digitali”.
Alcuni autori vedono internet non come una potente weapon of mass instruction (”arma di istruzione di massa” N.Negroponte), ma come un weapons of mass destruction (”arma di distruzione di massa” ), o scontri tra cyberterroristi e possibili cyberpolizziotti ... tra botnet e zombienetwork nel wiredWeb (E. Kaspersky ) qualche speranza ci resta forse nel mobileWeb.


le tecnologie digitali avanzano…

Ricercatore salentino: stress da internet adolescenti più a rischio

[Gazzetta del mezzogiorno 24/10/2010] NARDÒ - Più interfacciati con gli altri ma molto più soli rispetto al passato. Gli adolescenti di Nardò non sono esenti dagli stress causati dall'overdose di tecnologia, proprio come gli adulti. Solo che loro sono internet-dipendenti "in potenza" e le famiglie, lo sport, la scuola, possono prevenire possibile problemi come la depressione e l'ansia. A parlarne davanti ad una platea di docenti e genitori è un giovanissimo medico, Pierluigi Parisi, autore di uno studio sperimentale dal titolo «Dipendenza da Internet negli adolescenti di scuola media» che rappresenta il primo lavoro italiano interamente basato su di un campione di soggetti frequentanti la scuola media inferiore.

«Mi sono interessato di internet - dice Parisi - perché oggetto della mia tesi di laurea in medicina e chirurgia, discussa nel mese di luglio all’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma. Al policlinico Gemelli, del resto, c’è il maggior centro italiano per la dipendenza da internet».

La sede è quella del primo nucleo, scuola diretta da Carlo Longo. I 166 studenti che hanno collaborato appartengono, per un buon 65 per cento a famiglie agiate di professionisti o impiegati. I dati rivelano che la maggioranza dei ragazzini di Nardò sono border-line: esiguo il numero dei "dipendenti" da Internet (solo quattro), 63 i non dipendenti e ben 99 i "Piu" cioè colpiti da «problematic internet use».
Pierluigi Parisi
Dipendenza o "Piu" possono associarsi ad altre patologie o disturbi della personalità: un uso problematico di internet, che va ben oltre la veloce connessione quotidiana per controllare la posta elettronica, può essere la spia di un problema di dipendenza. Un fattore che sembra determinante per la dipendenza è il fatto di possedere un computer personale al quale accedere in qualsiasi momento; anche l'ansia che gli studenti testimoniano di provare è legata alla loro permanenza in "connessione". Se può consolare il tasso dei dipendenti o dei potenziali rispecchia quello degli altri paesi occidentali ai quali, però, il meridione rassomiglia solo quando si parla di dati negativi.

«Ci sono aspetti che posso definire interessanti - dice Parisi - non solo dal punto di vista clinico psichiatrico ma anche sociologico: le analisi volte a tracciare il profilo socio-economico sottese alla situazione di ogni studente sono indicative in tal senso. Alla base dell'opera c'è una analisi filosofico-antropologica che colloca la tematica della dipendenza in un orizzonte mondiale. Nardò, con questo lavoro, entra in questo contesto».

venerdì 22 ottobre 2010

I giovani e il web

Bambini e internet, a 10 anni la prima navigata

[BitCity 22/10/2010] A 10 anni il primo accesso a internet. In Italia si resta indietro: ben due anni di ritardo rispetto ai bambini degli altri paesi europei.
E' questo il dato registrato dalla ricerca "Eu Kids Online" promossa da Osscom e realizzata in 25 nazioni d'Europa. I nostri ragazzini saranno più protetti, poiché si affacciano al mondo web a una maggiore età, ma ciò non significa che non siano meno esposti a ferite psicologiche.
Pare infatti che in Italia manchi la giusta informazione, la cultura di internet.
Ad esempio i genitori e gli insegnanti non supervisionano i bambini durante gli accessi rischiando così di farli incorrere in siti troppo violenti o pornografici.
Le percentuali comunque rasserenano. Bullismo, adescamento online e l'esposizione a materiale altamente erotico è in Italia è circa il 6% mentre la media europea è addirittura doppia. Il consiglio dei ricercatori è quello di aiutare e soprattutto assistere i bambini durante le connessione.
Far sì dunque che i figli navighino solamente in siti sicuri ed educativi per evitare di farli imbattere in situazioni rischiose.

Google: un X Factor per l’innovazione

[PCTuner.net 22/10/2010]Si chiamerà Demo Slam ed è l’ultima trovata di Mountain View, in pratica una sorta di American Idol (l’equivalente del nostro X Factor), dove a scontrarsi e a cercare il favore del pubblico non saranno cantanti, ma startup, sia di aziende che di singoli o di comuni. Un modo nuovo e insolito per promuovere l’innovazione tecnologica nell’era del Web 2.0 e di YouTube o ancora altra pubblicità per Google?

La domanda non è così insinuante come potrebbe sembrare, visto che l’unico limite per questi progetti innovativi è quello di usare solo ed esclusivamente tecnologie sviluppate e messe a disposizione da Google stessa.

Il contest che si terrà sul sito appena avviato avrà lo stile di un vero e proprio talent show, con scontri diretti a cadenza settimanale tra due progetti, presentati attraverso filmati in opposizione tra loro. I demo saranno caricati sulla piattaforma di video sharing YouTube, e saranno relativi appunto alla presentazione di un progetto tecnologico da parte di società, gruppi universitari o semplici individui armati di un’idea. Gli utenti di BigG potranno quindi votare il proprio filmato preferito, contribuendo così alla sua eventuale scalata alla vetta di una hall of fame dei demo. Il primo vincitore uscirà dalla sfida tra due progetti caricati dalla stessa Google in occasione del lancio ufficiale della piattaforma Demo Slam.

Sul sito sarà possibile peri partecipanti scegliere tra vari settori tecnologici legati all’azienda di Mountain View. Obiettivo, condividere con il mondo una serie di innovazioni relative al search locale, alla personalizzazione dei servizi, alla ricerca attraverso fotografie o in tempo reale. Un modo per promuovere l’innovazione o per promuovere se stessa e le proprie tecnologie? O ancora ottenere sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche nei propri campi di interesse a costo quasi zero? Ai lettori l’ardua sentenza, anche se siamo abbastanza certi che nessuno si interrogherà su questo aspetto.

Digital Life: i nuovi consumatori tra Internet, Email e Social Media

[PMI.it 22/10/2010]

Diffusi i dati dell'indagine globale Digital Life, realizzata in 46 paesi da TNS su un campione di 50mila intervistati tra 16 e 60 anni. obiettivo, tracciare il profilo dei nuovi consumatori digitali e descriverne le abitudini dinanzi allo schermo.

Da quanto emerso, il 72% della popolazione accede alla Rete almeno una volta al giorno per controllare la posta elettronica e, in Italia, tale percentuale raggiunge addirittura l'87%.

In media, ogni settimana i navigatori consumano 4,4 ore davanti alle Email, ma in assoluto il tempo speso su Internet è ormai dominato dai Social Network, che assorbe 4,6 ore a settimana.

La ricerca ha consentito inoltre di categorizzare gli utenti italiani in funzione dei loro comportamenti, distinguendoli in differenti classi: i più assidui del Web sono i cosiddetti Influencers (24%), ossia i frequentatori di Internet e community social, seguiti dai Knowledge Seekers (23%), che navigano in cerca di informazioni o per coltivare i propri interessi. Con maggior distacco si piazzano i Functionals (18%), che si approcciano a Internet in modo più misurato e basilare e i Networkers (17%), che si affacciano alla Rete principalmente per mantenere le proprie relazioni sociali.

Interessante anche il dato sulle modalità di collegamento per fini non professionali. Emerge infatti che un buon 26% degli intervistati utilizza dispositivi mobili avanzati, come smartphone e cellulari, per il collegamento ad Internet. Record in Cina (40%), mentre l'Italia è al 15%.

mercoledì 20 ottobre 2010

Nascere digitali

[Scienza in rete 20/10/2010] di Giuseppe O.Longo
Negli ultimi anni gli scambi comunicativi mediati dai dispositivi tecnologici hanno subito un incremento impressionante, tanto che alcuni paventano un intasamento dei sistemi di trasmissione. Le cause principali di questo vero e proprio surriscaldamento comunicativo sono: l'aumento dell'efficienza tecnica, la diminuzione radicale dei costi e l'indebolimento dei filtri che in passato limitavano la diffusione dell'informazione. Tra questi filtri vanno annoverati: la chiesa, la scuola, la famiglia, e in genere le istituzioni politiche e sociali che esercitavano il monopolio dell'informazione, la sorveglianza e la censura. In ultima analisi questi filtri erano sorretti dal costo della comunicazione, dal diffuso analfabetismo e dalla lentezza degli scambi comunicativi.

Lo sviluppo della tecnologia ha reso la comunicazione sempre più rapida ed economica e ha contribuito alla nascita di quella che si chiama società dell'informazione. Tra le tappe più significative di questa evoluzione ricordiamo:

* la convergenza di telecomunicazioni e computer;
* la digitalizzazione delle sorgenti d'informazione e dei canali di trasmissione;
* lo sviluppo di servizi multimediali e interattivi;
* la concentrazione di un numero crescente di funzioni in minuscoli dispositivi tascabili.

Siamo entrati nell'era digitale, caratterizzata tra l'altro dalla formazione di una generazione di giovani che, plasmatisi sulle nuove tecnologie o addirittura nati con le nuove tecnologie, le usano con grande disinvoltura e insieme con sovrana indifferenza per i loro meccanismi profondi, attenti solo al loro utilizzo opportunistico. Questa generazione digitale interagisce con le strutture tradizionali, in particolare con la scuola, in modi nuovi, che prefigurano altri e più incisivi cambiamenti, destinati a investire tutti gli aspetti dell'individuo e della società.

Tramite l’ibridazione con la tecnologia cambia la natura umana, tramite la genomica l’uomo cessa di riprodursi e comincia a prodursi. Cambia il modo di fare i figli, di allevarli e di educarli. Cambia il modo di comunicare, di apprendere e di insegnare, cambiano la nozione di tempo, la percezione dello spazio, il concetto di realtà. Tutti questi cambiamenti moltiplicano le scelte, esaltano la creatività e insieme estendono l’omologazione, ci sopraffanno con l'eccesso di dati e di possibilità, provocano lacerazioni e disadattamenti. Il lessico e la sintassi subiscono distorsioni e meticciamenti profondi. E la rappresentazione mediatica di tutti questi cambiamenti genera un “doppio” spettacolare del mondo che a volte è percepito più reale del mondo reale e accelera le mutazioni. In questa potente dinamica trasformativa le velocità di cambiamento non sono uniformi: certe componenti mutano più rapidamente di altre e questa disuniformità genera tensioni, disagi, conflitti e sofferenze. La transizione è così rapida che non ci permette la messa a fuoco e continuiamo a vedere il futuro con gli occhi, i parametri e i valori di un passato che fatichiamo a superare e in cui permangono robuste tracce di categorie aristoteliche. Ciò provoca un disorientamento e una sensazione di inadeguatezza che possono sfociare in angoscia o, all'opposto, in precipitose fughe in avanti.

I giudizi sull'avvento dell'era digitale sono diversissimi: vanno da un'esaltazione senza riserve a un cupo catastrofismo, con tutti i gradi intermedi. La comunicazione è un fenomeno complesso, pertanto può (e deve) essere descritto a livelli e da punti di vista diversi, nessuno dei quali può fornirne un resoconto completo. Ne segue che le valutazioni positive come quelle negative possono essere giustificate da osservatori diversi con argomenti fondati.

Giudizi tanto contrastanti indicano che siamo di fronte a una rivoluzione vasta e coinvolgente, le cui radici affondano nell'interazione tra tecnologia e società e le cui ripercussioni riguardano la cultura, la scuola, la politica, i rapporti sociali, l'organizzazione aziendale e istituzionale, la lingua, l'epistemologia e la scienza. Nelle prossime puntate cercherò di esaminare alcune di queste conseguenze, senza curarmi troppo dei particolari tecnici e dell'alluvione di gadget, ma cercando di scrutare le radici e le conseguenze culturali degli accadimenti. In ogni caso, che si giudichi la rivoluzione mediatica in senso positivo o negativo, non si deve dimenticare che sotto la variegata superficie dei fenomeni comunicativi si annida un potente sistema economico che mira ad accumulare denaro e potere mediante sagaci politiche di mercato e astute strategie pubblicitarie.
L'ingresso nell'era digitale si accompagna a due transizioni importanti. In primo luogo vi è il passaggio sempre più evidente dall'evoluzione biologica, retta dai meccanismi darwiniani di mutazione e selezione, all'evoluzione bioculturale, e in particolare biotecnologica, dove ai meccanismi precedenti si affianca anche il meccanismo lamarckiano dell'ereditarietà dei caratteri (culturali) acquisiti.

Questo fenomeno si basa su processi, come l'imitazione, l'apprendimento, la moda, che agiscono non solo da una generazione alla successiva, ma anche all'interno della stessa generazione. Ne segue che l'evoluzione bioculturale ha natura “epidemica”: è molto più rapida di quella biologica, ma i suoi prodotti sono più fragili e volatili. In secondo luogo, sul versante della tecnologia, accanto alle macchine tradizionali, che elaborano materia ed energia, sono comparse le macchine della mente, che elaborano informazione. In un susseguirsi sempre più rapido: il cinema, il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione, il calcolatore elettronico, le reti: sistemi e dispositivi che si sono affiancati a quelli tradizionali basati sulla comunicazione orale, sulla scrittura e sulla stampa. Inoltre lo sviluppo delle reti, derivate dall'accoppiamento fra telecomunicazioni e calcolatori, ha dimostrato che la vera vocazione dei computer non è solo o tanto l'esecuzione di calcoli laboriosissimi o il trattamento di enormi masse di dati, quanto il collegamento interattivo tra gli individui. Sempre più essi fungono da nodi della grande rete di comunicazione che si sta estendendo su tutto il pianeta. L’uomo è una creatura della comunicazione e dello scambio: la sua struttura corporea e la sua intelligenza si sono co-evolute in stretta interazione con un ambiente che ha impresso nella specie il proprio sigillo, dando origine a un apparato neuro-sensoriale e cognitivo che filtra le stimolazioni della realtà e costruisce il mondo da noi percepito, che è diverso da quello di ogni altra specie. Su questo apparato s’innesta in modo agevole e quasi anestetico (almeno in apparenza) la tecnologia informazionale, la quale prolunga l’evoluzione biologica in un'evoluzione biotecnologica, modificando le categorie della percezione e della cognizione e influendo anche sugli affetti.

Lungi dall’essere un fenomeno superficiale, la tecnologia incide dunque sul nostro modo di vedere il mondo e sulla nostra essenza cognitiva ed emotiva più intima. A questo proposito è esemplare il caso della televisione, che per molti costituisce un vero e proprio occhio sul mondo, fonte di informazione, intrattenimento ed emozioni (a prescindere dalla qualità). L’aspetto forse più limitativo del rapporto con la Tv è la sua unidirezionalità, temperata soltanto dall'uso del telecomando, che consente allo spettatore di ricavarsi un tracciato personale tra programmi di per sé rigidi. E' un inizio di interattività, che soddisfa, sia pure in modo embrionale, la profonda esigenza dialogica degli umani. La comunicazione è un fenomeno complesso, in cui si mescolano elementi naturali e convenzionali, sintattici e semantici, pragmatici ed emotivi. E' un'attività, quella comunicativa, intessuta di metafore, di significati empirici e di ambiguità che screziano e arricchiscono il puro scambio di informazioni, corredandolo di tutta una serie di valenze metacomunicative ed extracomunicative, senza le quali lo scambio si ridurrebbe a poco più di niente. La comunicazione si articola in codici più o meno flessibili, aperti in vario modo a interessi cognitivi, affettivi e collaborativi. Ed è proprio la volontà di collaborazione dei parlanti che ne costituisce forse l'aspetto più caratteristico e significativo: grazie a questa volontà e animati da essa, i dialoganti esplicano un controllo e un continuo aggiustamento dell'interazione, che porta alla condivisione di regole sempre diverse e alla costruzione di convergenze mutevoli, di volta in volta adatte agli scopi della comunicazione.

L'aspetto collaborativo della pratica linguistica (che secondo alcuni troverebbe un correlato fisiologico nei cosiddetti neuroni specchio) si esplica in una continua ridefinizione e reinterpretazione, da parte dei dialoganti, dei dati e delle relazioni, dati e relazioni che non sono solo interni alla lingua, ma anche esterni: per esempio la relazione tra gli stessi dialoganti. Emergono così le componenti extra-grammaticali ed extra-linguistiche della comunicazione, che è fatta non solo di informazioni scambiate ma anche, e soprattutto, di intenzioni e di progetti, di scopi e di aspirazioni che riguardano il mondo dei soggetti, cioè un contesto quanto mai ampio e articolato. Ed emerge anche l'idea, già espressa dagli antichi Stoici, che il pieno sviluppo delle caratteristiche umane, cognitive e non solo, avvenga grazie all'interazione sociale. Per questo è fondamentale che, per esempio, nella relazione tra docente e discente, si apra il canale della collaborazione empatica, dell’interesse affettivo e umano, della relazione personale, canale che è sempre bidirezionale, anche quando il discente tace: per quel canale empatico possono poi transitare tutte le informazioni, tutti i dati, tutte le nozioni. Se quel canale non si apre, non passa nulla.
L'intelligenza umana e il suo rispecchiamento verbale sono fenomeni contestuali, sistemici e diacronici: ciò significa che l'intelligenza è legata alla comunicazione e che il suo raggio d'azione si estende ben oltre i limiti costituiti dall'epidermide individuale; in più è sottoposta alle vicende dell'evoluzione, che la rendono una caratteristica mutevole nei modi e nelle forme. Anche gli interlocutori dell'attività comunicativa mutano e si moltiplicano. L'essenzialità del contesto e dei rapporti interpersonali comporta, tra l'altro, l'importanza, per l'intelligenza umana, del corpo, che è il tramite, e il filtro, attraverso il quale la mente dell'uomo, e quindi il suo linguaggio, entrano in contatto con il resto dell'universo.

La lingua risulta dunque un fenomeno globale, mentale e corporeo insieme: ogni atto linguistico, a ben guardare, è un atto sistemico del mondo, che si svolge sì sotto la particolare angolatura dell'individuo che compie l'atto, ma che attraverso quell'individuo si collega a tutto il resto. E ogni testo è scritto dal mondo su sé stesso. Chi scrive presta al mondo mente, mano e corpo, consentendogli di scrivere e di scriversi. E così chi parla e chi legge e chi ascolta è un tramite del mondo. Questo punto di vista permette, tra l'altro, di capire e valutare meglio la funzione attiva dell'ascoltatore o del lettore, di chi insomma ri-costruisce in sé il testo.

A questa forma costantemente dialogica e interattiva della comunicazione corrisponde il passaggio, ancora in corso ma già ben delineato, dalla prima forma di Internet, il Web 1.0, alla sua evoluzione, il Web 2.0, rappresentato da Wikipedia, Google, YouTube e in genere da tutta una generazione di funzioni e di servizi caratterizzati non più da una partecipazione passiva, bensì da una cooperazione attiva e creativa degli utenti, i quali contribuiscono a produrre conoscenze: le strutture del Web 2.0 si costruiscono dal basso, per effetto di apporti minimi ma costanti in continuo confronto e interazione, come accade in maniera paradigmatica in Wikipedia. Il protagonismo partecipativo degli utenti e la crescente mediazione tecnologica dell'attività comunicativa giustificano in pieno la nozione di intelligenza collettiva, anzi connettiva, distribuita ovunque, coordinata nella dimensione sincronica, che alcuni hanno proposto per indicare le attività cognitive che si svolgono in rete e grazie alla rete.

Per converso, pare che il sincronismo tipico del Web sopprima la dimensione temporale, annullando il passato e appiattendo tutto sul presente. A ciò corrisponde una drastica trasformazione cognitiva e culturale. C'è peraltro da osservare che non sempre i contenuti del Web (p. e. di Wikipedia) sono attendibili: ne segue che la rapidissima diffusione delle informazioni errate rischia di rendere “culturalmente instabile” il sistema. Nei media cartacei tradizionali questo rischio è molto minore, non tanto perché essi siano più attendibili quanto perché minore è la velocità di propagazione delle conoscenze e maggiore è il tempo concesso alla riflessione, alla maturazione e alla scelta dei contenuti (la fretta è cattiva consigliera).

Si può avanzare un'analogia tra Web e cervello, sulla base della struttura reticolare comune e del continuo scambi di messaggi tra i nodi di queste reti. I concetti e i siti nuovi introdotti e allestiti dagli utenti vengono integrati nella struttura di Internet e rafforzati dagli altri utenti che li scoprono e li usano, creando i rimandi (link). Come le sinapsi cerebrali si rafforzano in virtù della ripetizione, così le connessioni del Web si irrobustiscono in seguito all'attività collettiva di tutti i navigatori del Web.

Questa persuasiva analogia giustifica l'uso della locuzione “macchine della mente” per i computer e Internet, e illustra la simbiosi tra queste strutture macchiniche e l'intelligenza umana: il nostro sistema cerebrale si integra con un artefatto, la rete globale, che ne potenzia alcune capacità, altre ne deprime, e ne modifica la struttura e le funzioni, aprendo la strada alla formazione di quell'intelligenza connettiva che, secondo alcuni, segna il passaggio dalla società gutenberghiana alla società digitale. Nella società digitale i contenuti sono mutevoli e i navigatori contribuiscono alla formazione dal basso di conoscenze e procedure distribuite agli utenti in un vicendevole alternarsi nei ruoli di spettatore e attore ovvero fruitore e autore.

Ma l'impressione è che noi adulti non siamo (ancora) del tutto usciti dalla “galassia Gutenberg” di cui parlava McLuhan e non siamo (ancora) capaci di orientarci nella società digitale. E questo anche per una certa nostra resistenza ad abbandonare le sponde, fidate anche se corrose, della cultura tradizionale. Molto più spregiudicati sono i giovani e giovanissimi, che sono nati nel digitale e che non hanno nessuna difficoltà a immergersi e navigare in questa nuova “infosfera”: anzi dell'altra, della vecchia “bibliosfera” alla quale noi siamo avvezzi e affezionati, non sanno molto e forse non vogliono neppure sapere molto.

Ma anche noi adulti viviamo nella società digitale, e non possiamo non risentirne gli effetti. A parte l'uso più o meno impacciato che facciamo dei media digitali, subiamo le metamorfosi socioculturali e le derive politiche di questa grande trasformazione e non possiamo non riconoscere che termini tradizionali come lavoro, denaro, proprietà, diritto, economia, sono sottoposti a una forte tensione definitoria. Anche per effetto della rivoluzione digitale, i significati di questi termini stanno cambiando, spesso senza lasciarci il tempo di adeguarci alle nuove accezioni e provocando in noi e nella società una lacerazione tra le nuove realtà e la vecchia mentalità, ancora aggrappata a concezioni pre-digitali.

I social network sono una cosa seria: divulghiamoli bene

[Mediamondo 19/10/2010] Non so se dipende dalle ricerche oppure dal giornalismo. So però che spesso quando in Italia parliamo della Rete le cose diventano confuse.

Prendiamo il pezzo intitolato “Italiani campioni di Facebook siamo i più connessi al mondo” uscito oggi su la Repubblica e che sul quotidiano di carta in prima pagina titola “Siamo maniaci di Facebook quasi sette ore al mese”.

Ora, se leggete il pezzo su carta l’infografica aiuta a capire che il dato di 6 ore 27 minuti e 53 secondi di media italiana si riferisce al tempo medio mese trascorso sui social network. Non quindi solo su Facebook, come anche nell’articolo si rischia di non capire, se non leggendo attentissimamente. E chissenefrega, direte voi. Dipende da che divulgazione vogliamo fare nel nostro Paese, dico io. Che Facebook sia per l’Italia un fenomeno deflagrante non ve lo devo dire certo io – per me l’ascesa era evidente da un po’ e oggi dovremmo farci domande relative, piuttosto, alla diminuzione di utenti, l’osservatorio Facebook sta lì per quello. Cerchiamo di non facebookizzare ogni interpretazione dei comportamenti in Rete degli italiani e di tenere conto di una realtà sociale in cui i social network (spesso nella loro natura di ecosistema) entrano nella quotidianità sì di intrattenimento ma anche informativa. E questo mi sembra che possa essere chiaro anche nell’articolo quando si dice “la community accompagna ogni passaggio della giornata, ogni fase della vita, amore, lavoro, nascite, morti, matrimoni, divorzi”, anche se viene subito dopo l’attacco che recita “Più che una moda Facebook sembra una febbre, una seconda pelle, una dipendenza, un bisogno”.

Anche il ricorso all’esperto mostra sempre, a mio parere, ambiguità descrittiva non riportando dati ma suggestioni. Il virgolettato dello piscologo della comunicazione Giuseppe Riva, collega alla Cattolica, lascia margini di possibilità interpretativa. In questo caso non giudico semplicemente quanto lui dice (non ha scritto lui il pezzo) ma il modo in cui viene utilizzato l’esperto nella divulgazione scientifica del giornalismo rivolta ad un pubblico generico come quello del lettore di giornali in pagine non specializzate.

Ad esempio parlando di Facebook: “Uno degli elementi che salta agli occhi è che se gli uomini sono numericamente più numerosi delle donne, sono poi le donne e le ragazze dai 15 ai 35 anni a passare più tempo in connessione, quelle che si aprono di più, raccontano di se stesse e dei loro sentimenti, diventando così anche i soggetti più vulnerabili del social network”. Che nel contesto del pezzo sembrerebbe dire: le donne si espongono e gli uomini le molestano, e questo dipende dal tempo che passano su Facebook. Ma come lo passano questo tempo? Tutto ad esporsi online scrivendo di sé, delle proprie emozioni, ecc. Ad esempio ricordo un dato relativo all’uso di applicazioni di gioco via Facebook che vede tra i maggiori utilizzatori le donne per un tempo medio giornaliero prolungato. Giornalettisticamente potremmo dire: stanno più tempo in connessione e si aprono, ma soprattutto giocano a Farmville.

Ma quello che mi ha stupito di più è la chiusura con l’affermazione dell’esperto:

Ci troviamo nella categoria dell’interrealtà e il rischio di vivere in questa dimensione, soprattutto per i giovanissimi nati con Facebook, è quella di confondere il vero e il virtuale, con conseguenze anche drammatiche.

A parte il fatto che mi inquieta sempre un po’ trovare negli anni ’10 ancora una distinzione oppositiva vero/virtuale che sta per reale/irreale (pensavo l’avessimo risolta già con la riflessione socio-filosofica fine anni ’90: in Italia c’era anche la rivista Virtual!) mi piacerebbe che alla testi di “confusione” tra vero e virtuale nei territori dell’interrealtà, corrispondessero dati significative di ricerche che attestino patologie strettamente dipendenti dalla frequentazione della Rete e che poi riconducano la cosa soprattutto alla categoria dei “giovani”. Non vorrei ritrovarmi nelle stesse condizioni di quando si sparavano titoli nei giornali del tipo: i videogiochi fanno male! E questa “interrealtà” viene trattata nel pezzo come un luogo “dove le emozioni non sono più soltanto virtuali ma neanche del tutto vere”. Cosa vuol dire che le “emozioni non sono del tutto vere”? Uno stato emotivo è comunque autentico, è quello che provo in quel momento, ciò che è capace di dare forma all’esperienza. E l’esperienza, come tale, è sempre autentica. Anche quella fatta in ambienti fittizi, come i parchi gioco. Diverso è se si vuole dire che nel contesto di Rete stiamo imparando a gestire in modo diverso la nostra vita emotiva e comunicativa perché i segnali sociali di cui online disponiamo sono differenti da quelli della comunicazione interpersonale faccia a faccia.

Andiamoci cauti, ci stiamo occupando di territori che non possiamo dipingere svogliatamente e che oggi richiedono una particolare cura descrittiva ed interpretativa, vista i milioni di persone che coinvolgono. La realtà dei social network è qui per restare (checché ne dica l’esperto nel pezzo: “”I social network – si chiede Giuseppe Riva – sono una moda o un fenomeno duraturo?”). E poiché toccano la nostra vita e le relazioni quotidiane, il modo di gestirle e costruirle e anche una differenza generazionale e delle preoccupazioni legittime di padri e madri, occorre alzare la soglia di attenzione relativamente al modo in cui viene costruito l’immaginario pubblico sulla loro realtà. C’è un bisogno informativo che non necessita di riduzionismo sloganistico o di facili ricette ma che sia in grado di mostrare la complessità di un fenomeno che ci riguarda tutti.
Giovanni Boccia Artieri

martedì 19 ottobre 2010

Italiani campioni di Facebook siamo i più connessi al mondo

[La Repubblica.it 19/10/2010] Siamo la nazione al mondo che trascorre più tempo su Facebook, sei ore e 27 minuti al mese in connessione con amici vecchi e nuovi, contro le sei ore degli Stati Uniti e le 4 ore e dodici minuti ogni 4 settimane degli "utenti" francesi. Più che una moda Facebook sembra una febbre, una seconda pelle, una dipendenza, un bisogno.

Gli italiani, e non soltanto i più giovani, non riescono più a vivere senza il loro social network di riferimento, in una "interrealtà" dove le emozioni non sono più soltanto virtuali ma neanche del tutto vere, e dove la community accompagna ogni passaggio della giornata, ogni fase della vita, amore, lavoro, nascite, morti, matrimoni, divorzi. Dando luogo a "processi di relazione inediti", in cui la grande spinta è quella di "poter finalmente raccontare se stessi" come scrive Giuseppe Riva, docente di Psicologia della comunicazione all'università Cattolica di Milano, e autore del libro "I social network" edito dal Mulino, appena arrivato in libreria.

Un saggio dettagliato e chiaro in cui si ripercorre la storia dei social network, da Facebook a MySpace, da Twitter a Linkedin, per spiegare quanto nel giro di pochissimi anni queste famiglie in Rete ci abbiano cambiato la vita. A partire dagli ultimi dati diffusi dalla Nielsen, che non solo indicano l'Italia come capofila dei frequentatori di Facebook con 16 milioni di iscritti, ma ricordano che soltanto nel 2003 il tempo medio passato sui social network non superava i 15 minuti al mese, per arrivare a tre ore e mezzo nel 2008, fino appunto alle 5 ore e oltre del 2010, come media mondiale. Dunque una rivoluzione che cammina a una cyber-velocità aprendo scenari ancora tutti da interpretare. "I social network - si chiede Giuseppe Riva - sono una moda o un fenomeno duraturo? E quali effetti possono avere sui processi di relazione e di identità?". Molti, moltissimi, se si guarda un social network come Facebook dall'interno, osservando la filigrana dei meccanismi di conoscenza che lì dentro si creano.
di MARIA NOVELLA DE LUCA

Web 2.0 e Y-Gen, le verita' nascoste

[viasarfatti25.it 19/10/2010] Sono ormai alcuni anni che si parla di Web 2.0. Giornali, tv, siti internet usano questo termine, senza dubbio affascinante, sempre più spesso. Rispetto alla “versione 1.0”, il 2.0 rappresenta in sostanza una diversa modalità di comportamento in rete basata sulla partecipazione attiva e sull'interazione tra i suoi utenti. È inoltre ampiamente diffusa la convinzione che gli individui della cosiddetta generazione Y, ovvero i giovani di età compresa tra 20 e 35 anni, siano i custodi dei segreti del nuovo web: ma è proprio così?
Abbiamo così deciso, al Learning Lab di Sda Bocconi, di condurre uno studio per verificare il livello di conoscenza del fenomeno “2.0” posseduto dai giovani della Y-gen.

Un'analisi preliminare dei dati raccolti fornisce qualche riflessione interessante.
In primo luogo emerge come i rispondenti abbiano una conoscenza del 2.0 più di tipo superficiale che di dettaglio. Infatti, ad esempio, riconoscere il logo di alcuni famosi social network e altri strumenti 2.0 è stato semplice per quasi tutti i rispondenti. Così come altrettanto semplice è stato definire qual è la differenza tra 1.0 e 2.0, cosa si intende per cloud computing, cos’è un ambiente di collaborazione wiki. Ma indagando la loro conoscenza su alcune funzionalità degli strumenti 2.0, come gli RSS feed e Google Docs, la percentuale delle risposte esatte si riduce al di sotto del 20%.
Abbiamo poi indagato quanto i rispondenti siano dotati di tecnologia.

In particolare è stato loro chiesto di indicare quali tecnologie possiedano tra quelle da noi suggerite (tra parentesi è riportata la frequenza delle risposte): Internet ad alta velocità (81,5%), telefono 3G/Umts (74%), chiavetta Internet Usb (63%), tv lcd/plasma (67%), TV pay-per-view (48%).

C’è una relazione tra “quante tecnologie si possiedono” e il livello di conoscenza del 2.0?

Per meglio rispondere a questa domanda, abbiamo diviso i rispondenti in due gruppi, in base al numero di risposte corrette fornite, e cioè in “pionieri” e “tradizionalisti”.
Il dato interessante è che non emerge una specifica associazione, come forse ci si potrebbe aspettare, tra il gruppo di appartenenza (pionieri o tradizionalisti) e la numerosità delle tecnologie possedute. In altri termini, possedere tanta tecnologia non implica necessariamente un elevato livello di conoscenza del fenomeno 2.0.
Questo risultato è in linea con uno studio condotto da Nielsen nel 2009, secondo il quale il giovane della Y-gen sempre connesso e cresciuto tra i computer altri non è che un mito piuttosto diffuso. Inoltre, lo stesso studio afferma che i giovani statunitensi compresi nella fascia d’età 12-24 anni, pur possedendo per la maggior parte (90%) una connessione Internet domestica a banda larga, trascorrono una quantità di tempo online notevolmente inferiore (circa 13 ore al mese) alle ore trascorse in rete dagli utenti compresi nella fascia d’età 35-54 (circa 40 ore al mese). La figura del giovane sempre connesso sembra, pertanto, non trovare un effettivo riscontro nella realtà.

Altro risultato interessante riguarda la relazione tra l’essere 2.0 e gli interessi personali.
Abbiamo riclassificato le risposte raccolte in merito agli interessi in quattro principali categorie: viaggiare, spettacolo e cultura, sport, hobby e tempo libero. Ciò che emerge è che gli appartenenti al gruppo dei pionieri hanno una più ampia gamma di interessi. Infatti, mentre tutti i rispondenti amano viaggiare, fare sport e interessarsi di spettacolo ed eventi culturali, solo gli appartenenti al gruppo dei pionieri mostrano una predilezione nei confronti di hobby e tempo libero.

Queste prime evidenze sembrano confermare quanto detto in apertura: essere 2.0 indica più un “comportamento” basato sull'interazione che una conoscenza degli strumenti 2.0 e il possesso delle più moderne tecnologie.
Il tipico ventenne dotato di iPhone e perennemente connesso a Facebook potrebbe essere molto meno 2.0 di quanto si creda.

Leonardo Caporarello e Giacomo Sarchioni, rispettivamente, direttore e collaboratore del Learning lab della SDA Bocconi

domenica 17 ottobre 2010

tg24 > mondo I consigli per gli acquisti delle mamme Twitter

[sky.it 17/10/2010] Dall’America arriva un interessante esempio di organizzazione dei consumatori per influenzare “dal basso” le scelte d’acquisto di determinati prodotti e orientare le stesse scelte commerciali delle aziende. Fulcro della mobilitazione è, manco a dirlo, un social network, nello specifico Twitter.

Un gruppo di 27.000 mamme americane, le Twitter Moms, molto attive sul sito, ha lanciato pochi giorni fa il proprio sigillo di qualità: prodotti per la casa, per l’igiene e la cura dei pargoli, verranno testati e valutati da un panel di almeno 25 madri e, se supereranno almeno l’85 % dei test effettuati, verranno consigliati per l’uso alle altre casalinghe.

Ogni panel è composto in modo da rappresentare uno spaccato rappresentativo della community. Le iscritte sono donne particolarmente presenti e ascoltate in Rete: ognuna ha in media 1.200 persone che la seguono su Twitter, due o più figli, un reddito familiare medio alto, ed è attiva in cinque o più social network.

”Sappiamo – affermano - che le mamme confidano soprattutto nell’opinione di altre mamme”. "I tradizionali bollini di qualità - proseguono cinguettanti - sono a pagamento o si affidano a dei test di laboratorio in ambienti sterilizzati. Le Twitter Moms provano i prodotti nelle loro case e li giudicano sulla base di esperienze reali di vita quotidiana”. I consigli delle casalinghe, secondo questa logica, potrebbero essere di grande aiuto sia ai clienti finali che alle aziende che vogliono avere un parere preliminare prima di immettere un prodotto sul mercato. A scanso di equivoci, quello offerto non è un servizio gratuito: le aziende che vogliono sottoporre i loro prodotti al giudizio insindacabile delle Twitter Moms, devono pagare.

Per il momento i prodotti approvati sono due: uno strofinaccio in microfibra e un detersivo per piatti, prodotto da un grande marchio come Procter & Gamble. La lobby in rosa ha pensato a tutto, perfino a come integrare il loro servizio con le funzionalità avanzate degli smartphone. Nel bollino applicato ai prodotti sarà presente infatti anche il QR Code, quel quadratino pieno di ghirigori che campeggia in alcuni cartelloni pubblicitari. In questo caso, fotografandolo col cellulare, il codice rimanderà a una scheda di valutazione completa del prodotto, con tanto di spiegazione approfondita dei singoli test effettuati.

L’operazione, insomma, appare accattivante e ben congegnata; ma nei vari forum dei genitori su Internet, non mancano le perplessità. “Dove starà la differenza tra una madre che elargisce – spontaneamente – consigli e la madre che vivrà delle sue raccomandazioni commerciali? – scrivono ad esempio in Mamme nella Rete”. E ancora: “Ti fideresti dei consigli di una mamma come te che percepisce un guadagno dall’utilizzo di un prodotto piuttosto che di un altro?”.

In teoria il rischio di “sponsorizzazioni occulte” non dovrebbe esserci: quelli effettuati secondo quanto dichiarato dalla lobby delle mamme cinguettanti, sono dei test “ciechi”: il prodotto da provare è mescolato ad altri, senza che vi sia alcuna indicazione della relativa marca. È più difficile invece rispondere alla prima domanda: il capitale di fiducia posseduto dalle madri si basa infatti in gran parte sulla spontaneità delle loro raccomandazioni; inventariare e mettere all’asta questo patrimonio potrebbe essere, nel medio e lungo periodo, il sistema migliore per dilapidarlo.
Federico Guerrini

lunedì 11 ottobre 2010

Evoluzione del Web: dal Web 1.0 al Web 2.0 di Roberto Polillo

Verrua Savoia, wifi in campagna banda larga per tutti e gratis

[La Repubblica 11/10/2010] I RAGAZZI dell'oratorio gestiscono una web tv, all'università della terza età si fanno corsi di informatica accanto a quelli di cucito e presto la messa domenicale del parroco si seguirà in diretta streaming e gli anziani riceveranno assistenza attraverso la rete. E' la rivoluzione digitale che investe la campagna italiana: il caso di Verrua Savoia. Nel piccolo comune piemontese, millequattrocento anime a una cinquantina di chilometri da Torino, è arrivata la banda larga. Per tutti e gratis.

La rete ad alta velocità è stata portata nella cittadina collinare grazie alla collaborazione tra il Comune e il laboratorio iXem del Politecnico di Torino. Proprio dal capoluogo piemontese l'alta velocità è stata "presa" e spedita fino a Verrua con delle antenne wireless sviluppate apposta per aggirare le colline e far arrivare un segnale potente. Il comune è infatti esteso su oltre trenta chilometri quadrati e, nonostante i pochi abitanti, è diviso in una trentina di borgate distanti tra loro: la tradizionale rete via cavo è quindi appannaggio di pochi fortunati, che possono navigare con velocità assai ridotte, mentre la copertura del segnale per i cellulari è a macchia di leopardo.

Con la tecnologia sviluppata dal Politecnico, e grazie alla collaborazione del consorzio Top Ix, per i prossimi tre anni tutti i verruesi potranno accedere a internet gratuitamente a una velocità pari a quella delle grandi città. E l'accesso alla rete sta subito modificando la vita del paese, con servizi già annunciati o appena partiti che coinvolgono tutta la comunità, dai ragazzi dell'oratorio e delle scuole fino agli anziani. L'interesse per la nuova tecnologia non ha poi tardato a manifestarsi: richieste di corsi per insegnare l'uso del computer e una sala piena in Comune quando sono stati presentati i dettagli del progetto e spiegati i parametri per l'accesso alla rete.

"Nelle realtà più piccole bisogna arrovellarsi il cervello per attirare la gente e i giovani - spiega il sindaco di Verrua Giuseppe Valesio - Però l'interesse per questo progetto è stato generale e immediato, e anche tanti anziani sopra i 65 anni mi hanno subito contatto per capire come funziona il collegamento". Un vero e proprio esperimento sociale e ingegneristico, costato all'amministrazione locale solo 15mila euro in materiali e portato avanti dalla squadra di sette ingegneri guidati dal professore Daniele Trinchero, già ribattezzato dal magazine Wired e dalla stampa locale "Mister Wireless".

"Abbiamo dimostrato che internet non serve solo nelle città e ai giovani - spiega Trinchero - Quando si fornisce un servizio ad alta tecnologia il territorio risponde, e quello rurale ancora di più". Trinchero e i suoi collaboratori si occupano pure della parte divulgativa, tenendo piccole lezioni e spiegando a chi ha bisogno come utilizzare la rete. Ma il gruppo di iXem, in cambio del suo impegno volontaristico sta anche "sfruttando" Verrua per testare sul campo alcuni degli apparati costruiti in laboratorio.

"Dietro questo esperimento sociale c'è anche un forte interesse tecnico - continua Trinchero - perché ci viene data la possibilità di sperimentare nuovi strumenti che poi utilizziamo in altri luoghi". Il team di Trinchero ha da poco concluso un progetto simile per le aree amazzoniche e nei prossimi mesi sarà al lavoro in Darfur e nelle isole Comore. Nel palmares del laboratorio di ricercatori iXem, in cui l'unico con un contratto a tempo indeterminato è proprio Trinchero, c'è anche il record di distanza per la trasmissione di dati 1 senza fili conquistato nel 2007.

Il collegamento a internet resterà gratuito per tre anni, dopodiché la sperimentazione del Politecnico terminerà. "Gli strumenti e le attrezzature sono però proprietà del Comune - chiarisce Valesio. Quindi cercheremo un accordo con provider locali per avere una connessione a prezzi agevolati". Adesso che la rete è arrivata a Verrua, nessuno la vuole più lasciar scappare.

MAURO MUNAFO'

venerdì 8 ottobre 2010

Web 2.0 in the classroom

Bambini e internet: 7 minori su 10 sono già online

[Puour Femme 08/10/2010] Facebook, Twitter e tantissimi altri social networks: le mamme impazziscono per internet e pare che il 68% di loro abbia già messo in rete fotografie dei loro piccoli sotto i due anni e il 14 % abbia pubblicato addirittura le immagini dell’ecografia. Lo conferma un’indagine di AVG, società specializzata nella sicurezza informatica, che ha sottolineato come negli Stati Uniti, il 92% dei bambini sotto i due anni sia già su Internet con fotografie o filmati; in Europa la percentuale è un po’ più bassa, 73%, e in Italia si attesta al 68%. Cosa ne pensate di questa moda dilagante di esporre la propria vita a tutti?
La motivazione che spinge molte mamme a fare questo è senza dubbio l’orgoglio per i loro piccoli: la nostra vita è ormai legata indissolubilmente a quella virtuale e questi social networks diventano lo spazio ideale dove condividere le proprie gioie e i propri dolori.

Forse però ci sono un po’ di contraddizioni in questi atteggiamenti anche perché la privacy dei minori dovrebbe sempre essere tutelata: ecco perché sulle riviste i volti dei bambini e degli adolescenti vengono oscurati.

Il 5% delle mamme non si limita a postare foto dei suoi bambini: questi genitori arrivano anche a creare un profilo al bambino e, cosa decisamente, strana un 6 % di bambini sotto i due anni ha già un indirizzo di posta elettronica.

Il 41% delle mamme negli USA condivide con amici e patenti anche le immagini dell’ecografia.

mercoledì 6 ottobre 2010

Social Media vs. You: come rispondere agli attacchi del Web 2.0

[Culture - il blog 06/10/2010] L’avvento dei social media è stato ricevuto con elogi e calore dalle aziende che cercano di promuovere il loro marchio. Su Twitter, Facebook, Foursquare e altre piattaforme, è possibile fare marketing e pubblicità in modo gratuito, oltre che costruire un’identità riconoscibile e una relazione interattiva con i clienti. Ma la Rete 2.0 può anche essere un’arma a doppio taglio, che permette agli utenti di voltare le spalle a un brand in modo veloce e massiccio.

I “disastri” del social media marketing possono accadere per una serie di ragioni, ad esempio un errore non intenzionale da parte di un’azienda o un qualcosa che per qualche ragione non è piaciuta al popolo del Web. Dato che non possiamo aspettarci di accontentare sempre tutti, la miglior strategia è essere sempre pronti ad affrontare un attacco negativo.

Ecco due esempi, tratti da un articolo di Mashable, dai quali possiamo imparare molto su come comportarci in questi casi.

A luglio, il marchio d’abbigliamento LOFT ha postato su Facebook le foto di una modella alta e bionda che vestiva i nuovi pantaloni cargo della collezione. La reazione delle utenti è stata negativa, nonostante in apparenza l’azienda non avesse fatto nulla di sbagliato o fuori dal comune. Le ‘fan’ apprezzavano i pantaloni su quella modella così longilinea, ma criticavano il fatto che su una donna comune, alta 1.50m o più ‘in carne’, non avrebbero mai calzato bene. E chiedevano una prova che dimostrasse il contrario.

Il giorno seguente, LOFT ha postato delle nuove foto. Questa volta, a indossare i pantaloni cargo erano le proprie dipendenti. “Donne vere e comuni”, con diverse misure e altezze, provenienti dai vari dipartimenti aziendali. La reazione delle utenti, questa volta, è stata più che positiva.

Quale suggerimento ci arriva da un caso del genere? Possiamo trasformare una possibile minaccia in un’opportunità. I responsabili della LOFT hanno reagito prima che l’attacco si aggravasse, leggendo attentamente i commenti e rispondendo in modo creativo alla richiesta delle utenti. In questo modo, hanno evitato un potenziale disastro e guadagnato il sostegno delle clienti.

Ecco un altro caso. A febbraio, il regista Kevin Smith è stato fatto scendere da un volo della Southwest Airlines perché troppo grasso per stare in sicurezza in una poltrona singola. Avrebbe dovuto acquistare un sedile extra, come da regolamento, ma l’aereo era pieno. Il personale di bordo ha invitato Smith a cambiare volo e offerto un voucher di $100.

Smith, che riteneva di non essere talmente grasso da porre un rischio per la sicurezza, ha postato decine e decine di tweet sull’incidente. In soli 6 giorni, la sua ‘sfuriata’ ha creato una bufera nel Web: i suoi messaggi avrebbero generato 3.043 menzioni nei blog, 5.133 post nei forum, e 15.528 tweet sull’accaduto.

La Southwest ha risposto immediatamente via Twitter, porgendo nuovamente le scuse e offrendo un rimedio. Ma il regista ha sospeso la campagna cinguettante solo qualche giorno dopo, quando la Southwest ha pubblicato un comunicato sul suo blog. Il post chiariva tutti gli aspetti della vicenda, incluso il fatto che Smith avesse già comprato due sedili per un volo successivo a quello dell’incidente ma, avendo poi deciso di viaggiare prima, si era messo in lista d’attesa per un singolo sedile, pur conoscendo le regole. Il blog post approfittava, inoltre, per spiegare a tutti gli utenti la policy riguardo i clienti sovrappeso, e si scusava ufficialmente per gli inconvenienti causati a Smith e a tutti coloro che si erano dichiarati insoddisfatti in Rete.

La lezione? Southwest ha fatto la cosa giusta al riservare lo stesso trattamento ai clienti, indipendentemente dalla fama. Ma questa volta ha fatto arrabbiare un attivista di Twitter molto seguito (1,6 milioni di follower). Consapevole del potere del passaparola virtuale, la compagnia aerea ha monitorato le conversazioni in Rete e ha risposto in modo veloce, amichevole ed esauriente, coprendo le varie tematiche trattate dai clienti che avevano discusso la vicenda e spiegando come evitare questo tipo di situazione (conoscere e osservare le regole). Le reazioni al comunicato sono state positive, con molti commenti comprensivi e persone schierate dalla parte della Southwest Airlines.

martedì 5 ottobre 2010

Intervista a Stefano Mizzella – I nuovi media e il web 2.0

[Wommi 05/10/2010]

Dopo aver concluso un dottorato di ricerca in Information society alla Bicocca di Milano, Stefano Mizzella ha accumulato una certa esperienza come relatore e consulente per i Social media, in particolare nella gestione dei procedimenti strategici. Oggi lavora in OpenKnowledge e in questa intervista ci parla de “I nuovi media e il web 2.0. Comunicazione, formazione ed economia nella società digitale” il testo scritto insieme al Prof. Paolo Ferri e Francesca Scenini.

Il titolo e gli argomenti indicati sul testo sono ampiamente dibattuti su blog e siti web. Perché leggere “I nuovi media e il web 2.0″?
Rispondo alla tua domanda raccontandoti brevemente la mia esperienza: ho terminato lo scorso febbraio un corso di dottorato in Information Society presso l’Università di Milano Bicocca e nell’ultimo anno ho avuto la possibilità di coordinare il Social Media Lab, un corso di alta formazione presso l’Università IULM di Milano. In entrambe le esperienze, la prima da studente, la seconda vissuta dall’altra parte della cattedra, mi sono occupato dell’impatto delle nuove tecnologie in ambito culturale e sociale. “I nuovi media e il web 2.0” rappresenta il frutto di un lavoro di ricerca che ho portato avanti in Bicocca insieme al prof. Paolo Ferri e a un gruppo di dottorandi e giovani ricercatori, tra cui Francesca Scenini, altra autrice del volume. L’idea che ci ha spinto a scrivere questo testo è stata la volontà di raccontare la storia del web attraverso la cultura che il web ha contributo a cambiare e generare. Abbiamo utilizzato il paradigma della Network society proposto da Manuel Castells per analizzare il passaggio dal web 1.0 al web 2.0, convinti che il valore di una rete sociale non sia stabilito tanto dalla sua estensione e ramificazione, quanto dal modo in cui l’interazione tra più individui riesce a modificare la relazione e il comportamento degli stessi. La nascita e l’ascesa del “web sociale” è stata affrontata attraverso tre punti di vista, tre angolature diverse ma complementari: comunicazione, formazione ed economia. Nuovi modi di comunicare, nuovi modi di esprimere la propria identità online, ma anche nuovi strumenti per condividere sapere e informazioni e, infine, nuovi modelli di business. Sono questi i punti di snodo attorno a cui si muove il testo, con l’obiettivo di evitare un approccio tecnologicamente determinato. Questo vuol dire studiare l’impatto innovativo di blog, microblog e social network come forme culturali e non, semplicemente, come artefatti tecnologici. Del resto, come afferma Castells, il web è, in misura sempre crescente, la trama delle nostre vite.

Passando ad argomenti più pratici, parliamo di un tema molto attuale: il Social CRM. Come sta cambiando la gestione dei clienti/utenti sulle piattaforme 2.0? Puoi fare esempi di aziende innovative?
Il tema del Social CRM riguarda la mia esperienza attuale, iniziata lo scorso gennaio, quando sono entrato in Open Knowledge come social media strategist. Negli ultimi mesi ho lavorato insieme ai miei colleghi al framework del Social CRM come processo strategico attraverso cui migliorare le dinamiche di interazione tra brand e clienti. Il Social CRM si basa infatti su un preciso presupposto: il numero sempre maggiore di utenti presente all’interno dei principali social media utilizza questi spazi non solo per conversare con amici e colleghi, ma anche per creare nuove forme di relazione con le aziende. Facebook, Youtube, Twitter e servizi basati sulla geolocalizzazione come Foursquare sono piattaforme capaci di veicolare una relazione attiva e bidirezionale tra utenti e brand, agli antipodi rispetto all’unidirezionalità tipica dei mass media. Un nuovo modo di interagire con i brand che può avere connotazioni estremamente positive (Starbucks è stata la prima azienda a superare i 10 milioni di fan su Facebook) ma anche conseguenze tragiche in termini di brand reputation e non solo (vedi la crisi di immagine di Nestlé a seguito della campagna di Greenpeace contro il KitKat). Il Social customer, come viene ormai definito, è dunque un consumatore che utilizza i social media per esprimere la propria voce al fine di avviare una relazione diretta e paritaria con il brand. È un consumatore che crede sempre meno alle sirene dell’advertising tradizionale e che, al contrario, basa le proprie decisioni di acquisto sulle recensioni online di altri utenti, anche senza avere una relazione particolarmente forte con questi. È un consumatore, infine, che chiede al brand informazioni dettagliate e personalizzate, supporto in tempo reale e la possibilità di co-creare prodotti o servizi in maniera innovativa. Utopia? Storielle da consulenti? Non proprio. I risultati in termini di business (a livello di marketing, vendite, customer care o innovazione) ottenuti da aziende come BestBuy, Comcast, Dell e Zappos, oltre al già citato Starbucks, sono qui a dimostrarci che questo non è il futuro, ma il presente. Le aziende citate sono state tra le prime a capire che quando si parla di Social CRM non si sta parlando banalmente di azioni di marketing su Facebook o Twitter. Sviluppare una strategia di Social CRM significa mettere il cliente al centro dei processi di business innovando dall’interno l’azienda attraverso gli stessi principi di collaborazione e orizzontalità che hanno decretato la diffusione e il successo dei media sociali. Ho approfondito questi temi nel breve saggio insieme al mio collega Emanuele Quintarelli, “Social CRM: mettere il cliente al centro dei processi di marketing, vendita, supporto e innovazione”, che uscirà a Ottobre all’interno del volume “Marketing 2.0″ di Harvard Business Review Italia.

Esistono molte piattaforme per tracciare e misurare il WOM online. Credi che ci siano software migliori di altri? Oppure ogni piattaforma può avere delle peculiarità specifiche caso per caso? Magari dipende dal paese e dalla lingua?
Esistono numerose piattaforme per tracciare e analizzare il WOM online. Ma il consiglio che mi sento di dare è di preoccuparsi del tool da utilizzare solo dopo aver definito alcuni fondamentali passaggi preliminari. Questo perché, nei confronti dell’Online monitoring, le aziende tendono a spaccarsi in due tronconi ben distinti: quelle che non ascoltano le conversazioni degli utenti e quelle che, pur ascoltando, non riescono a trasformare in azione i dati raccolti nella fase di analisi. Chiaramente entrambi gli approcci sono errati: chi non ascolta si perde i commenti positivi ma soprattutto quelli negativi relativi al brand o a un singolo prodotto o servizio. Non ascoltare significa anche essere incapaci di reagire in tempo reale a situazione di crisi che potrebbero mettere seriamente a repentaglio la reputazione del brand. Allo stesso modo, realizzare internamente dei report o commissionarne la realizzazione a una società esterna serve a poco se i report vengono poi lasciati in un cassetto o al massimo sfogliati di sfuggita senza troppo interesse. Ciò significa che l’attività di ascolto fine a se stessa non porta da nessuna parte. Ascoltare è dunque solo il primo passo di un processo strategico più ampio che deve poi svilupparsi nelle successive fasi di misurazione, analisi, reazione e coinvolgimento degli utenti. L’attività di ascolto dovrebbe poi essere ancorata a precisi obiettivi di busines: favorire il dialogo tra brand e consumatori, promuovere gli “avvocati” del brand (brand ambassadors), o facilitare il supporto e incentivare l’innovazione. Solo a questo punto, dunque, dovrebbe avvenire la scelta del tool. Una scelta, questa, dettata da una serie molto elevata di variabili. Personalmente lavoro spesso con tool premium come Radian6 e Sysomos. Questi strumenti ti premettono di avere una dashboard accurata e aggiornata in tempo reale e funzionano molto bene quando si deve analizzare un brand internazionale in grado di produrre una mole elevata di conversazioni online. Tuttavia, non è detto che i tool a pagamento siano sempre la soluzione ideale: se il brand è relativamente piccolo e la mole di dati generati online non è così elevata, un’adeguata combinazione dei principali tool gratuiti (BlogPulse, Social Mention, TweetTabs, oltre a Google ovviamente), unitamente all’utilizzo di un buon feed reader, consentono di creare una dashboard accurata e aggiornata senza spendere nemmeno 1 euro.
L’ultimo consiglio che mi sento di dare riguarda l’impossibilità di delegare allo strumento, free o premium che sia, l’analisi più qualitativa del monitoring, ovvero l’analisi del sentiment (i giudizi di valore, positivi o negativi, che l’utente attribuisce al brand o a un singolo prodotto). Livellandosi sempre più il livello tra le piattaforme di monitoring, la vera discriminante tra una buona analisi e un’analisi mediocre è legata di fatto alle competenze e alla sensibilità del ricercatore. Anche il miglior tool sul mercato non può fare a meno dell’intervento attivo di uno o più ricercatori, al fine di restituire il vero senso delle conversazioni attraverso la comprensione di metafore, doppi sensi o giochi di parole. Elementi, questi ultimi, difficilmente tracciabili da un algoritmo, almeno allo stato attuale.

venerdì 1 ottobre 2010

La mappa sull’Economist: social network, democrazia, rivoluzione

[Vincosblog 01/10/2010] Qualche giorno fa Malcom Gladwell, dalle colonne del New Yorker, ha sostenuto che Facebook, Twitter et similia non contribuiscono a generare alcuna vera rivoluzione sociale. Per far ciò ci vuole un’organizzazione gerarchica che guidi l’azione e un movimento basato su legami forti tra le persone, che le spinga a compiere gesti che richiedono sacrificio. Al contrario i social media, tendono a privilegiare i legami deboli e ad incoraggiare gesti semplici, ma poco concreti (il like, l’adesione ad un gruppo, il retweet).

Ieri The Economist rilanciava, in homepage, il dibattito ospitando una tesi vicina alle posizioni di Gladwell e una contro.
La prima, utilizzando la mia mappa mondiale dei social network, sostiene che questi servizi non siano sufficienti a dare più possibilità di espressione alle persone e a minare la capacità di controllo dei governi autoritari. Infatti dalla mappa risulta chiaro come in paesi come Iran, Cina, Vietnam, il governo favorisca social network di stato ed eventuali escamotage per sfuggire al controllo sono ad appannaggio solo di una minoranza.

La seconda tesi sottolinea la capacità di questi mezzi di contribuire a trasferire parte del potere, di espressione e di azione, dal centro alle periferie. In un mondo in cui l’informazione non può essere controllata, gli abusi di potere tenderebbero a diventare più difficili.

Secondo me le nuove piattaforme di collaborazione e condivisione hanno enormi potenzialità, ma restano pur sempre dei mezzi abilitanti. Per incidere sulla realtà politica e sociale occorrerà sempre la capacita’ di costruire un organizzazione, non necessariamente gerarchica, che poggi su una cultura condivisa e faccia leva su motivazioni comuni.