venerdì 26 febbraio 2010

Internet, si può dare un ordine al caos?

[La Repubblica Napoli 26/02/2010]Coltivare la memoria del web. Non inseguire le novità che la rete propone ogni giorno. E affinare le capacità critiche professionalizzando l'approccio a internet. Questi i temi al centro del terzo incontro di Sentieri Digitali, rassegna napoletana sui new media alla Libreria Ubik. Ad animare il dibattito Tommaso Ederoclite e Pasquale Popolizio, ricercatori in Sociologia all'Università Federico II e Alessandro Mazzù, creatore di Napoli 2.0, social network di comunicatori ed esperti di marketing. Un confronto sulle condizioni di possibilità per ordinare il grande caos della rete.

Una rete che quasi ogni giorno viene denotata in modo diverso. Dal 2.0 al web al quadrato, passando per Impresa 4.0 alla trans-medialità. Un labirinto di sigle in cui si rischia lo smarrimento. “Non ho mai creduto alle etichette che si appiccicano alla Rete”, dice Tommaso Ederoclite. “Internet è ancora il regno del caos, un luogo dove c'è ancora molto da fare in merito alla validazione delle informazioni e delle conoscenze”. La proposta è mettersi al “lavoro per correggere le troppe sbavature che ci sono. Non tutti i contenuti possono trasformarsi in pepite d'oro”. L'auspicio è “affrontare con spirito critico la costruzione della propria identità digitale”.

Un processo che tira in ballo il problema della scarsa memoria dei fruitori del web. “L'atteggiamento predominante su internet esclude chi vuole apportare qualità ai contenuti e alle informazioni online” , continua Ederoclite. “Si rincorrono le novità, e spesso si spacciano per nuove cose che già c'erano una decina di anni fa”. E' il caso della capacità di implementazione democratica dei social network, che “era già al centro del progetto delle reti civiche, network esistenti già alla fine degli anni '80”.

“Sulla rete deve finire il tempo del pressapochismo”, dice Pasquale Popolizio. “La sfida che abbiamo davanti è la professionalizzazione del web, la creazione di figure professionali formate per costruire contenitori e contenuti”. Un lavoro che “ consentirà alle aziende di assumere personale specializzato e fornirà agli ordini professionali maggiori informazioni per la formazione specifica”. E grazie al lavoro dell'Iwa, l'associazione internazionale dei webmaster, e alla collaborazione di molti professionisti e di numerose aziende, è stato pubblicato nell'ottobre scorso un documento che descrive 15 figure professionali. Un primo passo verso la costruzione di uno standard che possa essere recepito da quanti più soggetti possibile.

E il progetto Napoli 2.0 di Alessandro Mazzù, va proprio nella direzione della professionalizzazione il lavoro in rete. Obiettivo è “partire da internet per dar vita a qualcosa di concreto, di vero” . Per “aumentare l'interattività e la partecipazione, non solo tra istituzioni e cittadini ma anche tra aziende e clienti”.
Carmine Saviano

Rivoluzione in corso nel campo dei contenuti e del social sharing

[PMI-dome 26/02/2010] Grande rivoluzione - sebbene annunciata - nel mondo dei contenuti online. La pervasività dell’informazione diventa fattore evolutivo della rete e i meccanismi divulgativi ad essa associati

Cosa succede se l’evoluzione della rete vede come protagonisti le piattaforme di social networking, non solo come fattore aggregativo e sociale ma anche come straordinario strumento di pervasività divulgativa?

Una rivoluzione dietro l’angolo che tanti avevano previsto ma di cui nessuno aveva saputo quantificare dimensione e peso.

A darci un’indicazione di massima sulle tendenze in corso è ricerca edita da Gigya (piattaforma per la Social Optimization for online business) che afferma come il sistema virale e il meccanismo del classico passaparola tra gli utenti della rete (facendo uso della posta elettronica) sia stato superato dalla condivisione di link e notizie su piattaforme sociali, prime fra tutte Facebook.

Un ribaltamento della classifica avvenuto in soli pochi mesi.

Se infatti alla fine dell’ultimo quadrimestre del 2009 era ancora la posta elettronica ad essere il sistema virale più efficiente, attraverso il meccanismo “ti segnalo una notizia”, a febbraio del 2010 è Facebook l’HUB principale della condivisione e della segnalazione ad amici di notizie, video e link da non perdere.

Se dunque il concetto di condivisione rimane medesimo, è lo strumento e l’effetto di molteplicità dell’informazione che cambia.

Anche l’approccio è diverso e il processo di interazione cambia in maniera sostanziale.

Se prima il navigatore comunicava in modalità 1 a 1 – o comunque 1 a un numero ristretto di amici con un messaggio diretto di posta elettronica – ora l’utente, iscritto a Facebook e “always connected” alla piattaforma di Social Network più famosa al mondo, condivide l’informazione con un click, inserendo la notizia di proprio interesse all’interno della propria bacheca, in modalità broadcast.

Cercando di analizzare il processo di interazione, la dinamica è profondamente diversa.

Infatti se nel modo “posta elettronica” la parola spesa implicava un tipo di interazione (scrivere una mail agli amici, selezionando uno ad uno i più interessati alla notizia) ora l’utente di Facebook diffonde la notizia di proprio interesse e la condivide all’interno del proprio network verso le connessioni attivate, senza però fare una selezione dei destinatari.

Saranno gli afferenti al mini network del segnalatore a decidere se quella notizia – assieme a mille altre segnalate da “n” altre connessione attive – è di proprio interesse o meno.

E’ un cambiamento di non poco conto, presupponendo una logica di diffusione, propagazione, percezione, scelta e azione che divergono (posta elettronica vs sharink link) l’una dall’altra.

Ma torniamo ai dati della ricerca.

Secondo Gigya oltre il 50% dei link “shared” sono diffusi via Facebook. Il fenomeno al quale stiamo assistendo vede inoltre un'altra grande rivoluzione in corso: quella di Facebook come applicativo sulla rete Single Sign-on.

In altre parole Facebook sta diventando anche la principale piattaforma di autenticazione verso altre piattaforme di Social Sharing e non solo.

Non è infatti una scoperta che con l’account di Facebook si possono divulgare e replicare le notizie segnalate sulla pagina personale direttamente su altre piattaforme quali Twitter, Digg ecc.



Se questo può apparire fattore secondario agli occhi di molti osservatori, nella realtà quotidiana la possibilità di evitare un lavoro doppio, triplo se non quadruplo di inserimento notizie e divulgazione di link su molteplici piattaforme diventa invece elemento determinante: osiamo dire quasi una Killer Apllication.




Il semplice fattore "tempo risparmiato" è scatenante e determinante nella scelta dell'utenza.

Il secondo strumento più utilizzato per divulgare le notizie è Twitter, con un 29% di Broadcasting links attarverso il microblogging.

Dati importantissimi che dimostrano come in poco tempo si stia rivoluzionando il modo di utilizzo della rete e dei suoi strumenti.

Cambiamenti repentini che obbligano ad una serie di profonde riflessioni e di urgenti aggiustamenti nel marketing on-line e nella scrittura delle informazioni on web.


Se dunque la posta elettronica è ancora uno strumento “pilastro” della rete, è pur vero che esso sta assumendo altre funzioni, per altri scopi e – paradosso dei paradossi – sta diventando il lato lento della rete (o meglio, torna ad assumere quella funzione originaria datale alle origini della rete), perché esistono soluzioni più veloci, pervasive e virali che ne hanno preso il posto.

Luca De Nardo

giovedì 25 febbraio 2010

Disabile picchiato e filmato, condannata Google Gli Usa: "La libertà di internet è vitale"

[La Repubblica 25/02/2010] Tre dirigenti puniti per violazione della privacy: non bloccarono la pubblicazione del video nel 2006
Sei mesi di reclusione. Assolti dall'accusa di diffamazione. E' il primo procedimento del genere al mondo
L'ambasciatore americano: "No a responsabilità preventiva dei provider"
Durissima la reazione dell'azienda

MILANO - Il tribunale di Milano ha condannato tre dirigenti di Google per violazione della privacy, per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione sul motore di ricerca di un video che mostrava un minore affetto da autismo (e non da sindrome di Down come erroneamente comunicato in un primo tempo ndr) insultato e picchiato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. Ai tre imputati sono stati inflitti sei mesi di reclusione con la condizionale; i dirigenti sono stati invece assolti dall'accusa di diffamazione, un quarto dirigente che era imputato è stato assolto. Si tratta del primo procedimento penale anche a livello internazionale che vede imputati responsabili di Google per la pubblicazione di contenuti sul web. Durissima la reazione della società: "Un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito internet" spiega il portavoce di Google, Marco Pancini. "Siamo negativamente colpiti dalla decisione", dice in un comunicato l'ambasciatore americano a Roma David Thorne.

I dirigenti coinvolti sono David Carl Drummond, ex presidente del cda di Google Italy ora senior vice presidente, George De Los Reyes, ex membro del cda di Google Italy ora in pensione, e Peter Fleischer, responsabile delle strategie per la privacy per l'Europa di Google Inc. I tre sono stati condannati per il capo di imputazione di violazione della privacy. Assolto Arvind Desikan, responsabile del progetto Google video per l'Europa, cui veniva contestata la sola diffamazione. Nei loro confronti l'accusa aveva chiesto pene comprese tra 6 mesi e un anno di reclusione.

Il video
venne girato a fine maggio 2006 e caricato su Google l'8 settembre: rimase online due mesi, fino al 7 novembre, prima di essere rimosso, totalizzando 5500 contatti. Nel filmato si vedono una decina di compagni di classe che stanno a guardare, mentre uno dei ragazzi indagati sferra qualche pugno e qualche calcio al compagno disabile, un altro è intento a riprendere la scena con la telecamera, un terzo che disegna il simbolo "SS" sulla lavagna e fa il saluto fascista. Il ragazzo aggredito rimane immobile. Al giovane disabile vengono anche tirati oggetti e per ripararsi lui perde gli occhiali e si china a cercarli affannosamente. Nell'indifferenza del resto della classe.

Nel corso del processo i legali del ragazzino disabile avevano ritirato la querela nei confronti degli imputati. Nulla di fatto per il comune di Milano per l'associazione ViviDown che si erano costituite come parti civili. La loro posizione era legata al reato di diffamazione per cui gli imputati sono stati assolti. "Faremo appello contro questa decisione che riteniamo a dir poco sorprendente, dal momento che i nostri colleghi non hanno avuto nulla a che fare con il video in questione, poiché non lo hanno girato, non lo hanno caricato, non lo hanno visionato - dice il portavoce di Google - se questo principio viene meno, cade la possibilità di offrire servizi su internet".

Opposta la reazione di pm milanesi. "Con questo processo abbiamo posto un problema serio, ossia la tutela della persona umana che deve prevalere sulla logica di impresa" affermano il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo e il pm Francesco Cajani. Nell'annunciare l'intenzione di appellare la sentenza di condanna, i legali dei dirigenti condannati, Giuseppe Bana e Giuliano Pisapia, affermano: "Google si è comportato correttamente, perché non aveva alcun obbligo di controllo preventivo sui video e i messaggi messi in Rete, mentre invece dal momento in cui è stato informato di quel filmato ignobile l'ha subito eliminato". "Non ci sono né vinti né vincitori", aggiungono i legali, che poi interpretano l'assoluzione dall'accusa di diffamazione come "la non esistenza dell'obbligo giuridico di controllo preventivo da parte di Google su cosa viene messo in Rete".

Gli Stati Uniti, per bocca dell'ambasciatore americano a Roma David Thorne, esprimono il proprio disagio per la decisione giudiziaria. "Siamo negativamente colpiti dall'odierna decisione di condanna di alcuni dirigenti della Google inc. per la pubblicazione su Google di un video dai contenuti offensivi", afferma in un comunicato Thorne. "Pur riconoscendo la natura biasimevole del materiale - precisa l'ambasciatore - non siamo d'accordo sul fatto che la responsabilità preventiva dei contenuti caricati dagli utenti ricada sugli internet service provider".

"Il principio fondamentale della libertà di internet è vitale per le democrazie che riconoscono il valore della libertà di espressione e viene tutelato da quanti hanno a cuore tale valore", dice Thorne ricordando che "il segretario di Stato Hillary Clinton lo scorso 21 gennaio ha affermato con chiarezza che internet libero è un diritto umano inalienabile che va tutelato nelle società libere". "In tutte le nazioni - conclude il comunicato - è necessario prestare grande attenzione agli abusi; tuttavia, eventuale materiale offensivo non deve diventare una scusa per violare questo diritto fondamentale".

mercoledì 24 febbraio 2010

Google punita, ma qui è la libertà dei singoli che è in gioco

[Scene Digitali 24/02/2010]Ore 11,45
Il nocciolo della notizia è che i dirigenti di Google a processo a Milano per il caso “Vividown” sono condannati per violazione della privacy, ma non per diffamazione aggravata. Entro 90 giorni si leggerà la sentenza. Ma si continua ad ignorare che in questa vicenda, sotto traccia, non è la libertà di Google in gioco ma quella dei singoli.

Scampato pericolo?
Google ora dice che “la sentenza di Milano è un attacco ai principi di libertà”. Però poteva andare molto peggio. Gli occhi della politica, della rete e del mondo intero (quello che segue queste vicende) erano oggi su Milano. E alla sentenza che ne è uscita questa mattina poco dopo le 9. Ora gli avvocati annunciano un appello, che potrebbe essere discusso già per fine anno, o al più tardo nella primavera 2011.
Vedrete, questa notizia farà il giro del mondo. Perché comunque è una condanna, perché apre un dibattito che non è solo giuridico ma intensamente politico: deve esserci un controllo su quanto esce sui social network? E chi deve esercitarlo? E perché costringe a riflettere su come sistemiamo la comunicazione digitale dentro gli apparati di legge.

E’ d’obbligo un passo indietro.

Il fatto
Nel 2006 tre minorenni abusano con percosse e dileggio di un loro compagno di scuola, afflitto da sindrome di down. Registrano tutto con la videocamera del cellulare. Una di loro pubblica su quello che all’epoca era “Google Video”. Grande scandalo e indignazione, giustificati dall’atto ma trascinati nella consueta manipolazione dell’ira collettiva.
Di quel video si parla nei telegiornali. Si delira di chiusura di Google e di istigazione a delinquere – nasce da qui l’onda che porta al famoso “emendamento D’Alia”, cioè al principio che la piattaforma che ospita il contenuto di un utente è direttamente responsabile di quanto pubblicato da ogni singolo, e che la sola pubblicazione integri, oltre alle fattispecie di volta in volta presenti, il reato di istigazione a delinquere. Cosa è istigazione a delinquere? eh…
Intanto la ragazza responsabile della pubblicazione sarà poi processata e condannata a pene di carattere rieducativo. E la famiglia della vittima si rifiuta di costituirsi parte civile. Ma si è comunque avanti in un processo che vede sulle spalle di quattro dirigenti di Google sia l’accusa di diffamazione che quella di violazione di numerosi articoli della legge sulla privacy.

Il rischio “politico”
L’emendamento è caduto da tempo, ma i sostenitori di quella dottrina sono ancora alla ricerca della norma “giusta” da far passare. Lo sono anche in queste settimane. Alcuni di loro non si rendono conto, altri ne sono perfettamente consapevoli che stabilire quel principio di responsabilità – come se You Tube fosse un giornale fatto da relativamente pochi individui- significa realizzare uno stato pienamente totalitario, nel quale, per realizzare quelle prescrizioni di legge sarebbero necessarie strutture tecniche e umane presenti solo in Cina e paesi consimili.

Il clima: l’antipatico è anche “colpevole”?
Il processo si è accompagnato con la crescita di un sentimento di “antipatizzazione” verso Google e le piattaforme di social networking in questo paese. La giustizia civile ha già deciso, in altro e diverso procedimento, che You Tube debba sapere all’istante quali video appartengono a contenuti coperti da diritto d’autore. Un’altra causa, intentata da Mediaset, chiede, con risarcimenti ultramilionari, che per tutte le clip che gli utenti ritagliano dal Grande Fratello piuttosto che da Striscia la notizia, la responsabilità per la violazione del diritto d’autore sia molto stretta e riportabile alla piattaforma.
Aggiungete il procedimento – ma si tratta di vicenda ancora diversa – che gli editori italiani hanno avviato presso l’autorità per la concorrenza sulle pratiche di Google in fatto di pubblicità e di uso dei contenuti editoriali.
Insomma il clima era pesante per Google. E chi scrive qui ha elencato in un saggio quali sono le ragioni che fanno di Google un soggetto molto ingombrante per la concorrenza. Ma l’antipatia “economica” non deve produrre né giurisprudenza né diritto antipatizzante. Invece il sentimento che si respira nell’aria in questi mesi non ha niente a che vedere con i principi di equa concorrenza, che in qualche modo si trovano richiamati nel ricorso degli editori.

La difesa dell’esistente, la riforma “stretta”
Si può dire in due modi, con linguaggio da mass mediologi: Il problema di questi mesi è la ricerca di un varco per fermare la disgregazione dell’audience televisiva generalista ad opera dei social network, utilizzando anche il sogno censorio di una restaurazione dello status precedente dei media, quello nel quale gli utenti non parlano. Consumano.
E si può dire con linguaggio politico: che la politica e gli apparati giudiziari cercano i modi per ricondurre dentro l’esistente la novità di internet, che è novità umana e sociale prima che tecnologica e non ce la fa ad “entrare” in quelle norme preesistenti, come il dentifricio spremuto fuori non rientra nel tubetto.

Saggezze e sintonia di una sentenza
In questa situazione il rischio era che si arrivasse a una sentenza fortemente punitiva dei social network, facendo dell’Italia il luogo di un “leading case” repressivo che ci avrebbe rapidamente ridicolizzati di fronte al mondo e messo ancora più in basso nelle classifica per la libertà d’espressione.
Ma la sentenza di Milano – che andrà letta e ci sono 90 giorni per la sua pubblicazione – sembra aver sentito il pericolo giuridico e culturale che incombeva ed ha evitato il peggio. M ha sentito l’aria. Purtroppo non un’ottima aria: perché dopo la pubblicazione dei gruppi Facebook su Tartaglia e le pagine degli imbecilli su vari argomenti sensibili, si è instaurata una pratica opaca per cui governo e amministrazione statale colloquiano direttamente con i social network, sotto l’etichetta della “segnalazione dei siti pericolosi”.
Contemporaneamente, con il decreto intercettazioni e con il decreto Romani, si preparano forme di deterrenza e di controllo su chiunque faccia sia blog che televisione amatoriale: insomma su chiunque si esprima fuori dai ranghi.

Memo e meme per l’appello
Dalla sentenza si vedrà anche cosa, sulla privacy, esattamente si contesta a Google. Se si vorrà sostenere che Google deve occuparsi della privacy di tutti coloro che appaiono nei video che vengono pubblicati – una tesi che è stata sostenuta nella memoria delle parti civili e che è francamente ridicola sul piano fattuale e tecnologico, prima che giuridico. O se si dirà solo che Google aveva obbligo di registrarsi presso l’autorità delle comunicazioni e della privacy (sono due diverse) come stazione televisiva, assumendone quindi gli obblighi. E siamo, ma guarda un po’, alla sostanza del decreto Romani.
Tutto ciò che sfugge alle diverse parti in causa (o forse non sfugge affatto) è che in questa vicenda scorre sotto traccia la questione della libertà dei singoli di pubblicare e dire i propri pensieri sulla rete. In piena responsabilità.
La società digitale è una società di liberi, che semmai vanno in galera se delinquono. Ma non vanno né censurati né costretti all’autocensura delle “registrazioni” preventive.
Vittorio Zambardino

Social network: da piazze virtuali diventano "fonti" giornalistiche

[La Stampa 24/02/2010] Eurispes: esprimono l'opinione pubblica, forniscono dati, ma spesso fanno notizia perchè creano eventi, non sempre positivi. C'è bisogno di regole
Social network: da piazze virtuali diventano ROMA
La rivoluzione dei social network, tuttora in atto, risulta per molti aspetti «totalitaria» dal momento che coinvolge non solo i siti di riferimento, ma contribuisce ad estendere la sua azione su realtà finora considerate prevalentemente «verticali». Lo spiega l’Eurispes: l'esempio più significativo è senza dubbio rilevabile nel mondo del giornalismo, dove i siti delle principali fonti di informazione hanno subìto l'influsso dell'importanza che i social network hanno acquisito nel tessuto sociale della Rete.

Concepito come una piazza virtuale in cui scambiare pensieri, emozioni, foto e video con amici e conoscenti, Facebook è divenuto quindi un'effettiva (ed alternativa) fonte di informazione per i media, basti pensare ad alcuni dei più recenti fatti di cronaca, quando le foto o le informazioni sulle vittime o sugli autori di reati efferati vengono prelevate proprio dai profili e diffuse da tv e stampa.

A volte però il social network perde la sua veste di canale di informazione, trasformandosi in notizia stessa, ne sono un esempio i sempre più frequenti «suicidi annunciati a mezzo social», la creazione di gruppi choc che trovano in messaggi razzisti, violenti, antisociali, motivo di coesione tra gli utenti. Le potenzialità comunicative di questo strumento e allo stesso tempo la mancanza di un controllo efficace sui contenuti pubblicati, l'indispensabile tutela della privacy, hanno portato recentemente l'opinione pubblica a confrontarsi sulla necessità di una regolamentazione più specifica e aggiornata per la Rete e in particolare per i social network.

In particolare, la tutela della privacy e dei minori è uno dei temi che sta animando maggiormente il dibattito internazionale. Particolarmente sensibile verso il tema della privacy si è dimostrato, inevitabilmente, lo stesso Facebook, che nell'aprile del 2009 ha indetto un referendum tra i propri iscritti per stabilire nuove regole a riguardo. Nonostante non sia stato raggiunto il quorum prefissato (avrebbe dovuto votare in una sola settimana il 30% degli iscritti, circa 60 milioni di persone), la maggioranza dei votanti ha approvato il nuovo sistema di tutela proposto dallo staff di Facebook, che comprende, ad esempio, la possibilità di condividere contenuti solo con determinate persone, la limitazione delle informazioni pubbliche relative al proprio profilo, ma anche la segnalazione dei post e gruppi ritenuti «scorretti».

L'attenzione degli italiani verso questo tema è confermata dall'indagine condotta dall'Eurispes in merito all'utilizzo dei social network: il 41,8% dei partecipanti ritiene che l'utilizzo di questi debba essere maggiormente regolamentato, mentre il 24,5% esprime una posizione diametralmente opposta, sostenendo che i social network debbano essere completamente liberi e senza censure. Il 10,5% pensa che i siti di aggregazione sociale siano dannosi per la privacy, solo il 3,5% ritiene che questi possano favorire nuove forme di illegalità e, infine, il 7,1% ritiene i social network pericolosi in quanto possibili veicoli di messaggi fortemente ideologici o violenti. Rilevante è anche la percentuale (12,6%) di chi ha dichiarato di non sapere o di non poter rispondere al quesito posto, segno della complessità del tema che contrappone la libertà di espressione alla sicurezza individuale e collettiva.

Analizzando le risposte per fasce d'età, emerge che a risentire maggiormente della necessità di una regolamentazione più rigida sono i 45-64enni (46,8%), fascia che probabilmente comprende molti genitori di giovani frequentatori dei social network. Anche le fasce giovanili (18-24 anni e 25-34 anni), più rappresentative del fenomeno in quanto composte dai principali utilizzatori degli stessi, si attestano su percentuali alte (rispettivamente 41,9% e 38,5%). Un terzo dei 25-34enni (30,7%) invece si è dichiarato a favore della totale assenza di controlli e censure.

Tra i più giovani si tende a non vedere nei social network un pericolo: solo il 4,7% li ritiene una nuova via per l'illegalità, l'8,1% li identifica come strumenti per diffondere messaggi violenti e l'11,5% pensa che siano dannosi per la propria privacy.A favore di una maggiore regolamentazione si pronuncia la metà degli intervistati vicini al centro-destra (51,3%) e di centro (48,5%), mentre la percentuale maggiore di chi è contrario alla censure e ai controlli online si trova tra gli intervistati di sinistra (36,4%). Trasversalmente a tutti gli schieramenti politici, sono sempre in pochi a vedere nei social network un pericolo per la propria privacy: il dato varia infatti dal 12% degli intervistati di centro-sinistra al 7,6% di quelli di destra. Tra chi sostiene che l'utilizzo dei social network deve essere completamente libero e senza censure, si riscontrano notevoli differenze nel Settentrione del Paese: il Nord-Ovest detiene la percentuale più alta (28,3%) mentre il Nord-Est quella più bassa (19,9%). Invece tra chi auspica una maggiore regolamentazione, percentuali simili si ritrovano in tutte le macro-aree geografiche, con una variazione minima tra il Nord-Ovest (43,4%) e il Nord-Est (39,8%). Sempre le due aree del Nord detengono la percentuale maggiore (Nord-Est, 6,1%) e minore (Nord-Ovest, 1,6%) di chi crede che i social network possano aprire nuove vie all'illegalità.

A scuola di democrazia

[La Stampa 23/02/2010] Torino - Sostenibilità etica, economico-sociale e ambientale delle politiche e degli stili di vita: è il grande tema, urgente ed ineludibile, al centro di «Democrazia 2.0 - Sostenibilità», la manifestazione che dal 1 al 4 marzo riporta in primo piano Biennale Democrazia nell’ambito di Torino Capitale Europea dei Giovani. Tra gli ospiti, Woodrow W. Clark, vincitore nel 2007 - insieme ad Al Gore - del Nobel per la Pace con Intergovernmental Panel on Climate Change.

Il Forum che sta per aprirsi prevede tre lectio magistralis aperte al pubblico e una trentina di incontri riservati ai giovani: è il traguardo di un percorso che ha coinvolto in sei mesi di lavoro migliaia di ragazzi di oltre 40 scuole, università e associazioni studentesche piemontesi e italiane in un ampio e approfondito progetto di formazione realizzata con incontri e attraverso il portale web www.democrazia20.it su filoni di discussione incentrati su acqua, aria, terra, energia e città sostenibili.

Dal 1 marzo saranno ospiti della città 600 giovani, 50 dei quali in arrivo da Ungheria, Bulgaria, Lituania, Olanda, Francia, Romania e Spagna. Il Forum, organizzato dallo staff di Biennale Democrazia della Città in collaborazione con Environment Park, Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Torino, Goethe Institut Torino e Slow Food, e sostenuto dalla Regione, si articola in una serie di workshop, tavoli di lavoro, sedute plenarie e semi-plenarie non aperti al pubblico che si terranno nelle sale del Centro Interculturale della Città di Torino e dell’Environment Park.

Ma l’evento - presentato ieri dal presidente di Biennale Democrazia Gustavo Zagrebelsky, dalla presidente della Regione Mercedes Bresso, dall’assessore regionale alla Cultura e Politiche giovanili Gianni Oliva, dagli assessori comunali alla Cultura e alle Politiche giovanili Fiorenzo Alfieri e Marta Levi, dalla direttrice di BD Angela la Rotella - coinvolgerà anche il grande pubblico con le tre lezioni aperte tenute dall’economista Jean Paul Fitoussi, da Woodrow Clark, Premio Nobel per la Pace, e da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.

Il presidente Zagrebelsky ieri ha ricordato che «la sostenibilità non è soltanto materia per la discussione di scienziati ed esperti, ma è, prima di tutto, un modo per porre in questione la qualità e le forme della nostra convivenza democratica». E ha aggiunto: «L’Unione Europea non ha scelto Torino a caso come Capitale dei Giovani, ma l’ha fatto perché qui, anche in vista del 2011, ci si sta riappropriando di una storia di crescita civile che ci rende punto di riferimento della riflessione su questi temi».

La presidente Bresso, che ha ricordato di essersi dedicata come studiosa ai temi della sostenibilità, ha sottolineato: «È importante che i giovani capiscano, attraverso le riflessioni di esperti di primo piano, come questo sia un problema che rischia di essere banalizzato mentre richiede soluzioni complesse».

maria teresa martinengo

martedì 23 febbraio 2010

La svolta di Obama: dai social network ai social media

[Mediablog corriere.it 23/02/2010] Il Dipartimento di Stato Usa ha sostituito il temine “social network” con “Social Media” per riferirsi a quell’insieme di piattaforme web che vanno da Facebook a Twitter. Non è un cambiamento di poco conto poiché sta a significare che per l’amministrazione del presidente Barack Obama questi sono i nuovi mezzi di comunicazione di massa ai quali guardare per l’informazione del futuro. “Il mondo sta cambiando velocemente e noi vogliamo cogliere tutte le opportunità di questa rivoluzione”, ha detto Alec Ross, responsabile per l’innovazione nell’ufficio del Segretario di Stato Hillary Clinton, rivolgendosi a una platea di 30 giornalisti di tutto il mondo giunti a Washington per una serie di incontri sulle nuove tecnologie organizzati dal Foreign Press Centers.


Dai colloqui è emersa la strategia della Casa Bianca nel campo della comunicazione: milioni di persone in tutto il mondo oggi stanno sui social network per conversare, organizzare la propria vita sociale e scambiare opinioni. Per una gran parte di esse questi sono anche la fonte principale dalla quale attingono notizie. Dunque è nata una nuova audience (il pubblico dei Social Media) e se vogliamo stare in contatto, condividere, e conversare con loro, dobbiamo portare l’informazione in questo “nuovo mondo sociale”.


Il cambiamento è radicale: fino a pochi anni fa essere in internet voleva dire aprire un sito web e aspettare che gli utenti interessati, per un motivo o per l’altro, arrivassero a visitarlo. Oggi la Casa Bianca ha ribaltato quella prospettiva: se le persone stanno principalmente altrove (i social network) non si può attendere che vengano da noi, ma dobbiamo muoverci portando noi i contenuti dove gli utenti si aspettano di trovarli (i social media). “Dobbiamo portare l’informazione, i nostri atti amministrativi dove le persone vivono e discutono, perché questa è la strada per ampliare ed arricchire la nostra presenza ed avere una relazione diretta con la gente”, spiega Katie Dowd, new media director.


La svolta di Obama, il primo “Internet president” come viene definito dal suo staff, nasce dall’intuizione che anche nella pur giovane vita di internet si stia aprendo una nuova era: se prima era sufficiente essere sul web con un sito per avere assicurata una certa influenza, oggi per essere veramente rilevanti questo non basta più. Per raggiungere milioni di persone e parlare con loro c’è solo una opportunità: non essere semplicemente su internet, ma fare parte di internet; essere inseriti in quel sistema di conversazione e informazione, di interazione e condivisione che fino a poco tempo fa indicavamo sotto il nome di social network e al quale, da adesso, dovremmo abituarci a fare riferimento come ai social media.

Marco Pratellesi

lunedì 22 febbraio 2010

L'età media dei social network

[Punto Informatico 22/02/2010]

Uno studio USA misura l'affluenza nelle varie piattaforme social e stabilisce che gli utenti scelgono dal mazzo in base all'età

Roma - Bebo è la tana dei giovanissimi, Twitter attira un'audience più matura mentre LinkedIn è pieno di ultraquarantenni ansiosi di mostrare il proprio curriculum. L'ecosistema dei social network, stando a un'analisi sull'età degli utenti effettuata da Pingdom, si presenta a grandi linee così: dimmi la tua età e ti dirò quale social network fa per te.

Per ognuna delle 19 piattaforme prese in esame, da StumbleUpon a Facebook passando per Slashdot, vi sarebbe un bacino di utenza particolare determinato da vari fattori quali la popolarità del social network in questione, l'affinità con le tematiche trattate e l'appartenenza alla stessa fascia di età degli altri utenti. Difficile dunque che un adolescente possa decidere di crearsi un account su Classmates, il social network statunitense che propone di ristabilire i contatti con i propri ex compagni del liceo: oltre ad attirare un utenza con un età media di quasi 45 anni, Classmates è anche il social network più cliccato dagli over65.

Come già spiegato, Bebo si aggiudica la palma per il social network preferito dagli adolescenti mentre Facebook attira in maniera uniforme utenti di quasi tutte le fasce d'età tranne quella compresa tra 18 e 24 anni, in cui viene surclassato da Xanga, FriendFeed e Reddit solo per citarne alcuni. Allargando il discorso all'intero campione preso in esame da Pingdom emerge che il 25 per cento degli utenti dei 19 social network monitorati ha tra i 35 e i 44 anni, l'età di chi probabilmente 15 anni or sono creava pagine su Geocities a suon di HTML e che circa due anni fa era stata indicata da Faceparty, piattaforma britannica, come l'età ideale dei sex offender, come a dire "sei troppo vecchio per stare in Internet, quindi gatta ci cova".

Lo studio di Pingdom dipinge quindi quello dei social network come un ambiente caratterizzato da varie sfaccettature che si confanno, almeno in teoria, a ogni tipologia di utente, sia esso un adolescente, uno smanettone con i capelli brizzolati o un giornalista della BBC appena iniziato alla socialità online.

Giorgio Pontico

Per gli over sessanta la riscossa è sul web

[La Stampa 22/02/2010] TORINO
La signora Giovanna ha 82 anni, è rimasta vedova due anni fa e la sua grande gioia è comunicare con figli e nipoti. E’ diventata bisnonna l’anno scorso e per vedere i progressi del piccolo Giuliano si è fatta installare una webcam sul personal computer e si collega via Skype con la nipote musicista d’orchestra in tournée a Salisburgo. Lei, che in famiglia era soprannominata «centralino» e aveva sempre il telefono bollente, ha annullato così il costo della bolletta e ha anche la soddisfazione, video-telefonando dal computer, di vederlo quando vuole - quasi fosse lì - il pronipotino che muove i primi passi.

Chi pensa che Internet sia roba solo da ragazzini «nativi digitali» farà meglio a ricredersi: la Rete è diventata matura e da quattro anni a questa parte gli anziani che navigano sul Web sono aumentati in maniera esponenziale, registrando la percentuale maggiore di incremento nell’utilizzo di nuove tecnologie e pc rispetto al resto della popolazione. Per la precisione dell’81 per cento, spiegano i ricercatori dell’Istat: che snocciolano cifre interessanti anche per le aziende che cercano di accaparrarsi il mercato degli over-sessanta. L’uso del pc nella fascia tra i 60 e 64 anni è passato dal 13,8% del 2005 al 25% nel 2009 e dal 5,5% al 9,9% per la fascia 65-74 anni. Nello stesso arco temporale l’uso di Internet è schizzato dal 10,8% al 22,8% per i 60-64enni e dal 3,9% all’8,5% per i 65-74enni. Rispetto alle fasce d’età più giovani, gli anziani restano tra i minori utilizzatori e possessori di nuove tecnologie ma, considerando il crescente invecchiamento della popolazione, la tendenza è di un forte aumento.

«I nonni, il più delle volte, imparano con i nipoti» spiega Miria Savioli, ricercatrice Istat. Ma non mancano gli studenti veri e propri: nel 2009 ha partecipato a corsi per l’uso del pc il 43,4% dei 60-64enni e il 32,7% dei 65-74enni e sono numerosi i corsi avviati da Regioni e Comuni e rivolti proprio ai più anziani. Che inviano e ricevono mail (78% tra 60-64enni; 75% tra 65-74enni; 69,5% tra over 75); cercano informazioni su merci e servizi (per le tre fasce d’età rispettivamente il 66%, il 62% e il 54%); consultano Internet per apprendere (64,8%, 64,4%, 65,9%). Il colpo di fulmine per il web è scattato anche per leggere giornali (51,2%, 47,9%, 50,8%), per cercare informazioni sanitarie (47,5%, 42,1%, 44,5%) e per telefonare via Internet (13,1%, 16,4%) o effettuare video-chiamate (11%, 11,6%). Mentre gli anziani sempre più all’avanguardia usano Internet pure per ordinare o comprare merci e servizi: il 22,2% dei 60-64enni e il 15,4% dei 65-74eni. Gli acquisti riguardano soprattutto viaggi e vacanze (43,3% per i 60-64enni e 30,7% per i 65-74enni) e attrezzature elettroniche come fotocamere (18,7% e 17,5%). Arrivano in commercio anche i primi prodotti informatici a «misura di anziano», come il programma Eldy, messo a punto da una onlus e scaricato già 200 mila volte: è applicabile a tutti i tipi di pc e permette di utilizzare il computer in maniera facilitata e intuitiva.

Quando i ragazzi passano a trovare nonna Giovanna, le installano le ultime novità in fatto di tecnologie o le mostrano siti Web utili per semplificarsi la vita. Ma l’esempio le è arrivato anche dalla tivù: «Guardavo un programma e per saperne di più mi dicevano di collegarmi al sito www...., ma io non sapevo neppure cosa fosse un “www”». Adesso è tutto un passa-parola con le amiche: ormai sono in tante a fare la spesa online evitando il freddo e la fatica di trasportare fino a casa pesanti sacchetti; o a cercare su Google le informazioni sulle programmazioni degli spettacoli al cinema o a teatro prima di prenotare i biglietti; o a scegliersi un sottofondo musicale mentre stirano o ancora a cercare una ricetta esotica per sorprendere un ospite improvviso. E l’appuntamento spesso è via email o via chat tramite Instant Messenger o Facebook: con il computer sempre acceso e connesso, si intrattengono anche solo per commentare la trasmissione tivù preferita. Non si sente mai sola nemmeno l’amica Ada, che è un po’ sorda, ma da quando ha scoperto la messaggeria istantanea ha risolto i problemi di udito comunicando per iscritto in tempo reale. «Internet è anche un modo per socializzare» ammette Giorgio, 68 anni, pensionato milanese vedovo che, dopo aver frequentato il corso informatico offerto dal Comune, continua a «studiare». Impegnato a decifrare i comandi di un nuovo computer portatile «touch-screen» senza tastiera per iscriversi a un’agenzia di incontri occasionali in rete, sorride divertito: «Non si finisce mai di imparare, ma io non ho niente di meglio da fare. E ho tutta la pazienza del mondo».
ANNA MASERA

Studio di mercato I contenuti Web 2.0 a rischio malware.

[19/02/2010]
Websense ha annunciato i risultati della ricerca semestrale “Websense Security Labs, State of Internet Security, Q3-Q4 2009”. Dai dati emerge che gli attacchi sfruttano i contenuti Web 2.0: il 95% dei commenti generati dagli utenti di Blog, chat room e bacheche è spam o rappresenta un contenuto malevolo. Tra i principali risultati della ricerca presentata da Websense:

- I Websense Security Labs hanno rilevato che il 13,7% delle ricerche su temi e argomenti di attualità (come definiti da Yahoo Buzz e Google Trends) rimandano a malware. Gli attacchi Search Engine Optimization (SEO) colpiscono i primi risultati visualizzati per reindirizzare il traffico verso i propri siti.

- In contrasto con la prima metà dell’anno dove gli attacchi di massa come Gumblar, Beladen e Nine Ball hanno aumentato il numero di siti Web malevoli, i Security Labs di Websense hanno notato una flessione del 3,3% nella crescita dei siti Web compromessi. Gli autori di malware hanno sostituito il tradizionale approccio di massa con sforzi focalizzati sulle funzionalità Web 2.0 ad elevato traffico e pagine multiple.

- Paragonando la seconda metà del 2009 con lo stesso periodo del 2008, si registra una crescita media del 225% di siti Internet malevoli.

- Gli autori di malware continuano a sfruttare la reputazione dei siti Web e la fiducia degli utenti, nella seconda metà del 2009, infatti, il 71% dei siti Internet, contenenti codici malevoli, erano siti legittimi che sono stati compromessi.

- I siti Web 2.0 con contenuti generati dagli utenti sono un obiettivo importante per cybercriminali e spammer. La tecnologia Websense Defensio ha consentito ai Security Labs di Websense di stabilire che il 95% dei commenti generati dagli utenti di Blog, chat room e bacheche è spam o rappresenta un contenuto malevolo.

- I Security Labs di Websense hanno riscontrato che il 35% degli attacchi Web malevoli ha l’obiettivo di sottrarre dati e informazioni personali fondamentali per gli utenti.

- Il Web continua ad essere il mezzo più diffuso per il furto dati. Nella seconda metà del 2009 i Security Labs di Websense hanno rilevato che il 58% degli attacchi per il furto dei dati è stato condotto tramite Internet.

- Decine di migliaia di account di posta elettronica Hotmail, Gmail e Google sono stati corrotti, le password rubate e pubblicate online, provocando un aumento dello spam.

- I Security Labs di Websense hanno rilevato che l’85,8% delle email è costituito da spam.

- Nella seconda metà dell’anno, l’81% delle email conteneva link malevoli.

Ogni ora Websense Security Labs ThreatSeeker Network analizza oltre 40 milioni di siti Web e 10 milioni di email per identificare i contenuti non richiesti e i codici malevoli. Grazie all’utilizzo di oltre 50 milioni di sistemi di data collection in tempo reale, ThreatSeeker Network monitora e classifica contenuti Web, email e dati garantendo a Websense una visione completa dei contenuti Internet ed email. Dan Hubbard, Chief Technology Officer di Websense, ha dichiarato: “Gli hacker stanno concentrado i propri sforzi per attirare le proprie vittime. Contaminando i risultati di ricerca e concentrandosi sui siti Web 2.0, i loro sforzi sono efficaci. La natura mista della minacce, unita ai siti legittimi compromessi, trae vantaggio dalla fiducia degli utenti che utilizzano i motori di ricerca e interagiscono con amici e parenti online”.
La ricerca completa può essere scaricata all’indirizzo: http://www.websense.com/threatreport.

mercoledì 17 febbraio 2010

Il web 2.0 è forte: lo dice il Rapporto sulla multicanalità 2009 del MIP

[Working capital 17/02/2010]

Gli utenti multicanale sono ormai il 40% della popolazione italiana e il social networking fa ancora la parte del leone. I dati dell’Osservatorio Mulicanalità del Politecnico di Milano forniscono un interessante spaccato sull’uso del web nel nostro paese.

logo mip

Crossmedialità è il tormentone degli ultimi mesi per chi si occupa di nuove tecnologie: non ci si può più accontentare di inviare un messaggio attraverso un solo canale,

ma si devono cercare più strade attraverso cui veicolarlo e, se possibile, adattarlo di volta in volta a queste.

Proprio la diffusione dell’utilizzo di più mezzi di informazione è monitorata in Italia dalla School of Management del Politecnico di Milano con un Osservatorio ad hoc, che ha da poco sfornato, in collaborazione con Nielsen, Nielsen Online e Connexia, il Rapporto sulla multicanalità 2009.

Si tratta di dati particolarmente interessanti, che voi – progettisti, start-upper o semplicemente interessati al mondo dei nuovi media – dovete assolutamente conoscere, per capire bene qual è il mercato di riferimento che la vostra futura impresa si troverà ad affrontare.

Innanzitutto, per chi lavora sul web in Italia è imprescindibile sapere che i connazionali internauti hanno ormai raggiunto quota 23,6 milioni, che nel 2009 in media hanno navigato per 29 ore (l’11% del tempo in più rispetto all’anno precedente) e hanno visitato 2040 pagine pro capite. Si tratta di una crescita del 7%, ovvero 1,6 milioni in più, rispetto al 2008, determinata soprattutto da donne (+10%) e ultra cinquantaquattrenni (il 19% in più dell’anno precedente).

Mentre le news sono in ottima ripresa – crescono di ben il 20% i lettori che si informano in rete – il web 2.0 è ancora una dimensione centrale in rete: la popolarità dei social network non solo non è stata intaccata, ma l’incremento del 13% dei loro utilizzatori nell’ultimo anno conferma che è in forte crescita.

In Italia gli utenti dei social network sono infatti giunti a quota 16 milioni. 9 milioni di italiani hanno costituito delle community online, mentre 10 milioni utilizzano i blog e 4 milioni i forum. 2,3 milioni i commenti lasciati complessivamente su queste piattaforme in Italia durante lo scorso anno.

Occhio a questo dato: gli utenti multicanale sono 20,4 milioni, vale a dire il 40% dell’intera popolazione italiana.

La multicanalità è soprattutto mobile: dei 50 milioni di utilizzatori di telefonini nel nostro paese, uno su quattro possiede uno smartphone (percentuale che sale al 35% nei 25-34enni). 8,5 milioni di italiani navigano in internet dal cellulare e il 13% di essi usa facebook da mobile.

Multicanalità poi non vuol dire soltanto utilizzo di più mezzi, ma anche contaminazione tra questi. E se l’11% degli italiani guarda almeno una volta al mese un programma tv su internet, il 14% ascolta almeno una volta al mese una webradio e il 27% legge un giornale sul web nello stesso periodo.

Di fronte a questi numeri ha ancora molto senso parlare di nuovi media? Una cosa è certa: mentre le aziende stanno mettendo a punto nuove strategie per relazionarsi a un mercato e a un consumatore sempre più liquidi, il terreno è fertile per fecondare – e far fruttare, è il caso di dirlo – i semi di creatività che contribuiranno a un utilizzo sempre più intelligente e innovativo di questi mezzi. E, a quanto pare, pensare – e progettare – in un’ottica multicanale paga.

Per approfondimenti sulla ricerca: http://www.multicanalita.it/

Le tre C della nuova informazione

[Corriere della Sera 17/02/2010] Condivisione, comunità e conversazione: così cambia l’universo dei media

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NOTIZIE CORRELATE
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IL BLOG: «Mediablog», di Marco Pratellesi

In «L’ultima notizia» Massimo Gaggi e Marco Bardazzi delineano il futuro delle news

Le tre C della nuova informazione

Condivisione, comunità e conversazione: così cambia l’universo dei media

Le news del New York Times sul Kindle, il lettore multimediale portatile che consente anche di leggere interi libri (Afp)
Le news del New York Times sul Kindle, il lettore multimediale portatile che consente anche di leggere interi libri (Afp)
«La radio ha impiegato trentotto anni a raggiungere la soglia dei 50 milioni di ascoltatori. Alla tv ne sono stati necessari tredici. Internet ha toccato quota 50 milioni di utenti in soli quattro anni, e lo stesso traguardo è stato raggiunto dall’iPod in poco meno di tre». Quella a cui stiamo partecipando, volenti o nolenti, è la più grande rivoluzione mai avvenuta nel campo delle comunicazioni. Non solo per celerità (gli anni sono diventati mesi, i mesi giorni, i giorni ore) ma per il radicale cambiamento in atto nell’universo mediatico. Questa mutazione ha un nome e si chiama convergenza.

Convergenza significa che il futuro della comunicazione è qualcosa che va ben oltre la vecchia teoria secondo cui in una società la struttura mentale delle persone e la cultura sono influenzate dal mezzo di comunicazione egemone (il famoso slogan di McLuhan «il medium è il messaggio»).
Convergenza è la voce del molteplice, dell’indiscernibile, dell’ibridato. Nel settore delle telecomunicazioni, il cambiamento basilare consiste nel fatto che ciascun medium non è più destinato a svolgere un singolo tipo di prestazione, ma è in grado di diffondere più generi di servizi (radio, cellulare, tv, social network, ebook e altre forme interattive). E se è vero che i media formano nuovi ambienti sociali che includono o escludono, uniscono o dividono le persone con modalità inusuali, è altrettanto vero che i cambiamenti dei media inaugurano rituali inediti, collettivi e personali. A questo cambiamento radicale e globale Massimo Gaggi e Marco Bardazzi hanno dedicato un prezioso libro: L’ultima notizia (Rizzoli), utilissimo non solo agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro ai quali sta a cuore la comprensione del presente. Invece di piangere sulla presunta fine dei giornali o sulla crisi della tv generalista o sui pericoli del Web, i due si sono comportati da esploratori responsabili, disegnando varie mappe di una inedita geografia mediatica e antropica, cercando di capire come gli individui si adattino ai nuovi quadri ambientali.

Il ritmo incalzante che i moderni media ci impongono costringe la nostra mente ad adeguarsi, sempre precariamente e provvisoriamente (come nei giochi), a continue novità, a paesaggi diversi, a fabulazioni sconosciute del mondo. Alla generazione Gutenberg, che vanta alcune centinaia di anni di adattamento e di formazione, sta subentrando una nuova generazione, i digital native. Chi sono questi «nativi digitali»? Sono tutti quei ragazzi che sono cresciuti con le tecnologie digitali (computer, smartphone, iPod, ecc...) e che hanno scarsa confidenza con libri e giornali. Non solo: quando hanno un rapporto con l’informazione lo hanno in maniera disinibita, leggono notizie mentre sono impegnati in altre attività (la famosa attitudine multitasking). «Mediamente – scrivono i due autori – si continua a dedicare un’ora di ogni giornata a informarsi ma, rispetto a quanto accadeva anche solo dieci anni fa, quando quel tempo era diviso tra giornale e tg, oggi per le loro informazioni molti ricorrono anche a Internet. E sempre più spesso, Facebook e Twitter diventano, specie per i giovani, porta d’accesso alle news».

Internet ha generato un mutamento culturale di portata epocale. Per la facilità di raggiungere un numero sterminato di fonti, e per l’idea stessa di rete. Noi siamo cresciuti con un concetto di trasmissione del sapere di tipo verticale, strutturato per gerarchie, articolato secondo una concezione piramidale (il sapere è conquista verso l’alto). Il Web ha reso orizzontale buona parte della nostra conoscenza: sulla rete un’opinione vale l’altra, proprio perché è posta sullo stesso piano. La rivoluzione della comunicazione in rete ha posto seri problemi sia agli editori che ai giornalisti. Dopo anni in cui è prevalsa l’ideologia dell’informazione free (sul Web no copyright) si è scoperto che a beneficiare di ingenti guadagni non sono i giornali, ma altri soggetti fino a quel momento sconosciuti al mondo della carta stampata: motori di ricerca tipo Google, portali, provider (più traffico c’è sulla rete più c’è guadagno per i fornitori di servizi). Con la crisi della pubblicità l’informazione non può più essere gratuita.

Il grande problema, che L’ultima notizia affronta con dovizia di esempi, è come far pagare le news. Come sostiene Ton Curley, amministratore delegato di Ap, la più grande agenzia d’informazione d’America, «dobbiamo fare in modo che gli aggregatori di notizie prodotte da altri e tutti quelli che oggi approfittano di una sorta di libertà di plagio smettano di usare questi contenuti in modo abusivo oppure paghino il servizio». Anche per i giornalisti, niente è più come prima. Non tanto per il mito del citizen journalism (l’utente che, grazie alle moderne tecnologie, si trasforma in informatore) che può funzionare bene nei casi di cronaca, negli incidenti, nelle tragedie, ma che rivela tutta la sua fragilità quando si sale di livello e si passa a quello dell’interpretazione.

Con la rete, il giornalista deve reinventare le sue competenze, capire che la convergenza comporta un uso simultaneo di più media (la scrittura, ma anche la radio, il video, eventualmente i social network). Come sostengono Gaggi e Bardazzi, «Internet e i social network hanno fatto emergere quella che potrebbe essere definita la "regola delle tre C" della comunicazione del futuro: condivisione, comunità e conversazione ». Così il libro termina regalando alcuni consigli pratici per cambiare pelle e sopravvivere: il futuro sarà multipiattaforma e l’informazione non sarà più totalmente gratuita; la «purezza » delle rete è un mito da sfatare (i blog possono e devono funzionare da contraltare all’informazione professionistica ma non la sostituiscono); non tutta la stampa è di regime e non tutti citizen journalist che usano Twitter sono santi; la carta deve sapersi fondere con il digitale imparando a raccontare il mondo con modalità diverse da quelle finora utilizzate e insegnate ancora in qualche vecchia scuola di giornalismo.

Aldo Grasso


martedì 16 febbraio 2010

La tv rubata ai bambini

[La Repubblica 15/02/2010] Melevisione addio. E quindi tanto vale approfittare di questa perdita per ragionare sul ruolo della tv «per ragazzi». Anche se oggi è difficile distinguere fra un pubblico di giovanissimie uno di adulti, fra un mondoe l' altro, fra una psicologia cresciuta e un universo ancora infantile. Quando la televisione era povera, democristiana e moralista offriva un servizio dedicato con chiarezza alla propria clientela: nessuno allora parlava di audience o di share, al massimo si studiava l' "indice di gradimento", sulla base delle accurate interviste realizzate da solerti signorine sul territorio: ma il marketing è il marketing, in qualsiasi epoca. Nei primi tempi della Rai, la Tv dei ragazzi non era una parte residuale nel palinsesto dell' unico canale pubblico. Anzi, la tv nazionale si caratterizzava p e r u n ' o f f e r t a molteplice rivolta a settori specifici di spettatori: al pubblico generalista con gli sceneggiati come Una tragedia americana, all' Italia premoderna con il programma pedagogico Non è mai troppo tardi del maestro Manzi, e ai giovani o giovanissimi con lo spazio intitolato La tv dei ragazzi. Ma forse sarebbe sbagliato considerare la Tv dei ragazzi semplicemente uno "spazio". La televisione-contenitore non era ancora stata inventata. Era invece un vero e proprio appuntamento quotidiano. Qualcosa che interrompeva lo studio e talvolta radunava gruppi di amici. I pomeriggi si qualificavano nell' immaginario infantile (e non soltanto infantile) di massa per telefilm come Avventure in elicottero, o per le serie di Rintintin e di Lassie. Tuttavia il programma che ha creato una vera fedeltà nei giovani spettatori degli anni Cinquanta e Sessanta è stato Chissà chi lo sa?, un' altra trasmissione "scolastica", che tuttavia determinava fenomeni di identificazione nel pubblico, e tifoserie divise fra le squadre nell' arena. «Squillino le trombe, entrino le squadre», proclamava Febo Conti, ed era subito competition. Forse il segreto della Tv dei ragazzi era la combinazione, potremmo dire con il lessico di oggi, di fiction e di programmi in diretta. Intere generazioni sono cresciute aspettando la puntata settimanale della saga di Ivanhoe, interpretata da un giovane e atletico Roger Moore; mentre la domenica era monopolizzata da Giovanna, la nonna del Corsaro nero, uno sceneggiato musicale vagamente salgariano, scritto da Vittorio Metz e interpretato fra gli altri da Giulio Marchetti e Pietro De Vico, di cui furono realizzate tre serie a partire dal 1961 (per inavvertenza, tutte le puntate furono cancellate, e quindi non esiste traccia di questa serie di eccezionale successo popolare). La Nonna era interpretata da Anna Campori, la sigla è ancora nella memoria di molti: «Un doppio urrah per Nonna Sprint, la vecchia ch' è più forte di un bicchiere di gin...». Qualcosa si può trovare su YouTube, ma si tratta di pochi frammenti. La Melevisione a sua volta è il risultato di una reinterpretazione del genere fantasy, ma costituisce soprattutto una riserva di senso dentro una televisione fatta di automatismi e di format. Riuscire a portare i giovani telespettatori, un pubblico d' élite, naturalmente, dentro il «Fantabosco» e la «Piana del re», nella folla dei singolari, fiabeschi personaggi della Melevisione, implica uno sforzo creativo ragguardevole, esercitato con passione per oltre dieci anni (la Melevisione esordisce il 18 gennaio 1999), di cui c' è da essere grati agli autori e all' apparato di produzione del programma. Adesso sembra proprio che la Melevisione sia destinata al digitale terrestre. Era un frammento, piccolo, di televisione strappato chissà come alla esondante volgarità della tv generalista e commerciale. RaiTre ha il merito di avere mantenuto questa riserva indiana e di averla proposta per anni a un pubblico di modesta entità numerica ma via via più fidelizzato e consapevole. Sono, o erano, bambini e ragazzini, dai quattro ai quattordici anni, che hanno avuto la forza di sintonizzarsi su un programma in netta controtendenza riapetto ai palinsesti correnti. Non si spiega altrimenti, se non per il successo "intellettuale" del programma, la sua durata e la permanenza pluriennale nel palinsesto della Rai: nessuno fa programmi per beneficenza. E questo spiega anche il successo «commerciale» della Melevisione, il che significa avere individuato una fascia di pubblico e avere offerto un prodotto per essa attraente. Di più: la sola e unica forma di spettacolo offerta al pubblico più giovane, al di là dei cartoni animati. Adesso si celebrano canti di lutto. L' intero gruppo della Melevisione (una cinquantina di persone) teme l' oscuramento, e di conseguenza la scomparsa, o un ridimensionamento brutale. È un atteggiamento naturale, ma oltre alle condizioni in cui si troverà lo staff del programma, in linea più generale occorrerà vedere come il giovane pubblico della Melevisione sostituirà il programma nel proprio portafogli di preferenze televisive. Nulla resta vuoto nella televisione; e dunque niente è più facile che il telecomando dei teenager scivoli per inerzia verso Canale 5, e cioè verso Uomini e donne di Maria De Filippi. Quindi si assisterà semplicemente a una «sostituzione di immaginario»: l' immaginario costituito dai panorami favolistici della Melevisione verrà sostituito dall' immaginario pop e trash della televisione commerciale, con i suoi tratti iper-realistici. Al posto del folletto Milo Cotogno e di Lupo Lucio, di Re Quercia e della Principessa Odessa, arriveranno nelle case, anche in quelle che ne erano esenti, tronisti e concorrenti pieni di gel. Sarebbe ingenuo affidare a un programma come la Melevisione la trincea di resistenza rispetto ai programmi di autentica tendenza, le trasmissioni che portano a un' identificazione pressoché totale con i protagonisti dell' iper-realtà televisiva. Piuttosto, c' è da pensare che dopo la De Filippi viene necessariamente, per pura grammatica televisiva, Grande Fratello. E quindi lo stordimento televisivo comincia dove finisce la Melevisione. Sembra nulla, un' ovvietà, ma la televisione è fatta di abitudini, di gesti automatici, di zapping. Non trovare su RaiTre l' appuntamento con l' isola felice della Melevisione non è una perdita in sé: è il segno che nella televisione di Stato qualcuno ha abdicato a un ruolo. Non che la tv debba avere per forza un ruolo pedagogico; tuttavia perdere la Melevisione, con la sua leggera fantasy spedita nel regno oscuro del digitale, significa che la televisione pubblica relega se stessa a un ruolo secondario. I ragazzini se ne faranno una ragione, scivolando verso i giochi machos della De Filippi. Ma forse sono i genitori che dovrebbero preoccuparsi: avere in casa un ragazzino felice della sua età, che scherza sull' Orco Manno e sull' Orchessa Orchidea, in fondo è piuttosto diverso dal trovarsi di fronte a un emulo di Fabrizio Corona, pronto a scivolare nel mondo stregato di Amici, in uno scenario estetico, e filosofico, fatto di lampade Uva e di tatuaggi. - EDMONDO BERSELLI

Statistiche ed immagini

lunedì 15 febbraio 2010

«Made in Chinatown» e il finale del film si sceglierà su Internet

[Corriere della Sera 15/02/2010] MILANO — Un video-viaggio personale e interattivo dentro la comunità cinese di Milano, una delle più vecchie e importanti d'Europa. Si chiama Made in Chinatown ed arriva su Corriere.it lunedì: è il primo esperimento di documentario cross mediale (ovvero fruibile in modi diversi su più piattaforme) fatto in Italia. Il regista Sergio Basso, autore del film Giallo a Milano - presentato con successo al festival di Torino del 2009, nei cinema delle principali città italiane dal 18 febbraio, in Francia da marzo e in dvd dopo l'estate -, ha realizzato, insieme al produttore Alessandro Borrelli della Sarraz Pictures srl, 58 videoclip in esclusiva per Corriere.it: i primi 38 andranno on line lunedì, i rimanenti tra due settimane.

La vita quotidiana della chinatown milanese, i personaggi, i luoghi, le domande «scomode»che ricorrono nella mente degli italiani (e dei cinesi). Ognuno potrà crearsi un percorso interattivo e vedere il film come vuole. Viaggiando liberamente e trasversalmente tra una clip e l'altra: attraverso la mappa di Milano, attraverso i sedici personaggi del docu-web o attraverso gli archetipi che compongono il film. Si potrà far iniziare il proprio documentario cliccando su una via di Milano, spostarsi «geograficamente» per clip attraverso la mappa della città e vederla attraverso i luoghi dove i video sono stati girati. Oppure selezionare l'opzione «personaggi»: dei 16 raccontati in «Made in Chinatown» si potrà seguire l'intera vicenda passando da un clip all'altro attraverso le varie sottostorie in cui ciascuno di loro appare. Oppure ancora si potrà navigare per «temi»: scegliendo il viaggio, la donna, il vegliardo, la guardiana, il guaritore, il giovane eroe, la finzione, il gioco, il ponte, l'uomo adulto o il sacro pezzo di carta si viaggerà in un personale percorso video sul singolo argomento con la possibilità di passare ai clip correlati.

Ogni video è poi integrato, per chi lo voglia, da testi di approfondimento. Due ore di immagini divise in 58 clip da due minuti ciascuno con una veste grafica semplice e efficace: due ore da montare e rimontare come un grande video-puzzle che ognuno può vedere come preferisce. Made in Chinatown è un web documentario con cui approfondire una storia o esplorare i racconti della comunità cinese di Milano attraverso gli occhi dei cinesi stessi, passando per i luoghi in cui le storie sono state raccontate e vissute. «Compresa la Cina dove una parte del film è stato girato», dice Sergio Basso, 35 anni, sinologo, laureato in lingue e letterature orientali a Venezia prima di iscriversi al centro sperimentale cinematografico di Roma e diventare allievo di Gianni Amelio (è stato assistente alla regia de La stella che non c'è girato nel 2005 in Cina). «Se chi naviga si accorgerà di vedere la vita di persone come noi e non quella di una comunità di alieni sarà un successo — prosegue il regista che è partito per la prima volta per la Cina a vent'anni —. Non c'è nessuna comunità a Milano, ci sono 30 mila cinesi in Lombardia che provano a sfangarla, non hanno alcuna preparazione industriale, hanno delle difficoltà e vivono in una realtà con cui si integrano poco. Per non parlare delle seconde generazioni, dei ragazzini nati qui con genitori cinesi che si trovano a cavallo di due culture che non sempre riescono a dialogare». Il film-documentario prende l'avvio dalla guerriglia che scoppiò intorno a via Sarpi, nota come la Chinatown milanese, il 12 aprile 2007 tra trecento cinesi e venti gazzelle della polizia accorse in aiuto dei vigili. Come si è acceso questo astio? È possibile indagarlo e raccontarlo? È vero che la comunità cinese è così chiusa e refrattaria? Made in Chinatown prova a rispondere a queste domande. Col vantaggio che ognuno può provare a trovare la sua risposta.

Iacopo Gori

Journal of Children and Media: Special issue on Children, Media, and Health

Journal of Children and Media: Special issue on Children, Media, and Health
Call for Papers
Media, in various formats, can influence the healthy development of children and adolescents in both positive and negative ways. This special issue of the Journal of Children and Media (JOCAM) will add to the inter-disciplinary literature by providing well-designed studies and theoretical papers exploring whether and how media use affects the physical, mental, and behavioral health of young people.

CMCH Director, Dr. Michael Rich and Dina L.G. Borzekowski, guest editors, invite contributions to a special issue on Children, Media, and Health from a wide range of disciplines, perspectives, theoretical, and methodological approaches.

The guest editors are particularly interested in compiling quality papers that can inform risk assessment, intervention design, and positive media applications aimed at a diversity of populations, technologies and content.

A 300 word abstract, full contact information for the corresponding author, and a biographical note (up to 75 words) on each of the authors should be submitted to Dr. Dina Borzekowski (e-mail below) as an e-mail attachment by no later than March 15, 2010.
Expected publication date is Volume 6 Issue 1, Winter 2012.

For more information:
dborzeko@jhsph.edu
http://www.tandf.co.uk/journals/cfp/rchmcfp1.pdf

International Children's Day of Broadcasting

March 10 2010
January 1 1970


International Children's Day of Broadcasting - 'All Rights All Children'

The International Children’s Day of Broadcasting (ICDB) was created to give exposure to the issue of children’s rights. Over the years, it also has become a day of celebrating young people in the media.

The rights to participation and expression are an integral part of adolescent development. Broadcasters have the chance to empower young people by giving them media skills and putting their voices on the air. This shows other young people that they, too, can have a voice. It also shows the world what young people’s thoughts are about their lives and communities.

On 7 March 2010, UNICEF invites radio and television broadcasters to celebrate the ICDB and highlight programming by, for and about children. The theme is ‘All Rights All Children’.

In honour of the 20th anniversary of the CRC, UNICEF calls for broadcasters around the world to invite young people into the studio and on the air to share their opinions and access their rights to media and expression. Join the network of broadcasters celebrating the ICDB in 2010 and Tune in to Kids!

UNICEF will award the International Children's Day of Broadcasting Award to honor television and radio broadcasters who capture the spirit of the ICDB. The submission process for entries will open directly following the ICDB in spring 2010, when broadcasters will be able to submit their programs from the 2010 International Children's Day of Broadcasting. The deadline will be 15 June 2010.

For more information:
http://www.unicef.org/videoaudio/video_38486.html

Social network. Un sistema ‘made in Italy’ aiuta i genitori ansiosi a monitorare i figli

[KEY4biz 15/02/2010]

Si chiama 'Reputation Manager' ed è stato inventato, in Italia, per quelle aziende che vogliono misurare la propria reputazione e conoscere l’opinione dei consumatori sul web. Ma, da qualche tempo, sta diventando il chiodo fisso di genitori preoccupati sia per le frequentazioni web dei propri figli, sia per le foto e le informazioni che gli adolescenti rilasciano ingenuamente in rete.

“Ci siamo sempre occupati della reputazione delle aziende sul web”, spiega l’ingegner Andrea Barchiesi che ha ideato e realizzato, attraverso l’utilizzo di alcuni sofisticati algoritmi, il sistema che spazza il web. Un valore intangibile, quello della reputazione, ma molto importante e delicato per chi oggi, nell’era del mondo globale e virtuale vuole stare sul mercato. E, soprattutto, avere il polso della situazione dei consumatori, conoscere le loro opinioni, cosa pensano dell`azienda, dei prodotti, dei servizi.

“E’ stato in quest’ambito, prevalentemente rivolto ad aziende, istituzioni e organizzazioni - continua Barchiesi - che ci siamo resi via via conto delle richieste, sempre più numerose, che ci arrivavano dai privati. Meglio: da genitori".

Persone neanche troppo ansiose, padri e madri di adolescenti che frequentano, magari anche in maniera compulsiva, il web e i Social Network.

Barchiesi racconta: “All’inizio non abbiamo dato seguito a questa tematica, focalizzati come siamo sulle aziende. Poi ci siamo resi conto, nell’ottica di una responsabilità sociale che anima il nostro lavoro, che anche noi potevamo fare la nostra parte per rendere la rete più sicura per i minori. Di qui la decisione di studiare un sistema, su misura, che tenesse conto di quelle che sono le specifiche esigenze di un genitore preoccupato delle frequentazioni e degli "amici" virtuali dei propri figli. Ma anche delle informazioni - foto, dati o altro - che, spesso ingenuamente, vengono rilasciate in rete".

Naturalmente non sono questi i rischi che preoccupano principalmente i genitori di adolescenti che vivono una vita parallela sui social network. Il vero rischio sono le foto improprie, i dati personali, spesso i numeri di telefono.

Divenendo così obiettivo preferenziale di chi sulla rete cerca ben altro che una semplice chiacchierata in chat.

"Il nostro sistema è stato dunque pensato per queste specifiche esigenze - conclude Barchiesi – E’ chiaro che se un’azienda è interessata a conoscere il proprio CERR (il cosiddetto Coefficiente Effettivo Rischio Reputazionale), per studiare i rischi innescati dagli adolescenti con i propri profili 'emozionali' seminati sui social network il discorso è leggermente diverso. C’è bisogno, insomma, di un sistema più leggero ed agile. Che spazzi il web velocemente, secondo determinate categorie semantiche. A caccia di foto compromettenti e dati sensibili. Per trovarli e poi rimuoverli. Non per niente i Reputation manager vengono anche chiamati "gli spazzini del web".

Una Web TV fatta da e per i clochards

[Ciaoblog 15/02/2010]

Sta accadendo a Torre Annunziata. Il comune campano ha deciso – in seguito ad una proposta dell’artista multimediale Salavtore Sparavigna – di coinvolgere i senza tetto in un articolato progetto editoriale, il cui culmine consiste – per l’appunto – in una Web TV realizzata da e per i clochards.

Il re-inserimento nel mondo “ordinario” di donne e uomini che – per diverse ragioni – si sono allontanati dalle dinamiche che connettono gli esseri umani alla società in cui vivono, deve partire necessariamente dall’educazione al multimediale. Il nostro mondo è fortemente caratterizzato dalla presenza della Rete, con tutto ciò che essa implica e comporta; per tanto non solo è giusto, ma è necessario relazionarsi ai clochards consegnando nelle loro mani i nuovi mezzi di cui il mondo si serve; perché imparino ad utilizzarli e – magari – a rientrare attraverso di essi nelle dinamiche sociali.

Al giorno d’oggi, non sapere cos’è Internet, come si usa, quali sono le caratteristiche preponderanti del mezzo, equivale ad essere dei disadattati, degli esuli in patria. E non perché sia Internet sia di fondamentale importanza per la sopravvivenza, ma perché non si può prescindere dalla conoscenza del mezzo, così come non si poteva prescindere dalla consapevolezza di cosa fosse il “telefono” dopo la sua invenzione.

A monte di quest’iniziativa, c’è una percorso fotografico – ideato dallo stesso Sparavigna – in risposta ad una provocazione: Se la mia strada fosse stata un’altra?

Negli scatti del fotografo torrese si riconoscono, travestiti da clochards, volti noti della televisione, del teatro, della musica e dello sport napoletano.

Da Rispo a Carpentieri, da Colasurdo a Peppino di Capri, da Rosolino a Gragnianiello, sono in 12 ad essersi prestati a vestire – per qualche ora – i panni di un senza tetto.

Classroom, Ibm porta in Italia la scuola ad alta tecnologia

[Corriere della Sera 14/02/2010] MILANO - Più di quattro miliardi di contratti di telefonia mobile nel mondo, ed era solo il 2008. Si tratta di un numero che vale, ormai, due terzi dell' umanità. E due miliardi, secondo le ultime stime, saranno le persone connesse alla Rete nel 2011. Senza contare, restando ai giorni nostri, il volume dei dati che ogni secondo vengono scambiati su internet: per misurarli, ormai si è arrivati al tera-byte (per l' esattezza, sono sei), vale a dire mille miliardi di byte. E poi? «La tecnologia può ancora dare tanto all' uomo. Non bisogna fermarsi alle banalizzazioni, per esempio pensando che il telefonino serva solo per telefonare, così come un frigo per conservare o una lavatrice per lavare». E' l' opinione di Nicola Ciniero, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia. Basta fare un passo in più, racconta il manager della società Usa, Ciniero, e fare leva sulle mille potenzialità delle interconnessioni. Anche le più semplici. Un esempio? Los Angeles, dove per cercare un parcheggio le auto percorrono in un anno una distanza pari a 38 volte il giro del mondo, consumando 200 mila litri di carburante con l' emissione di 730 tonnellate di anidride carbonica. Una delle risposte? Un sistema che raccoglie i dati (posti liberi disponibili) di tutti i parcheggi, cosicché chi entra in città in auto, dando il via a una semplice connessione, per esempio un cellulare con internet, sa immediatamente dove si trovano i parcheggi liberi più vicini. Senza girare a vuoto per ore. «Molti problemi si risolvono, basta interconnettere», riassume Ciniero, che parla anche di possibili sistemi di collegamento delle tante telecamere su strada, per permettere alla polizia un migliore controllo del territorio. L' idea di fondo dei manager Ibm è di rendere la tecnologia ancora più intelligente, con la formula dello «Smarter planet». «Per noi Smarter planet - ha spiegato il numero uno mondiale del gruppo, Sam Palmisano - significa nuova intelligenza dentro i sistemi e i processi che ci forniscono i servizi, che progettano, costruiscono, comprano e vendono i beni di consumo e che permettono alle cose di muoversi e a miliardi di persone di vivere e lavorare». Smarter planet, tradotto in termini più «a misura d' uomo» significa «smarter town». Con un «asse» tra a amministrazioni locali e multinazionale americana. Come a Reggio Emilia, con l' iniziativa Classroom 2.0: studenti, insegnanti, genitori e aziende potranno scambiarsi su una piattaforma comune informazioni sulle attività di gestione della classe e sui risultati degli alunni. Ma uno dei primi casi europei, tornando al problema di traffico e smog, è quello della capitale svedese, Stoccolma: già dal 2006, con un sistema di transponder Rfid, varchi di accesso, segnali radio, laser e fotocamere digitali, la città ha ridotto del 30-50% i tempi trascorsi in coda e del 40% i gas serra, oltre a incassare ogni anno 50 milioni di euro dai pedaggi. Giovanni Stringa

sabato 13 febbraio 2010

Defensio:suite di sicurezza per Facebook

[internetkey 13/02/2010] Websense da qualche tempo ha lanciato una nuova suite di sicurezza per il Web chiamata Defensio 2.0.

La caratteristica più importante di Defensio 2.0 è quella di avere la capacità di proteggere gli utenti da contenuti pericolosi postati sui loro profili Facebook.

Utilizzando una combinazione di tecnologie, che comprendono URL blocker, filtri, blocco di file eseguibili e blocco di script potenzialmente pericolosi, gli utenti possono configurare il software sulla base delle loro esigenze, decidendo cosa può apparire e cosa deve essere bloccato sui loro profili Facebook.

Oltre ad offrire un sistema di protezione per Facebook, Defensio propone anche la protezione per i Blog di differenti piattaforme comprese Wordpress e Drupal.



Dal sito di Websense:

Tecnologia Defensio
Elimina i commenti indesiderati e il malware dai tuoi contenuti Web

La piattaforma Web Defensio consente ai possessori di siti e agli utenti di impostare criteri di protezione flessibili, accurati e personalizzati contro gli eventuali malware e link malevoli inseriti nei contenuti generati dagli utenti. Inoltre, fornendo dati ricavati dai commenti postati nei blog e in altre applicazioni Web 2.0, Defensio potenzia ulteriormente la tecnologia Websense ThreatSeeker Network e aumenta la copertura garantita da Websense rispetto alle minacce di ogni tipo, potenziando le piattaforme di sicurezza in ambito Web, messaggistica e trasmissione di dati.

In futuro, Websense prevede di estendere le funzionalità di Defensio con l’intelligence derivante dalla tecnologia ThreatSeeker™ Network, in modo da tutelare ancora di più gli utenti contro codici malevoli, phishing e frodi, pubblicati nelle pagine di contenuti generati dagli utenti.

Defensio per uso personale – La piattaforma Defensio per il filtraggio dei commenti spam e del malware è gratuita per uso personale. Defensio si adatta in modo personalizzato ai contenuti dei siti e alle abitudini degli utenti. Quindi due blogger non potranno vedere Defensio reagire allo stesso modo, anche in caso di commenti simili. Un algoritmo in continua evoluzione assicura che gli spammer non abbiano mai la meglio.

Defensio per uso commerciale – La piattaforma Defensio per l’utenza aziendale sarà offerta in versione trial gratuita per sei mesi.

Sviluppatori e Defensio – Websense invita gli sviluppatori che operano in ambiente Web 2.0 ad integrare la potente tecnologia antispam e anti-malware di Defensio nei loro applicativi. Defensio dispone infatti di una pratica API pubblica, semplice da configurare, che riesce a gestire il traffico proveniente da una qualsiasi applicazione in grado di accettare contenuti generati dagli utenti e che potrebbero essere infettati con spam, codici malevoli o contenuti sgradevoli. La perfetta sinergia tra Defensio e Websense fornisce agli sviluppatori di contenuti Web 2.0 ulteriori funzionalità di sicurezza, che consentono di capire al volo se un contenuto è malevolo, indesiderato o riservato, senza dover inserire nulla a livello di codice nelle applicazioni e nei prodotti già programmati.

venerdì 12 febbraio 2010

Diventare Videomaker

Diventare Videomaker
da Citizen report Rai

Il “web2.0” interpreta una nuova tendenza secondo la quale è importante il contenuto, che viene privilegiato rispetto all’appeal grafico tipico della generazione internet recedente; la veste grafica dei siti istituzionali a user experience ridottissima, viene soppiantata dalla pervasività e multicanalità dei nuovi contenuti interattivi e uomocentrici.

Questo non vuol dire però che la forma, soprattutto rispetto al linguaggio video, non sia importante.

E’ anzi indispensabile per garantire una forza maggiore all’originalità di un’idea.

“Diventare Videomaker” è una guida che raccoglie informazioni e consigli pratici su come realizzare un video per il web. Partendo dall’assunto che la maggior parte degli utenti utilizza attrezzature “non professionali” per creare i propri contenuti, questo testo diventa un vero e proprio manuale di istruzioni per ottenere il miglior risultato possibile.

Tutti i videomaker potranno utilizzare i seguenti consigli ottimizzando i tempi di autoproduzione, riducendone i costi e migliorando la forma attraverso la quale il proprio contenuto viene veicolato.

Per iniziare è importante focalizzare l’attenzione su tre punti fondamentali:

  • L'illuminazione
  • Le riprese e i movimenti di camera
  • L'audio

1.L'illuminazione

L'illuminazione è forse il più importante aspetto per ottenere delle immagini nitide e precise. Telecamere molto costose possono permettere risultati ottimali anche con poca luce, ma sia i colori che il “frame rate” (la quantità di fotogrammi al secondo) comunque risentiranno negativamente in ambienti in cui non c'è abbastanza illuminazione.

  • Illuminazione in esterno

Il primo consiglio in tal senso, a costo zero, è quello di eseguire alla luce del sole le proprie riprese. Come un occhio, un obiettivo si trova perfettamente a suo agio quando è giorno e il sole splende nel cielo.

  • Illuminazione in interno

Non tutti i video possono essere ambientati fuori di casa. In interno bisogna utilizzare le proprie luci elettriche illuminando al massimo l'oggetto delle proprie riprese.

E' opportuno:

  1. Usare lampade a filo e non solo luci attaccate al muro cercando di non puntarle sull'obiettivo.
  2. Aumentare l'illuminazione preferendo pareti bianche (che riflettono un po' di luce).
  3. Non utilizzare set troppo ampi (sono difficili da illuminare bene).
  4. Evitare i colori rossi e gli azzurri, sono quelli che creano più problemi di resa nel digitale (ad es. sfondi o indumenti di questi colori).
  5. Se c'è la possibilità di spendere qualche soldo in più, si possono trovare tantissimi tipi di faretti differenti il cui prezzo oscilla da pochi euro ad un centinaio (su ebay ad esempio). La potenza in watt di questi faretti è l'indice della loro qualità. Attenzione perchè servirà anche un supporto (un'asta o stativo).

2.Riprese

Le riprese hanno tantissimi punti di attenzione. Cerchiamo di analizzare i più importanti.

  • a).Le inquadrature
  • b).Gli stacchi
  • c). Lo zoom

a) Le inquadrature

Le inquadrature sono propedeutiche al racconto e bisogna fare molta attenzione a utilizzare quelle giuste alla propria narrazione.

Primo piano

Il primo piano è utile per:

  • Concentrare l’attenzione di chi guarda sulle parole, sui contenuti.
  • Realizzare un'intervista, un video diario, far parlare un personaggio.
  • Dare spazio ad una particolare espressione del volto e dare forza ad un’affermazione.

Il vuoto sopra il soggetto: “L’aria in testa”:

Nei primi piani bisogna fare particolare attenzione a non lasciare troppa “aria in testa”. I capelli dovrebbero essere l'ultimo oggetto presente nell'inquadratura;

E’ consigliabile eliminare “il vuoto” sopra la persona inquadrata. Questa è una svista che caratterizza spesso i video amatoriali. E’ preferibile tagliare una parte di testa (non gli occhi ovviamente), lo fanno anche i grandi registi, piuttosto che lasciare qualcosa di inutile in un'inquadratura narrativa. Si rischia di distogliere l'attenzione dello spettatore che invece deve essere totalmente dedicata alle parole del nostro soggetto.

Mezzo primo piano

Il Mezzo primo piano (MPP) o mezzo busto (MB)

E’ l'inquadratura, tagliata approssimativamente all'altezza del petto.

Si utilizza se:

  1. C'è necessita a livello contestuale di inserire un altro personaggio o un semplice oggetto di cui magari si vogliano far vedere le caratteristiche.
  2. Ci sono due protagonisti (ad es. due persone che parlano o due conduttori di un vlogshow). Sarebbe poco comodo utilizzare degli stringenti primi piani.

Riassumendo:

Se il videomaker, seduto in poltrona, o in un posto all’esterno, o in macchina, vuole raccontare qualcosa mentre svolge un’azione o coinvolge un oggetto, allora bisogna preferire il mezzo busto. Anche qui vale la regola precedente dell' ”aria in testa”.

Panoramica

La Panoramica

Una panoramica è una ripresa realizzata facendo ruotare (o inclinando) una macchina da presa, o una telecamera, sul proprio asse.

Si utilizza una panoramica se:

  • L'attenzione del racconto è concentrata sull'ambiente, che a questo punto diventa protagonista
  • Si riprende un azione che avviene in un contesto specifico(ad es. una corsa in strada o se l'immagine è quella di un cane che gioca con il proprio padrone, verrà naturale cercare di includere tutti i dettagli mobili nella propria inquadratura).

Consiglio:

Ora passiamo a qualche consiglio generale sulle inquadrature da applicarsi in tutti e tre i casi precedenti.

  • Quando riprendete è meglio che la telecamera sia ferma! Chiaramente per ottenere risultati accettabili un cavalletto è importante.

La scelta migliore è un cavalletto non professionale ma comunque “buono”. Potete trovarne di discreti anche spendendo una cifra intorno 40€ (anche di meno; ancora una volta ebay è un ottimo aiuto). Volendo si possono comprare dei “super oggetti” spendendo cifre astronomiche; ci si ritroverebbe con cavalletti telescopci che possono raggiungere altezze incredibile e che hanno una usabilità professionale. Questa è solo una scelta relativa all'ampiezza del vostro portafogli.

  • E’ importante imparare ad utilizzare al meglio i movimenti di macchina.

Rendono fresche e frizzanti le vostre produzioni e possono rappresentare addirittura un campo di imitazione dei vostri lavori. Anche qui però bisogna stare molto attenti. I movimenti devono essere dolci e progressivi. Bisogna cercare di muovere lentamente la camera che, possibilmente, dovrebbe rimanere attaccata al vostro busto, perchè le mani sono troppo veloci. Anche in questo campo i gadget per migliorare il vostro lavoro sono tantissimi: esistono infatti delle versioni amatoriali di steady cam che sono perfette per il video amatore. Dei semplici pesi che si incastrano uno con l'altro trasformandosi in un supporto bilanciato, proprio come le vere steadycam, quelle con cui Kubrick ha trasformato i suoi incubi in realtà in Shining. Chiaramente il risultato non sarà uguale ma la fluidità dei vostri movimenti ne guadagnerà esponenzialmente. Così come il risultato del video.

b) Gli stacchi

Lo stacco è uno “stop” durante una ripresa, paragonabile al battito d’occhi di una persona.

E’ un altro aspetto chiave da tenere in considerazione. Un errore in cui spesso si incorre è di fare stacchi tropo corti. Questo non permette bene alla telecamera di calibrare gli elementi esterni come i colori o come le luci.

E’ importante sapere che:

  • Si deve cercare di non fare stacchi corti, anzi, probabilmente non conviene neanche staccare, soprattutto, pensando ad un montaggio digitale successivo alle riprese.
  • Si può poi eliminare ciò che non serve in fase di montaggio (anche semplice o fatto in casa).

Consiglio:

Per cercare di ottenere un buon risultato il consiglio migliore è quello di pensare a come i propri occhi potrebbero immaginare la stessa scena. Bisogna pensare di non avere in mano una telecamera. Pensiamo alla ripresa di un panorama, per carpire tutti i particolari di un diroccato paese, ad esempio, l'occhio di un osservatore ci impiegherà tempo a saltare da un tetto ad una macchina parcheggiata. Lo stacco deve seguire la stessa logica: deve dare il tempo al fruitore di guardare tutto ciò di cui la scena ha bisogno. Questo problema non sarebbe tale se si utilizzasse una telecamera con supporto, tipo quelle della TV: essendo pesanti e lente quelle macchine non permettono grandi velocità di stacchi o di movimenti. Questo significa che la manegevolezza delle telecamere amatoriale è un arma a doppio taglio: consentono movimenti molto veloci ma si rischia di passare troppo velocemente da un concetto all’altro.

c) Lo Zoom

Lo zoom è un obiettivo complesso la cui lunghezza focale può variare. Viene utilizzato per ingrandire o rimpicciolire le immagini di un’inquadratura.

Nello specifico:

  • Un 4x (si legge 4 per) è un quadruplicare, con 2x si raddoppia e così via. Più è grande il valore massimo di questo numero e più lo zoom è potente.
  • I moderni mezzi di ripresa hanno concesso allo zoom anche una incarnazione “digitale” e non solo una ottica. Questo significa che l'elettronica all'interno della telecamera può ulteriormente ingrandire un immagine oltre il limite dello zoom ottico. Questo si chiama zoom digitale ma non ha assolutamente la qualità di un vero zoom e va usato con la massima parsimonia.

Consiglio:

Lo zoom viene spesso usato troppo dai videoamatori che, per ottenere maggiore spettacolarità per le loro inquadrature, pensano che zoomare in avanti e indietro sia un escamotage valido. Non è assolutamente così, lo zoom rovina un’ inquadratura, spesso e volentieri, e non la esalta. Bisogna proprio allenarsi nell'utilizzo dello zoom e magari evitare proprio di presentare nel prodotto finale il movimento della zoomata e quindi l'ingrandimento. Basta, come al solito, imparare dal cinema dove è difficilissimo vedere una scena che ha una zoomata vera e propria. Di solito ha uno stacco prima dell'avvicinamento del particolare, lo stacco dopo è proprio sul particolare.

3. L’Audio

L'audio rappresenta l'aspetto più difficile da migliorare con l'esperienza.

Per limitare al minimo i rumori di fondo, si possono osservare dei semplici accorgimenti:

  • Parlare frontalmente al microfono e di utilizzare il giusto tono di voce
  • Non lasciare il proprio cellulare acceso.
  • Chiudere finestre e porte se la scena è in interno.

Consiglio:

Per migliorare l'audio la cosa principale è avere una telecamera con un ingresso audio, e, dove possibile, un microfono di buon livello da inserire. Questi modelli però costano molto di più di una telecamera amatoriale.

La qualità dell'audio del proprio filmato dipende quasi esclusivamente dall'attrezzatura a propria disposizione. Le telecamere amatoriali, ad esempio, hanno il microfono incassato nella struttura; questo significa che non riusciranno mai a prendere un audio di ottima qualità, perchè la cassetta e i meccanismi che funzionano all'interno, rumoreggiando, costituiranno sempre un “sottofondo” per le proprie riprese. Le telecamere professionali o semi professionali hanno microfoni di migliore qualità rispetto alle amatoriali.

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