martedì 28 giugno 2011

Addio corsivo, i bambini scrivono solo in stampatello

[TG1online 28/06/2011] ROMA - Una volta la calligrafia era un vanto. Si facevano gare e si riceveva un voto per questo a scuola. Ora, complici tastiere, computer e smartphone, scrivere in corsivo è diventata un'arte in via d'estinzione, un cimelio misterioso per le nuove generazioni, che usano sempre di più lo stampatello e stanno disimparando a scrivere. A rilevare il problema è la rivista della società italiana di pediatria, sulla scorta dell'allarme lanciato nei mesi scorsi da alcuni studiosi americani. Un fenomeno evidente in tutto il mondo. "Quando chiedo in aula di alzare la mano a chi scrive abitualmente in corsivo - spiega Jimmy Bryant, docente della Central Arkansas University - nessuno studente, ormai da anni, risponde e a malapena sanno leggerlo".

COLPA DELLE NUOVE TECNOLOGIE. La colpa è da imputare al fatto che si scrive sempre più con tastiere e smartphone, spesso in stampatello, e al fatto che in molte scuole si dedica sempre meno tempo all'insegnare a scrivere a mano e in corsivo. "In Italia il fenomeno è più limitato e coinvolge soprattutto i ragazzi, che scrivono poco e quando lo fanno, è in stampatello - rileva Alberto Ugazio, presidente della società italiana di pediatria - alle elementari si continua ancora a scrivere e usare il corsivo. Il che da un lato è una fortuna, ma dall'altro dimostra che il pc è scarsamente diffuso nella scuola primaria". A preoccupare non è però tanto uno stile di scrittura o l'altro, precisa Ugazio, ma il fatto che "si scrive sempre meno e in modo più povero, con un vocabolario molto ridotto e una minore complessità di linguaggio. Spesso chi scrive messaggi su pc e telefoni lo fa in modo così modesto che comunica in modo apparente e non reale".

L'IMPORTANZA DEL CORSIVO.
Imparare a scrivere in corsivo "aiuta i bambini a perfezionare le loro capacità motorie - avverte Sandy Schefkind, terapista pediatrica dell'ospedale di Bethesda - la chiave è la destrezza, la fluidità, la capacità di dosare la pressione della penna sul foglio". Non solo. Il corsivo, da sempre, "è stata una fonte di arte e il passaggio allo stampatello - aggiunge Ugazio - significa una perdita di creatività".

Il gap generazionale sul web

[Drepubblica 27/06/2011] Genitori che si preoccupano per le frequentazioni virtuali degli adolescenti, figli che spiegano ai nonni che per tenersi in contatto possono scrivere lettere elettroniche e parlare al computer come fosse una cornetta del telefono (tanto è inutile chiamarli "email" e "Skype"). Scene di vita digitale quotidiana. Alcuni esperti chiamano digital divide generazionale il solco apparentemente incolmabile tra i giovanissimi e le generazioni precedenti. In un recente studio Eurisko si legge che in Italia la fascia di età in cui Internet si diffonde più velocemente è quella dai 14 ai 17 anni. Ma già dai 45 ai 54 anni il dato si dimezza. Nello stesso studio si sottolinea come il divide nelle famiglie italiane è dato anche dal fatto che i genitori sono 1.0, cioè usano il web soprattutto per informarsi, mentre i figli vivono nell'era dei social network: 2, 3, 4.0... E oltre.
Così sembra difficile agli adulti tenere lontani i ragazzi dalla dipendenza tecnologica e dai rischi della rete. Tra i dati della ricerca “Bambini e nuovi media”, condotta nel 2010 per conto della onlus Terre des Hommes, emerge che solo il 18% dei genitori intervistati (con figli tra gli 8 e i 13 anni) ha una buona competenza e consapevolezza dei rischi e delle potenzialità dei nuovi strumenti di comunicazione. E solo questi riescono a dialogare meglio e insegnare ad avere un rapporto equilibrato con i media.
E tutti gli altri, più ansiosi o meno all'avanguardia? Antonella Peschechera, blogger esperta di cultura digitale e mamma di due bambini piccoli, rassicura: «Il mondo online non è diverso da quello “offline”. Se non posso evitare tutti i pericoli che si corrono uscendo da casa, non posso nemmeno essere troppo in ansia per ciò che potrebbe capitare navigando online». Peschechera è intervenuta all'incontro milanese per il portale In famiglia di Vodafone, lanciato a marzo. Una piazza virtuale aperta a tutti, per scambiarsi informazioni sulla gestione della vita multimediale: dalla salvaguardia della privacy (l'argomento più cliccato) al cyberbullismo, passando per i video dei comici Luca e Paolo. «Abbiamo scelto di mettere a fattore comune le nostre competenze, creare uno spazio di dialogo con esperti che risolvano i dubbi degli internauti. E aiutare i giovani a essere consapevoli delle opportunità date dalle tecnologie e dai social network», dice Manlio Costantini, direttore customer operations dell'azienda di telefonia.
E i meno giovani? Come aiutarli a vivere con meno ansie e fobie la spensierata navigazione online dei propri figli?
Ecco alcune regole base per superare il gap generazionale. Dai giovani ai meno giovani... E viceversa.

Con i figli: come aiutarli ad attraversare la strada (digitale)
Come detto dalla blogger Antonella, per insegnare ai figli a navigare su Internet basta ragionare allo stesso modo di quando insegnate loro ad attraversare la strada. In pratica:
1. Siate graduali. Si comincia portandoli per mano nel mondo digitale, con la necessaria pazienza.
2. Fiducia innanzitutto: non si può chiudere al traffico una strada per evitare gli attraversamenti pericolosi. Allo stesso modo imporre divieti nell'utilizzo dei social network o del web in generale non è realistico né produttivo.
3. A ognuno il suo tempo: non c'è un'età giusta per uscire da soli, così come non esiste per essere autonomi nel navigare.

Con gli adulti: è l'hardware che fa la differenza
Insegnare a spedire una mail o utilizzare una tecnologia mai usata prima a un adulto che ha sempre avuto uno stile di vita “analogico” può presentare degli ostacoli. Ma se fosse un problema di confidenza con la “macchina”?
La soluzione è: semplificare. Utilizzando tecnologie più intuitive e immediate, come i touch screen.
«Quando mio padre ha comprato un laptop per imparare da solo a navigare in Internet», racconta Antonella Peschechera, «mi sono resa conto che forse la tastiera e il mouse erano delle barriere».
Così, i tablet come iPad e simili diventano alleati non solo dei professionisti e dei manager, ma anche di chi, saltando il passaggio del computer, accede al web per la prima volta.

La sicurezza non è una priorità del cloud computing

[BitMat 27/06/2011]

Una ricerca di Ca Technologies afferma che i fornitori della nuvola sono concentrati su vantaggi come minori costi e tempi di deployment. Meno sulla security


Fornitori e i fruitori di servizi di cloud computing non sono concordi sulla sicurezza degli ambienti cloud. Una divergenza di vedute su focalizzazione, priorità e responsabilità che potrebbe provocare una situazione di stallo tra fornitori e fruitori di servizi di cloud in materia di sicurezza. Lo afferma una ricerca di Ca Technologies e Ponemon Institute.

Lo studio, intitolato 'Security of Cloud Computing Providers', ha rivelato che i fornitori di servizi cloud si impegnano ad aiutare i loro clienti a ottenere vantaggi come minori costi e tempi di deployment – i due motivi più citati per la migrazione al cloud computing – più che a garantire la sicurezza dei servizi erogati.

La maggior parte (79%) dei fornitori di servizi di cloud computing stanzia al massimo il 10% delle risorse It per la security o per attività associate al controllo. Questo dato è in linea con un altro risultato, sempre emerso dal sondaggio, secondo solo meno della metà dei soggetti intervistati è d’accordo o fermamente convinta che la sicurezza sia una questione prioritaria.

'L’attenzione dedicata ai minori costi e ai tempi abbreviati di deployment può anche essere momentaneamente sufficiente per i fornitori di servizi di cloud computing, però, man mano che rimarranno da migrare in cloud solamente dati e applicazioni sempre più critici, le organizzazioni entreranno in un’impasse' è l'opinione di Mike Denning, general manager for Security di Ca. 'Se i rischi in termini di sicurezza superano le potenzialità di risparmio e agilità, potremo raggiungere un punto di stallo caratterizzato dall’arresto o rallentamento nell’adozione degli ambienti cloud, finché le organizzazioni non si convinceranno che la necessità di sicurezza nell’ambiente cloud è uguale o superiore a quella dell’ambiente enterprise'.

Dallo studio è emerso che meno del 20% dei fornitori di servizi cloud negli Stati Uniti e in Europa considera la security un vantaggio competitivo. Meno del 30% dei soggetti intervistati pensa che la security sia una responsabilità importante. Il 27% ritiene che i propri servizi cloud proteggano e tutelino in maniera concreta la sicurezza delle informazioni dei clienti.

La maggioranza (69%) dei fornitori di servizi di cloud computing ritiene che la security ricada essenzialmente sotto la responsabilità del fruitore, rispetto al 35% dei fruitori di servizi cloud che la pensa allo stesso modo. Solo il 16% dei fornitori di servizi cloud, contro il 33% degli utenti, crede che la sicurezza sia un onere da condividere. Il 32% dei fornitori e fruitori di servizi di cloud computing ritiene che sia materia di competenza del fornitore.

I fornitori e i fruitori dei servizi di cloud computing hanno espresso ampie divergenze d’opinioni circa il livello di rischio nel far circolare la proprietà intellettuale negli ambienti cloud: il 68% degli utenti, contro il 42% dei fornitori, ha risposto che sarebbe troppo rischioso tenere la proprietà intellettuale nella cloud.

'Considerate le perplessità emerse nel sondaggio in merito ai potenziali rischi cui verrebbero esposte nella cloud le informazioni aziendali sensibili e confidenziali, riteniamo che presto gli utenti delle soluzioni di cloud computing reclameranno sistemi dotati di una maggiore sicurezza' ha dichiarato Larry Ponemon, chairman e fondatore del Ponemon Institute. 'Finché ciò non accadrà, però, gli utenti del cloud computing dovranno rendersi conto che tocca a loro valutare i rischi prima di migrare a un ambiente cloud, vagliando accuratamente i potenziali fornitori e le rispettive applicazioni e infrastrutture per capire se sono in grado di tutelare le informazioni. Infine, sia i fruitori che i fornitori di servizi di cloud computing dovranno essere consci di quanto sia importante la corresponsabilità reciproca per la creazione di un ambiente elaborativo sicuro'.

domenica 26 giugno 2011

Minori e Social Network: la Ue promuove MySpace

[IlSole24Ore 22/06/2011] Bebo e MySpace: sono solo due i siti di social network le cui impostazioni di base sono tali da impedire l'accesso dei profili dei minori da parte di utenti estranei ed esterni alla cechia dei loro contatti.
A questi due siti si aggiungono poi anche Netlog e SchuelerVZ, che come Bebo a MySpace di default prevedono che i minori possano essere contattati solo dai loro amici.

Sono questi i dati più interessanti di una relazione della Commissione Europea sul livello di attuazione dei principi stabiliti nel 2009 dall'Unione per un utilizzo più sicuro dei social network da parte dei minori e al momento sottoscritto da 21 aziende.

La Commissione ha analizzato 14 siti di social networking, Arto, Bebo, Facebook, Giovani.it, Hyves, Myspace, Nasza-klaza.pl, Netlog, One.lt, Rate.ee, SchülerVZ, IRC Galleria, Tuenti e Zap.lu., constatando che su quasi tutti i siti oggetto di questa relazione, sono presenti informazioni sulla sicurezza, punti di accesso ai servizi di assistenza, materiale informativo indirizzato ai minori e presentati con un linguaggio adeguato alla giovane età dell'utenza. Parimenti, gli stessi servizi di assistenza in 10 casi su 14 rispondono alle richieste degli tenti in tempi anche inferiori a un giorno.
Dati positivi e migliorativi rispetto alla situazione di un anno fa.
Positivo è anche il fatto che 9 dei 14 siti esaminati (Arto, Bebo, Facebook, Giovani, Hyves, Netlog, One, Rate e SchuelerVZ) hanno sviluppato una versione semplificata e più comprensibile delle condizioni di uso o del codice di condotta.

I nodi vengono al pettine quando si arriva ai profili e alla privacy.
Perché se è vero che la maggior parte dei siti impedisce l'accesso ai profili di minori da motori di ricerca esterni, ben dieci siti su 14 consentono agli “amici degli amici” di entrare in contatto con i minori, sia via messaggi personali, sia commentando le foto nelle quali sono taggati.

Proprio l'aspetto legato alla possibilità di taggare le immagini è quello che maggiormente impensierisce Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione europea responsabile dell'Agenda digitale: questa opzione rende semplice la ricerca delle immagini online e, in assenza di filtri specifici per i minori, li espone a rischi di adescamento o cyber bullismo.

Ed è la stessa Neelie Kroes che si assume un preciso impegno di sensibilizzazione presso i siti di socializzazione in rete, ” nell'ambito della revisione del quadro di autoregolamentazione attualmente in discussione”

L'attenzione da parte della Commissione alle tematiche relative ai minori e alla rete nasce da pochi ma chiari dati di fatto: il 77% dei ragazzi tra i 13 e i 16 anni e il 38% dei bambini tra i 9 e i 12 anni che utilizzano internet naviga sui siti di social networking, mentre il 56% dei bambini tra gli 11 e i 12 anni e il 78% dei ragazzi tra i 15 e i 16 anni sostiene di sapere come modificare le impostazioni sulla privacy del proprio profilo di social network.

Social network di quartiere: OhSoWe e NeighborGoods

[NinjaMarketing 22/06/2011] Anche per chi vive lungo lo stesso isolato, comunicare online può risultare decisamente più comodo. Nascono così piattaforme dedicate alle pratiche di social networking tra vicini di casa e persone che vivono nella stessa area. Noi di Ninja Marketing vi abbiamo già parlato di EveryBlock, social lanciato da MSNBC.com, realtà operativa nel settore del giornalismo online.

Oggi vorremmo parlarvi di due nuovi social network nati negli Stati Uniti, OhSoWe e NeighborGoods. Entrambi sono accomunati da un’idea di fondo molto semplice: quante volte ci capita di avere bisogno di oggetti o strumenti che adoperiamo solo per poco tempo? E quanti invece giacciono inutilizzati nelle nostre cantine o soffitte? Allora, perché non metterli a disposizione di tutto il vicinato?

Condividere l’uso di alcuni oggetti può aiutare a risparmiare denaro, risorse e può contribuire a rafforzare i legami di quartiere: partendo da questi presupposti, NeighborGoods offre uno spazio virtuale in cui è possibile proporre gli articoli che si ha intenzione di mettere a disposizione della comunità e, viceversa, trovare quelli di cui si ha bisogno, classificati in base alla categoria merceologica cui appartengono e la zona geografica in cui è possibile reperirli. Si tratta, sempre e comunque, di un prestito, e i proprietari dei vari utensili possono decidere se fornirli gratuitamente o farsi pagare una somma, se condividerli solo con i propri conoscenti oppure tutta la comunità. Gli utenti possono inoltre creare dei gruppi dedicati (pubblici o privati), operazione, questa, per cui NeighborGoods richiede il pagamento di una somma che va dai 6 ai 36$ mensili. L’iscrizione alla community è invece assolutamente gratuita.

Marianna Notarangelo

Social network nel mirino dell'Ue: "insicuri per i minori"

[La Stampa 22/06/2011] BRUXELLES
I siti di social network come Facebook non fanno abbastanza per proteggere i bambini e i ragazzi da pericoli potenziali come la pedofilia o il bullismo online. L’allarme arriva da un’inchiesta condotta per conto della Commissione Ue: su 14 siti posti sotto osservazione, solo due - Bebo e MySpace - assicurano i controlli necessari per assicurarsi che estranei non possano accedere ai profili.

«Sono deluso dal fatto che il maggior numero dei social network non riesca a garantire che i profili dei minori siano accessibili soltanto dai contatti approvati per default», ha detto il vice-presidente della Commissione Ue, Neelie Kroes. Secondo le autorità di Bruxelles, il numero dei minori che usano Internet e si iscrivono ai social network sta crescendo (attualmente, è il 77 per cento del ragazzini tra i 13 e i 16 anni; il 38 per cento di quelli 9-12). Kroes ha assicurato che esorterà i le aziende proprietarie dei siti ad apportare le modifiche al «quadro di auto-regolamentazione» in discussione.

«Non si tratta solo di proteggere i minori da contatti non voluti ma anche di proteggere la loro reputazione online: i giovani non comprendono appieno le conseguenze del rivelare troppo della loro vita personale on-line». Particolarmente preoccupante la pratica del «tagging» delle immagini delle persone, che aumenta il rischio del cyber-bullismo, secondo l’esecutivo Ue.

Facebook è già nel mirino degli organismi di controllo europei sulla privacy per la sua tecnologia di riconoscimento facciale, che suggerisce i nomi per le persone nelle fotografie appena caricate sul sito. I test, condotti intorno alla fine dell’anno, hanno riguardato Arto, Bebo, Facebook, Giovani.it, Hyves, Myspace, Nasza-klaza.pl, Netlog, One.lt, Rate.ee, SchulerVZ, Irc Galleria, Tuenti e Zap.lu.

La Commissione ha apprezzato il fatto che 12 dei siti rendano impossibile trovare il profilo di un ragazzino attraverso i motori di ricerca come Yahoo e Google (un passo avanti rispetto ai sei siti di due anni fa). La Commissione ha aggiunto che quest’anno saranno testati altri nove siti che hanno firmato un codice di autoregolamentazione. Tra l’altro, un’indagine Ue quest’anno ha rivelato che poco più della metà dei bambini di 11-12 anni sapeva come cambiare le impostazioni di privacy.

L’anonimato è morto: il Web 2.0 è più forte

[oneweb2.0 21/06/2011]

Negli anni Novanta, agli albori dell’Internet di massa, andava di moda la battuta sul cane: chiunque può spacciarsi per chiunque grazie all’anonimato. Ma oggi è ancora così? Forse l’anonimato è la vera vittima sacrificale del Web 2.0.

Gli ultimi due episodi sono davvero emblematici: il bacio di Vancouver e il caso Amina. Nel primo caso, una coppia è stata immortalata accidentalmente da un fotografo free lance durante degli scontri fra polizia e ultrà della squadra locale di hockey. Un fermo immagine che ha catturato l’attenzione di milioni di internauti, che hanno scatenato una vera caccia per individuare i due protagonisti.

Risultato? In due soli giorni sono stati individuati e sono finiti al Today Show. La kissing couple è passata in pochissimo tempo da trend topic su Twitter a coppia in carne e ossa sui network. E qualcuno già parla di social-orientamento delle notizie. Ma anche di una nuova, inquietante forma di mobbing.

Il fake della blogger Amina è ancora più eclatante. Per alcuni giorni i media di tutto il mondo si sono occupati di questa blogger siriana omosessuale, rapita dalla polizia, basandosi sulle notizie pubblicate da un blogger, Tom MacMaster, americano 40enne che si occupa da tempo di questioni mediorientali. Qualche tempo dopo, lo stesso MacMaster ha confessato sul suo blog di essersi inventato tutto: Amina era lui.

Amina, il caso su Repubblica

Fine della storia? Soltanto una burla? Non proprio: se un gruppo sempre più grande di blogger e semplici curiosi (insospettiti da alcune contraddizioni dei testi) non avesse cominciato a indagare e raccogliere notizie, la burla sarebbe continuata. Invece, messo alle strette dopo un’operazione di riscontro delle fonti che nessuna redazione sarebbe stata in grado di mettere in campo, il blogger ha dovuto ammettere di avere creato una identità falsa.

Ecco la differenza rispetto al passato: l’intelligenza collettiva del Web 2.0 sembra essersi concentrata, tra le tante cose che sa fare, anche nella volontà di sbugiardare i falsi e di riscontrare le fonti. Non solo crowd guerriglia, come anche in Italia alle ultime elezioni, ma anche una fortissima abilità a buttare giù le maschere.

Gli esperti cominciano a parlare di “erosione dell’anonimato”, un prodotto della pervasiva presenza dei social network, che hanno stimolato la vendita di device come smartphone e tablet, che a loro volta hanno contribuito a modificare nella testa di moltissime persone l’idea di ciò che dovrebbe essere pubblico e ciò che dovrebbe essere privato.

Naturalmente è Facebook, che pretende, di fatto, identità reali, ad aver accelerato in pochi anni questo cambiamento. Susan Crawford, docente ed esperta di leggi sulla privacy, ha così commentato questi ultimi episodi:

“Le persone non desiderano altro che essere connesse, le aziende, dal canto loro, vogliono sapere chi sta dicendo cosa e dove e cosa gli piace. Come risultato, non siamo mai stati tanto conosciuti come oggi. L’anonimato è praticamente morto.”


Marco Viviani

I “brain games” funzionano: allenano il cervello, anche da bambini

[La Stampa 20/06/2011] Secondo uno studio pubblicato su PNASProceding of the National Academy of Sciences – I cosiddetti brain games funzionano davvero per allenare il cervello e migliorare le capacità di ragionamento e di risoluzione dei problemi. E gli effetti durano almeno per i tre mesi successivi

Lo studio in questione è stato condotto dai ricercatori dell’Università del Michigan ad Ann Arbor (Usa) con l’intento di valutare se e come l’esercizio mentale quotidiano permetta di incrementare acume e intelligenza. Gli psicologi Susanne Jaeggi, Martin Buschkuehl, John Jonides e Priti Shah hanno reclutato un gruppo di ragazzi di età compresa tra gli 8 e i 9 anni e li hanno sottoposti a una serie di test che prevedevano l’utilizzo di un videogioco “intelligente”. I ragazzini sono stati suddivisi in due gruppi e poi invitati a giocare per 15 minuti al giorno, cinque giorni alla settimana per un mese, ai brain games. Metà di questi erano stati appositamente studiati per la memoria che dà modo al cervello d’immagazzinare informazioni mentre è impegnato a risolvere un problema. L’altra metà, invece, era stata studiata per esercitare il vocabolario e testare la cultura generale.

«Le differenze individuali nel campo della formazione hanno influenzato le prestazioni dei bambini nei test di intelligenza», ha commenato Jaeggi, suggerendo così che i risultati dei test sono stati variabili e differivano da bambino a bambino, come era presumibile. Tuttavia suffragano la tesi che l’allenamento del cervello funziona come per l’allenamento dei muscoli del corpo: più li alleni più si sviluppano e aumentano le performance.
I bambini poi che si sono allenati con i brain games hanno mostrato di essere in grado, ancora 3 mesi dopo i test, di superare con risultati migliori i test sul ragionamento astratto e sulla capacità di risolvere problemi, che non i ragazzini che avevano giocato a quelli con l’esercitazione sul vocabolario e la cultura generale.

Concludendo, i ricercatori ritengono che questo studio possa essere d’utilità nello studio dei trattamenti per i bambini con deficit di attenzione, memoria e lavoro mentale.
[lm&sdp]

giovedì 16 giugno 2011

Pena di morte digitale

[Lettera43 16/06/2011]

I critici non hanno dubbi. La bozza della delibera (la 668/2010) dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è una mina da disinnescare al più presto, perché mette a repentaglio la sopravvivenza di migliaia di siti.
«È la più forte minaccia alla libertà di espressione in Rete che sia mai stata fatta in Italia», sostiene Fulvio Sarzana, avvocato e curatore del Libro bianco su diritti d'autore e diritti fondamentali nella Rete internet. Per Sarzana, infatti, la bozza della delibera potrebbe «decretare la pena di morte digitale di centinaia di migliaia di siti».
TESTO DEFINITIVO ENTRO FINE MESE. La versione provvisoria del regolamento è stata rilasciata a dicembre 2010, e al momento non vi sono indicazioni ufficiali sull'approvazione di un testo definitivo. Ma secondo le fonti di Lettera43.it, è lecito ipotizzare la presentazione del progetto compiuto entro fine giugno.
Un rapido passaggio in consiglio di amministrazione Agcom, la pubblicazione entro 60 giorni in Gazzetta ufficiale e il testo sarà in vigore. «Cioè verso Ferragosto», ironizza Marco Scialdone, uno degli avvocati che ha proposto l'appello all'Authority «affinché effettui una moratoria sulla nuova regolamentazione sul diritto d'autore», come recita il testo consultabile su Sitononraggiungibile.e-policy.it.

La procedura della rimozione dei contenuti

Il nome del sito non è stato scelto a caso. Perché i siti potrebbero essere resi non raggiungibili tramite un sistema di cancellazione e inibizione degli indirizzi anche solo «sospettati», accusano i detrattori, di violare il diritto d'autore. Una procedura che, in gergo, si chiama notice and take down.
Secondo la delibera Agcom, se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere.
CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all'Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l'avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l'Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti.
Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l'allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».

«Ma la competenza è dell'autorità giudiziaria»

Tutto chiaro? Niente affatto. I critici, infatti ritengono che l'Authority rischi di finire travolta dalle segnalazioni. La richiesta di moratoria promossa da Adiconsum, Agorà digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio e dallo studio legale Sarzana, è poi chiara su un'altra criticità: «L'intera procedura» si svolge «senza alcuna forma di consultazione o interazione con l'Autorità giudiziaria».
UNA DELIBERA ANTICOSTITUZIONALE. Violando così, attacca Sarzana, «i principi costituzionali di riparto dei poteri, perché l'Agcom interverrebbe in un settore riservato da un lato al parlamento», cioè introducendo «nuove forme di repressione delle violazioni del diritto d'autore», e dall'altro «all'ambito giudiziario».
Solo a quest'ultimo, argomenta l'avvocato, e non all'Authority, spetta decidere come un soggetto possa essere chiamato a rispondere di violazioni del copyright. Per questo i detrattori della delibera affermano che sia sufficiente il «sospetto» di una violazione: «Perché non si capisce chi giudica», afferma Scialdone, «e se il giudizio sia sommario e quantitativo oppure sia necessario che un determinato sito sia integralmente in violazione del diritto d'autore».
DAL DIRITTO D'AUTORE ALLA CENSURA. Incostituzionale, dunque, e tanto più grave quanto si ricorda, come fa Scialdone, che «l'Agcom è una autorità nominata dal parlamento, ed è dunque espressione di una autorità politica». Insomma, l'impressione è che il diritto d'autore «sia usato come grimaldello», dice Sarzana, per censurare contenuti scomodi.
Del resto, che si tratti di una vicenda eminentemente politica si deduce dal fatto che il suo originario relatore, il consigliere Nicola D'Angelo, è stato rimosso dal ruolo per aver manifestato delle perplessità. E sostituito da Sebastiano Sortino, ex presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg). Senza contare che la delibera è di fatto una costola del criticatissimo decreto Romani, che reca la firma dell'attuale ministro dello Sviluppo economico.
È forte, dunque, la sensazione che il provvedimento abbia un preciso mandante politico: il governo in carica. E che quest'ultimo, a sua volta, sia stato fortemente influenzato dalle richieste dell'industria dell'intrattenimento.

«Meno accesso per i cittadini a risorse estere»

Ma le critiche si concentrano sulle conseguenze di una simile normativa per i cittadini. «A parte l'equiparazione, molto sciocca, tra diritto d'autore e pedofilia», attacca Sarzana, «l'effetto è impedire ai cittadini italiani di avere accesso a determinate risorse estere». E «senza che lo sappiano», aggiunge.
L'avvocato ricorre a una metafora: «È come se entrassero in una biblioteca e scoprissero che mancano alcuni libri. Al loro posto, un cartello con scritto: 'Qualcuno si è lamentato che questo libro violava i diritti d'autore e non c'è più'».
OBIETTIVO: ARGINARE I DOWNLOAD. La conseguenza è chiara: «Si sta isolando il nostro Paese, e tutto questo per chiudere quattro o cinque siti». Le associazioni annunciano ricorso al Tar non appena il testo definitivo della delibera sarà approvato.
Su Avaaz.org le firme raccolte per chiedere all'Agcom di «rimettere la questione al parlamento, come prevede la nostra Costituzione», sono 64.500. Eppure la mobilitazione in Rete e da parte delle opposizioni è stata sommessa rispetto alle levate di scudi contro il comma «ammazza-blog» del disegno di legge Alfano, il decreto Pisanu (che limitava la diffusione del Wi-fi libero) e lo stesso decreto Romani.
Come mai? «L'obiettivo è evitare che la gente scarichi musica e film da Internet», risponde Sarzana, «e chi vuole raggiungerlo è molto forte. In termini di potere e di voti di determinate categorie, interessa non solo a chi è al governo».
IL PLACET DI FIMI. Intanto il cammino della delibera prosegue indisturbato, con il placet di Fimi, Confindustria cultura e del presidente Agcom, Corrado Calabrò. E perfino del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Che, dopo aver definito internet «strumento di democrazia» e difeso la libertà di espressione sul web, introducendo la relazione dell'Authority alla Camera, si è limitato ad affermare che la riforma complessiva del diritto d'autore spetta al parlamento, anche se per il momento l'Agcom è autorizzata a proseguire il lavoro.

La replica: «Propaganda e disinformazione»

I commissari Agcom Stefano Martusciello e Stefano Mannoni, in un intervento su Milano Finanza, hanno replicato definendo i critici delle delibera degli «arruffapopolo che indulgono in tirate di propaganda e disinformazione» che hanno prodotto «una sbornia di demagogia e di pressappochismo». Aggiugendo, inoltre, di essere al contrario al lavoro per «impedire» che il web diventi un «laboratorio» per la censura.
PER I COMMISSARI AGCOM, ARGOMENTAZIONI DEBOLI. «Sarebbe davvero curioso», hanno proseguito, «che una conquista della modernità giuridica, alla base della fortuna e dell'economia e dell'inventiva europea fosse ipotecata a cuor leggero in nome di una chiamata alle armi dei moderni pirati dei Caraibi». E le critiche? «Gli argomenti farebbero arrossire uno studente al secondo anno di Giurisprudenza».
Quanto al merito delle critiche, Martusciello e Mannoni credono che «la riserva di legge sia pienamente rispettata da un quadro di fonti che conferisce all'autorità amministrativa ampio titolo per adottare provvedimenti inibitori efficace». Inoltre, secondo i commissari «la riserva di giurisdizione è rispettata dalla possibilità di chiunque di impugnare i provvedimenti davanti al giudice amministrativo».

Fabio Chiusi

Dopo la pensione, si comincia a navigare

[West 14/06/2011] “Quanti amici hai su Facebook?” classica domanda da teenager. Ma nessuna sorpresa se tra non molto saranno i nonni inglesi a rivolgerla ai loro nipoti. Fare del Regno Unito la prima nazione al mondo dove tutta la popolazione sia in grado di utilizzare internet é infatti l’ambizioso progetto della campagna governativa Race Online 2012. Un’impresa a dir poco difficile. Visto che, secondo le ultime stime, ben 9 milioni di adulti non conoscono la rete o non possiedono un computer. Tra questi la maggioranza ha più di 65 anni. Per ridurre il gap digitale, l’esecutivo di Sua Maestà ha deciso di agire su due fronti. Il primo punta ad offrire agli over-65 che percepiscono un sussidio statale un computer al prezzo di 150 sterline. Il secondo agisce sul piano della formazione. Gli anziani saranno affiancati da giovani esperti che sveleranno loro i segreti del web 2.0. Non si tratta dell’ennesima trovata per affermare un qualche primato british, ma più semplicemente dell’indiscutibile constatazione che l’online può di certo migliorare la qualità della vita di quella fascia di popolazione, ormai in età pensionabile, destinata a diventare sempre più numerosa.

Allegati

Rapporto

martedì 14 giugno 2011

La mappa dei social network

[Vincosblog 13/06/2011] Come ogni semestre è tempo di dare un’occhiata alla situazione dei social network nel mondo. Vai al sito di Vincenzo Cosenza

Francia vietato pronunciare le parole “Facebook” e “Twitter” in tv: “E’ pubblicità”

[Il fatto quotidiano 10/06/2011] In Francia c’è il divieto di pronunciare le parole “Facebook “ e “Twitter” in televisione e alla radio. Il motivo? A quanto pare si tratterebbe di “pubblicità occulta”, almeno secondo il Conseil supérieur de l’audiovisuel (Csa), l’equivalente d’oltralpe della nostra Authority per le comunicazioni.

Difficile da credere, ma la fonte è ufficiale. In una nota del Csa si legge che «rimandare i telespettatori o gli ascoltatori alla pagina Facebook o Twitter della trasmissione costituisce a tutti gli effetti una comunicazione pubblicitaria». Lo spiega meglio Christine Kelly, portavoce del Csa: “Perché dare preferenza a Facebook, che vale già miliardi di dollari, mentre ci sono altri social network che stanno lottando per emergere? Si tratterebbe di una distorsione della competizione”.

Qualcuno fa notare che Facebook e Twitter, solo il primo con oltre 20 milioni di utenti in Francia, non hanno alcun bisogno di questo tipo di pubblicità. E la decisione ha colto di sorpresa soprattutto il mondo giornalistico, principale destinatario della nuova norma. I nomi dei due social network potranno essere pronunciati soltanto all’interno di una notizia di cronaca che li riguardi, ma ogni rimando alla pagina ufficiale di una trasmissione o emissione radio sarà severamente sanzionato. Occhi puntati soprattutto sulle trasmissioni informative di Tf1, France 2 e France 3 (l’equivalente della nostra Rai), dove probabilmente all’inizio bisognerà ricorrere al Bip.

Secondo Pierre Haski del sito d’informazione Rue89, questa decisione «non provocherà altro che le risate del mondo anglosassone di fronte al villaggio d’Astérix (regno delle favole, ndr) della Francia». La decisione sembra infatti l’ennesimo capitolo della guerra alle parole straniere portata avanti con non poco sciovinismo dalla Francia. Si pensi che nel 2003 il Ministro alla cultura aveva deciso la sostituzione nei documenti ufficiali della parola «e-mail» con la più nazionalista «courriel», il tutto per «frenare l’invasione degli inglesismi nella nostra bella lingua». D’altronde in francese «computer» si dice «ordinateur», «prendere un drink» si dice «prendre un verre» e «check in» diventa «enregistrement».

Secondo Haski si può leggere nella decisione del Csa «un fondo di velato anti-americanismo di fronte a due successi del web che vengono d’oltre oceano». Alla faccia di Marc Zuckerberg, il papà di Facebook, recentemente ricevuto addirittura da Nicolas Sarkozy all’Eliseo, che proprio su Facebook vanta più di 400mila amici.

Insomma, come ha commentato l’Huffington Post si tratta della “solita abitudine gallica di voler regolare tutto” e della “battaglia dell’Académie française per francesizzare il vocabolario straniero”.

Il risultato è ben riassunto da Matthew Fraser, noto blogger canadese-inglese residente in Francia: «Per noi stranieri si tratta del paradosso incomprensibile della società della joie de vivre (gioia di vivere, ndr) in preda a una cultura burocratica e opprimente fatta di decreti e codici al limite delle peggiori derive kafkiane».

giovedì 9 giugno 2011

Filtri navigazione sicura bambini: parental control di Stato

[Webmasterpoint 08/06/2011] l governo britannico è sul punto di approvare una serie di misure per mettere i più piccoli al riparo dai messaggi violenti o con espliciti riferimenti sessuali. Stretta anche sul web. In arrivo il pulsante per oscurare i siti?

Lasciate che i bambini siano bambini. Con questo slogan David Cameron lancia la sua campagna di provvedimenti in difesa dei più piccoli. Da una parte li vuole mettere al riparo dalla diffusione senza filtri della pornografia in Rete. Dall’altra intende intervenire anche sui media più tradizionali, come gli spot televisivi, impedendo la trasmissione di programmi con immagini violente o di natura sessuale in determinate fasce orarie.Anticipata dal quotidiano britannico The Guardian, la stretta di Cameron prevede il coinvolgimento degli Internet Service Provider nella fase di monitoraggio del web e dei contenuti online. Potrebbe anche essere reso obbligatorio il pulsante del parental control affinché con un semplice click i genitori possano facilmente oscurare siti ritenuti poco idonei per i bambini.

L’allarme sulle trappole nel web era stata già lanciato da Reg Bailey, a capo del sodalizio religioso Mother’s Union attraverso la nota Independent Review of the Commercialisation and Sexualisation of Childhood. A questa denuncia si erano aggiunte altre lamentele di genitori britannici, in tante occasioni coalizzati fra di loro contro la facilità di accesso ai siti hardcore.

Il primo ministro inglese ha deciso di intervenire anche sulla cartellonistica pubblicitaria che, nei pressi di scuole e asili, non dovrà fare riferimento al sesso. E ancora, le riviste per adulti andranno collocate negli scaffali più alti al riparo da tutti gli sguardi.

Autore: Fabio Lepre

mercoledì 8 giugno 2011

Dipendenza dal Web, un libro aiuta i genitori "pre-digitali"

[La Stampa 06/06/2011] La dipendenza da Internet è una malattia nuova, destinata a crescere in parallelo allo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate. Un mondo con il quale misurarsi, cogliendone le opportunità e cercando anche di prevenirne i rischi. Ma è vero che il Web può danneggiare il cervello dei nostri figli? E quando bisogna staccare la spina del pc? A rispondere a queste e altre domande che sempre più spesso tanti genitori rivolgono ad esperti e psichiatri, è Federico Tonioni, nel libro «Quando Internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere» (Einaudi, pp. 214, euro 14,50).

L’autore, dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e tossicodipendenze del Policlinico Gemelli, in questo volume spiega le patologie che, soprattutto nel mondo degli adolescenti, sono legate alla diffusione di Internet. Queste pagine sono anche uno strumento per aiutare i genitori che, appartenendo a generazioni "pre-digitali", spesso non sono abituati a navigare in rete, e si scoprono impreparati alla comprensione dei disturbi che il mondo del Web può arrecare ai loro figli.

Sotto i riflettori finisce anche dimensione online del gioco d’azzardo e dei siti per adulti, patologie compulsive che coinvolgono persone di ogni età. «Ho avuto modo di ascoltare e condividere storie sofferte -spiega Tonioni- rivelazioni sconcertanti, idee deliranti. Ho imparato che chi manifesta una dipendenza patologica non vuole soffrire per forza ma vuole soffrire di meno. E che la droga per il tossicodipendente, come la cioccolata per la bulimica o il video poker per il giocatore d’azzardo, non sono desideri ma bisogni, che a volte travalicano la forza di volontà e la logica del pensiero».

Il volume passa in rassegna tutto il mondo di Internet: si va dai giochi di ruolo online ai social network, dal gioco d’azzardo on line ai siti per adulti. Ma si analizza anche la dipendenza da internet, descrivendo come cogliere i primi segnali di allarme, passando per la storia di ragazzi che si misurano ogni giorno con un mondo che «può sorprenderci da un momento all’altro perchè non ha confini e nessuno lo possiede del tutto». Inevitabile che stare davanti a un pc sottragga tempo alle relazioni vissute in famiglia.

«Ho ascoltato la mamma di una ragazza pronta a rompere il computer di sua figlia pur di tornare la sera a vedere un film tutti insieme -scrive Tonioni- o un papà che ha regalato a suo figlio, appena adolescente, una motocicletta in cambio della promessa, ovviamente non mantenuta, di diminuire il tempo trascorso su Internet». Ma ci sono anche genitori che, celandosi dietro nickname, contattano i figli su Facebook per conoscere e capire chi fossero veramente i loro amici.

Sul versante dei numeri, gli italiani on line sono passati da circa 13 milioni nel 2.000 a oltre 30 milioni nel 2.010, con una crescita di più del 50 per cento in soli dieci anni. Internet ha creato il «paradosso» di darci in tempo reale informazioni da ogni parte del mondo «e allo stesso modo di generare un sentimento di estraneità rispetto alla vita autenticamente vissuta».

Il fenomeno di riprendersi o essere ripresi con il cellulare o la webcam, con il fine di essere visibili agli altri attraverso la rete, è molto sviluppato e di moda. Anzi, «sembra essere un modo nuovo -rimarca Tonioni- per affermare e a volte ricercare la propria identità e il proprio diritto di esserci nel mondo. In altri termini: se sto su Internet esistò. Manifestazioni simile a quella delle scritte sui muri che si trovano in ogni città, segnali di presenza o di possibile malessere, che comunque sia, dovrebbero essere recepiti dagli adulti».

In molti casi, il dipendente da internet non usa il computer come uno strumento capace di ottimizzare le attività della vita, del lavoro o della scuola ma «come la soluzione a problemi spesso seri, che vengono aggirati ma non risolti». Navigando per ore e ore ci si allontana il più possibile dalla terra ferma, quasi senza accorgersene, come impigliati in una rete, attratti da «qualcosa di eccitante che di solito -spiega l’esperto- occupa la mente anche quando non si è connessi».

Il consiglio è non spezzare il filo del dialogo: «Non si può pensare di arginare i fenomeni di crescita dei figli, si può solo sperare di indirizzarli. Imporre un limite ha un senso solo se contemporaneamente si propone un’altra soluzione; per fare questo è necessario capire quali sono le esigenze che ci propongono i figli». Preoccupiamoci e interveniamo senza giudicare: «I figli non necessitano di essere spiati per essere capiti».

Nextconf Berlino: quattro prospettive sulla privacy nel web 2.0

[Downloadblog 30/05/2011] Ecco l’ultimo dei post dalla Nextconf di Berlino, vista anche qui su Gadgetblog. Riporto le note da una sessione che ha visto sul palco quattro idee molto diverse di come viviamo la nostra privacy nell’epoca di un web 2.0 ormai maturo.

Andrew Keen, imprenditore e noto polemista critico del web 2.0, si dice nostalgico di quando viveva in una città fisica: ormai si è “persa la possibilità di perdersi”, tutto lascia una traccia indelebile. Il mondo virtuale non è più nemmeno virtuale: il legame con identità reali è così forte da far sembrare il web un luogo reale - Second Life è un anacronismo. Il nuovo petrolio sono le basi di dati, e il carbone sono le informazioni personali: il web 3.0, nella definizione di Hoffman, è costituito dalle enormi quantità di dati che produciamo con la nostra serie di identità virtuali. Siamo noi stessi a sprigionare energia e valore: può anche essere un fatto positivo, ma nella visione di Keen diventa un fattore di pessimismo - siamo noi stessi in pratica che ci sfruttiamo da soli. Partecipando al web, accettiamo di condividere quelle informazioni personali che le aziende monetizzano. Nel web 2.0, siamo noi stessi i prodotti delle aziende, siamo noi i primi ad alimentare un circolo vizioso di mercificazione. La soluzione saranno solo nuove aziende capaci di creare valore dalla privacy.
Fabio Sergio di Frog Design porta una visione molto più serena e compatibile con gli sviluppi del web. Si dice scandalizzato dalla mancanza di senso critico dei media: (a proposito del caso iPhone tracking) Apple opera esattamente come Android, e spesso all’utente è consapevole di lasciar registrare la propria posizione - accetta perchè questo rende possibile servizi utili. Secondo Sergio il problema non è tanto di privacy quanto di etiquette: servono nuove norme sociali per regolare pratiche appena nate. L’importante è poter controllare i propri dati e poterne disporre in un contesto che crea fiducia, quella che generalmente si crea tra le persone in maniera naturale e che non manca ad Apple. Ovviamente non dimentica i contesti in cui può esser pericoloso diffondere la propria posizione geografica precisa, come ad esempio nel caso di manifestazioni di piazza negli Stati antidemocratici.

Johan Staël von Holstein, imprenditore della prima onda di sviluppo del web, presenta una visione al limite del paranoico. Sostiene che la condivisione dei dati porta ad un controllo tipicamente socialista da parte dello Stato. Per lui addirittura il problema non sono nemmeno Google o Facebook, ma gli open data della Pubblica Amministrazione. Sostiene l’esigenza di arrivare ad un bilanciamento tra l’informazione che si offre e il valore che ne derivano le aziende: una parte di questo valore deve tornare alla persona - in effetti, spesso ci accontentiamo di briciole, di un servizio gratuito che ci imprigiona in una schedatura elettronica molto stringente.

Ultimo a parlare è il Partito Pirata. La posizione è di buon senso: perchè un datore di lavoro dovrebbe desiderare solo dipendenti assolutamente astemi e sempre presentabili in maniera impeccabile sui social network? E’ una paura irrazionale, poi chiunque scuserebbe l’occasionale foto sbracata fatta ad una festa, non è un peccato capitale. E’ importante la tolleranza, è importante capire la storia: come una volta era raro per un omosessuale vivere pubblicamente la propria diversità, così oggi molti si sentono nudi davanti ad un social network troppo aperto - di qui la richiesta dell’opinione pubblica che vuole meno apertura nel mondo digitale. Ma, rispetto al passato, abbiamo imparato a convivere meglio con qualcosa che prima ci scandalizzava: oggi essere apertamente gay è considerato normale e così sarà in futuro per le nostre diverse identità digitali che a volte si scontrano all’interno di un solo gruppo di contatti indistinti.

Arriva la dieta da multitasking

[Oneweb 30/05/2011]

Giusto un anno fa su questo blog abbiamo parlato del multitasking, e dello scontro ideologico fra chi pensa faccia male e chi invece ritiene sia degno delle migliori intelligenze. All’epoca andavano di moda dei test. Ora negli USA è uscito un libro che tratta la nostra dipendenza dalle tecnologie legate al Web 2.0 come fosse il cibo, e ci raccomanda una dieta.

L’autore è un famosissimo blogger, Daniel Sieberg, che sta sbancando con il suo ultimo libro, “La dieta digitale“. La teoria principale è che la nostra vita è diventata un parossismo: stiamo attaccati al cellulare, soffriamo se non possiamo twittare o postare sul nostro blog o su Facebook, le nostre percezioni, persino quelle uditive per non parlare della nostra attenzione, sono modificate al punto da non poter più rispondere agli stimoli come un tempo. Che ci è successo?

“Non c’è la tabella delle calorie sul nostro iPhone. Pensate al piacere di scegliere da soli i migliori cibi per sé. Lo stesso vale per la tecnologia. La dieta digitale aiuta a trasformarvi in una grande potenza comunicatrice: ci vuole un dimagrimento generale, dai gadget ai social network ai videogiochi, nella speranza di renderci più sani e più felici senza abbandonare il ventunesimo secolo.”

Abbiamo esagerato, ma attenzione: è come cercare di dimagrire senza riprendere subito peso, quindi l’unica soluzione è fare un passo alla volta, cominciando coi fine settimana: spegnere lo smartphone, non portarsi dietro il netbook al lago o in montagna, e poi prendersi altre ore, altre giornate.

La dieta digitale ha ottenuto recensioni entusiastiche da praticamente tutti i giornali americani, e il Washington Post si è persino inventato un metodo di calcolo per stabilire il nostro Indice di massa e-corporea così da sapere di quanto dobbiamo dimagrire. Eccolo.

Peso da eccesso digitale:

    1. Per ogni telefono non fisso segnate 3 punti;
    2. Per ogni laptop: 1 punto;
    3. Per ogni tablet: 2 punti;
    4. Per ogni e-reader: 1 punto;
    5. Per ogni servizio di sms: 5 punti;
    6. Per ogni differente identità con login: 5 punti;
    7. Per ogni computer fisso: 1 punto;
    8. Per ogni account di posta: 2 punti;
    9. Per ogni macchina digitale: 1 punto;
    10. Per ogni altro gadget con caricatore: 1 punto;
    11. Per ogni blog che scrivete o su cui commentate aggiungete 2 punti.

E, di seguito, i risultati:

  • 24 punti o meno: Magri
    Siete in forma, ma mai abbastanza per evitare un regime più equilibrato;
  • 25-35 punti: Sovrappeso
    Subito una dieta digitale per tornare in forma;
  • 36 punti o più: Obesi
    Dovete dare un taglio alla vostra dipendenza tecnologica o la vostra salute, e qualità della vita, ne risentirà.