giovedì 28 gennaio 2010

Geo-Social, tutta la Rete è un gioco

[Kataweb 28/01/2010]Il boom del social network geo-sensibili, capaci di informare in tempo reale sulla posizione delle persone, è uno dei fenomeni web del 2010. Ecco come funzionano
Fenomeno destinato a segnare il web o sbandata momentanea? Lo vedremo, ma per ora i social network geo-referenziati sono uno dei trend da tenere d'occhio nel 2010. Approfittando dei rilevatori gps installati negli smartphone o della semplice connessione, le applicazioni create per questi siti permettono di aggiornare gli amici su dove ci troviamo fisicamente e consigliare loro posti da visitare o informarli su quello che ci passa per la mente. Alcuni dei nomi più noti nel settore sono Loopt, Brightkite, l'italiana MobNotese, naturalmente, Google Latitude.
Meno conosciuti in Italia, ma in forte crescita negli Stati Uniti, sono invece i network che intorno alla geo-referenziazione hanno creato dei giochi. Gli esempi più interessanti sono Foursquare, Gowalla e Rummble in cui, con le dovute differenze, gli utenti sono incentivati a visitare il maggior numero di posti possibile per acquisire premi o titoli da sfoggiare con gli amici. Tutti questi siti sfruttano delle applicazioni per cellulari di nuova generazione e per utilizzarli non serve una registrazione specifica, ma si può usare Facebook Connect, la funzione del "libro delle facce" che permette di portarsi in giro per la rete i propri dati e, soprattutto, gli amici.
Mauro Munafò

lunedì 25 gennaio 2010

Il numero ideale di amici su Facebook

[Corriere.it 25/01/2001] Così come nella vita reale, anche online non si riesce a gestire più di 150 relazioni. Lo rivela uno studio dell'antropologo dell'Università di Oxford Robin Dunbar

Una miriade di amci su Facebook. Ma è impossibile avere una vera relazione con tutti
Una miriade di amci su Facebook. Ma è impossibile avere una vera relazione con tutti
MILANO - È inutile che vi sforzate di aggiungere migliaia di amici su Facebook. Il numero massimo di relazioni che si riescono a gestire sui social network online è molto più basso: non supera le 150 persone, così come accade nella vita reale.

LIMITI CEREBRALI - È quanto emerge dalla ricerca condotta dall'antropologo dell'Università di Oxford Robin Dunbar, anticipata sull'ultimo numero del Sunday Times. Dunbar ha studiato il fenomeno delle relazioni virtuali su social network come Facebook, MySpace e Bebo. Ed è arrivato alla conclusione che, a causa dei limiti fisici della neocorteccia cerebrale, è del tutto impossibile essere amici con più di 150 persone. Il che sembra concordare anche con le statistiche ufficiali di Facebook , secondo cui l'utente medio presenta circa 130 amici. Non sono quindi da prendere sul serio quei profili che fanno bella mostra di migliaia di amici. «L'aspetto interessante è che puoi anche avere 1.500 amici, ma quando si osserva il traffico all’interno dei social-network, si nota che le persone si muovono sempre all'interno di un cerchio di 150 persone», ha spiegato Dunbar al Sunday Times, sottolineando alcune differenze di genere: «Le donne sono in grado di mantenere relazioni anche a distanza. Mentre i maschi hanno più bisogno di incontrarsi fisicamente».

IL NUMERO DI DUNBAR - Robin Dunbar studia da anni la struttura delle relazioni sociali tra i gruppi di adolescenti, negli ambienti di lavoro, come pure nelle tribù preistoriche. Negli anni '90 ha dimostrato come, in qualsiasi contesto e periodo storico, gli esseri umani riescano a mantenere relazioni significative con un massimo di 150 individui. Oltre questa soglia non si è grado di tenere traccia di tutto i membri del gruppo e i rapporti tendono inevitabilmente a deteriorarsi. L'assenza di limiti fisici e la facilità di comunicazione online non bastano quindi a superare questo soglia antropologica: anche sui social network rimangono gli stessi limiti della vita reale.

Nicola Bruno

venerdì 22 gennaio 2010

Violare (tranquilli) il Copyright Pagando un Canone ai Pirati

[Corriere.it 22/01/2010]I pirati svedesi di Pirate Bay si inventano «Ipredator»: un nuovo servizio per navigare in assoluto anonimato

La Rete non finisce mai di stupire. Mentre gli editori di tutto il mondo si spremono le meningi, dibattendosi tra mille incertezze, per capire come farsi pagare i contenuti — siano essi articoli, brani musicali o film — i pirati svedesi di Pirate Bay si inventano «Ipredator»: un nuovo servizio, già disponibile online, che consente agli utenti di navigare in assoluto anonimato facendo in Rete quello che più aggrada senza correre il rischio di venire identificati. E fin qui niente di sconvolgente: la risposta ai tentativi europei, e non solo, di serrare le maglie a protezione del copyright era attesa. La cosa più divertente di questa storia è senza dubbio che i «marpioni» di Pirate Bay, già condannati in primo grado per aver favorito la condivisione illegale di file, hanno trovato anche il modo di fare soldi.

Ottenere l'anonimato in Rete avrà, infatti, un costo: 5 euro al mese. Così i paladini della rete libera e del tutto gratis su Internet (fino a che si tratta di contenuti degli altri, evidentemente) hanno deciso che forse era meglio fissare un canone per gli utenti che vorranno avvalersi del servizio. Può apparire bizzarro, ma non lo è. In realtà con questa mossa Pirate Bay si inserisce a pieno titolo nel club dei «padroni del vapore», dato che è ormai evidente come in Rete siano soprattutto i detentori delle piattaforme, dai motori di ricerca ai social network, a capitalizzare sui contenuti prodotti da altri. Avrà successo? Probabile. Lo scopo dichiarato di «Ipredator» è aggirare le leggi, soprattutto svedesi e francesi, che rendono più difficile scaricare illegalmente file online e inaspriscono le pene. Non a caso in Svezia i giovani che ricorrono ai servizi che garantiscono l'anonimato sono già il 10 per cento. In qualche modo le forze di sicurezza inglese lo avevano previsto lanciando anche un allarme: rendere più dure le pene per le violazioni del copyright favorisce la pratica di occultare la propria identità sul Web, che con il tempo potrebbe favorire attività socialmente molto più pericolose che scaricare musica o film.

Marco Pratellesi

Clinton contro la censura web "La Rete è per la democrazia"

[La Repubblica 22/01/2010] Il discorso trasmesso sul web in diretta: "Lotteremo per la libertà di comunicazione". Con un messaggio per Pechino: "Conseguenze per qualsiasi cyberattacco"di KATIA RICCARDI

WASHINGTON - "Mai come in questo periodo l'informazione è stata libera e globale. O avrebbe la libertà di esserlo. L'accesso libero all'informazione è fondamentale per la democrazia", così Hillary Clinton, segretario di Stato americano, ha cominciato il discorso trasmesso online in tutto il mondo dal Newseum di Washington ("Un monumento alla libertà di informazione", l'ha definito la Clinton), per difendere la libertà di espressione su Internet e chiarire che chiunque lanci cyberattacchi dovrà subirne le conseguenze, sia che si tratti di individui sia di Paesi. Un intervento durissimo, sull'onda della guerra Google-Cina. Sulla censura di Pechino "ci aspettiamo una spiegazione dal governo cinese", ha detto. "La possibilità di operare con fiducia nel ciberspazio è critica in una società e in un'economia moderne. Avremo ulteriori commenti su questa questione quando i fatti diventeranno chiari".

VIDEO: LA CONFERENZA

La Rete per Haiti. L'ex first lady ha ricordato l'importanza di Internet e delle nuove comunicazioni, come i messaggi telefonici, anche nella vicenda di Haiti, sia per i salvataggi che per gli aiuti e le donazioni mandate tramite la Rete. "Gli Stati Uniti sostengono una Rete globale e libera. Il primo emendamento della nostra Costituzione è il fondamento della libera espressione, della libertà di parola e stampa. Oggi va applicato tenendo conto della tecnologia. Oggi abbiamo il dovere di difendere Internet e il potere che la Rete concede", ha detto vestita di rosso guardando la platea senza leggere il discorso.

Stop alla censura web. "Ci sono barriere e muri virtuali che vanno abbattuti, oggi, come un tempo abbiamo abbattuto i muri della repressione, e il muro di Berlino. Blog, video, messaggi, social network, hanno un ruolo fondamentale. Per diffondere verità e giustizia - ha continuato -. Ci sono pericoli, perché la Rete aperta è stata utilizzata anche da Al Qaeda per lanciare minacce contro il mondo e recrutare terroristi. E' utilizzata per pornografia e pedofilia, per rapimenti, mercati neri. Ma non serve la censura, come hanno fatto Cina, Tunisia, Arabia Saudita, Vietnam o Uzbekistan, per combattere chi usa Internet per scopi malvagi. Continueranno a esserci e dobbiamo esserne consapevoli. Dobbiamo aumentare la sicurezza, coordinare gli sforzi contro gli hacker in grado di minacciare la nostra economia, le banche online, l'e-commerce. Dobbiamo assicurare la sicurezza dei nostri network. E i paesi o gli individui che organizzeranno cyberattacchi dovranno affrontare delle conseguenze e la condanna internazionale"


"Il nostro governo - ha spiegato la Clinton - si è impegnato a promuovere la libertà di Internet. Affiancando organizzazioni private, investendo nella ricerca, nello sviluppo della tecnologia e nelle telecomunicazioni, dobbiamo migliorare le armi che già abbiamo a disposizione per garantire la sicurezza e consentire il libero accesso a tutti. Internet è utile all'economia, per la ricerca medica, per la politica, è stato fondamentale perfino nelle ultime elezioni - ha continuato sorridendo e riferendosi alla nomina di Obama -. Siamo aperti a nuove idee, Microsoft ha già cominciato a creare il 'digital doctor', ci sono banche online in Pakistan, e molte altre iniziative che siamo pronti ad accogliere, che ci aspettiamo di ricevere. Abbiamo una responsabilità. Principi come la libertà di stampa non sono solo nostri, sono valori universali. Google non deve chiudere, le autorità cinesi dovranno avviare una inchiesta, minuziosa e trasparente sui recenti casi di pirateria osservati nel paese".


Sul sito del dipartimento di Stato americano la Clinton scrive: "Per affrontare le sfide del 21esimo secolo dobbiamo usare i mezzi che lo stesso secolo ci offre. E abbiamo cominciato a farlo. Siamo stati tutti testimoni delle possibilità e di ciò che può accadere quando normali cittadini organizzano movimenti politici attraverso Twitter a Facebook, o più semplicemente scambiano idee e informazioni. Ora ci troviamo a vivere un momento storico in cui siamo in grado di utilizzare la potenzialità di queste nuove e innovative forme di diplomazia, oltre che di usarle per aiutare gli individui nel loro stesso sviluppo, nella loro evoluzione".

La polemica con la Cina. L'intervento della Clinton arriva dopo che il motore di ricerca ha minacciato di chiudere in Cina, cinque anni dopo aver accettato di subire una certa censura in cambio del permesso di lavorare nell'enorme mercato emergente, denunciando di aver subito "sofisticati e molto mirati" attacchi di pirateria informatica provenienti dalla Cina. Attacchi tesi a entrare negli account di attivisti per i diritti umani cinesi. Lo stesso giorno della denuncia di Google, il 12 gennaio scorso, Hillary Clinton intervenne chiedendo a Pechino spiegazioni sugli attacchi a Google definiti "molto preoccupanti". In seguito, responsabili di Google erano stati chiamati al dipartimento di Stato per dettagliare la natura degli attacchi subiti e il dipartimento aveva trasmesso ufficialmente le sue preoccupazioni alla Cina. "Stiamo prendendo questa situazione molto seriamente, ma bisogna ricordare che il dipartimento di Stato non è il braccio diplomatico di Google", ha tenuto a precisare Ross sulla censura online.


Nei giorni che hanno preceduto l'intervento di Hillary Clinton, la Cina aveva abbassato i toni della polemica. In una dichiarazione diffusa dall'agenzia Nuova Cina, il viceministro degli Esteri He Yafei aveva sostenuto come "l'incidente di Google non deve essere legato alle relazioni tra Cina ed Usa, altrimenti si rischia di sopravvalutarlo". He aveva definito i rapporti tra i due Paesi come "fondamentalmente stabili" nel primo anno del governo del presidente Barack Obama. E ha aggiunto che "se Google o qualsiasi altra impresa straniera ha dei problemi in Cina, questi devono essere risolti in accordo con la legge cinese, e il governo cinese vuole essere di aiuto nel risolvere i loro problemi".

L'augurio e l'invito agli altri Paesi. "Ci aspettiamo che i governi di altri Paesi ci seguano e si uniscano al nostro stesso impegno, che supportino il tentativo di difendere Internet e la libertà. Dobbiamo lavorare insieme, espandere la definizione di comunità globale. Dobbiamo ricostruire l'economia mondiale e difendere tutti insieme l'ambiente. Possiamo farlo solo creando un link che ci unisca", ha continuato il segretario di Stato prima di concludere il suo discorso ricordando la bambina salvata dalle macerie di Port-au-Prince grazie ai messaggi. "La piccola vivrà, crescerà e guarirà le sue ferite. A noi resta la sua immagine come simbolo di quanto sto dicendo, l'esempio che dobbiamo seguire e per il quale dobbiamo continuare a lottare".

giovedì 21 gennaio 2010

Hillary contro la censura online

[Corrieredellasera.it 21/01/2010]
Il Segretario di Stato Usa presenterà nuove misure per sostenere chi lotta per la democrazia attraverso il web

MILANO - Hillary Clinton nuova paladina per una Rete libera. È atteso a Washington un intervento del Segretario di Stato statunitense in cui verranno presentate nuove misure per combattere la censura online nel mondo. A cominciare dalla Cina, paese con cui nell'ultima settimana c'è stato un intenso scambio di accuse, in seguito alla decisione di Google di lasciare la Repubblica Popolare per la violazione di alcune caselle di posta elettronica di dissidenti politici.

LIBERO ACCESSO - Secondo le anticipazioni date da Alec Ross (consigliere della Clinton) al Wall Street Journal, il Dipartimento di Stato promuoverà lo sviluppo di tecnologie che consentono di aggirare la censura nei paesi che attuano politiche repressive per l'accesso a Internet. Non solo la Cina, quindi, ma anche l'Iran, dove nell'ultimo anno la protesta del movimento verde è riuscita ad emergere proprio grazie all'utilizzo di blog e social network. Ross ha spiegato che gli Stati Uniti offriranno supporto finanziario ai gruppi dal basso che lottano per affermare la democrazia nei regimi autoritari. Contemporaneamente, anche negli Stati Uniti verranno promossi servizi online per la trasparenza e la democrazia diretta: i cittadini potranno esprimere un voto su ogni decisione del governo.

NUOVI FONDI - Proprio in questi giorni cinque senatori statunitensi hanno sollecitato Hillary Clinton a spendere i fondi che il Congresso ha messo a disposizione delle organizzazioni che aiutano i dissidenti in Cina e Iran. Si tratta di un budget di 45 milioni di dollari stanziato due anni fa e che non è stato ancora speso. I senatori chiedono che vengano tolte le restrizioni che oggi impediscono di versare questi fondi a servizi aggira-censura come Tor e Freegate.

POLITICA ESTERA 2.0 - L'accesso ad Internet diventa quindi una delle priorità della politica estera statunitense. L'obiettivo è ridurre la percentuale della popolazione globale (circa il 30%) che oggi vede le proprie comunicazioni online filtrate e censurate. «Dal Caucaso alla Cina, dall'Iran a Cuba, gli utenti ora non hanno accesso ad una rete libera», ha sottolineato Alec Ross. Per quanto il consigliere della Clinton cerchi di smarcare queste scelte dalle recenti polemiche con la Cina, è inevitabile che l'intervento della Clinton venga letto in questa direzione. Anche perché, al di là di Google, sul tavolo della diplomazia internazionale ci sono accordi importanti da prendere con Cina e Russia sul fronte delle cyberguerre.

PRIME REAZIONI - «Il discorso della Clinton segnerà un passaggio cruciale dalla politica estera del 20esimo secolo alla realtà del 21esimo secolo», ha commentato entusiasta Andrew Rasiej del Personal Democracy Forum, conferenza annuale su tecnologia e politica. «È un cambiamento davvero importante, che sottolinea la capacità della tecnologia di influenzare l'agenda politica», ha replicato Brett Solomon, direttore di Access Now. Ma c'è anche chi mette in luce alcuni aspetti oscuri dell'operazione: «I tentativi di dare un supporto finanziario a determinati servizi online fa venire in mente i programmi anticomunisti della Guerra Fredda, quando gli Stati Uniti sostenevano progetti come Radio Free Europe», ha sottolineato il New York Times. E sì, perché tanto attivismo intorno a Internet può anche essere visto come il primo segnale di una «Guerra Fredda Digitale» ormai alle porte.

Nicola Bruno

La nuova tv al tempo del web 2.0

[denaro.it 21/01/2010] Materia: I contenuti stanno in rete. La Rai? Insegni la nuova lingua digitale
Mentre faticosamente procede lo switch-off della vecchia Tv analogica e proliferano i canali del digitale terrestre, i principali produttori di elettronica stanno presentando televisori predisposti al collegamento via Internet, prefigurando un futuro già vicino in cui anche il pubblico meno competente potrà accedere ai contenuti delle webtv attraverso il tradizionale telecomando. Si moltiplicano canali, dispositivi e piattaforme, e mentre istruiamo le nostre nonne sul funzionamento del digitale terrestre, fatichiamo ad immaginare cosa accenderemo (o cosa non accenderemo) tra pochi anni per guardare un programma di intrattenimento o di news. Andrea Materia, autore radiotelevisivo, informato osservatore della frontiera delle newTV e fondatore del consorzio inb4.tv, pioneristica start up, ideata insieme ad altri professionisti "evasi" dalla TV generalista, si propone come factory di contenuti e fornitore di servizi, con la mission di sfruttare le potenzialità della convergenza dei 3 schermi (tv, mobile ed internet) per offrire quelle che Materia chiama "creatività e comunicazione 2.0".

Il mondo della televisione, insomma, sta vivendo innovazioni tecnologiche dagli sviluppi tutt'altro che scontati, mentre sul fronte della produzione dei contenuti si aprono interrogativi commerciali, occupazionali e metodologici. L'establilshment dei principali broadcaster pubblici e privati mostra ancora forti resistenze al cambiamento, specialmente quando si parla di contenuti video fruibili via Internet, mentre ci sarebbe già da chiedersi che pubblico sarà quello italiano, quando Old e New Television smetteranno di vivere da "separati in casa" per lasciar posto ad una compiuta convergenza tecnologica.
Mentre parliamo di "sorpasso" Internet-televisione tradizionale, il Paese affronta il passaggio al digitale. Che lettura dai di questa "rivoluzione tecnologica"?
Secondo me il digitale terrestre è nato vecchio: è una tecnologia antiquata e non interattiva. Costituisce una soluzione transitoria adottata in tutto il mondo, ma se certe scelte sono state fatte negli anni Novanta, quando non si poteva prevedere l'evoluzione di Internet, a oggi è necessario che l'Italia investa in infrastrutture per portare la larga banda a tutti gli Italiani, come servizio fondamentale. C'è il rischio di perdere completamente il vantaggio competitivo e restare indietro rispetto a chi sta sfruttando le potenzialità della Tv via web.
Come funziona all'estero?
La Bbc, ad esempio, doterà tutti i televisori di nuova fabbricazione di Iplayer, un videoplayer che permetterà di usufruire on demand, tramite Internet, di tutti i programmi della Bbc, accedendo ai ricchissimi archivi della televisione britannica, tanto che la decisione ha allarmato gli internet service provider inglesi, preoccupati per il fabbisogno di banda del nuovo servizio.
E la Rai? Quale può essere il suo ruolo in questo scenario?
Per me la Rai dovrebbe essere oggi, come lo fu negli anni Cinquanta e Sessanta, un grande educatore del Paese e, se in questo momento l'Italia ha bisogno di essere educata verso l'innovazione e le nuove tecnologie, è compito del servizio pubblico farlo. Anche in Italia, da qualche anno la televisione tradizionale va perdendo presa sul pubblico più giovane ed istruito a vantaggio di pay-tv ed Internet. Ai pubblicitari più attenti non è certo sfuggito che proprio durante il fatidico prime time si concentra il maggiore traffico in Internet.
Come crede che reagirà la TV generalista, quando finalmente se ne accorgerà anche lei?
Sono molto scettico che la tv generalista se ne accorgerà prima che sia troppo tardi. Da noi c'è ancora una percezione confusa sui fenomeni in atto, mentre in America il mercato è più maturo e c'è più chiarezza. Un esempio: dal 2010 Nielsen lancerà negli Stati Uniti, su forte pressione dei pubblicitari, un nuovo metodo di rilevazione dei dati di ascolto, che dia conto dell'efficacia del messaggio pubblicitario su quelli che sono ormai diventati i tre schermi di fruizione. Nel nuovo sistema sarà cruciale il dato C3 (commercial three), che sintetizza gli ascolti durante la messa in onda della pubblicità, e non più del programma in cui sono inseriti gli spot, nei tre giorni successivi alla messa in onda.
Come incide tutto questo sui contenuti?
Di certo, ciò costerà alle concessionarie di pubblicità un grosso sforzo di aggiornamento. Improvvisamente non avrà più senso parlare di palinsesti tabellari e fasce orarie di trasmissione, ma i contenuti verranno valutati in termini di forza mediatica a prescindere dall'orario in cui vanno in onda. A mio parere questo non potrà che migliorare la qualità dei contenuti.
La vostra inb4 già dal nome (in before) si propone come realtà di avanguardia...
Cerchiamo di costruirci un brand ed un pubblico nel tempo, e di guadagnarci la posizione di first comers, ovvero fare prima ciò che altri faranno poi in pochi mesi, ma spendendo un sacco di soldi. Non saremo una webtv in senso classico, ma una realtà cross-piattaforma, il cui valore aggiunto sta nell'aiutare il cliente a portare la proprietà intellettuale da uno schermo ad un altro.
Una delle cose che vogliamo fare, ad esempio, è un web show che abbia anche un facebook game ed un'applicazione per Iphone correlati, cioè riuscire a fare un format che non abbia dei semplici spin-off, ma che sia concepito come prodotto d'intrattenimento declinato in modo integrato sui 3 schermi convergenti.
Angelica Vigilante

I nostri figli sempre on line

[La Repubblica 21/01/2010]Se tuo figlio è sveglio è sicuramente on line da qualche parte. Se invce dorme sarà pronto a saltare su alla prima vibrazione, al primo lampeggiare dell'Iphone. Più che connessi, ubiqui, più che tecnologici, insonni, più che digitali, mutanti.
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lunedì 18 gennaio 2010

Un contratto sociale per proteggere il web

[Il sole 24ore 16/01/10]Da guru della prima ora a critico preoccupato. Jaron Lanier, 49 anni, mette in guardia contro la deriva del web 2.0: «L'idea iniziale di internet era collegare la gente, oggi assistiamo a un isolamento fra le persone».
La rivoluzione digitale è stata tradita; sull'autostrada elettronica viaggia un mondo anomino, preda di appiattimento e impoverimento culturale, dove può crescere "mob mentality", la mentalità da linciaggio. Lanier offre una possibile soluzione: un nuovo contratto sociale per il web, fondato su un sistema di micropagamenti gestito direttamente dal governo, piuttosto che da un'azienda quale Google. La sua idea parte da un ragionamento: il contenuto gratuito può sembrare attraente ma non lo è davvero, perché sottrae risorse alla creatività. Invece, sottolinea Lanier, «un sistema di piccoli pagamenti, per pezzi d'informazione o opere d'ingegno, potrebbe essere accettato da tutti, potrebbe incentivare l'innovazione e creare un nuovo equilibrio: l'importante è che l'accesso sia a basso costo e universale». Occorre - questa è la sua proposta - una forma di protezione, di riconoscimento del contenuto, forse diversa, meno rigida del copyright.

Il guru, inoltre, è preoccupato per il possibile imbarbarimento della Rete: «Il problema esiste: quando le persone non sono più individui, emergono la mentalità del branco, il rischio di escalation della crudeltà e di posizione estreme, che poi internet amplifica enormemente. Mi auguro di sbagliarmi. Credo che la riforma auspicata, con incentivi ad assumersi la responsabilità di quanto compare sul web, possa avere un effetto civilizzante».

E, ora, dopo aver espresso tutti i suoi dubbi sulla Rete nel suo ultimo "You are not a gadget: a manifesto", incassa anche le accuse di essere un nostalgico della prima ora: «Sono un idealista, non un fautore di concezioni elitarie del web e accetto come un complimento la definizione di romantico».

Jaron Lanier lancia un allarme sul futuro di internet e dell'umanità: se viene considerato alla stregua di un gigante vivo, se a questo novello Moloch si sacrifica l'individuo, il risultato è tutt'altro che auspicabile. «L'idea era collegare la gente - dice -, la realtà è diventata l'isolamento». La rivoluzione digitale è stata tradita; sull'autostrada elettronica viaggia un mondo anomino, preda di appiattimento e impoverimento culturale, dove può crescere mob mentality, la mentalità da linciaggio. Dove il modello prevalente che vuole tutto aperto e gratuito minaccia di far sparire intellettuali e artisti, impossibilitati "a guadagnarsi da vivere". Dove l'unica cultura protetta resta la pubblicità. Dove avanza il totalitarismo della hive mind, la mente-alveare, spronato da protagonisti quali Google, Wikipedia e Facebook («Un insulto alla nozione di amicizia»). Tanto da azzardare paralleli tra uno di questi, Google, e le autorità cinesi: vocazione al partito unico da una parte, all'accesso unico al web dall'altra. Anche se Lanier riconosce il coraggio dell'azienda fondata da Sergey Brin e Larry Page nello scontro con Pechino sulla censura.

L'allarme può sembrare apocalittico, ma il messaggero ha carte in regola. Lanier offre una risposta: un nuovo contratto sociale per il web, fondato su un sistema di micropagamenti gestito dal governo. A 49 anni e con i capelli raccolti in lunghi boccoli, nel cyberspazio è oggetto di culto: si è meritato, ama ricordare con un sorriso, un francobollo dall'isola di Palau. E al 92 Street Y, l'istituzione culturale newyorchese dove lo incontriamo, è pronto a discutere la sua ultima incarnazione: quella di autore di libri, reduce dalla pubblicazione di You are not a Gadget, a manifesto. Pagine che coronano la storia di un autentico pioniere. Nato a New York, è cresciuto nel New Mexico, il padre scrittore di fantascienza e la madre pianista, è nel deserto che ha imparato a programmare computer: la locale università pullulava di esperti high-tech, per la concentrazione di attività militari. Le sue precoci conoscenze gli tornarono utili quando, dopo vari mestieri compreso il pastore di capre, arrivò nella Silicon Valley. Qui trovò facilmente lavoro, e anche il proverbiale garage per i suoi esperimenti. Quelli sulla realtà virtuale, di cui è considerato il padre. Ne seguì una società, Vpl Research, poi persa. I suoi eclettici interessi intellettuali non si sono arrestati: è musicista e compositore, ha suonato con artisti contemporanei da Philip Glass a Ornette Coleman, e vanta una collezione di mille strumenti rari. E colleziona anche incarichi universitari e aziendali, da docente interdisciplinare a Berkeley a collaborazioni con Microsoft.

Che cosa è accaduto a suo avviso sull'autostrada elettronica?
Il mio non è un attacco generalizzato. Siamo davanti a una "torta" con più strati: i primi due, l'internet e il web che permettono connessione e interazione, sono cruciali per un mondo globale, per l'umanità e la sua sopravvivenza. Il problema è l'ultimo strato, il più recente, il web 2.0, che promuove una libertà per le macchine più che per le persone. È la convinzione che internet sia un sistema con vita propria, frutto d'una visione assolutista dei computer e del web, quasi fossero superiori all'essere umano e capaci di controllare il pianeta. La glorificazione di una open culture, di collaborazioni collettive e anonime stile Wikipedia, che può mortificare l'innovazione, che premia la quantità sulla qualità.

Un esempio di questi effetti deteriori?
Nella musica in un decennio è diventato difficile differenziare, a meno che non si conoscano i gruppi. Il problema non è prendere in prestito materiale, ma l'infinita possibilità di copiare, la perdita della fonte originaria. L'errore su internet è stata la promozione di un tipo di apertura che ha generato una "poltiglia" senza senso, nemica dell'introspezione, della chiarezza di pensiero. E una tendenza alla mediocrità, non all'eccellenza. Occorre una forma di protezione, di riconoscimento del contenuto, forse diversa, meno rigida del copyright. La sola forma di cultura protetta e pagata, nell'universo dei signori di internet, quelli che chiamo i Lords of the clouds, diventa ormai la pubblicità. Google o Facebook, pur se in molti casi considero i loro dirigenti miei amici, trattano la gente come prodotti, da vendere agli inserzionisti. E l'accesso gratuito e indiscriminato al contenuto toglie risorse indispensabili a tanti, da artisti a giornalisti. Rendere tutti poveri non funziona né online, né nel mondo reale.

Lei propone in alternativa un sistema di micropagamenti, ma questo potrebbe trasformarla in un alleato di altri re dei media, quali Rupert Murdoch...
Non sono abituato a trovarmi d'accordo con Murdoch. Quello che credo è che l'idea del contenuto gratuito sembri attraente ma non lo sia davvero, perché sottrae risorse alla creatività. Un sistema di piccoli pagamenti, per pezzi di informazione o opere, potrebbe essere accettato da tutti, capace di incentivare l'innovazione, di creare un nuovo equilibrio. L'importante è che l'accesso sia a basso costo e universale. E preferisco il governo per gestire un simile sistema che non un'azienda quale Google.

Parlando di Google, non trova incoraggiante la sua sfida alla Cina sulla censura?
È un gesto coraggioso e spero abbia successo. Questo non significa che il modello di Google sia sostenibile. Anzi, vedo similitudini con Pechino: il partito comunista vuole il controllo politico, della realtà; Google vuole essere il grande punto di passaggio per internet, per vendere pubblicità. Anzi, si spinge sempre oltre. Sta studiando la vendita di spazi pubblicitari virtuali nel mondo, anche sopra l'immagine della vostra casa.

Teme che sul nuovo internet, quello dell'anonimato, crescano imbarbarimento, effetto "mob", risse e linciaggi?
Non temo la barbarie ma il problema esiste. Esistono casi di suicidi dopo campagne sul web. Si afferma, quando le persone non sono più individui, la mentalità del branco, il rischio di escalation della crudeltà e di posizione estreme, che internet amplifica enormemente. Mi auguro di sbagliarmi. Credo che la riforma auspicata, con incentivi ad assumersi la responsabilità di quanto compare sul web, possa avere un effetto civilizzante.

Qualcuno le rimprovera di essere un inguaribile romantico, nostagico di un'irripetibile infanzia di internet. Si sente superato dai tempi?
Sono un idealista, non un fautore di concezioni elitarie del web. Accetto come un complimento la definizione di romantico.
Marco Valsania

sabato 16 gennaio 2010

Always on

[Vita digitale 16/01/01]Sempre più connessi, ovunque ci troviamo. Essere collegati a Internet non è più un lusso ma una necessità: lo slogan arriva direttamente dall’ultimo «Electronic Show» di Las Vegas e a declamarlo sono stati, concordemente, tutti i colossi dell’hi-tech. Che se da un lato, così dicendo, non si fa altro che portare acqua a un mulino già funzionante a pieno regime, dall’altro va riconosciuto come la tendenza all’always on non fa altro che fotografare un anno, quello appena passato, dove sono crollati tutti in consumi tranne quelli legati all’elettronica e in particolar modo alla connettività alla Rete. Per contattare gli amici, trovare lavoro, fare acquisti o confrontare prezzi, cercare forme di intrattenimento, o viaggi low cost: sono saliti al 47,3% (dal 42% che erano nel 2008, secondo l’Istat) gli italiani che sono andati in Rete nel 2009, anche come possibile forma di risparmio. E se la maggior parte delle connessioni avviene ancora dal computer di casa e da quello dell’ufficio, proprio dalla fiera americana che si è chiusa lo scorso weekend arrivano sempre più suggestioni per non dover fare mai a meno di un buon collegamento al Web.

Cellulari, smartbook e tablet pc
In attesa, per le connessioni «fisse», di una maggiore diffusione della banda larga anche da noi (solo il 34,5% della popolazione italiana vi ha accesso), e dell’arrivo della connettività 4G per cellulari, portare la Rete sempre con sé è ormai un’abitudine consolidata. Grazie per esempio a telefonini sempre più intelligenti e dagli schermi sempre più grandi. Come il GW990 presentato in Nevada dalla LG: con uno schermo da 4,8 pollici è difficile non solo da portare, ma anche capire quanto sia distante da un tablet pc vero e proprio. Questi ultimi, minicomputer con schermi rigorosamente touch — e che, senza tastiera, diventano slate pc — sono stati i veri protagonisti del Ces 2010. Concepiti appositamente per navigare e usufruire ovunque ci troviamo dei contenuti online, siano essi video, musica o libri e giornali, secondo gli esperti sono i nostri futuri oggetti del desiderio. Dal modello della Hp con Windows 7 che è stato presentato dal presidente di Microsoft, Steve Ballmer, all’iSlate di Apple, verosimilmente il futuro riferimento per tutta la categoria, la cui presentazione a opera di Steve Jobs è invece attesa (con trepidazione) a fine mese. Nel mezzo dei due colossi, tante le novità presenti negli stand della fiera. Lo smartbook della Freescale, per esempio, colorato e con dimensioni ridotte, e il curioso Ideapad U1 Hybrid della Lenovo: un netbook da cui è possibile «staccare» lo schermo che diventa così un vero tablet indipendente. Un grande ruolo verrà giocato per questo tipo di terminali i portatili che monteranno il sistema operativo Android, concepito da Google proprio per lavorare in costante collegamento online. Al Ces sono state fatte due anticipazioni che hanno creato grande attesa: l’elegante slate pc della Dell e il laptop low cost (da meno di 200 euro) della Hp.

Tv intelligenti e connesse
Sempre più «smart», a differenza spesso dei programmi che poi trasmettono, lo stanno diventando anche le nostre tv di casa, altro — nuovo — terminale della nostra vita online. Sony in testa con la serie Bravia, poi Sanyo, Philips, Toshiba, tutti vogliono portarci l’Internet semplificata grazie all’uso del telecomando. Ma il Web da salotto non vuole tanto essere legato alla pura navigazione, quanto al portare sullo schermo che ci è più famigliare i contenuti e i servizi della Rete. Così Lg e Panasonic hanno presentato un’applicazione di Skype che ci permetterà di videotelefonare a basso costo stando seduti sul divano. Il leader di settore Samsung, da parte sua, con il progetto «Internet@Tv» ha annunciato invece un vero negozio online di programmi da utilizzare sulla propria tv, per crearsi i propri palinsesti, videogiocare online o ascoltare le web-radio.

Internet da cruscotto
Ma le vie della Rete non sono ancora finite. Con una parte sempre più rilevante della giornata spesa in macchina, le nostre auto non potevano che essere la nuova frontiera dell’online. Ci si stanno buttando tutte le principali case autmobilistiche, da Honda a Bmw, da Audi a Toyota. Seguendo il successo del pioniere «Blue&me» di Fiat (un milione di auto vendute), progetto maggiormente legato all’intrattenimento, Microsoft ha annunciato le partnership con Ford e Kia. L’azienda americana aggiungerà al Sync un nuovo schermo a tocco da cui navigare, vedere video in alta defnizione e — volendo — utilizzare Twitter. Progetto simile, dal nome Uvo, per le vetture coreane. Il tutto in barba, a dire il vero, ai crescenti allarmi per le distrazioni eccessive per i guidatori.
Federico Cella

giovedì 14 gennaio 2010

Il Web non può essere demonizzato

[Italia Oggi 14/01/10] Si ripeterebbe l'errore dei luddisti che distruggevano le macchine che producevano di più


La rete causa problemi ma suscita anche grandi opportunità

Lascia perplessi tanta polemica sulla “Rete” , il web che sarebbe plebeo, che Il Sole 24 ore sta rappresentando come un grande tema di dibattito cultural-social-tecnologico. Lasciano infatti perplessi queste generiche bordate critiche contro Internet, il suo popolo, la sua incultura, la marmellata mediatica che lo ingolfa, in cui deplorevolmente l'opinione di un Pinco Pallino qualunque pesa quanto quella di un Nobel e la certezza scientifica delle voci enciclopediche tradizionali è cancellata dalla inattendibile discrezionalità di Wikipedia.

E ancor più perplessi lascia il fatto che, a muovere questa polemica, siano anche alcuni pionieri del web, che, meglio di chiunque altro, dovrebbero conoscere la natura intimamente «perequativa» della Rete. In essa infatti il pensiero di un premio Nobel rischia di finire oscurato o quanto meno equiparato a quello di un illetterato , di un integralista, di un matto o di uno speculatore.

Guarda caso, questa inguaribile «orizzontalità» qualitativa del web è condivisa da un'altra e ben più antica istituzione umana, la democrazia, dove, appunto, il voto di Esposito Gennaro vale quanto quello del Principe dè Curtis. E viene in mente una citazione poetica proprio di Totò, da “La livella”: «'A rete, o ssaje che è? È 'na livella...», scriveva il Principe, anche se si riferiva alla morte.

Già, la Rete è (anche) una livella culturale. Che equipara plebei a chierici e letterati. Uno specchio asettico dell'umanità, da cui viene popolata con tutti i suoi pregi (fantasia, ideali, sentimenti ) ma anche con i suoi difetti, nessuno escluso, criminalità compresa: sia quella da sempre «web-based», per esempio la pedopornografia o il phishing, sia quella tradizionale che semplicemente usa il web come un fantastico strumento di comunicazione veloce: Skype, ad esempio, così poco intercettabile dagli inquirenti, oltre che così dannosa ai conti delle compagnie telefoniche. Ma Skype è anche così straordinariamente utile alle relazioni umane tra le centinaia di migliaia di emigranti che, la sera, gratis, mantengono vivi gli affetti familiari parlandosi in lunghe videotelefonate transoceaniche che erano ancora impossibili cinque anni fa. Si dirà che però la Rete, e soprattutto il “Web 2.0”, cioè l'orgia dei siti di “social network” come Facebook o MySpace, sta abbattendo anche le sacrosante paratie che avrebbero dovuto permanere tra chi sa e chi non sa, tra chi può insegnare e chi, prima di parlare, deve imparare. C'è del vero in questo, ma c'è anche tanto snobismo aristocraticistico. Perché, prima della Rete, noi chierici della carta stampata tradizionale (news e letteratura, storiografia, filosofia) semplicemente ce la cantavamo e suonavamo da soli, senza contatti profondi con la massa, confinata in un'ignoranza che, ancora cinquant'anni fa, anche in Italia, era totale. Oggi, il lessico orripilante di veline e tronisti fa accapponare la pelle, ma trent'anni fa, prima del web e di quella sua progenitrice anti-culturale che è stata la tv commerciale questi ragazzini e ragazzine parlavano ancora peggio, usavano soltanto il loro dialetto. Ora, almeno, parlano l'italiese di Rai1 e Canale 5. E, se non vogliamo vederci del progresso culturale per lo meno non intestardiamoci a vederci del regresso.

I media e la cultura ante-Rete lasciavano la casta dei colti nella confortevole certezza di essere una casta riconosciuta e protetta, e anche ben pagata. Ma, in termini sostanziali, cioè sociali, era un'illusione ottica. Il «cultural divide», il fossato culurale era alto più dell'attuale «digital divide», fossato tecnologico digitale. Quella certezza di casta e di privilegio elitario è oggi evaporata. Per dar posto, però (e purtroppo), a un marasma informativo, alla famosa e vituperata marmellata cultural-mediatica. Solo un danno? Non lo credo. Questo marasma ha infatti il pregio di non escludere più nessuno, di aderire alla realtà e di contaminare (o almeno raggiungere) quasi tutta l'umanità «vera»: salvo il pur grave e ancora alto digital divide. Nell'era della rete, un minimo gradino di consapevolezza e di cultura che tutto il popolo del web riesca a salire, è un gradino su cui veramente sale il mondo intero. E c'è da chiedersi se valga di più un'ascesa di 10 centimetri che coinvolge miliardi di persone o un balzo di dieci metri riservato a un'élite. Viene da fare un esempio, che arriva dai due figli di chi scrive, due ragazzini di 13 e 14 anni nati con Internet. Su Youtube i video di Paul Potts, quel fenomenale talento canoro lirico inglese, sono più visti di quelli di Pavarotti. Ma i ragazzi, che sono inciampati in Paul Potts perchè se lo sono trovato appunto tra i video «più visti» della home page di Youtube, adesso girano per casa canticchiando «Nessun dorma», che, se era per il loro papà (appassionato di lirica come del fumo negli occhi), non avrebbero mai imparato. E c'è ancora una considerazione: siamo sicuri che, prima della Rete, l'industria culturale non puntasse comunque anche «al peggio» per allargare il proprio mercato? Forse che i quotidiani tabloid britannici, quelli con le starlette in topless a pagina 3, non erano, alla fin fine, antesignani di questo svacco culturale che oggi si vuole addebitare solo alla Rete ma che in realtà ne prescinde e ne ha di molto anticipato la nascita?

Forse, e in verità, dietro questa polemica contro la “Rete plebea” ci sono in realtà i mal di pancia di una categoria (in senso la lato quella degli operatori culturali, dell'informazione e comunque di coloro che vivono grazie alla tutela della proprietà intellettuale) che si vede come su un iceberg in liquefazione, si accorge di essere priva del suo storico mercato di riferimento e teme, giustamente, per il suo avvenire. Effettivamente, il problema della liquefazione del mercato della cultura e dell'informazione di qualità (quella che costa perché è a pagamento) sgominata dalla marmellata dei socialnetwork e della Wikifuffa è un problema grave, sta facendo danni, sta distruggendo valore e lavoro. Ma, dietro questi alberi che cadono, si può già scorgere la foresta che cresce, quella dei Paul Potts, quella dei corsi audiovideo di sax (amatoriali ma eccellenti) che segue uno dei miei ragazzi e dei corsi, anch'essi amatoriali ma divertenti e ben fatti, di prestigitazione, che segue l'altro. Roba che non aveva mai avuto mercato, ma cui la Rete ha dato spazio, gratis.

Non desumiamo dalla constatazione di un problema grave e pressante (la crisi congiunturale di un settore ) la fine già scritta di un mondo. Le enciclopedie che noi cinquantenni abbiamo usato da ragazzi, erano figlie divulgatrici e commerciali di quella incomprabile enciclopedia che due secoli prima aveva scritto Diderot. Oggi Wikipedia sarà l'eccesso opposto, ma, a lungo termine, i vantaggi sociali e culturali di queste fenomeno straordinario che è la Rete, la più straordinaria rivoluzione culturale umana dalla scrittura in poi, si riveleranno infinitamente superiori ai danni.

Pertanto, anzichè stracciarsi le vesti e alzare steccati contro la volgarizzazione indotta dal web, forse è più utile e giusto inventare antidoti a certi eccessi, spremendosi le meningi.

Ci sta riuscendo, per esempio, il cinema, così martoriato dal peer-to-peer, cioè dalla pirateria informatica di chi scarica gratis dal web i film appena usciti e anziché vederseli al cinema pagando il biglietto se li scrocca a casa sua, sul piccolo schermo. I grandi registi, valorizzando creativamente e tecnologicamente le dimensioni del grande schermo come arma totale contro la comoda e gratuita, ma misera, fruizione domestica sul piccolo schermo, hanno capito che posso puntare sul 3D, la tecnica di ripresa in tre dimensioni, vecchia di vent'anni ma esplosa solo adesso. Sarà un caso? Altro che caso. La verità è che la tridimensionalità restituisce valore e gusto alla visione di un film nella sala cinematografica anziché sul piccolo schermo. Non serve avere tredici anni per accorgersi che un film in 3D visto a casa sul video del televisore o del pc fa pena, mentre visto in sala fa dimenticare in due minuti il peso degli occhialoni rosso-verdi.

In conclusione, e in sintesi: è certo che oggi il web sta distruggendo valori economici e culturali a man salva. Eppure, contemporaneamente, il boom della Rete sta finalmente aprendo le porte dell'accesso alla promozione culturale a una platea che tende virtualmente a coincidere con l'umanità tutta. È ovvio che gli effetti benefici di questa apertura si vedranno tra molto tempo mentre a breve termine se ne stanno misurando solo gli effetti deteriori e distruttivi. Ma tutte le grandi discontinuità tecnologiche hanno avuto questa sfasature d'approccio con le preesistenti realtà. I figli degli operai di John Ludd, di quegli operai che sfasciavano i telai meccanici nel vano tentativo di difendere i loro posti di lavoro nelle vecchie filande manuali, avranno senz'altro potuto vestirsi meglio dei loro padri, comprando a buon mercato gli abiti realizzati con i tessuti industriali resi prodotti grazie a quell'innovazione. Sarà così anche per la Rete. Solo che è toccato a questa nostra generazione il ruolo ingrato di chi dell'innovazione paga i costi e non gode i benefici.
Giulio Genoino

mercoledì 13 gennaio 2010

Facebook formato bambini

[TGCOM 12/01/10] Shidonni ovvero il social network a misura dei più piccoli. Una sorta di facebook capace però di tenere fuori dalla porta violenza o egoismo e di rappresentare il mondo proprio come lo disegnerebbe un bambino. Questa l’idea realizzata da un gruppo di israeliani nella cittadina di Rehovot, a sud di Tel Aviv e diventata in poco tempo il primo e più popolato social network per utenti under 12.
Superata da poco la soglia dei 200.000 utenti, Shidonni e’ stato gia’ tradotto in otto lingue ed entro due mesi, secondo quanto svelano i suoi ideatori, sara’ disponibile anche in versione italiana.
“Alla base del sito - spiega Ido Mazursky, fondatore e amministratore delegato di Shidonni - c’è un concetto molto semplice: il bambino disegna il suo personaggio o qualsiasi oggetto desideri e noi gli diamo vita”. Niente di strano quindi che lo spazio virtuale di Shidonni sia popolato da giraffe rosse a pois e da creature metà cane e metà mucca che si cimentano in gare di ballo o guidano auto velocissime.

Il sito prevede inoltre la possibilità di acquistare un pupazzo realizzato a mano del proprio alter ego. Secondo Mazursky, l’unico limite di questo mondo e’ la fantasia del bambino.
A differenza di Facebook, Shidonni non permette interazioni con utenti sconosciuti: garantendo un livello di tutela e protezione per il quale ha ricevuto un riconoscimento internazionale dalla Coalizione per la sicurezza su internet lo scorso settembre.

Una Top Ten dei marketing moments 2009

[Ninja Marketing 12/01/10]Ad ogni nuovo inizio è bene guardarsi indietro, fare un bilancio del positivo e trarne insegnamento per il futuro. Chi ha scritto le migliori pagine del marketing nel 2009?

La testata online Marketing Magazine ha stilato una top ten dei “marketing moments” più rilevanti per lo scenario britannico: dalla campagna per il 25° anniversario di Virgin Atlantic alla legislazione sul product placement in tv.

Il Los Angeles Times ha invece elencato i dieci eventi nei quali i social media hanno giocato un ruolo principale: in primis, il ruolo del sito TMZ nei primi attimi dopo la morte di Michael Jackson, il lancio di Google Wave e la diffusione su Twitter delle proteste in Iran.

E se provassimo anche noi ad immaginare, senza pretesa di esaustività, una classifica dei marketing moments che hanno segnato il 2009 all’insegna della non convenzionalità? Ecco le campagne, i prodotti e i brand che nel giro di un anno sono diventati case histories, accompagnati dagli eventi e dai trend che hanno polarizzato i dibattiti sul marketing non convenzionale.

Top ten marketing moments del 2009
10. Imposizioni della FTC sui rapporti tra advertising e blogosfera
La ricerca di trasparenza ed autenticità nelle conversazioni con i brand è un’esigenza che si è rafforzata dopo la crisi economica. Non è un caso quindi se ad ottobre la Federal Trade Commission ha deciso di regolamentare le recensioni di prodotti e servizi sui social media. Revisionando le linee guida, datate 1980, sull’utilizzo di endorsement e testimonial in pubblicità, la FTC a partire dal 1 dicembre ha obbligato i blogger “a dichiarare apertamente qualsiasi connessione materiale ad un advertiser, in riferimento alla ricezione di compensi o prodotti gratuiti in cambio di endorsement” – pena una multa fino ad 11,000USD. A scontarne le conseguenze saranno non solo le mommy blogger americane abituate a ricevere campioni omaggio da recensire, ma anche le celebrities. Che adesso, grazie al numero di follower, regnano incontrastati su siti come Ad.ly e Sponsored Tweets: Ashton Kutcher promuove in libertà la macchina fotografica Nikon D5000 e Kim Kardashian viene pagata 10,000USD per ogni tweet.

Top ten marketing moments del 2009
9. Il riposizionamento di Topolino
Una notizia che ha scosso l’inconscio collettivo dei bambini ma anche degli adulti: Topolino affronterà un rivoluzionario cambiamento di personalità per il videogioco Epic Mickey, di prossima uscita per Nintendo Wii. Nel gioco Topolino sarà catapultato nella Cartoon Wasteland, un mondo di cartoni animati abbandonati che aspettano di vendicarsi del loro mancato successo. Qui vivrà un’avventura che lo porterà a scegliere se essere un eroe positivo o un “furbetto”. Dalla Disney arrivano presto le spiegazioni: si tratta di un riposizionamento necessario, a causa della crescente concorrenza dei personaggi portati alla ribalta da Pixar, Dreamworks e da favole “dark” ed etiche al contempo come “Nel paese delle creature selvagge”. La Company spiega inoltre che questa personalità sarà limitata al videogame: il carattere di Topolino non andrà certo in giro pensando di trovarsi in G.T.A., perché dipenderà dalle scelte operate dai giocatori che potranno sì renderlo un personaggio più imprevedibile e meno infallibile – ma senza mai fargli perdere il candore che lo definisce.

Top ten marketing moments del 2009
8. Burger King Whopper Sacrifice
Facebook si è consolidata come piattaforma di advertising nel 2009, ma una campagna in particolare spicca per l’ilarità ed il risentimento che ha suscitato. Burger King ha deciso di prendere in giro l’ossessione per i social network dando vita all’applicazione/movimento sociale “Whopper Sacrifice”: sacrifica 10 amici rimuovendoli dalle connessioni del tuo account Facebook e Burger King ti regala un fiammante Whopper arrostito alla griglia. Peccato però che queste azioni compaiono come activity feed in homepage e sul proprio profilo. Una settimana dopo il lancio della campagna da parte di Crispin Porter & Bogusky, Facebook ha definitivamente disabilitato l’applicazione, a causa della crescente preoccupazione sulla violazione della privacy connessa a 233,906 sacrifici di amicizie. “Incoraggiamo la creatività dei developer e dei brand che usano la Facebook Platform, ma dobbiamo anche assicurare che le applicazioni incontrino le aspettative degli utenti sulla privacy. Quest’applicazione facilita un’attività contraria alla privacy poiché notifica le persone della loro rimozione come amico”. Il risultato finale? 23,390 panini gratis hanno dimostrato di valere più dell’amicizia.

Top ten marketing moments del 2009
7. Foursquare e le applicazioni location based
Nel 2009 sono nate importanti applicazioni legate al location based social networking. Le prime ad affacciarsi sul mercato, Brightkite e Google Latitude, permettono di informare il network di amici sulla propria location attraverso mappe, live status feed e foto. Ma vengono sbaragliate con la nascita di Foursquare, l’applicazione definita dagli esperti come “il futuro Twitter”. Con Foursquare la mobilità personale acquista un significato più profondo, perché l’applicazione è un LBS (location based service), un social network ed un gioco multiplayer al contempo. La sua principale innovazione, l’aspetto ludico, funziona così: fare “check-in” nei locali, nei bar e negli spazi urbani di una delle 38 città al momento coperte dal servizio (per lo più in Usa e Canada) permette all’utente di accumulare punti. Ogni settimana viene stilata una classifica: chi ha il maggior punteggio legato ad un locale/spazio ne viene nominato “sindaco”. Ed è già emersa in Foursquare l’opportunità di brand communication: i gestori dei locali hanno cominciato spontaneamente ad offrire dei vantaggi tangibili ai sindaci – consumazioni gratuite, gadget, offerte speciali, etc. – per assicurarsi visibilità nella “city guide” virtuale, composta dai commenti che i Foursquarers postano nella community. Con Foursquare, ogni città è interpretata attraverso una grande narrazione collettiva, secondo una forma di esplorazione Web 2.0.


6. Augmented reality, tra cool factor e utilità
Il 2009 ha visto l’applicazione dell’augmented reality a scopi pubblicitari. Per chi non lo sapesse, l’AR è un’estensione della realtà virtuale che consiste nel sovrapporre alla realtà percepita dal soggetto una realtà virtuale generata dal computer. La percezione del mondo viene quindi “aumentata” da oggetti virtuali che, a mezzo video, forniscono informazioni supplementari sull’ambiente reale. In pubblicità l’AR è stata utilizzata per lo più stampando dei marker (elementi grafici che innescano l’interazione aumentata) sul packaging di prodotti, su brochure o su documenti facilmente stampabili in casa dal consumatore. A fine anno, l’AR sembrava dividere le opinioni: c’è chi lo riteneva un semplice giocattolo alla moda destinato a scomparire e chi invece pensava potesse incentivare i consumatori all’acquisto offrendo benefici sensoriali ed informativi. A far propendere verso il secondo fronte ci ha pensato l’USPS – il servizio postale degli Stati Uniti – che ha utilizzato l’AR per agevolare la scelta delle diverse tipologie di box postali in base alle dimensioni dell’oggetto da spedire.


5. Volkswagen e la Fun Theory
Una presenza fissa tra le pagine di Goviral.com: i video promozionali del progetto Fun Theory di Volkswagen hanno spopolato per la loro semplicità ed immediatezza. Nel 2008, l’economista Richard Thaler ed il giurista Cass Sunstein scrivono il libro “Nudge”, nel quale sostengono che spesso abbiamo bisogno di un pungolo, di una spinta gentile che ci indirizzi verso la scelta giusta: di un nudge, appunto. Partendo da questa considerazione,Volkswagen crede che possa essere il concetto di divertimento a costituire questo nudge e ha sviluppato un concorso aperto a chiunque voglia proporre un modo divertente per incentivare un comportamento etico.
Il concorso si è chiuso il 15 dicembre ed in queste ore la giuria sta valutando le idee pervenute: al vincitore, un premio di 2,500 dollari. Per promuovere i valori alla base del concorso, Volkswagen ha diffuso 3 video virali: una scala che diventa pianoforte per scoraggiare l’utilizzo delle scale mobili, un cestino che accoglie i rifiuti con un effetto sonoro da pozzo più profondo del mondo e una campana per riciclare bottiglie di vetro trasformata in videogioco arcade.


4. “Life’s for Sharing”: i flash mob di T-Mobile
A gennaio è partita una delle campagne più creative dell’anno: Life’s for Sharing di Saatchi&Saatchi per l’operatore telefonico T-Mobile. La big idea è consistita nell’utilizzare i flash mob per veicolare in maniera coinvolgente e memorabile il concept dello sharing – la condivisione di momenti unici ed esperienze hic et nunc, che sono tali proprio via la presenza del corpo. Tra coreografie improvvisate in stazione una mattina qualunque, karaoke di massa, rave scatenati tra gli alberi e squadre di nuoto sincronizzato, dal caos apparente di un’espressione sociale amorfa emerge un cosmos progettato nei minimi dettagli, allo scopo di rendere T-Mobile un Lovemark.

Top ten marketing moments del 2009
3. Il crowdsourcing e la disintermediazione delle agency
Quest’anno abbiamo assistito alla diffusione del crowdsourcing, la pratica di dare in outsourcing a gruppi di persone o community delle attività che prima venivano gestite in-house o da fornitori. Attraverso delle “open call” dirette alla moltitudine di persone – crowd, appunto – nascono nuovi loghi, campagne, prodotti o packaging, ma anche nuove soluzioni a vecchi problemi logistici o di R&S. L’assunto di base è che la creatività è ovunque e occorre sfruttarla in una logica win-win sia per i seekers (chi pone un problema) che per i solvers (chi offre una soluzione). Il crowdsourcing ha dimostrato di funzionare bene come metodo produttivo per Wikipedia, ma nel 2009 sono state soprattutto le aziende a credere nel crowdsourcing, tagliando i budget destinati alle storiche agenzie partner (come ha fatto Unilever con Lowe London). Sono nati portali di crowdsourcing brokering come BootB, Idea Bounty ed Innocrowding che hanno definitivamente disintermediato il settore e facilitato il processo di dal punto di vista legale, commerciale e tecnico (in termini di proprietà intellettuale, compensi per i solvers, traduzione dei portali etc.). Il crowdsourcing promette maggiori innovazioni user-centered che spingeranno più in là la frontiera della co-creazione del valore.

Top ten marketing moments del 2009
2. Il fenomeno Twitter
Da quando Obama ha deciso di rivelare in anteprima su Twitter la sua scelta del candidato vicepresidenziale, Twitter ha ufficialmente rubato la scena agli altri sociali media – e c’è chi dice persino alle email. Twitter è un enorme snapshot dinamico di ciò che il mondo sta pensando, vedendo, ascoltando, facendo, amando, comprando, odiando, chiedendo, indossando, mangiando, bevendo… e la lista è infinita. Cosimo Accota, autore di “Misurare le audience in internet”, spiega in profondità il cambiamento epocale che Twitter in testa – e gli altri social media in coda – hanno provocato nella produzione di significati identitari e nel consumo di presenza: “dalle forme più elementari di presenza attivate con tecniche di segnalazione informativa varie (o, come si dice, di statuscasting mood message, news feed, status update, subtitles, icons, poke), alle forme di social presence più complesse che coinvolgono pratiche di socializzazione nuove. Tra queste: social grooming (cura di sé e cura del proprio network di appartenenza), video foraging (strategie di ricerca e costruzione delle diete personali di video sharing), fictive kinship (condizioni di friendship non convenzionali), powering up (attività di potenziamento dei propri avatar). Agentività che ridisegnano tutte, fortemente, i rapporti tra “contenuti” e “utenti” e, più complessivamente, lo scenario dell’ecologia mediale per come l’abbiamo conosciuta fin’ora”.

Top ten marketing moments del 2009
1. “Best Job in the World” – Tourism Queensland
Chi è che non vorrebbe essere assunto per il miglior lavoro del mondo? La risposta a questa domanda è arrivata a gennaio, quando oltre 35,000 persone da tutto il mondo hanno inviato la propria candidatura per diventare custodi dell’isola Hamilton, sulla Grande Barriera Corallina. Principali mansioni e responsabilità per 6 mesi? Dar da mangiare ai pesci dell’oceano, pulire una piscina, fare immersioni, snorkeling ed escursioni per un salario di circa 80.000 euro – trasferimenti, assicurazione e alloggio in una villa waterfront compresi. In realtà si tratta di una campagna di PR e destination branding ideata dall’ente Tourism Queensland, come risposta creativa alla crisi del turismo. La campagna è stata condotta sui social media e sulla stampa in 18 paesi: l’ufficio ha ottenuto un grande ritorno pubblicitario che le autorità stimano intorno i 70 milioni di dollari australiani, contro lo stanziamento di 1,7 milioni di dollari – stipendio del custode incluso! Il vincitore, l’inglese Ben Southall, ha dovuto documentare l’esperienza con foto e video sul blog ufficiale, aggiornando il mondo sulla sua esperienza giorno dopo giorno. Persino la sua recente disavventura con una medusa letale non riesce a mettere in ombra l’originalità di questa campagna, firmata SapientNitro e vincitrice a Cannes, che ha fatto il giro del mondo nel 2009.

martedì 12 gennaio 2010

Perché Riotta ha torto

[La Repubblica - Scene digitali 12/01/10]
Ci sarebbe da discutere della posizione che Gianni Riotta ieri lanciava a partire dal libro di Jaron Lanier, “You are not a gadget: a manifesto”, una bella provocazione sulla credibilità dell’informazione così come si trova in internet.

Però non ho letto il libro di Lanier, che risulta in status di “pre order” su Amazon Kindle, e quindi non vorrei affrontare una tesi senza averla vista nella versione originale. Nella “vulgata” di Gianni mi sembra che ci sia qualche forzatura. Una è questa, che Riotta dà per scontato che internet sia ormai patrimonio, sangue e vita del lavoro dei giornalisti e più in generale dell’establishment intellettuale di questo paese oltre che del mondo intero – insomma che una fase storica sia finita (e come se dall’altra parte, a difendere la rete “com’è” ci fossero soltanto stupidi lanciatori di guano nascosti dietro l’anonimato). Il problema della distruttività dei commenti anonimi è antico e faccio molta fatica a credere che sia questo il punto centrale posto da Lanier, il quale saprà certamente che il problema di libertà che vi è connesso è che mentre nell’occidente libero c’è un problema di credibilità di chi scrive sulla rete, in molti altri e importanti paesi del mondo ce n’è uno di incolumità. Fisica e politica.

Caro Gianni, sei un ottimista: in questo paese nelle redazioni, nelle case editrici, nell’accademia e nelle stranze strategiche delle aziende – dovunque in qualche modo “si pensi per professione” – la rete, come luogo e modello di reperimento ed uso dell’informazione, non è mai entrata. Non si è mai fatta modello culturale, in senso antropologico, che è esattamente il punto dal quale partono gli americani. E questo è il nostro guaio specifico. Per cui il tuo appello – e qui la forzatura la faccio io – rischia di dar nuova lingua e linfa alla furia anti google di tanti colleghi illustri (se ne leggono ormai ogni settimana) che parlano della rete come i corrispondenti di guerra parlano delle battaglie dalle stanze dei loro alberghi. E nuova linfa a una voglia di menar le mani sulla rete perché, per dirne una, YouTube toglie spettatori alla televisione generalista e ci sono i budget da difendere. E’ una tendenza, forte. Tu che sei americano per cultura non faticherai a vederla.

Non parlo di te che sei un pioniere, ma una cosa è la critica di Lanier, che matura nel cuore della cultura digitale della silicon valley, un altro conto quella del giornalismo italiano. Che di fronte alla rete ha reagito né più né meno come i maestri scriba che provarono a bruciare Gutenberg a Parigi. In parole povere, un riflesso corporativo da interesse ferito.

E ancora, però, non ci sarebbe niente di male, nella tua invocazione, se questa “esternità” non producesse come risultato l’ennesimo contributo alla normalizzazione della rete. Alla sua riduzione a uno spazio normato dai poteri intellettuali ed economici tradizionali, a “walled garden” delle telecom, in ogni momento controllabile. Suvvia, cosa dà più fastidio, il vociare dei fessi o la capacità di aggregazione di un “popolo viola”, che a me non piace molto, ma che è un fenomeno tanto taciuto quanto disturbatore di sogni in questi giorni? Ma a te pare normale che un ministro dell’interno prima parli di chiusure di pagine e siti e poi passi un po’ di tempo al telefono col rappresentante Europa di Facebook per “decidere” un modus operandi? Non ti pare ci sia un problema di libertà che si pone?

Ma non eluderò il tuo problema. Il problema dell’attendibilità esiste. Per esempio nel nostro campo. I giornali. Non lo dico io, né tu, lo dicono migliaia di persone sulla rete da molti anni. Il punto è che per te quelli sono lanciatori di guano che rendono la rete un marasma non selezionato, per me sono un pezzo di opinione pubblica. Giovane. Ci chiedono di essere meno uomini di establishment e di potere e qualcosa di più di quelle cose belle americane che parlano di cani da guardia del potere. Se faremo informazione migliore, la nostra popolarità in alto nelle pagine di risultato di Google sarà grande. Ma che dico? Noi l’informazione dei giornali vogliamo chiuderla nei recinti dell’informazione a pagamento, nei Kindle e nei pacchetti-premium. E cosa resterà dell’informazione, dopo il nostro ritiro? Wikipedia, per esempio. Che, concordo, è una cosa molto “influenzabile” e fatta da gente che avrebbe bisogno di qualche goccia di valium. Ma è l’unica che c’è (mi sbaglio, resterà anche qualche iniziativa “grassroots” tra quelle che ora cominciano). Vittorio Zambardino

lunedì 11 gennaio 2010

Il declino di Internet, l'opinione di Jaron Lanier

[IlSole24ore 10/01/10] Quando lo conobbi a Silicon Valley negli anni '90, Jaron Lanier era proprio come lo vedete nella foto qui accanto, con i «dreadlocks», i boccoli alla Bob Marley a cascata, e sulla mano il guanto della Virtual reality, la realtà virtuale di cui la sua azienda era pioniera. Con la sua visione e il suo guanto Jaron mutava lo schermo davanti a sé e entrava in una diversa realtà, volando su un bosco, duellando con un Cavaliere Templare, operando un paziente al cervello. Le sue simulazioni hanno poi dato vita a videogiochi, programmi di addestramento per l'aviazione, sistemi di training per ingegneri e medici.
Oggi però Lanier, guru di internet e dei new media, celebre firma della rivista Wired, è perplesso. E nel suo ultimo libro «You are not a gadget: a manifesto», mette in guardia contro la deriva del Web 2.0 con toni preoccupati che faranno applaudire i vecchi professori che si vantano «Io? Io non ho mai usato un computer!». Cosa è accaduto perché uno dei leader della rivoluzione internet denunci il Web 2010? Lanier lamenta l'appiattimento dei contenuti online, che motori di ricerca come Google e l'enciclopedia scritta dagli utenti Wikipedia, importano sulla rete. Mettere ogni giorno insieme, senza alcuna selezione, gli argomenti dei filosofi e le arrabbiature del tizio davanti al cappuccino tiepido, l'analisi economica di un Nobel e lo sfogo del qualunquista di turno, può essere celebrato dagli ingenui alla moda come «open source» e «democrazia di rete». Il pericolo è invece riassunto bene nelle parole del guru Lanier: «I blog anonimi, con i loro inutili commenti, gli scherzi frivoli di tanti video» ci hanno tutti ridotti a formichine liete di avere la faccina su Facebook, la battuta su Twitter e la pasquinata firmata «Zorro» sul sito. In realtà questa poltiglia di informazione amorfa rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica.
Sui primi due giornali italiani, Repubblica e Corriere, i video più visti online questo sabato comprendono la ragazza che si tuffa nel lago e sbatte il sedere perché è gelato, la scema che fa la capriola e cade dal letto, il fusto che solleva 150 chili e sviene, il reporter sfiorato da un aereo e la cliente infuriata che devasta il locale perché il panino non le piace troppo.
Lamenta Lanier: «Ai tempi della rivoluzione internet io e i miei collaboratori venivamo sempre irrisi, perché prevedevamo che il web avrebbe potuto dare libera espressione a milioni di individui. Macché, ci dicevano, alla gente piace guardare la tv, non stare davanti a un computer. Quando la rivoluzione c'è stata, però, la creatività è stata uccisa, e il web ha perso la dignità intellettuale. Se volete sapere qualcosa la chiedete a Google, che vi manda a Wikipedia, punto e basta. Altrimenti la gente finisce nella bolla dei siti arrabbiati, degli ultras, dove ascolta solo chi rafforza le sue idee».
Che cosa è diventata dunque la discussione su internet nel 2010? Il pioniere Lanier, come tanti rivoluzionari del '900, non potrebbe essere più amaro e realista. «Ovviamente un coro collettivo non può servire a scrivere la storia, né possiamo affidare l'opinione pubblica a capannelli di assatanati sui blog. La massa ha il potere di distorcere la storia, danneggiando le minoranze, e gli insulti dei teppisti online ossificano il dibattito e disperdono la ragione».
Non saprei condensare meglio la preoccupazione e la delusione di Lanier e ho provato a sostenere le stesse tesi un anno fa, nella serie di Conferenze sul giornalismo all'Auditorium di Roma. Avendo creduto - e credendo - nella potenza sociale, culturale, economica e creativa della rete, e avendo a lungo scocciato colleghi e amici sulle sue virtù (al Corriere Paolo Mieli scherzava: ti vedo volentieri Gianni, basta che non mi parli più di internet!), è giusto che oggi mi faccia carico del dilemma: come è possibile riportare gerarchia di valori (il bene migliore del male), autorevolezza di tesi (il Nobel Amartya Sen la sa più lunga sulla crisi asiatica del suo anonimo aguzzino via blog), limpidezza di discussione (i siti e i Tersite che denunciano, a destra e a sinistra, in Italia e negli Usa, chi non è d'accordo con loro come «venduto» non sono «informazione»)?
La rete è e resterà il nostro futuro. I nostri figli ragioneranno sulla rete. L'informazione dell'opinione pubblica critica passerà sempre più dalla carta alla rete. Dunque non dobbiamo - come ci ammonisce Jaron Lanier - permettere ai teppisti di inquinarla con le loro farneticazioni e garantirne l'informazione, la cultura e l'eccellenza contro l'omogeneizzazione e il qualunquismo.
Google come aggregatore industriale di sapere, Wikipedia come aggregatore volontario di sapere, un'azienda strepitosa e un gruppo sterminato di volontari, non possono continuare a mischiare diamanti e cocci di bottiglia. Chi segue il dibattito su Wikipedia - vedi il Financial Times del 2 gennaio con l'inchiesta di Richard Waters – sa quanto questo riequilibrio sia importante: «È ormai duro controllare la qualità su Wikipedia, e interessi occulti possono fare correzioni con facilità, secondo il loro punto di vista. Andrew Lih dell'University of Southern California ci mette in guardia nel suo saggio «The Wikipedia Revolution»: «Il mio terrore è che poco a poco la verità goccioli tutta via, senza che nessuno se ne accorga».È così, in nome di un egualitarismo che puzza di ideologia, e mettendo sullo stesso piano esperti e dilettanti, osservatori equanimi e faziosi ululanti, Wikipedia rischia di passare da invenzione geniale a piazza scalmanata (e chiunque abbia visto l'articolo a suo nome dell'enciclopedia online cambiato e ricambiato da fans e ultras sa di che parlo).
Il compito non è immane, ma è urgente. Riportare sulla rete quei canoni di serenità, autorevolezza, vivacità, impegno, buona volontà, dibattito, critica che sono da sempre trade mark della libertà, dell'onestà, della ragione. Senza perderne la ricchezza, la spontaneità, l'uguaglianza.
Per avere proposto questa discussione Lanier è già fatto a pezzi sulla rete come reazionario, traditore, snob, fallito, ferrovecchio (stessa sorte mi capitò quando il Corsera pubblicò la mia conferenza dell'Auditorium). Assurdo. In un'intervista oggi al Domenicale lo scrittore Francesco Piccolo racconta di come il suo amico Niccolò Ammaniti, giovane come lui, lo chiami inorridito per gli insulti che gli rivolgono online: prima regola, dice il saggio Piccolo, mai leggere i commenti anonimi dei blog.
Riportare sulla rete i valori della ragione, della saggezza e della buona volontà. A Wikipedia son coscienti del problema, se il grande Craig Newmark, fondatore di Craiglist, impero degli annunci pubblicitari online e consigliere della Fondazione Wikipedia, conclude «Abbiamo bisogno di esperti bilanciati dai cittadini, e viceversa». La rete 2010 deve diventare questa città ugualitaria: dove gli esperti e l'informazione di qualità parlano ai cittadini, e i cittadini fanno sentire la propria voce senza rancori e follie anonime. (Quanto alle Sturmtruppen dei siti all'arrabbiata anticipo gli insulti: questo articolo è stato imposto dal Kgb, la Spectre, la Cia e la Banda Bassotti per nascondere i mandanti dell'omicidio Kennedy, nascosti si sa in Vaticano e al Crazy Horse...).
Gianni Riotta