martedì 27 settembre 2011

La Rete come strumento per la scoperta di sé

[La Stampa 27/09/2011]
Non più solo a caccia di amici, incollati per ore alla tastiera con grande allarme di mamma e papà. Oggi gli adolescenti su Facebook cercano se stessi. Lo rivela uno studio condotto dai ricercatori della Tel Aviv University (Israele), pubblicato sul Journal of Adolescence, che dunque in parte tranquillizza i genitori incapaci di «staccare» i figli da Twitter, YouTube e Facebook e sempre più allarmati per le insidie celate dal web.

Il team di Moshe Israelashvili ha analizzato 278 studenti, maschi e femmine, appartenenti a scuole di tutto il Paese, alle prese con i social network. Scoprendo così che molti adolescenti usano Internet come un mezzo per esplorare questioni relative alla propria identità, alla personalità, al modo per costruire con successo il proprio futuro. E questo proprio grazie alle informazioni trovate sul web. Anche per questo motivo l’esperto incoraggia genitori e insegnanti a «non diffidare troppo dai social network».

L’impegno online non è tutto uguale. In certi casi il tempo passato in Rete è utile agli adolescenti. «L’uso di Facebook non può essere inserito nella stessa categoria del gioco d’azzardo o degli Internet game». Di conseguenza, i ricercatori dovrebbero ridefinire le caratteristiche della «dipendenza da Internet» negli adolescenti.

I ricercatori, intervistando i ragazzi, hanno però scoperto anche una correlazione negativa tra l’uso eccessivo di Internet e la chiarezza nella percezione di sè. Dunque secondo gli studiosi non si può fare di tutta l’erba un fascio: un certo tipo di utilizzo è distruttivo e isola, mentre un altro ha l’effetto opposto. In pratica, è istruttivo: aiuta a socializzare e a costruire la propria identità rispetto agli altri.

Oggi si tende a definire affetto da Internet-dipendenza una persona che «passa più di 38 ore sul web ogni settimana. Ma è la qualità, non la quantità che conta», sostiene Israelashvili. I ricercatori, infatti, hanno visto che molti dei ragazzi coinvolti nella ricerca rientravano nello standard della «dipendenza da Internet», ma in realtà usavano la Rete come strumento per la scoperta di sé.

Ci sono due tipi diversi di adolescenti «drogati di Internet», spiegano gli studiosi. Il primo gruppo è composto veri maniaci, che si concedono maratone di giochi online, giochi d’azzardo, siti hot e chat erotiche, isolandosi dal mondo reale. L’altro è composto da «cercatori», che usano Internet per definire la propria identità e il proprio posto nel mondo. Questi ragazzi, spiegano gli studiosi, tendono a utilizzare i social network e a raccogliere informazioni, su siti di notizie o Twitter.

Insomma, ciò che è importante è il modo in cui si naviga, non solo le ore passate online. I ragazzi «devono imparare a usare Internet in modo sano, come fonte di conoscenza di se stessi in relazione ai loro coetanei di tutto il mondo», suggerisce Israelashvili. Cosa che qualcuno di loro già fa. Se i genitori sono ancora preoccupati dalla quantità di tempo che i loro ragazzi passano davanti al computer, piuttosto che strepitare o vietare, dovrebbero diventare una fonte di informazione per i loro figli adolescenti, favorendo una sana conversazione in casa.

«Molti genitori sono troppo preoccupati per alcune cose, e poco per altre - dice Israelashvili - Puntano sui successi accademici e trascurano di insegnare ai ragazzi come affrontare il mondo». Cambiando atteggiamento, prevede lo studioso, i ragazzi passeranno meno tempo nel mondo virtuale, visto che possono trovare risposte anche in quello reale. Se hanno trascorso la loro adolescenza preoccuparsi solo del rendimento scolastico o dei divertimenti, potrebbero avere difficoltà nel prendere decisioni personali e di relazionarsi bene con il mondo, una volta adulti.

http://tecnologia.bloglive.it/un-italiano-su-tre-teme-per-la-propria-privacy-in-internet-4879.html

[Corriere della sera.it 26/09/2011]

La nuova versione di Facebook (disponibile dal 30 settembre) rappresenta un punto di svolta per i social network: se finora hanno reso visibili (e quindi ‘pensabili’) le nostre relazioni, ora si propongono di raccontare la nostra storia.

I social network riuniscono in un solo luogo tutte le nostre relazioni. Un’esperienza altrimenti eccezionale e, potenzialmente, imbarazzante: non è un caso che ai matrimoni vengano assegnati i posti a tavola.

Ed è per questo che Google+ ha introdotto le ‘cerchie’, un espediente interessante, anche se non del tutto efficace: quando si è tutti sotto lo stesso tetto, basta che una persona conosca qualcuno in un’altra cerchia (o a un altro tavolo), per rendere permeabili i confini e far circolare le informazioni.

Sui social network – rispetto all’interazione faccia-a-faccia – è più difficile mantenere una distinzione tra i ruoli e ‘recitare in modo diverso a seconda dei diversi teatri’. Sta accadendo l’opposto di quanto previsto (e temuto) da Zygmunt Bauman: i social media non rappresentano una ‘extraterritorialità virtuale’ per bricoleur che giocano con il puzzle delle loro ‘identità plurali’.

Al contrario, i social network identitari chiedono ai propri utenti di accedere con la propria identità ‘reale’ e di metterci la faccia, una sola. A queste condizioni, è difficile mantenere i confini tra identità professionale e personale, tra colleghi e amici, tra tempo di lavoro e tempo libero.

Il nuovo Facebook ha introdotto due novità che accelerano questi processi. La prima è la ‘timeline’: chi ha un profilo su Facebook, d’ora in poi – oltre al collasso degli spazi sociali – dovrà gestire anche quello del tempo. I contenuti meno recenti non verranno più sostituiti da quelli più attuali e sarà favorita la navigazione nella cronologia delle attività.

L’altra innovazione sono le ‘app lifestyle’: il registro attività non raccoglierà solo i contenuti intenzionalmente condivisi dall’utente, ma tutte le attività svolte, anche fuori dal social network.

La nostra pagina Facebook racconterà nel dettaglio quello che stiamo facendo e che abbiamo fatto. I manager di Facebook parlano di ‘storytelling’, ma forse sbagliano: la storia ci riguarda, ma non siamo noi a raccontarla. E poi, siamo sicuri che l’elenco di quello che facciamo dica veramente chi siamo?
Ivana Pais

Un italiano su tre teme per la propria privacy in Internet

[Bloglive 25/09/2011] La privacy è una questione che fa discutere moltissimo in ambito di Internet, perchè se da una parte è vero che quasi tutti vogliono nascondere le proprie questioni personali alle persone non autorizzate, è altrettanto vero che poi basta un social network per sbandierare a tutta Italia che in tal giorno si è andati al mare.
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lunedì 26 settembre 2011

Questo mese, su SapereCoop, la rivista che Coop distribuisce agli insegnanti e alle scuole attraverso invii o incontri organizzati nei vari territori

[Corriere della Sera 24/09/2011]

«Facebook è il posto dove menti a chi conosci, Twitter è il posto dove sei sincero con gli sconosciuti». Postato su Twitter a maggio da Giulio Tolli, studente di ingegneria che aveva dieci anni nel 2000, e subito adottato dalla rete e rilanciato nell'etere - retweetted con parola tecnica.

La frase, nella sua compattezza assiomatica offre in effetti una sintesi suggestiva che sembra subito evocativa di verità, quasi come quelle dei baci Perugina d'antan, dell'era pre-Moccia per intenderci, e viene da chiedersi: come mai non ci avevo pensato prima? E rilancia il dibattito sui due social network principali in quanto ne mette a fuoco le diverse anime: perché se Facebook non è proprio il regno della menzogna, di sicuro è il luogo della rappresentazione un po' narcisista di sé dove tutto è permesso, anche qualche esagerazione, il mettersi qualche piuma, imbellire la realtà, aggiungere qualche piccola bugia o mezza verità senza paura di andare all'inferno, anche se papa Ratzinger nel suo discorso di gennaio di apertura alla Rete aveva invitato a «non mentire» nelle costruzione dei propri profili. Con la possibilità un po' barocca che offre ad ognuno di costruire le proprie identità Facebook risponde bene alle esigenze di quella che Zygmunt Bauman ha definito società fluida, che prevede la costruzione di continue nuove vite e rappresentazioni di sé seguendo un percorso di vita non più lineare ma flessibile e circolare. Alzi la mano chi su Facebook non si è allargato un po', non ha scelto con cura la foto più bella anche se non la più veritiera, non ha insomma costruito un po' l'Avatar di sé rappresentandosi al meglio.

Tutt'altro discorso per Twitter, regno della sintesi e dell'essenziale, perché già quell'obbligo a stare nelle 140 battute porta a mettersi un po' sull'attenti, a essere coincisi (fatto che aiuta a non raccontar bugie) e ad andare subito al nocciolo della questione anche quando non si tratta di pensieri, ma di emozioni e di privato. Cosa che hanno subito sfruttato i belli e famosi che hanno individuato in Twitter il medium per una comunicazione diretta su se stessi, che salta tutte quelle mediazioni del sistema giornalistico che - a dir loro - sono diventate una trappola. Basta pensare all'utilizzo accorto che ne ha fatto per prima Demi Moore fotografandosi in situazioni normali e quotidiane, persino abbruttenti (all'inizio fece scalpore l'immagine in cui le mancava un dente davanti), arrivando nel tempo a costruire un canale diretto di fiducia con il suo pubblico.

Giulio Tolli, l'autore della frase da cui siamo partiti, che è studente di ingegneria informatica e che intervalla allo studio i suoi pensieri su Twitter, Facebook, MySpace, precisa che su Facebook ci si mostra come gli altri vogliono che siamo. «Ma alla fine la platea degli amici di Facebook resta adolescenziale e meno stimolante. E quel che scrivi spesso casca nel vuoto, mentre su Twitter proprio perché parli a gente che non conosci, spesso a stranieri, sei più libero, più originale e ti confronti di più» dice con cognizione di causa perché avendo a volte postato la stessa frase sui due network, ha notato come su Twitter abbia avuto più risonanza.

Più chiusa e provinciale, dunque, seguendo il ragionamento, la platea di FB, più internazionale l'altra. Di sicuro, sostiene Stefano Menichini, direttore del quotidiano Europa , che usa da tempo i due network mischiando l'uso professionale a quello personale «non puoi mai farne un uso freddo, perché non funziona». Ma lei arriva a mentire? «Quello no, ma molti amici mi dicono che bravo papà sei perché parlo spesso di mio figlio, ho pubblicato molte foto con lui, anch'io mi metto qualche piuma» scherza, ma riconosce una certa prevalenza di Twitter per l'uso professionale: «È un continuo flusso di notizie e informazioni, un arricchimento e hai continui feedback. Per un giornalista si potrebbe dire quasi una continua riunione di redazione, in contatto con il mondo. L'importante è che poi consideri quello che ti arriva da lì come spunti e non punti di arrivo».

Simona Siri, giornalista e blogger, nonché social network addict, riconosce l'ambivalenza di fronte a Facebook, da una parte l'esibizionismo, dall'altra l'esigenza di confondere un po' le acque per non «dare le coordinate esatte di vita» e così confessa di mettere in atto strategie diversificatorie, piccoli depistaggi per non far capire in che luogo sia: ha anche fondato una pagina Fb, titolo «Fingere di prenotare e cancellare biglietti aerei». Mentre l'attrice Chiara Francini spesso indulge alle esigenze consolatorie della platea degli amici e, pur di non deluderli, annuncia scaramanticamente una giornataccia mentre tutto va benissimo.

Va oltre ed incrocia il tema della Grande memoria della Rete che non sa dimenticare, Fabrizio Rondolino, scrittore e autore tv. Dice che quando gli ricapitano davanti alcuni «stati» scritti da lui nel passato ha come un senso di straniamento, di alcuni è pentito amaramente, questo per esempio, scritto due anni fa quando Dario Franceschini successe a Veltroni: «Finalmente il Pd ha un segretario non post-comunista» («e la smentita è stata amara, si è rivelato un gruppettaro»).
La tendenza, ora, degli utilizzatori compulsivi di Fb e Twitter, è quella di unificare, con un solo clic, pubblicare su entrambi i network. E chissà allora che nel tempo anche la divisione fra menzogna e verità non si assottigli ancora. Nella rete, si sa, tutto va più veloce.

Maria Luisa Agnese

Educare le bambine e i bambini ai media e alle relazioni fra i generi

[Dis.anb.iguando 23/09/2011]

Questo mese, su SapereCoop, la rivista che Coop distribuisce agli insegnanti e alle scuole attraverso invii o incontri organizzati nei vari territori dalle cooperative, è uscito un mio articolo dal titolo «Mamme, ballerine e superuomini. Per un’educazione ai media, capillare e trasversale, che cominci sin dalle elementari».

L’articolo appare anche sul portale e-coop, QUI. Ma per tua comodità, e per gentile concessione di Coop, eccolo:

La comunicazione di massa – dalla televisione alla pubblicità, dai videogiochi a un certo cinema e una certa letteratura – ci propone spesso immagini stereotipate e storie semplici, con l’idea che sia più facile per tutti capirle, apprezzarle e ricordarle. Naturalmente la cosiddetta «massa» apprezza anche storie e immagini più originali, se ben concepite, ma ripetere stereotipi è più facile e costa meno: dunque si fa.

bambini-e-videogiochi

Da tempo sociologi, psicologi e semiologi indagano il rapporto fra i media e ciò che di fatto le persone credono, desiderano, si aspettano nella vita. È chiaro infatti che fra media e società ci sono rimandi reciproci da cui è difficile districarsi, soprattutto se gli stereotipi che i media presentano toccano gli aspetti più intimi della nostra vita, su cui di solito c’è minore consapevolezza: la rappresentazione del corpo, le relazioni fra i generi sessuali, la vita affettiva.

Se per esempio i media valorizzano le donne più per la bellezza che per ciò che dicono e sanno, mentre per gli uomini vale il contrario, non sarà che la differenza incide sul modo in cui le donne e gli uomini percepiscono sé e gli altri? Se i media presentano corpi (maschili e femminili) sempre più perfetti, fotoritoccati e lontani da quelli reali, non sarà che ciò influisce sul nostro ideale di bellezza? Sul modo in cui le bambine e i bambini crescono, sentendosi sempre meno adeguati rispetto a quei modelli? Sull’aumento dei disturbi alimentari e della domanda di chirurgia plastica? E se pubblicità e televisione mostrano più conflitti fra uomo e donna – la cosiddetta «guerra dei sessi» – che esempi di collaborazione e accettazione reciproca, non ci sarà un nesso con la difficoltà di costruire relazioni di coppia durature?

Secondo me sì: l’influenza che i media hanno su di noi è tanto forte quanto sottovalutata. Tipicamente, infatti, i professionisti dei media – ma anche molti studiosi – dicono che è banalizzante vedere le cose in questo modo: intanto perché le persone non sono così sciocche da farsi condizionare – infatti va di moda parlare di «consumatori maturi» o «postmoderni»; e poi perché i media non fanno che rispecchiare la società, non sono certo così potenti da costruirla o determinarla.

È vero: i media non vanno demonizzati e sono anche una grande opportunità di alfabetizzazione; né si può ridurre la complessità umana a una visione deterministica, per cui certi problemi sarebbero «colpa» della tv o della pubblicità.

Il punto, però, è che anche le persone più colte, razionali e «mature» convivono dalla metà del secolo scorso con stereotipi mediatici sorprendentemente immutabili nonostante i cambiamenti della società: mamme che preparano il pranzo o lavano il bagno, bambine che pettinano le bambole e sognano di fare la ballerina, superuomini instancabili, corpi oggetto. E non basta spegnere la tv, perché quelle immagini sono per strada, su internet, a scuola, nei supermercati.

Bambini e tv

E allora, come se ne esce?

Credo che l’educazione ai media sia l’unica strada possibile: in tutti gli ordini e gradi della scuola – perché prima si interviene, meglio è – in tutti i settori dell’università. Un’educazione che oggi deve essere più capillare e trasversale di ieri, perché deve mostrare i nessi fra la televisione e internet, fra il cinema e i videogiochi, fra la pubblicità e una certa letteratura per l’infanzia e l’adolescenza.

E deve toccare gli aspetti più intimi e profondi su cui i media possono incidere: le relazioni fra i generi – sempre ricordando che non c’è solo l’eterosessualità, ma gli orientamenti sono diversi – il corpo, le emozioni, i ruoli di coppia.

Perché sono queste le basi su cui gli individui crescono, scelgono amicizie e amori, formano famiglie, entrano in società.

Giovanna Cosenza

Millennials: così i giovani cambiano il mondo del lavoro

[La Stampa 23/09/2011] Il gap generazionale non lo ha inventato Internet, ma per le generazioni nate tra gli anni Ottanta e Novanta, la distanza dai padri e dai fratelli maggiori si misura in gran parte nella familiarità con le tecnologie digitali. Chiamateli Millennials, chiamateli “nativi digitali”, fatto sta che parliamo di persone (circa 150 milioni in Europa) con pochissimi ricordi di pellicole, giradischi e registratori a nastro, e che hanno sguazzato fin da piccoli nella Rete come il gallico Obelix nella pozione magica, segreto della sua perenne invincibilità. Ora, questa generazione di invincibili padroni del web è già sbarcata o si prepara a sbarcare negli uffici, suscitando un conflitto di ansie e aspettative tra neo-impiegati e datori di lavoro.

Proprio questo conflitto è al centro di una ricerca commissionata a Netconsoulting da CA Technologies, società specializzata nella fornitura di servizi e software per le aziende, in particolar modo nel settore della sicurezza. L'indagine si è svolta con 285 interviste nel 2011, coinvolgendo giovani nati negli anni Ottanta, provenienti dalle facoltà di economia e di ingegneria di Milano e Torino. I risultati? Fanno prevedere qualche frustrazione per i nuovi lavoratori e importanti sfide per le aziende che li assumeranno.

Non è un luogo comune: gli studenti che stanno per uscire dagli atenei non hanno bisogno di essere istruiti su come si usa un pc e come si trova una informazione sul web, il loro habitat naturale. Ma non è detto che i futuri datori di lavoro condividano la loro disinvoltura nel maneggiare social network, cloud, dispositivi portatili, senza filtri reali tra un uso privato e un uso professionale di questi strumenti. L'identikit del “nativo digitale” è questo: nomade, molto accessoriato e assai poco incline alla riservatezza quando si tratta di comunicare online. Un ritratto quasi al negativo (o al positivo, se si preferisce) rispetto a quello delle aziende italiane.

Qualche esempio? Smartphone e notebook sono ormai appendici personalizzate e imprescindibili per i millennials, che sperano di poterle usare anche sul posto di lavoro. Possiede un pc portatile l'88% degli intervistati e il 52% di loro ha in tasca un cellulare di nuova generazione, ma se si parla semplicemente di cellulare, si arriva quasi a 100 su 100. Non sono solo strumenti di conoscenza o di lavoro, dal momento che quasi tutti gli intervistati sono iscritti a Facebook o ad altri social network e che nell'80% dei casi gli appuntamenti fra amici passano proprio da Facebook o dagli SMS (90%). La posta elettronica è quasi “desaparecida”, ferma al 50% delle preferenze e surclassata dai nuovi media, ma sempre in auge per comunicazioni formali (il 93% la usa per contattare i docenti). E, guarda caso, la ricerca evidenzia che le aziende si attrezzano soprattutto con pc da scrivania e posta elettronica.

La privacy, poi, non è certo una priorità: sono molto sensibili al tema solamente il 15,8% degli ingegneri, mentre fra i futuri economisti si sale al 34,8%. Numeri che sembrerebbero ribaltarsi, però, quando si va a vedere quale tipo di dati i giovani siano disponibili a divulgare sui propri social network. Pubblicare l''indirizzo mail non è un problema per l'82% degli “economisti”, contro il 17,9 degli ingegneri, ma le distanze si accorciano se si parla di gusti, hobby, informazioni anagrafiche. Persino il numero di telefono (il 22% degli intervistati lo ha pubblicato online) e l'indirizzo di casa (pubblicato dall'8%) per qualcuno non è un tabù.

(Con)divide et impera
L'imperativo sembra essere condividere, un'attitudine esercitata anche nell'ambito dell'università non solo attraverso i social network. Un'abitudine che molti giovani immaginano di poter coltivare anche nei loro uffici di domani. Quasi il 60% degli intervistati si aspetta di poter accedere a Facebook almeno una volta al giorno (e il 24% tra loro di poterlo fare più volte al giorno). Cattive notizie per questi ottimisti: a meno che non siano assunti nelle pubbliche amministrazioni (e le probabilità sembrano basse secondo un altro dato di questa indagine), dove il 75% degli enti interrogati ha confessato una politica di accesso illimitato a Facebook, i neo-lavoratori troveranno restrizioni di vario tipo, legate alle mansioni e alle necessità lavorative, quando non assolute, come avviene nel 66% delle aziende classificate come Utilities e Energy dalla ricerca.

Privacy, riservatezza, regole: questi sembrano punti imprescindibili per le società, che pure attendono i giovani digitali con non poche aspettative. L'insofferenza per le limitazioni imposte dalle aziende potrebbero essere un prezzo da pagare accettabile a fronte della implicita capacità di gestire i nuovi media, di aprirsi al cambiamento, di lavorare in contesti flessibili e decentrati. Tutte qualità che le aziende avrebbero già osservato nelle prime nidiate di digitali che si sono affacciate al lavoro. Qualche problema in più potrebbe crearla, invece, la pretesa di usare i propri strumenti tecnologici (smartphone, tablet o notebook) anche sul lavoro, con inevitabile confusione tra il piano professionale e quello privato. “Bring Your Device” (porta il tuo dispositivo) sembra essere lo slogan giovanile ben sintetizzato in un'analisi della KuppingerCole e confermato nei dati di NetConsoulting. I ragazzi si sono impadroniti dello spazio virtuale configurandolo a loro immagine e personalizzandolo con i tanti strumenti a disposizione perché risultasse il più “ergonomico” possibile. Perché affidarsi a fredde e magari scomode impostazioni altrui? Un'esigenza in palese contraddizione con i protocolli, le politiche sulla sicurezza e la protezione dei dati.

Occorrerà, insomma, che i dirigenti trovino la via per un giusto compromesso, che valorizzi le qualità e la sintonia con il nuovo millennio dei nuovi assunti con le esigenze di protezione del business e di riservatezza, che le nuove tecnologie mettono a rischio.

Social network e altri strumenti di condivisione e collaborazione online possono migliorare il lavoro in termini di produttività (se lo aspetta il 67% delle aziende) e di efficienza (67%) e di creatività (60%), ma anche il nomadismo digitale tipico delle nuove generazioni, e quindi il famoso “telelavoro”, può incidere positivamente sui costi e sui risultati. CA Technologies, promotrice della ricerca, naturalmente sostiene di avere in tasca soluzioni software e organizzative capaci di conciliare flessibilità e decentramento con sicurezza e privacy. In ogni caso, il suggerimento sembra essere quello di non tarpare le ali dei millennial, costringendoli in regole che vorranno (e in molti casi sapranno) aggirare, ma di approfittare delle loro qualità per dare una rinfrescata a modelli di business e di organizzazione del lavoro. Facile a dirsi, ma non a farsi. Il vecchio non ha mai ceduto il passo al nuovo senza resistenze, uno schema fin troppo evidente in Italia. Ma forse anche gli scalpitanti nativi digitali dovrebbero concedere ai veterani dell'analogico qualche chance. Anche le rivoluzioni più radicali conservano legami con il passato.
Claudio Leonardi

martedì 20 settembre 2011

Social network: l'Italia batte gli States

[20/09/2011 BitCity]
Nielsen
, in occasione del convegno Social Media Week di Milano, ha presentato i dati della ricerca "State of the Media: The Social Media Report" dalla quale si evince che l'Italia batte gli Stati Uniti per quanto concerne i social network: nella penisola, infatti, l'84% degli internauti ha visitato blog e social network contro l'80% degli utenti americani.
È aumentato anche il tempo trascorso sui social media in generale: negli Stati Uniti si parla di un quarto del tempo totale speso online, mentre in Italia è un terzo.
Tra i social network, il primo posto indiscusso va a Facebook con più di 140 milioni di visitatori nel maggio scorso, ma la rivelazione è Tumblr che nell'ultimo anno, solo negli States, ha triplicato le visite, sfiorando i 12mila utenti. La piattaforma consente di realizzare un blog multimediale.
I più assidui frequentatori del mondo social sono i giovani tra i 18 e i 34 anni, soprattutto le donne, mentre le persone di mezza età utilizzano maggiormente i dispositivi mobili per connettersi ai social network.
Interessante anche l'aumento degli iscritti ai social network in Nord Africa e in Medio Oriente, soprattutto in concomitanza delle rivolte che hanno caratterizzato la cosiddetta "primavera araba".
I paesi con il maggior numero di utenti sono: Qatar, Emirati Arabi, Kuwait e Libano.

lunedì 19 settembre 2011

La trasparenza è la vera sfida

[Nova 24 18/09/2011] Dalla diffusione dei social network in ambito business alla sfida per una leadership aziendale aperta e moderna, gli stimoli che Charlene Li propone a imprenditori e manager nell'era del Web 2.0 colpiscono nel segno. L'attacco portato al modello d'impresa tradizionale dalla diffusione del web partecipativo è una minaccia per chi difende lo status quo, ma un'opportunità per chi la sa cogliere. L'ex analista di Forrester nel marzo 2008 lanciava una predizione che oggi può persino sembrare banale.

Dire infatti che i social network siano come l'aria è qualcosa oggi di naturale e abituale. Eppure il fenomeno del marketing con i social media e della conversazione con i clienti via social network è tutt'altro che un fenomeno consolidato e maturo. Li – oggi a capo di Altimeter, agenzia di guru del Web 2.0 che comprende talenti quali Brian Solis e Jeremiah Owyang – è convinta che «la trasformazione verso un modello di impresa più aperta e con i social network è la direzione in cui si muove il mercato».

Enormi occasioni si presentano quindi per chi offre competenza e servizi per l'impresa che vuole cambiare. Paradossalmente, The Groundswell – titolo pubblicato tre anni fa in Usa e poi in Italia (L'onda anomala, Etas, 23 euro) – riscuote più interesse oggi che allora, ci confida Charlene Li. Lo stesso Open Leadership – ideale proseguimento del primo titolo, volto a stimolare un modello di gestione aziendale aperto, trasparente e orizzontale – ha più successo in Cina che negli Usa.
Ciò che manca perché nell'impresa questo cambio di mentalità si diffonda su larga scala è un mix di fattori che comprende strategia, agilità e nuovi modelli di business. «La mancanza di strategia – ci racconta – si evince immediatamente dal settore media, dove solo Huffington Post è stato capace di adottare una filosofia di coinvolgimento del lettore secondo i paradigmi del Web 2.0». Segno di lungimiranza e di avanguardia è l'adozione di Crm social. Strumenti di gestione del rapporto con i clienti sempre più sofisticati e social, fondamentali per sviluppare le potenzialità del business e potenziati dal matrimonio con Twitter, Facebook, Linkedin.

Charlene Li non si tira indietro nel segnalare i trend destinati a diventare standard: «Sono sei i filoni da tenere sott'occhio: likenomics, ricerca social, dati, social network business, gamification e cura di contenuti». Sulla ricerca social vediamo come Google e Bing cerchino di migliorarsi inserendo nei risultati i contenuti di Twitter e Facebook. Muovono invece i primi passi sia l'economia del "mi piace", sia la tendenza a introdurre una componente ludica ai servizi web, di cui Foursquare è un'avanguardia e lo sfruttamento intelligente di immense moli di dati. Sul fronte contenuti, ai forti investimenti in tecnologia per l'aggregazione e in produzione originale, un futuro roseo attende la "cura", vale a dire la selezione di contenuti prodotti da terzi. Ciò che non cambierà è il desiderio del navigatore/cliente di cercare una relazione con le aziende di cui si fida.
Luca Conti

Foodzy, il social game per mangiare sano

[Ninja Marketing 16/09/2011] Foodzy, start-up olandese, si ispira al modello Foursquare e trasforma le famose “5 porzioni di frutta e verdura al giorno”, la classica raccomandazione per una corretta alimentazione, in un social game. Il Web 2.0 finisce per anche per modificare l’approccio al mangiare sano e, grazie ad un app, seguire una dieta sana ed equilibrata diventa un’attività divertente da condividere con i propri amici.

Nel panorama mobile non mancano applicazioni dedicate al benessere, al fitness ed all’alimentazione e nemmeno social network tematici, come Social Workout e Traineo , ma Foodzy punta sulla gamefication, la tendenza che sempre più spesso mira a coinvolgere gli utenti puntando sull’aspetto ludico. Tra una pasto e l’altro si può conquistare un badge e sfidare gli amici a chi mangerà più sano.

In linea con la filosofia di ”mangiare con gli occhi” che ritiene importante non solo i sapori, ma anche la presentazione dei cibi, Foodzy si propone con un’interfaccia grafica accattivante e colorata che ricorda i fumetti. L’utilizzo è semplice: basta iscriversi, tener traccia della propria alimentazione condividendola con i contatti, superare missioni e scalare la classifica guadagnando punti. Un alto livello di interazione, si può condividere anche la propria posizione facendo check-in, segnalare i cibi preferiti e interagire gli utenti con gli stessi gusti, ma anche di privacy che consente di tenere nascoste le proprie informazioni personali.

Anche se si è sempre in giro, si potrà condividere l’aperitivo sorseggiato con gli amici, la pizza in compagnia o meglio la famosa “mela che leva il medico di torno” , grazie all’app disponibile per iPhone ed Android.

Gli utenti italiani però avranno qualche difficoltà a trovare ed inserire alcuni alimenti tipici della dieta mediterranea che non sono presenti su Foodzy (disponibile per ora solo in Inglese e Olandese).

Per coloro che desiderano avere un monitoraggio più preciso della propria alimentazione viene proposta anche una versione Pro a pagamento, circa una decina di euro all’anno, con una motivazione convincente:

A fee that might keep you from buying about 4 Big Macs in the next 12 months, but will give you that same excitement you feel after just buying a new pair of trainers.

Probabilmente Foodzy, ancora in versione beta, potrà rappresentare anche un’opportunità di business per il settore alimentari e ristorazione. Per ora, però, non ci sono davvero più scuse per adottare uno stile di vita sano.


Growtheplanet: coltivare l’orto nel social network sull’agricoltura

[PianetaTech 16/09/2011] Il Techcrunch Disrupt di San Francisco è uno degli eventi più importanti legati al mondo delle startup. Nell’edizione di quest’anno è stato presentato un progetto interamente italiano, che si è imposto per semplicità e originalità agli occhi di investitori e addetti ai lavori.

Si chiama Growtheplanet ed è un social network in cui gli utenti possono coltivare e scambiare i prodotti della terra fra loro. Non parliamo di , ma del progetto creato dal grafico Gianni Gaggiani, assieme ai due collaboratori Leonardo Piras e Simone Carusi.

Il progetto è pensato per riavvicinare le persone al mondo della terra, della coltivazione diretta e naturale, insomma, ha lo scopo di promuovere l’orto, una concetto da molti dimenticato.

Pur essendo virtuale, trova però ampio riscontro nella vita reale. “Noi mettiamo a disposizione degli utenti anche strumenti reali – ha dichiarato a Wired Gianni Gaggiani – ti guidiamo passo passo dalla semina al raccolto, ti indichiamo quando è il momento per le operazioni che hai programmato e se non hai mai coltivato ti insegniamo i trucchi del mestiere”.

Tutte le nozioni e i consigli potranno essere utilizzati dagli utenti sia per giocare online e sia, se lo vorranno, per provare a mettere in pratica quanto virtualmente appreso. Il guadagno per il progetto dovrebbe arrivare da un negozio online interno al sito, in cui verranno messi in vendita libri, semi, strumenti del mestiere e tante altre cose legate al mondo dell’agricoltura.

Per ora il servizio, disponibile solo in inglese, è in versione beta e per poter iscriversi è necessario un invito, comunque ottenibile accedento al sito (LINK).

Per maggiori informazioni consigliamo di guardare il video di presentazione di Growtheplanet di seguito.


Social network, padroni del nostro tempo

[Punto Informatico 16/09/2011] Si intitola State of the Media: The Social Media Report ed è uno studio pubblicato dalla celebre società d'analisi Nielsen. Una dettagliata panoramica sull'uso attuale delle principali piattaforme social, in particolare sulle percentuali di consumo da parte di un campione di utenti statunitensi.

Il tempo passato online dagli stessi netizen a stelle e strisce sarebbe dunque dominato da siti social e blog, a cui si possono attribuire il 22,5 per cento delle ore complessive spese navigando in Rete. Praticamente più del doppio rispetto agli online game, secondi classificati con una percentuale di tempo pari a 9,8.

A rubare la scena è ovviamente Facebook: allo scorso maggio, gli utenti statunitensi avrebbero collezionato un totale di 53 miliardi di minuti trascorsi sulla piattaforma di Mark Zuckerberg. Gli utenti più attivi appartengono alla categoria delle donne tra i 18 e i 34 anni, in particolare di etnia asiatica.

Lo studio di Nielsen ha poi snocciolato percentuali relative agli accessi da dispositivi mobile. Il 40 per cento dei social media user avrebbe infatti accesso tramite smartphone, con una vera e propria esplosione tra gli utenti al di sopra dei 55 anni. Tra i social media, Blogger e Tumblr avrebbero ottenuto più attenzioni rispetto a Twitter.

All'analisi di Nielsen si è legata quella condotta dal Museo delle Scienze di Londra, che ha chiesto a 3mila intervistati di indicare gli elementi fondamentali nella vita attuale. Facebook ha guadagnato un sorprendente quinto posto, subito dopo l'acqua corrente e la luce del Sole. E ben quattro posizioni sopra il naturale espletamento dei più comuni bisogni da toilette.

Mauro Vecchio

mercoledì 14 settembre 2011

INTERNET: UE, ENTRO FINE ANNO INIZIATIVA PER PROTEZIONE BAMBINI

[ASCA 13/09/2011] I paesi dell'Unione europea non hanno fatto tutti gli sforzi necessari per assicurare la protezione dei bambini su internet, secondo un rapporto pubblicato dalla Commissione, che lancera' entro la fine dell'anno un'iniziativa in questo senso.

Il rapporto mostra le differenze tra i paesi dell'Unione europea, tra cui la segnalazione ''di contenuti illeciti o dannosi, in modo che i bambini abbiano accesso a contenuti adeguati alla loro eta', rendere il social networking piu' sicuro per i bambini e proteggerli contro i contenuti nocivi del videogiochi'', ha detto il Commissario per le nuove tecnologie, Neelie Kroes.

La Commissione affrontera' tali problemi entro la fine dell'anno in un'importante iniziativa volta proteggere i bambini che utilizzano le nuove tecnologie.

''Abbiamo urgente bisogno di cambiare marcia nel modo di lavorare e collaborare per potenziare e proteggere i bambini in questo mondo in continua evoluzione digitale'', ha dichiarato la Kroes. ''E 'necessario dare ai genitori e agli insegnanti la fiducia necessaria per assumere le loro responsabilita'. La strategia che presentero' entro la fine dell'anno sara' affrontare questi problemi prima di tutto''.

In Europa attualmente, circa il 77% degli utenti Internet dai 13 ai 16 anni utilizzano i social network e il 38% di coloro che hanno da 9 a 12 anni.

red-uda

Responsa, la piattaforma italiana per condividere domande e risposte

[NinjaMarketing 12/09/2011] Quando non si conosce qualcosa, non resta che chiedere. Domandare è infatti il modo più semplice e tradizionale per trovare risposte e lo si fa quotidianamente. Tuttavia non sempre le risposte soddisfano i nostri dubbi, probabilmente perchè non formuliamo bene la questione o ci rivolgiamo alle persone sbagliate.

Sul web, invece, trovare risposte giuste alle nostre domande è molto più semplice ed immediato grazie a Responsa, nuovo prodotto H-Farm che si propone come la risposta italiana a Quora posizionandosi come ”uno spazio collaborativo per accumulare conoscenza nel modo più semplice: chiedere“.

I motori di ricerca quasi non bastano più, e si apre una nuova era nelle ricerche on-line che, grazie al Web 2.0 ed ai contenuti user-generated, sono orientate sempre di più verso il segmento Q&A (Question&Answer). Un strada già intrapresa da alcuni big come Ask.com, Yahoo! Answer e anche Facebook, che ha implementato “Questions” da pochi mesi.

Il punto di forza di Responsa è la presenza di community qualificate, riconosciute e referenziate e l’integrazione con i social network che rende immediato l’accesso alla home page senza bisogno di dover effettuare ulteriori registrazioni, ma anche la possibilità di condividere ogni singola domanda e risposta. Ogni utente ha un profilo che riassume una serie di informazioni (descrizione e foto, follower e following, numero di domande e risposte, argomenti seguiti ed i voti ricevuti) e visualizza il proprio feed che comprende contenuti, persone, argomenti e domande d’interesse. Chiedere è semplice, come nella realtà: basta porre la domanda alla community ed aspettare le risposte: è importante scegliere l’argomento e votare la risposta migliore per renderla più evidente. E’ possibile anche inserire commenti o “ringraziare”. Una domanda tira l’altra, grazie anche alla segnalazione di domande correlate e quindi se si è esperti su un certo argomento (che si può selezionare dalla barra di navigazione laterale o attraverso tag) o si conosce la risposta, basta scrivere e condividere il proprio sapere contribuendo a questo scambio partecipativo di conoscenza. Con l’opzione “Crea riassunto risposte” si può scrivere appunto una sintesi per rendere questo scambio ancora più efficace ed efficiente.

Responsa rappresenta un’opportunità anche per il lato business attraverso profili certificati di persone ed aziende, che diventano una vera e propria garanzia di qualità e permettono alle stesse aziende di creare il profilo ufficiale e avere un dialogo diretto con i propri clienti rispondendo alle loro domande.

Piera Bellelli

E se Facebook fosse obbligatorio a scuola?

[Wired 12/09/2011] Oggi ricomincia la scuola per la maggior parte dei ragazzi italiani. Armati sin dalla tenera età di cellulare e magari anche connesione Internet mobile, possono essere un osso duro per qualsiasi insegnante. Ma c'è sempre un però.

Prendiamo una classe in cui l'insegnante si è allontanato per un momento. E pensiamo a due studenti, seduti al proprio banco. Uno dei due ha il naso appiccicato al libro di testo, l’altro si dondola sulla sedia annoiato. Dopo qualche minuto, quest’ultimo i rende conto di essere l’unico nella classe a non avere gli occhi sul libro, si ricorda che un'interrogazione potrebbe essere dietro l'angolo e decide di aprire anche lui il libro e di mettersi a studiare.

È un esempio di come la peer pressure (in italiano, influenza sociale) possa incidere positivamente sulla concentrazione e l’apprendimento scolastico. Diversi studi recenti lo confermano: condividere con altri studenti l’esperienza didattica e lo studio può avere effetti sorprendenti sulle performance. Ecco, partendo da queste considerazioni, c’è chi ha pensato di applicare questo principio allo sviluppo di un social network educativo.

Il governo del Rajastan, lo stato più popoloso dell’India, ha finanziato la creazione di un social network chiaramente ispirato a Facebook che unisca alle solite caratteristiche (foto, link, status update, rete di contatti, chat e giochi online) delle funzionalità strettamente legate all’apprendimento e al proprio percorso scolastico.

L’idea è quella di utilizzare la popolarità dei social network tra gli studenti, a cui la maggior parte dei quali passano un sacco di tempo ogni giorno”, è stata la spiegazione ufficiale dell’Information Technology Department del Rajastan: “ Abbiamo pensato di rendere un più educativo questo strumento web in modo che su questi siti gli studenti possano non solo divertirsi ma anche imparare qualcosa”.

Ancora non esistono specifiche chiare sulle caratteristiche di questo nuovo social network, si sa solo che sarà studiato in modo da favorire la collaborazione professore-studente, la collaborazione studente-studente, e che lo stato del Rajastan incentiverà il suo utilizzo per il reperimento di risorse utili allo studio e per la realizzazione di progetti collettivi.

Fino a poco tempo fa, parlare di school social network significava parlare di community incentrate sul rintracciare i vecchi compagni di scuola (sì, ancora più di Facebook). Siti come Classmates.com e Graduates.com possono rivelarsi una buona risorsa se il tuo obiettivo è riallacciare i rapporti con il tuo vecchio compagno di banco del liceo (o con la tua vecchia fiamma), ma forniscono ben pochi strumenti per aumentare l’esperienza didattica.
Esistono poi risorse che vengono erroneamente classificate come social network, quando in realtà sono più un’evoluzione social dei primi forum per studenti e non integrano a fondo l’architettura delle reti sociali con le funzionalità primarie del sito (fornire informazioni utili allo svolgimento dei compiti e al recupero di alcune materie).

Il progetto annunciato dal Rajastan apre invece una prospettiva diversa: non più un forum per studenti con un’impostazione social, tantomeno un social network per mantere gli studenti in contatto, quanto un autentico nuovo strumento educativo da affiancare a quelli già esistenti.

Un’ indagine condotta tra la University of Hong Kong e la University of Science & Technology of China, rivela che tra gli studenti dei campus universitari che usano i social network (almeno il 90%), la maggior parte se ne serve per stringere amicizie e consolidare i rapporti all’interno del campus, ma anche per costituire gruppi di studio all’interno della facoltà e condividere informazioni relative al programma accademico. Perché non cercare di usare questi strumenti anche prima dell'università?

A questo proposito negli ultimi anni sono stati lanciati dei social learning network, come OpenStudy e p2pu, che offrono allo studente la possibilità di entrare a far parte di una community di contatti, e quindi fornire e ottenere aiuto e conoscenze utili all’apprendimento.



L’idea proposta dal governo del Rajastan ha però una qualità ulteriorie: l’ integrazione delle piattaforme di social learning con i piani di studio istituzionali. Negli ultimi anni sono stati compiuti passi importanti nel campo dell’e-learning, come in quello dei social-network. Le nuove generazioni hanno una padronanza inedita delle reti sociali, ci dedicano una parte significativa del proprio tempo e mantengono in Rete gran parte delle loro relazioni sociali. Un social network che sappia integrare le funzionalità di Facebook, i meccanismi di Learning Management System di una risorsa come Moodle e che fornisca una piattaforma per condurre progetti didattici collettivi, mutuando magari dei meccanismi di risoluzione e ricompensa tipici dei giochi online, potrebbe rivelarsi uno strumento potenzialmente rivoluzionario nel campo dell’ educazione web-based. Se poi, come sembra stia per accadere in Rajastan, l’utilizzo di questo strumento verrà incoraggiato dalle scuole stesse, la rivoluzione potrebbe sfiorare anche il terreno dell’ educazione istituzionale.

Attenzione, però, sarebbe ingenuo pensare che la creazione di un simile social-network rappresenti una panacea per i perditempo e le persone con problemi di apprendimento. Torniamo per esempio alla classe di inizio articolo . È vero: l’ influenza sociale può avere un peso enorme nell’apprendimento, ma questo non significa che questo peso si collochi necessariamente sulla parte costruttiva della bilancia. Esiste una buona probabilità, in effetti, che il vicino di banco fannullone convinca il secchione a mollare sul banco la penna e prendere a dondolarsi anche lui in un ozio ristoratore. L’ago di questa bilancia, ovviamente, rimane la volontà personale dello studente di impegnarsi nello studio.

lunedì 5 settembre 2011

Scuola 2.0, la comunità virtuale dello studio Ritorno sui banchi con Internet superstar

[La Repubblica.it 05/09/2011]
Un'aula virtuale grande, affollata, multidisciplinare. Dove scambiarsi consigli, indicazioni, suggerimenti per risolvere problemi o per affrontare al meglio la traccia di un tema. Dove vagliare la propria preparazione a esami e test d'ingresso. E dove raccontare, giorno per giorno, cosa accade negli istituti scolastici italiani. Un diario in presa diretta, la vita di migliaia di studenti e insegnanti disposta, pezzo dopo pezzo, su internet. E' la scuola 2.0. Ovvero: blog, siti, forum, pagine sui social network e canali su YouTube. Una scuola nella scuola che in nome della condivisione della conoscenza unisce migliaia di ragazzi di tutte le parti del Paese.

Tracciare una mappa dettagliata di tutto ciò che sul web riguarda la scuola è pressoché impossibile. Ma con il tempo, alcuni portali sono diventati dei riferimenti importanti per tutti gli utenti della scuola italiana. Il caso più eclatante è quello di Studenti. it 1. Una finestra costantemente aperta sul mondo della scuola. La principale ragione sociale è lo scambio di appunti: tutte le discipline, tutti gli indirizzi della scuola secondaria italiana. Poi i commenti sulle notizie del giorno che riguardano il mondo dell'istruzione: dalle materie scelte dal ministero per gli esami di maturità, fino alle ultime decisioni del governo Berlusconi sul riscatto della laurea a fini pensionistici.

Ma non solo. Studenti.it raccoglie informazioni sui corsi universitari e sui master post-laurea. E poi sui professori, sugli affitti per i fuorisede e sulle offerte di lavoro. Inoltre, numerosi spazi consentono il confronto diretto tra i ragazzi. Come il forum dove, oltre allo scambio di suggerimenti e consigli, è l'aneddotica che va forte. Si va da chi raccoglie "strafalcioni e frasi mitiche" pronunciate dai professori durante spiegazioni e interrogazioni fino a chi descrive nei minimi particolari gite e viaggi d'istruzione. E poi vere e proprie analisi e vademecum su come "ingannare il prof" e su come evitare l'interrogazione ormai prossima. Non solo passatempi: non mancano infatti approfondimenti sulla riforma Gelmini e sulle normative che regolano la vita scolastica.

Dal caro libri ai "costi dello studio", dall'orientamento universitario fino alle simulazioni per i test d'ingresso. Anche Skuola.net 2 è uno dei portali più frequentati dagli studenti italiani. Aggiornato quotidianamente, offre una panoramica a 360° del mondo dell'istruzione. Tra le sezioni più frequentate, quella che indica dove è possibile acquistare libri usati. Poi il forum per aiutare gli studenti a svolgere al meglio i compiti per le vacanze e le interviste ai comici del momento. Anche Skuola. net è diventato nel tempo un centro di raccolta e diffusione di informazioni di prima mano. Basta pensare al ruolo svolto dal portale durante gli ultimi esami di maturità, con le tracce dei compiti online sin dai primi minuti dopo l'apertura delle buste.

E c'è chi non nasconde uno spirito di vendetta nei confronti del mondo della scuola. E' il caso dei fondatori del portale ScuolaZoo 3. L'intento è chiaro sin dalla presentazione del portale. "Tre finti studenti universitari che al posto di studiare hanno deciso di buttare via il loro tempo dedicandosi ad una missione più che nobile: fare di ScuolaZoo il più grande archvio mondiale di video goliardici girati nelle scuole". I motivi? "Durante la nostra carriera scolastica abbiamo subito per anni le ingiustizie dei professori senza poter farci niente. Fatta la maturità abbiamo deciso di creare questo sito per prenderci la nostra piccola rivincita contro questo sistema scolastico". E non sono mancati gesti eclatanti, arrivati anche sugli organi d'informazione: "Tutto cominciò quando decidemmo di mettere in internet le foto del nostro odiato prof di italiano che si era addormentato durante l'esame di maturità".

E il web aiuta anche i docenti. Che grazie alla possibilità della rete condividono programmi e informazioni sui libri di testo, esperienze educative e racconti della vita nelle classi italiane. Sul web sono attivi numerosi blog collettivi. Tra gli altri, Foruminsegnanti.it. 4 Si tratta di un portale che mette al centro della propria attività la riflessione su come migliorare didattica e offerta formativa. Senza risparmiare critiche alla scuola all'epoca della riforma Gelmini. Meritocrazia, efficienza, privatizzazione. Le parole chiave al centro del dibattito pubblico sulla formazione vengono sezionate e analizzate, in modo da proporre soluzioni alternative a quelle del ministero. Un controcanto impegnato, che non disdegna l'approfondimento dei temi d'attualità che giorno dopo giorno s'impongono al centro dell'agenda politica e culturale del Paese. Per riportare, grazie al web, la scuola italiana al suo ruolo: formare coscienze critiche, costruire e ampliare il senso di cittadinanza e appartenenza a una comunità dei giovani italiani.
CARMINE SAVIANO

La svolta social dell'hi-tech accelera

[Corriere della Sera 02/09/2011]

BERLINO - Sarà ricordata come la Fiera che ha dato vita alla svolta social dell’elettronica. Computer e smartphone, si sa, sono da tempo i mezzi principe per tenere i contatti con amici e conoscenti attraverso i social network. Ora però alcuni prodotti presentati all’Ifa 2011 la più importante fiera europea dell’elettronica di consumo in corso a Berlino, dimostrano come la connessione con i social network diventa possibile attraverso mezzi prima impensabili.

TV SOCIAL – La trasformazione della tv da apparecchio passivo in strumento attivo di comunicazione non poteva non coinvolgere anche il mondo dei social network. Ad esempio nuovi tv come il 55LZ2 di Toshiba consentono di accedere ad un nuovo servizio offerto dalla casa giapponese chiamato My places, servizio disponibile anche sui laptop e i tablet di ultima generazione della casa nipponica. L’acquirente verrà dotato da Toshiba di un ID che gli permetterà di accedere ad uno spazio informatico da personalizzare con foto, documenti e video creati da ciascuno o scambiati con altri utenti attraverso servizi come Flickr e Dailymotion. Successivamente si potranno portare foto e video personali e non direttamente dalla tv sulla propria pagina Facebook.

NAVIGATORI COMUNICATIVI - La possibilità di accedere ai social network diventa come detto una caratteristica di sempre nuovi strumenti. Ecco quindi che Tom Tom azienda leader mondiale nel settore della navigazione ha inglobato all’interno del suo ultimo prodotto il Go live 1015 anche la possibilità di connettersi a Twitter. Attraverso la scheda sim presente all’interno del navigatore,è possibile anche accedere alle App di Expedia e TripAdvisor per avere non solo le indicazioni per scegliere alberghi e ristoranti durante il viaggio ma per conoscere anche il giudizio del popolo della rete sui luoghi che ci si appresta a visitare. E lasciare magari attraverso Twitter anche il proprio giudizio. Go live 1015 costerà intorno ai 350 euro e sarà disponibile inizialmente solo negli Usa, in Germania e Nuova Zelanda a partire da ottobre. Per poi arrivare anche in Italia successivamente.
Marco Letizia

giovedì 1 settembre 2011

Bauman: i social network non fanno la felicità

[Il fatto quotidiano 01/09/2011] Ho letto ieri una grande intervista di Andrea Malaguti per La Stampa a Zygmunt Bauman. Un’intervista che, confesso, avrei tanto voluto scrivere io. Sono una grande fan del sociologo, filosofo e conferenziere polacco di origini ebraiche. “Un uomo lungo, con mani sottili e pensieri rapidi”. Che frase elegante!

Nei suoi ultimi lavori, Bauman ha tentato di spiegare la ‘postmodernità’ usando le metafore di modernità “liquida” e “solida”. L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul “non poter comprare l’essenziale”, ma del “non poter comprare per sentirsi parte della modernità”. Secondo Bauman il “povero”, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi “come gli altri”, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore.

Malaguti incontra il maestro nel giardino “selvatico” della sua casa inglese di Leeds: “Lascio che le piante si muovano come credono. Il mio giardiniere è Darwin. L’evoluzione è inarrestabile”. E subito Bauman mi fa una grande simpatia. Anche lui si occupa dell’evoluzione dell’uomo. Di come si organizza in società e della sua stratificazione. Di come è passato dalle rivoluzioni con la lancia a quelle con il computer.

Bauman discetta su differenza tra rete e comunità reale: «La prima è il luogo della libertà. La seconda della sicurezza. Sulla comunità si può contare come su un vero amico. È più affidabile. Ma anche più vincolante. Ti controlla. La rete è libera, ma serve soprattutto per i momenti di svago. E per uscire dalle relazioni, in fondo, basta spingere il tasto delete. Però mi pare che siamo tutti d’accordo sul fatto che tra abbracciare qualcuno e “pokarlo” ci sia differenza».

In rete però si possono trovare anche 300 amici al giorno, suggerisce il collega. ”Decisamente molti di più di quelli che io ho avuto nei miei 86 anni di vita. Robin Dunbar, che insegna antropologia evoluzionistica a Oxford, dice che la nostra mente non è predisposta per avere più di 150 rapporti significativi. Siamo fatti così, ci serve la società per essere felici.

Nonostante tutto questo gran parlare di social network, siamo ancora ai primordi della comunicazione via social media. C’è ancora così tanta confusione che Facebook e Twitter o sono amati o sono demonizzati. Chi non sa farne più a meno e li controlla anche nottetempo e chi li snobba con disgusto ciceroniano.

Ho letto pure (su una rivista per “donne intelligenti”) questa domanda a uno scrittore “Fa uso di social network?”, come se fossero psicofarmaci o sostanze vietate! Ovvero, come se uno scrittore (uno che viene per istituto reputato intelligente, insomma) non dovesse/potesse avere un profilo su Facebook.

Facebook, per esempio, all’inizio è sembrato una moda come tante. Anche perché nelle “cose d’informatica” tutto diventa abbastanza rapidamente vecchio: email, sms, mms. Già si preconizza la dipartita di fèisbuk (alla napoletana, come dice la mia amica Marika) per mano di Google+.

Che piaccia o no, il gigante di Palo Alto è una forma di economia (anzi, economy), un sistema ineludibile di interazione, una metafora, un sistema cognitivo che esporta ed importa regole e idiomi. Non è un sistema perfetto, ma è efficace e ci insegnerà parecchie cose sulla comunicazione e sulla sociologia.

Bauman ha ragione da vendere, ma resta il fatto che con questi nuovi metodi di comunicazione dobbiamo farci i conti. Sono modi, metodi, appunto, non accessori di moda. Come quando i cellulari divennero di massa: ora è difficile pensare di farne a meno. Anche i coraggiosi “desistenti” capitoleranno quando pure le auto comunicheranno con noi attraverso un social media che agisce nell’abitacolo, come fosse un microcosmo o un eco-sistema artificiale.

di Januaria Piromallo

Salute: adolescenti più equilibrate se giocano ai videogames con papà

[Salute 24 31/08/2011] Le adolescenti che giocano ai videogames si comportano meglio, si sentono più legate alle loro famiglie e hanno una maggiore stabilità mentale: il trucco, spiegano i ricercatori della Brigham Young University's School of Family Life guidati da Sarah Coyne che hanno pubblicato lo studio sul Journal of Adolescent Health, è nella partecipazione di uno dei genitori agli stessi videogiochi. Il genitore maggiormente coinvolto sembra essere il papà: "È principalmente una cosa papà-figlia, perché poche mamme tra quelle intervistate hanno confermato di giocare ai videogiochi", spiega Laura Padilla-Walker, coautrice della ricerca. I papà che ancora non hanno rinunciato ai videogames, scrivono i ricercatori, ora hanno anche la scusa per continuare a giocare: "tenere compagnia" alle loro figlie.
Lo studio ha coinvolto 287 famiglie con un figlio adolescente tra gli 11 e i 16 anni. Dopo averli sottoposti a sessioni di videogiochi con e senza genitore vicino, i ricercatori hanno poi valutato i comportamenti positivi, il livello di connessione con la famiglia e lo stato di equilibrio mentale: ed è emerso che mentre per i ragazzi il giocare con un genitore non è risultato un fattore statisticamente significativo per nessuno degli indicatori misurati, le ragazze hanno invece fatto registrare ben il 20% della variazione sugli indicatori presi in considerazione. "La cosa sorprendente - spiega Coyne - è che le ragazze giocano con i videogiochi meno dei ragazzi, ma spendono circa la stessa quantità di tempo giocando in collaborazione con un genitore".

La comunicazione al tempo dei social network

[Vanity Fair 31/08/2011]

Poniamo il caso di essere entrati a far parte da poco di un social network: magari abbiamo ritrovato qualche vecchio amico su Facebook o scelto qualche persona interessante da seguire su Twitter, la nostra foto o qualcosa che abbiamo scelto per rappresentarci campeggia su un riquadro bianco che aspetta solo di essere riempito, anzi una domanda invita l’utente esplicitamente a farlo: «A cosa stai pensando?», leggiamo su Facebook. «Che c’è di nuovo?», su Twitter. A questo punto come dobbiamo comportarci?

Come ben sapranno tutti i frequentatori di social network la via più semplice è, in realtà, la condivisione di video, foto o testi già presenti nella Rete, quel riquadro viene così riempito con un semplice copia e incolla di un indirizzo Internet e pazienza se il «Che c’è di nuovo?» di Twitter potrà apparire paradossale se, ad esempio, ho deciso di condividere un video dei Led Zeppelin. Ma posso anche fare la scelta, senza dubbio più impegnativa, di rispondere davvero a quelle domande, o quanto meno di scrivere qualcosa di mio, che sia un pensiero o un’osservazione, come fanno in genere quelle persone che sui social network riescono a crearsi un vasto gruppo di seguaci. Già, ma come?

Intanto ricordando che mai come qui ha senso parlare del dono della sintesi, e per andare sul sicuro Twitter ha fissato un limite massimo di caratteri, 140, un invalicabile Nanga Parbat per i prolissi.

Lo sappiamo, questo è il tempo della comunicazione breve; Christopher Johnson, che a questo argomento ha dedicato un libro dal titolo significativo, «Microstyle», dove analizza appunto lo stile più efficace per questo tipo di messaggi, parla di una vera e propria «ossessione collettiva per la brevità».

Altro aspetto importante da considerare è l’approccio che vogliamo avere nei confronti del social network a cui ci siamo iscritti e per farlo potrà essere utile ricordare brevemente alcune nozioni di teoria della comunicazione, soprattutto quelle sei funzioni del linguaggio individuate dal linguista russo Roman Jakobson: la funzione emotiva, conativa, referenziale, fàtica, metalinguistica e poetica. La funzione emotiva riguarda l’emittente e ne esprime i sentimenti, le riflessioni e la personalità. La funzione conativa è centrata sul destinatario e mette in evidenza nella comunicazione ciò che può sollecitare i riceventi a pensare o agire in un certo modo. È quella predominante nel linguaggio pubblicitario. La funzione referenziale è la funzione più ricorrente, è quella centrata sul referente (contesto) ed esprime la nozione, la notizia, tutto ciò che serve a spiegare un argomento con indicazioni circostanziate. La funzione fàtica riguarda il canale ed è centrata sul contatto che è necessario stabilire per la trasmissione del messaggio. Come ad esempio nelle espressioni: «Pronto?». «Mi senti?». La funzione metalinguistica concerne il codice ed esprime l’esigenza di controllare l’efficienza e la chiarezza del linguaggio utilizzato; è la funzione prevalente nei libri di grammatica (e nei nostri post). La funzione poetica riguarda il messaggio in quanto tale e la sua strutturazione attraverso i segni scelti. Nel linguaggio verbale, questa funzione concentra l’attenzione sull’aspetto fonico delle parole, sulla scelta dei vocaboli e sulla costruzione delle frasi.
Premettendo che in una comunicazione le varie funzioni possono essere compresenti, anche se in genere ne esiste sempre una prevalente o dominante, possiamo notare che i due social network più conosciuti con le loro domande ci indirizzano verso due differenti funzioni linguistiche. Facebook, che mi chiede a che cosa sto pensando, sembra invitarmi a scrivere qualcosa in cui a prevalere siano i miei pensieri, i miei sentimenti, e dunque la funzione emotiva, mentre Twitter, chiedendomi che cosa c’è di nuovo, sembra indirizzarmi verso una comunicazione incentrata su quello che mi sta accadendo intorno, comunicazione in cui la funzione dominante è quella referenziale. Non è un caso che Twitter abbia goduto di un grande successo nel mondo del giornalismo, anche quest’ultimo infatti ha come funzione prevalente quella referenziale. Ma c’è un limite di fondo che rappresenta la condizione necessaria per questo tipo di funzione: ci deve essere un fatto, una notizia da comunicare, evenienza che non è sempre possibile per l’utente di Twitter, che magari sogna di poter raccontare in presa diretta un evento epocale, ma che in realtà è costretto a fare i conti con la normale banalità del quotidiano, ecco allora che per forza di cose la funzione prevalente può diventare un’altra: quella emotiva, ad esempio, se decido di scrivere i miei pensieri, ma anche quella poetica se cerco di organizzarli in modo tale da evitare brutte ripetizioni o cacofonie.

Il lavoro su questa funzione è il segreto dei tweet più riusciti a volte simili per forza e concisione a dei veri e propri haiku.