giovedì 31 marzo 2011

Ziade, creatore di Readability: "Così leggi sul Web senza sforzo"

[Daily Wired 30/03/2011]

La web app per trasformare gli articoli in Rete e renderli più facili da scorrere diventa freemium e inaugura un'applicazione per iPhone. I proventi? Il 70 % va agli editori. Wired.it ha intervistato il suo ideatore di Gianni Sibila



Ormai ci siamo abituati. Troppe cose da leggere, troppo poco tempo: è il Web 2.0, bellezza. Stimoli e link che ti arrivano da ogni dove, e in pochi secondi devi decidere se vale la pena leggere quel pezzo o andare oltre. Così in Rete si moltiplicano servizi e app di time management della lettura, che ti permettono di mettere da parte quell’articolo e leggerlo quando hai tempo e concentrazione. Ma anche così, spesso manca qualcosa. Anzi, non manca, qualcosa è di troppo: se si cerca un’esperienza di lettura rilassante, le pagine web sono faticose e piene di distrazioni. Readabilty è la risposta: una web app che permette di semplificare le pagine sullo schermo, rendendole simili a quelle di un libro. Basta installare un Bookmarlet - ovvero una linea di JavaScript - sulla barra del proprio browser e ci si ritrova con un tastino quasi magico, che rende leggibile ogni pagina.

Readabilty esiste da due anni, ma recentemente è diventato un servizio freemium: la funzione base continua ad essere gratuita. Ma se volete un’app per iOs– sviluppata assieme a Marco Arment, la mente di Instapaper, il più popolare servizio di ReadLater in circolazione – e se volete un servizio con funzioni avanzate, potete pagare dai 5 dollari in su. E il 70% di questi soldi verrà ridistribuito ad autori e lettori di ciò che avete letto. Ci siamo fatti spiegare il sistema da Rich Ziade, l’ideatore di Readabilty.

Ci puoi raccontare come è nato Readabilty?
"Due anni fa, mi resi conto che la mia esperienza di lettura in Rete era frustrante. Continuavo a cercare il tasto ' Stampa' o a fare copia e incolla del testo per leggere. Così, durante un paio di weekend, ho creato la prima versione di Readabilty. Era un semplice tool per pulire una pagina per legggere più comodamente".

Da allora, come è cambiato il servizio?
"Nel tempo, abbiamo migliorato l’algoritmo, e semplicemente aggiunto alcune caratteristiche qua e là. Il cambiamento importante è dello scorso febbraio: abbiamo lanciato un nuovo servizio che non solo rende più comodo leggere in qualsiasi momento nel browser, ma permette anche di salvare articoli in un secondo tempo, per leggerli su un device mobile o ovunque. Abbiamo anche creato un modello per sostenere chi scrive: il 70% del costo del servizio va a chi crea i contenuti".

Secondo te, a che tipo di bisogni risponde Readabilty?
"Credo che risponda a diversi bisogni. La comodità e l’affaticamento della vista quando leggere è una necessità indispensabile, per esempio. Ma anche la flessibilità di leggere quando ti pare. Infine, come dicevo prima, sostenere la scrittura e la pubblicazione fa parte di ciò in cui Readabilty crede".

Recentemente siete passati ad un modello Freemium, con alcuni servizi a pagamento…
"I lettori possono sempre sfruttare le funzionalità classiche e istantanee di Readability.
Chi paga il servizio ottiene la funzione ' Read later', le applicazioni e il supporto per il mobile e sostiene gli scrittori e gli editori che ama".

Il servizio “ Read later” è simile a quello che offre Instapaper… Tra l’altro avete collaborato proprio con Marco Arment, che ne è il creatore e l’anima. In cosa consiste questa collaborazione?
"Marco è diventato un nostro partner per aiutarci nel rendere Readabilty efficace su iOS. La nostra applicazione per iPhone e iPad è basata sul codice di quella di Instapaper. Dal canto suo, Marco ha integrato Readability in Instapaper, di modo che i suoi utenti possano sostenere dal canto loro gli autori".

Ci dicevi che il 70% del costo mensile del servizio viene ridistribuito tra autori ed editori. Come funziona?
"Readabilty tiene un log di tutto ciò che ogni utente legge. Alla fine del mese, distribuisce quello che l’utente pagato – da 5 dollari a quanto decide – sulla base della frequenza di visite di ogni sito".

Questo sistema dei pagamenti etici è già stato sperimentato in passato - per esempio nella musica - con risultati non sempre esaltanti e reazioni discordanti. Tu cosa ne pensi?
"Bella questione. Ciò che credo distingua Readabilty è che non chiede alla gente di pagare attivamente ogni volta che accede a un sito. Il nostro è un servizio passivo: la gente usa un’app, legge e il contributo avviene automaticamente ed in modo invisibile. Crediamo sia una distinzione importante, perché non vogliamo che la percezione sia di fare un’elemosina. Vogliamo offrire un servizio che valga il suo costo e vogliamo che il sostegno che si dà a chi scrive sia un effetto indiretto del servizio stesso".

lunedì 28 marzo 2011

La rivincita dei blogger i guru dell'informazione

[la Repubblica.it 28/03/2011]

Qualche anno fa erano considerati un fenomeno di serie B: oggi sono i trionfatori della informazione made in Usa. Ritratto dei blogger di Washington e dintorni: così potenti da influenzare la Casa Bianca. Il successo è tale che ha costretto anche le testate più importanti ad aprire loro le porte dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

TI ACCORGI che qualcosa sta cambiando quando nella conferenza stampa Barack Obama di fronte a una selva di mani alzate sceglie di dare la parola al corrispondente di Politico. com, un blog. È lo stesso corrispondente a cui il protocollo della Casa Bianca assegna uno dei rari posti in prima classe sul volo charter (ribattezzato Air Force Two) che segue il presidente in trasferta all'estero. Quell'onore fino a poco tempo fa era riservato agli anchor di Cnn e alle grandi firme del New York Times, Washington Post. Ma questi piccoli segnali di rispetto non fanno che ratificare un dato di fatto: l'intero establishment di Washington si sveglia al mattino seguendo le regole di un rituale nuovo. Mentre sulla radiosveglia gracchia il notiziario di Npr, mentre lo schermo tv è acceso sulle cable-news di Fox o Msnbc, gli occhi assonnati s'incollano prima di tutto all'iPhone o all'iPad per scorrere la prima email mattutina di Mike Allen: è il condensato delle notizie (e qualche volta degli scoop esclusivi) che segneranno l'agenda politica del giorno. Il blogger Allen si arroga il diritto di aprire la sua email con questo titolo: "Se leggete una sola frase...". Segue l'incipit dell'articolo che Allen considera come il più importante del giorno, scelto da uno dei media tradizionali e non. Sabato l'onore è toccato al New York Times, con la prima frase di un articolo dove si rivelano i timori del Pentagono su una no-fly zone libica protratta per molti mesi.

Un onore, davvero: per i giornalisti del New York Times "finire primi"
nella selezione mattutina di Allen è un riconoscimento. Questa è l'èra in cui la "madre dei super-blog" Arianna Huffington ha varato una fusione alla pari con Aol, pioniere di Internet, e oggi parte alla conquista dell'Europa aprendo a Londra la sua prima edizione oltreoceano. Eppure quando nacque The Huffington Post era un paria, un outsider, occupava una nicchia marginale sul mercato dell'informazione. Ora il New York Times celebra il trionfo degli ex-outsider, diventati delle autentiche potenze. I nuovi Vip del giornalismo americano si chiamano Brian Beutler, 28 anni, reporter per il sito Talking Points Memo. Dave Weigel, 29 anni, inviato politico del blog Slate. Matt Yglesias, 29 anni, che creò il suo blog quando era ancora studente a Harvard e oggi è una star dell'informazione online. Poi ci sono anche i meno giovani che grazie al blog hanno conosciuto una seconda vita: il caso più celebre è quello di Andrew Sullivan, ex direttore del magazine élitario The New Republic, che si è "reinventato" con il suo blog The Daily Dish (il piatto quotidiano), oltre 300.000 lettori quotidiani.

La potenza dei blogger non ha un colore politico uniforme, investe tutto lo spettro dei partiti e delle ideologie: la Huffington è una iper-progressista che critica regolarmente Obama da sinistra, Sullivan è decisamente un conservatore. Ma dietro di loro, sono i ventenni la vera forza d'urto di questo fenomeno. Sbarcati a Washington 4 anni fa come dei bohémien, squattrinati e privi di accesso alle fonti politiche importanti, da allora sono stati proiettati ai vertici dell'establishment mediatico. Un altro segnale aneddotico della loro potenza: i "fan" si passano nomi e indirizzi dei locali notturni frequentati dai blogger, proprio come se fossero divi del cinema o rapper. Gli avvistamenti più frequenti sono al Black Cat, un club di musica all'angolo fra la 14 Strada e la S, e il 9:30 Club, al numero 815 della V Street. Con un po' di fortuna potreste vederli sorseggiare un birra allo stesso tavolo con alcuni dei consiglieri di Obama che sono loro coetanei (anche lo staff della Casa Bianca ha fatto un balzo generazionale inaudito: alcuni membri del National Security Council sembrano stagisti laureandi).

Qual è l'impatto reale di questa generazione di ventenni sull'informazione politica americana? Nessuno mette in discussione il loro talento, né il fatto che abbiano riempito uno spazio di mercato: a cominciare dai lettori della loro stessa generazione, che consumano notizie sotto la forma abbreviata, sincopata, dei messaggi su Twitter e su Facebook. I media tradizionali ne hanno preso atto, cooptando come nuove firme alcuni di questi blogger. Il Washington Post ha ospitato sul suo sito per 3 mesi i commenti di Dave Weigel; dopodiché il blogger è stato ingaggiato come commentatore dalla cable-tv di sinistra Msnbc, la rivale di Fox. Ezra Klein, che da studente alla University of California Los Angeles era stato bocciato come aspirante redattore del giornale universitario, dopo il successo del suo blog è stato assunto come opinionista da Washington Post e Newsweek. Klein riconosce che l'ingresso in un "tempio del giornalismo" come il Washington Post ha trasformato il suo modo di lavorare: "La verifica delle notizie, il controllo delle fonti, tutto ciò avviene secondo un metodo formalizzato, con delle regole da seguire, un atteggiamento più cauto e responsabile". Questo non gli ha impedito uno scivolone nelle vecchie abitudini del blogger d'assalto, che gli è costato caro. Attaccando il senatore Joe Lieberman per il suo voto contro la riforma sanitaria di Obama, Klein lo accusò di "preferire la morte di centinaia di migliaia di pazienti, pur di regolare qualche vecchio rancore politico". Una frase imperdonabile secondo un blogger avversario, il conservatore Tucker Carlson del Daily Caller. Sommerso dalle polemiche, Klein ha finito per dimettersi dal Washington Post.

L'episodio sembra dare ragione a chi considera questo neo-establishment dei blogger-Vip come un decadimento del giornalismo americano. Superficiali. Faziosi. Virulenti fino all'insulto (in America, grazie alla libertà d'espressione garantita nel Primo Emendamento, le querele sono praticamente impossibili). Lo storico dell'informazione Douglas Brinkley, sul New York Times stigmatizza l'ascesa troppo rapida di questi ventenni che hanno bruciato le tappe, arrivando nel cuore della politica a Washington senza essersi fatti le ossa in un mondo più vasto: "Un tempo le grandi firme facevano il giro degli uffici di corrispondenza all'estero, quando arrivavano a Washington avevano un background globale. Ora dominano dei reporter che sono bravi nel marketing di se stessi, ma superficiali". Sullivan al contrario esalta il fenomeno dei blogger ventenni che fanno opinione nella capitale "perché ha spalancato la professione del giornalista ai giovani, imponendo nuovi linguaggi". Il formato dei blog ha un vantaggio indubbio: lo spazio non costa come sulla carta, quindi chi ha tempo e voglia e talento può approfondire temi complicati (la riforma sanitaria, il deficit di bilancio). "Mi considero prima di tutto un divulgatore" dice Yglesias.

Il direttore del New York Times, Bill Keller, scende in campo personalmente per descrivere il ruolo dell'"ammiraglia" di tutti i quotidiani (1.100 giornalisti), in quella che lui definisce "l'èra dell'informazione-guerriglia" con un'allusione anche al fenomeno-WikiLeaks (altro terremoto recente di questo settore). Dai blogger militanti a Julian Assange, tutti in qualche modo mettono in discussione la centralità della stampa. "Crediamo ancora - scrive - nella verifica delle notizie. Diamo un valore superiore al rigore, alla precisione, rispetto alla sensazione. Vogliamo che i nostri articoli possano reggere ad ogni esame. Alcuni dei nostri critici sostengono che l'obiettività è irraggiungibile, oppure noiosa, quindi perché inseguirla?". Ma Keller spiega anche la ricerca dell'imparzialità "non significa essere neutrali, né dare lo stesso peso ad ogni punto di vista, anche i più strampalati: come chi continua a sostenere che Obama non è un cittadino americano; no, l'imparzialità è una disciplina".

Nella trasformazione costante del prodotto-giornale, il rapporto con la blogosfera somiglia alla "distruzione creativa" teorizzata dall'economista Joseph Schumpeter. I blog nascono e muoiono, la selezione della specie fa emergere i soggetti più resistenti: e anche quando non finiscono per essere cooptati dai media tradizionali, l'idea di doversi misurare continuamente con un "giornale di riferimento" come il New York Times non è affatto morta.

domenica 27 marzo 2011

Così si realizza il sogno educativo di John Dewey

[Il Sole24Ore] Leggere Nativi digitali di Paolo Ferri, uno dei maggiori esperti di scuola e nuove tecnologie, avendo in mente i dubbi, puntuali e profondi, che Roberto Casati espone qui a fianco ha prodotto in me un singolare effetto filosofico. E se le risposte ai quesiti di Casati – mi sono chiesto – oltre che a essere in qualche modo presenti nel libro di Ferri, ci spingessero dritti nelle braccia del più grande filosofo-educatore del Novecento, il pragmatista americano John Dewey? Le sue idee di una scuola che educhi alla creatività, all'«arte come esperienza», alla partecipazione attiva, alla cooperazione tra individui non atomizzati, e dunque alla democrazia come "medium cognitivo" per la soluzione dei problemi che si hanno in comune, potevano sembrare difficili, se non impossibili da realizzare ai suoi tempi. Pura utopia, avrebbero detto i conservatori. Ma non è che invece, proprio grazie alle nuove tecnologie, si stanno rivelando del tutto a portata di mano? E che proprio osservando queste specie di alieni che sono i nativi digitali – alieni per noi, figli di Gutenberg – la scuola immaginata da Dewey diventa non un sogno ma la naturale conseguenza di un sano realismo, basato sulla semplice descrizione e constatazione delle capacità cognitive che già albergano nelle menti dei nostri pargoli?
L'approccio al sapere dei nativi digitali – ci dice Ferri – si basa sull'esperienza, è meno dogmatico del nostro, è attivo e non sopporta che i contenuti vengano semplicemente trasmessi dall'alto, in un rapporto uno-molti, com'è tipicamente quello tra l'insegnante e la classe. La proposta di Ferri è quindi quella di sfruttare a scopi formativi l'"intelligenza digitale" che i nativi sviluppano per conto proprio, fuori dalle aule scolastiche, armeggiando iPad, eBook e smartphone e rimanendo sempre connessi coi loro socialnetwork, non solo per futili motivi, ma per essere sempre pronti a condividere il proprio sapere e a confrontare i propri gusti e le proprie esperienze. Il learning by doing, la capacità di risolvere problemi, l'interattività, la socialità, la gratuità, la creatività, oltre che a essere tutti concetti profondamente deweyani, sono abilità che i nativi digitali cominciano ad apprendere a partire persino dai loro primi videogiochi. «I giochi – scrive Ferri in uno dei due passi in cui Dewey è ricordato esplicitamente – non si limitano a fornire un fondamento logico per l'apprendimento: ciò che i giocatori imparano è immediatamente utilizzato per risolvere problemi avvincenti che hanno delle conseguenze reali nel mondo del gioco». E ancora: «Un videogioco può essere considerato come un ambiente immersivo digitale che è costituito da un insieme di problemi da risolvere». «I giochi più efficaci dal punto di vista dell'apprendimento sono i giochi che ammettono una gamma molto vasta di soluzioni» e «il gioco diviene un ambiente esterno digitale che permette di mettere alla prova le differenti rappresentazioni interne delle possibili soluzioni a quel problema».
Più in generale, l'uso di internet e degli altri strumenti digitali sta modificando la configurazione neurale delle nostre menti, che, come ha dimostrato Giacomo Rizzolatti, presenta un elevato tasso di plasticità anche in età adulta. Lo dice anche Nicholas Carr in Internet ci rende stupidi?, da poco pubblicato da Cortina, traendone però conseguenze catastrofiche. Illegittime secondo Ferri, il quale osserva che «una trasformazione e un cambiamento delle attivazioni neuronali sono ormai una prova scientifica ma certamente, come rilevano anche gli studi di Battro, Koizumi e altri neuro scienziati, non siamo ancora in grado di verificare sperimentalmente gli effetti positivi o negativi di questa trasformazione». Anche in questo dobbiamo seguire Dewey e adottare l'approccio sperimentale dell'imparare facendo, così come gli stessi programmatori di oggi tendono ad assomigliare più a dei bricoleurs che a degli ingegneri. Significativamente Ferri accosta a Dewey un'altra grande educatrice, Maria Montessori, mostrando che «gli studenti stessi sembrano suggerire attraverso il loro "stile di apprendimento partecipativo/digitale" nuove modalità didattiche e nuovi stili didattici ai loro insegnanti. Richiedono, cioè, sempre di più, nuove opportunità di "imparare a fare da soli" (Montessori), di essere indipendenti e individualizzare e socializzare il loro stile di apprendimento». I nativi digitali paiono richiedere un più intenso dialogo e una maggiore interazione con i docenti da realizzarsi anche attraverso i media digitali, magari all'interno, di ambienti virtuali per l'apprendimento. Non c'è bisogno di dotazioni particolarmente sofisticate. Non è questione di elettrificazione delle aule, ma di capacità di adattare ai nuovi stili cognitivi dei nativi il setting della scuola. È un'operazione metodologica prima che tecnologica. Essenziale per un'ambiente formativo digitale è ad esempio avere banchi mobili e combinabili che facilitino l'apprendimento e l'interazione di gruppo.
Dewey una volta scrisse che «Non è la perfezione la meta ultima della vita, ma il processo incessante di perfezionare, maturare e raffinare». Se il carattere aperto dei nuovi media interattivi può integrarsi con tale processo di continuo affinamento e perfezionamento, culturale e sociale, possiamo dire che il gioco è fatto: avremo prodotto esattamente quegli spiriti critici attivi, capaci di continuare ad apprendere in tutto l'arco della loro esistenza ciò di cui hanno bisogno oggi le società postindustrali basate sul l'economia della conoscenza.
Armando Massarenti

giovedì 24 marzo 2011

Arriva Jolitics, il social network dedicato alla politica

[Ninja Marketing 24/03/2011]

Due anni e mezzo dopo la vendita di Bebo, che ha fruttato 850 miliardi di dollari, Michael Birch torna sulla scena per presentare Jolitics, il social network dedicato alla politica. “Oops!… He Did It Again!” direbbe qualcuno.

Jolitcs si propone l’ambizioso obiettivo di coinvolgere le persone e renderle partecipi della vita poltica del proprio paese sfruttando le potenzialità del web 2.0. La comunicazione politica potrà benificiare così della dimensione social, portando ad un nuovo e rinvigorito dialogo fra rappresentanti politici e “cyber-elettori”. Birch ha scelto l’Irlanda per lanciare il suo progetto colto da un sentimento di gratitudine, vista la popolarità che Bebo ha avuto e continua ad avere nel Paese Verde.

Sul social network politico si troveranno dibattiti a cui tutti gli utenti interessati potranno partecipare, dando il loro consenso/dissenso attraverso il meccanismo della votazione. L’idea, secondo lo startupper, è quella di andare oltre il classico forum in cui si discute di politica per dare maggiore potere alle persone.

Jolitcs sarà strutturato come un vero e proprio Parlamento, comprensivo delle fasi di proposta di legge, dibattito, e votazione finale; inizialmente saranno ammesse solo proposte di legge di politica nazionale, ma non è escluso, che in un secondo tempo ci possa essere un’apertura al locale. Un modo alternativo, dunque, di far arrivare sul tavolo dei parlamentari le petizioni da presentare formalmente al Governo.

Dopo un periodo di test in Irlanda, il political social network sarà lanciato in UK, per essere esteso in seguito ad altri paesi.
Un’occasione questa per far sentire la propria voce, per essere un membro attivo della propria comunità. Siamo di fronte ad una concezione di politica partecipata, di politica 2.0.

mercoledì 23 marzo 2011

Ragazzi vittime dell’insonnia da tecnologia attiva

[Corriere.it 23/03/2011] MILANO - Dovrebbero essere pieni di energia. E invece si trascinano insonnoliti a scuola, lottano tutta la giornata con le palpebre che vorrebbero chiudersi, si rianimano soltanto davanti a Facebook. Sono gli adolescenti di oggi, che dormono troppo poco quasi sempre proprio perché "distratti" dalle tecnologie: internet, cellulari, televisione si sono ormai piazzati stabilmente in camera da letto degli under 18 e una buona notte di sonno è ormai una meta irraggiungibile per la maggioranza dei ragazzini. Anche per questo la recente Giornata mondiale del sonno (il 18 marzo) era dedicata proprio agli adolescenti, per cercare di far capire loro quanto sia importante riposarsi. Un’impresa ardua, a giudicare dai dati diffusi dalla National Sleep Foundation americana: in media i ragazzi delle superiori dormono un’ora e mezza in meno di quanto dovrebbero, 1 su 10 meno di 6 ore a notte. E la faccenda potrebbe peggiorare, in Italia, fra una settimana, quando sposteremo in avanti le lancette per l’ora legale: si dormirà un’ora in meno e una ricerca finlandese dimostra che il passaggio non sarà indolore per nessuno (tutti sperimenteremo una sorta di mini jet-lag), ma sarà più complicato per chi già non riesce a garantirsi un buon sonno. Lo psichiatra Tuuli Lahti, dell’università di Helsinki, ha osservato che l’effetto negativo dell’ora legale è consistente soprattutto in chi preferisce stare alzato fino a tardi alla sera, come gli adolescenti: il giorno che si allunga, infatti, rende i ragazzi ancor meno propensi a infilarsi a letto, rosicchiando altre ore al riposo.

SINDROME DA SONNO INSUFFICIENTE - «I giovani fino a 30 anni, sono spesso vittime della "sindrome da sonno insufficiente", disturbo provocato dalla volontaria riduzione delle ore di riposo — spiega Fabio Cirignotta, direttore del Centro di Medicina del Sonno del Policlinico S. Orsola, di Bologna —. Ciò che manca in questi casi è una corretta igiene del sonno: per colpa di cattive abitudini adottate durante la giornata, addormentarsi diventa un’impresa. Alla sera, ad esempio, il sistema nervoso deve "regolarsi verso il basso" per prepararsi al sonno: bisogna scegliere attività rilassanti e sgombrare la testa dalle preoccupazioni, perché tutto ciò che mantiene attivo il cervello allontana il riposo. No quindi a studio, lavoro, attività fisica di sera; bisognerebbe anche bandire dalla camera da letto computer e cellulari, tecnologie "attive" e per questo ancora più dannose di un film visto in Tv». Proprio ciò che non fanno i giovanissimi: stando ai dati Usa - che secondo Cirignotta sono validi anche per i ragazzi italiani - nell’ora prima di dormire oltre 1 adolescente su 2 naviga su internet, parla o manda messaggi al cellulare; 1 su 10 viene svegliato quasi ogni notte da email o sms; il 14% gioca tutte le sere ai videogames. Gli adulti preferiscono guardare la Tv, che ormai è nel 95% delle camere; ma questo compromette meno la qualità del sonno, visto che solo il 10% degli adulti lamenta sonnolenza durante il giorno rispetto a oltre il 20% dei giovanissimi. «La sonnolenza diurna è il segnale che non si sta dormendo a sufficienza: ognuno ha bisogno di una certa quantità di ore di sonno geneticamente determinata, per scoprirla basta capire quanto occorre dormire per essere ben svegli ed energici durante il giorno — osserva Cirignotta —. Purtroppo molti pensano che dormire abbastanza sia un "optional": invece chi riposa poco e male rischia di ingrassare, di ritrovarsi con la pressione o la glicemia alta, di sviluppare irritabilità, ansia e disturbi dell’umore. Senza contare il pericolo di incidenti stradali: uno studio recente su 300 ragazzi delle superiori ha verificato che gli incidenti in auto, gravi e non, sono più frequenti in chi dorme di meno». Ma c’è da sperare che un adolescente, ribelle per definizione, ascolti chi gli spiega che deve riposarsi? «Non sarei pessimista: la nostra indagine ha dimostrato che i giovani sanno bene, ad esempio, che la sonnolenza è fra le maggiori cause degli incidenti del sabato sera dopo velocità eccessiva e uso di droghe. I ragazzi sono meno impermeabili alle buone abitudini di quello che temiamo, educarli fin da piccoli alle regole del dormire sano non è impossibile» conclude l’esperto.

Elena Meli

La social TV sta arrivando

[Il Post 23/03/2011]

Sono ormai diverse settimane che riscuotono un crescente successo le serate “Social TV” organizzate dal Post per seguire i talkshow di attualità (Ballarò e Annozero, qualche volta l’Infedele) o altri programmi (Milan-Napoli, Vieni via con me). Di cosa si tratti lo spieghiamo di nuovo con quello che scrisse due anni fa Luca Sofri (il peraltro direttore del Post) su Vanity Fair, spiegando il nascere della nuova abitudine di visione televisiva.

La storia del guardare la televisione tutti insieme è ormai lunga: si trattasse di quelle persone che si vedono nei film americani assiepate davanti alle vetrine dei negozi di elettrodomestici, o della riunione familiare del giovedì per vedere Rischiatutto. Per non parlare delle partite e della serata di visione di gruppo per antonomasia, quella di Sanremo. Tutte occasioni in cui non solo si condivide il godimento dello spettacolo, ma diventano parte dello spettacolo i commenti, discussioni, battute, tartine. In questo millennio la visione collettiva – il gruppo d’ascolto – aveva conosciuto un rilancio con le prime stagioni del Grande Fratello, ma ultimamente si è evoluta in qualcos’altro grazie alle nuove tecnologie. Qualche anno fa Gianluca Neri, blogger e grande trafficante di internet, ha lanciato una radio online il cui programma più seguito è costituito da lui e i suoi molti amici che seguono e commentano in diretta le puntate dei reality e simili: dal GF a X-Factor. Ultimamente sta invece diventando una consuetudine diffusa la visione solitaria delle serate televisive – siano Annozero, Ballarò o Porta a porta – ma commentata simultameamente su FriendFeed, un social network che permette grandi conversazioni di gruppo in diretta. Di fatto, è l’evoluzione della visione passiva della tv ai tempi del multitasking. La penultima puntata di Annozero ha raccolto 982 commenti in un solo gruppo: praticamente uno ogni dieci secondi. E la tv è molto più divertente.

Da allora sul tema della social tv ci sono state delle novità. L’anno scorso Twitter ha annunciato una applicazione da usare insieme al progetto televisivo di Google, la “Google TV”. Poi se ne è cominciato a parlare sui media internazionali, come Time, mentre l’abitudine si diffondeva più estesamente (in Italia la prima puntata delle Invasioni Barbariche di quest’anno ha organizzato una diretta su Facebook). Oggi ne scrive il sito della BBC: “Twittando con la tv accesa”.

Racconta l’articolo che uno studio dell’agenzia di marketing Digital Clarity mostra che l’80% degli under 25 usano il computer o il cellulare per comunicare con gli amici mentre guardano la televisione, e il 72% usa programmi come Twitter o Facebook per commentare quello che sta vedendo. I produttori televisivi lo sanno e iniziano a sperimentare forme di integrazione tra i social network e la programmazione. In Nuova Zelanda, la rete TVNZ ha appena lanciato un canale per i giovani intorno allo show U live, che prevede chat e commenti via Facebook che diventano parte integrante del programma. Gli utenti vedono in televisione la loro immagine del profilo e partecipano a sondaggi in tempo reale.

Twitter ha subito cercato di mostrarsi il mezzo ideale per l’interazione tra spettatori e TV, anche se dare la possibilità ai dirigenti TV di accedere alle discussioni, per guidarle e moderarle, potrebbe non incontrare il gradimento degli utenti. Ma la società si dice sicura che sono gli utenti stessi a chiedere qualche forma di social TV, dato che il servizio registrerebbe grandi picchi di utilizzo quando sono in onda soap opera, eventi sportivi e reality show:

Appena va in onda un nuovo episodio di una serie o iniziano gli Oscar o una partita, i tweet al minuto schizzano alle stelle e li vediamo moltiplicarsi per dieci, venti o cinquanta, e restano allo stesso livello fino alla fine dell’evento. “It’s remarkable because the Twitter conversation will be going along a few tweets here and there and as soon as a new episode premieres or the Oscars start or a game kicks off, the tweets per minute skyrocket and we see it multiply 10, 20, 50 times and it stays like this until the show ends. La gente ama parlare delle cose che stanno succedendo, che è in qualche modo controintuitivo perché si parla un sacco di time shifting e prodotti on-demand.

Già oggi i tweet sponsorizzati, che permettono alle aziende di pagare per incentivare i commenti sui loro messaggi, sono una delle maggiori entrate per Twitter. Alcuni siti come il Washington Post e Al Jazeera stanno già utilizzando i tweet sponsorizzati per promuovere le notizie e la loro copertura degli eventi: Twitter sta diventando sempre di più uno strumento per le notizie in tempo reale anche dagli stessi addetti ai lavori. Molte cose restano ancora da capire da parte di Twitter, delle reti televisive e degli stessi utenti, come dice Jonathan Doran, analista di Ovum:

La social TV è presentata come una delle novità più importanti in vista, ma in realtà la gente sta ancora cercando di capire cosa farsene. Finora c’è stata poca interazione con il contenuto e non abbiamo visto molta fusione tra la TV e i social media.

Doran sostiene anche che non ci siano molte possibilità, da parte di Twitter, per monetizzare l’unione con la TV. Altri sono di diverso avviso e immaginano piattaforme in cui gli utenti possono parlare dei loro programmi preferiti, mentre le aziende utilizzano forme di pubblicità più personalizzate e simili al product placement.
Anche sui media mainstream italiani se ne comincia a parlare, comunque: Antonio Dipollina ne ha scritto su D di Repubblica la scorsa settimana.

E allora quello che per i fanatici del web sarà già un’anticaglia (abbiate pazienza, noi della massa ci muoviamo lenti) diventa accattivante. Il “Liveblogging”. Significa che tieni il televisore acceso e, accanto o sulle ginocchia, hai il computer, e in un posto apposito ti metti a commentare in diretta con altri quello che sta succedendo a Ballarò o Annozero. è una perversione, ovvio, forse è addirittura realtà aumentata (brividi sulla schiena). Lo fanno in diversi luoghi – da qualche settimana il must è sul Post di Luca Sofri – prima o poi si adatteranno anche i colossi del web. La cosa migliore è che puoi leggere senza partecipare. Dopo un po’ diventi addicted.

Tuo figlio usa pc e telefonino? Un portale per l'uso consapevole

[Repubblica.it 23/03/2011] Vodafone lancia InFamiglia, sito-community dedicato a genitori, figli e maestri. Guide e interattività per avvicinare i più grandi alle nuove tecnologie e insegnare i più piccoli a usarle senza correre pericoli. E, in video, i comici Luca e Paolo spiegano come postare responsabilmente

ROMA - Che cosa succede quando in una famiglia il ragazzo sa usare computer e smartphone e frequenta la rete come i genitori riescono a fare? E come evitare che questa disinvoltura del giovanissimo diventi un rischio e gli si ritorca contro? Parlandone, per esempio, cercando di capire, imparando a interpretare e controllare al meglio gli strumenti tecno che ormai sono a disposizione di tutti. Anche per questo Vodafone Italia ha lanciato il progetto InFamiglia per aiutare genitori, nonni e figli ad utilizzare internet, il telefono cellulare e le nuove tecnologie in maniera consapevole e responsabile. Del resto i tempi non sono mai stati così maturi per un'iniziativa del genere. Esiste un "gap generazionale" - riferisce la ricerca "Bambini e Nuovi Media" condotta da People con Terres des Homes Italia Onlus - tra i bambini (8-13 anni) con un elevato livello di alfabetizzazione alle nuove tecnologie e i genitori, di cui solo il 18% si considera a suo agio nelle gestione del rapporto tra i propri figli e i nuovi media.

Ecco perché nel portale infamiglia.vodafone.it 1 genitori e nonni possono trovare tutte le informazioni per conoscere ed utilizzare le nuove tecnologie e il telefono cellulare. Ma non si tratta di una mera guida, sarà la stessa community ad approfondire i temi e a suggerirne di nuovi: uno spazio di discussione aperto in cui si potranno condividere le proprie esperienze e confrontarsi con un team di esperti che si occupa dei temi legati alla genitorialità, alla tecnologia e l'approfondimento dei principali temi legati all'uso dei nuovi media. Il web - spiega Vodafone - sarà utilizzato per dialogare anche con i ragazzi attraverso l'utilizzo del linguaggio video ed un forum dove potranno scambiare opinioni ed esperienze. Posta con la testa è il primo dei video realizzati dai comici Luca e Paolo che saranno dedicati all'uso responsabile dei new media.

"Internet e le nuove tecnologie rappresentano un'opportunità di crescita per le nuove generazioni", dice Manlio Costantini, direttore costumer operations di Vodafone Italia. "È fondamentale intervenire per consentire loro di utilizzare i new media in maniera corretta e al massimo delle potenzialità. Un obiettivo che riteniamo sia possibile intervenendo per ridurre la distanza che separa i genitori-nonni dai propri figli-nipoti nella comprensione e gestione delle nuove tecnologie. Oggi lanciamo il portale infamiglia con l'obiettivo di fornire uno strumento utile e di stimolare la discussione anche direttamente nel sito web. Presto lanceremo altre iniziative per testimoniare ulteriormente la nostra concreta vicinanza ai clienti".

martedì 22 marzo 2011

«Più smartphone che computer: cambiano i linguaggi digitali»

[Corriere.it 22/03/2011]

Donald A. Norman presenta «Vivere con la complessità»: «Dobbiamo essere comprensibili, non semplici»

L'ingegnere e psicologo A MILANO

«Più smartphone che computer:
cambiano i linguaggi digitali»

Donald A. Norman presenta «Vivere con la complessità»: «Dobbiamo essere comprensibili, non semplici»

«Il design italiano? Bello ma poco funzionale»
L'incontro a Milano con il «Corriere» - Il video

«Lo predissi oltre dieci anni fa. E avevo ragione: i computer stanno diventando invisibili». Donald A. Norman, ingegnere e psicologo, studioso di Scienze cognitive, tra i nomi più illustri nel campo del design, aggiorna la tesi enunciata nel 1998 nel suo The Invisible Computer (Apogeo). Lo anticipa al «Corriere» in occasione dell'uscita in Italia del nuovo libro, Vivere con la complessità (Pearson) e della partecipazione, questa sera, al ciclo di incontri Meet the media guru a Milano (ore 19, Mediateca Santa Teresa).

La copertina di «Vivere con la complessità» (Pearson)
La copertina di «Vivere con la complessità» (Pearson)
Il computer però è ancora molto diffuso...
«Non dappertutto: in Cina e Giappone, ad esempio, si usano già oggi più smartphone che pc. Le funzioni del computer verranno sempre più inglobate dentro altri dispositivi, come le cosiddette "tavolette". Userà il pc in senso classico solo chi, come gli scrittori o gli ingegneri, non potrà fare a meno dello schermo e della tastiera. Per tutti gli altri, non sarà più così necessario».

Anche i libri e i giornali saranno letti sui supporti elettronici?
«Il futuro è digitale. Io uso il Kindle, dove posso raccogliere tantissimi saggi e romanzi dentro un unico strumento. Anche il giornale non ha più bisogno di essere stampato: scaricando un'applicazione su un dispositivo elettronico si hanno le notizie del giorno e delle settimane precedenti, con più foto, filmati e mappe interattive».

Fin da «La caffettiera del masochista» (1988, edito in Italia da Giunti), si è battuto contro le tecnologie troppo elaborate che non consentono la facilità d'uso. In «Vivere con la complessità» sostiene che quest'ultima è inevitabile. Ha cambiato idea?
«Il mio messaggio è solo diventato più sofisticato. Ho capito che la complessità è necessaria in un mondo sempre più articolato e interconnesso. Per questo agli utenti non bisogna offrire semplicità ma comprensibilità: oggetti, cioè, con molte funzioni ma intellegibili già dopo la prima lettura delle istruzioni. A questo scopo, designer e ingegneri devono praticare l'empatia e studiare le scienze sociali. I singoli individui devono applicarsi nell'apprendimento, come fecero in passato con il telefono o la televisione».

È stato vicepresidente del settore Tecnologie avanzate alla Apple. Nel suo libro racconta il passaggio dell'azienda dal mouse a un tasto a quello a due tasti: è stata una buona scelta?
«Suggerii la soluzione a più tasti già negli anni 90. Il mouse con un pulsante infatti era una proposta corretta negli anni 80, per favorire la facilità d'uso. Una volta che gli utenti avevano capito il funzionamento del nuovo strumento, però, non serviva aspettare il 2005 per il design a più tasti».

Da sempre sostiene le nuove iniziative imprenditoriali. Si può rischiare nell'attuale situazione economica?
«Dipende dai luoghi. Sì negli Stati Uniti, dove anche un fallimento è giudicato positivamente, perché segue un'idea e un tentativo. No in Italia: i vostri migliori designer sono costretti ad andare all'estero; i vostri prodotti sono belli ma non sempre funzionali».

L'emergenza nucleare in Giappone, le rivolte in Nord Africa e la guerra in Libia. Quali saranno le conseguenze, dal punto di vista cognitivo e tecnologico, nel mondo interconnesso?
«La catastrofe di Fukushima comprometterà per qualche tempo la fiducia degli individui nelle macchine, ma il genere umano è abbastanza arrogante per superare lo choc. Ciò che tutti questi eventi dovrebbero infondere, invece, è l'umiltà: la natura trionfa sulla tecnologia; le esigenze politiche e culturali possono vincere sulla logica e la razionalità».

Alessia Rastelli

giovedì 10 marzo 2011

ProActive: la creatività degli insegnanti attraverso il gioco

10/03/2011 education2.0]
Un progetto europeo finanziato nel 2010 sull’asse Life-Long Learning con l’obiettivo di stimolare creatività e flessibilità negli insegnanti offrendo loro gli strumenti per creare giochi educativi che integrino specifiche posizioni psicopedagogiche. La presentazione delle referenti italiane.


LE CINQUE METAFORE DELL’APPRENDIMENTO

Tradizionalmente nell’insegnamento istituzionale viene utilizzato un solo paradigma dominante. Tuttavia, numerosi studi svolti in contesti di lavoro e di vita quotidiana mostrano come l’acquisizione di competenze non possa essere considerata un’attività mentale e individuale a se stante, bensì debba essere trattata come un processo sociale e situato che costituisce parte integrante dello sviluppo del soggetto nei contesti di attività in cui opera (Lave e Wenger, 1991). Se l’insegnamento è un processo situato e interattivo, allora non può essere vincolato a un solo modello, bensì deve essere flessibile per poter rispondere alle esigenze poste dai soggetti coinvolti, dalla situazione e dal contesto di riferimento. Recenti studi (Simons, 2004) mostrano come in contesti reali i discenti apprendano attraverso cinque modelli differenti, preferendone uno all’altro a seconda della situazione, o combinandoli simultaneamente per ottenere un apprendimento più efficiente. A questi modelli, che Simons (2004) chiama “metafore dell’apprendimento” corrispondono specifiche caratteristiche dei soggetti implicati, della situazione che li vede coinvolti e del contesto in cui operano.

Le cinque metafore dell’apprendimento utilizzate all’interno di ProActive sono l’acquisizione, l’imitazione, la partecipazione, la sperimentazione e la scoperta.


IL GAME-BASED LEARNING

L’uso di giochi per veicolare contenuti didattici è considerato un metodo innovativo adeguato a coinvolgere attivamente gli studenti nel processo di apprendimento. Prensky (2001) sostiene, infatti, che la società del Web 2.0, di cui gli studenti di oggi sono i protagonisti, sia dominata dall’apprendimento ubiquo e dall’apertura mentale e che queste caratteristiche la rendano troppo differente da quella da e per cui i nostri sistemi di apprendimento sono stati creati. I “Digital Natives”, secondo Prensky (2001) sono abituati a un carico di stimolazione elevato, a cercare le informazioni di cui hanno bisogno contemporaneamente attraverso tutte le fonti a loro disposizione indipendentemente dal fatto che queste siano accreditate dalle istituzioni o meno e a concentrarsi su più attività contemporaneamente. Appare evidente come la flessibilità, la creatività e l’innovazione debbano essere i punti di forza dei processi di insegnamento destinati a questo tipo di utenti. È in quest’ottica che nasce l’apprendimento basato su giochi virtuali; qui i discenti hanno la possibilità di navigare liberamente all’interno di un ambiente progettato con lo scopo di veicolare conoscenze e competenze. Tuttavia, gli insegnanti sono restii ad adottare giochi preconfezionati per veicolare i programmi scolastici in quanto i sistemi istituzionali non ne supportano l’uso.


PROACTIVE: INTRODUZIONE AL PROGETTO

ProActive — Fostering Teachers' Creativity through Game-Based Learning — è un progetto europeo attivo da gennaio 2010. Scopo del progetto è creare spazi di apprendimento dove gli insegnanti possano sviluppare dei giochi educativi attraverso l’uso di due software e utilizzarli all’interno di sessioni formative basate sul gioco. ProActive vuole enfatizzare il ruolo degli insegnanti come designer dell’apprendimento, per svilupparne la creatività e la flessibilità. Il progetto è indirizzato a insegnanti e formatori di 3 sub-programmes (Comenius, Erasmus e Leonardo), che potranno sperimentare il modello proposto da ProActive in 18 siti pilota in 4 Paesi Europei (Italia, Spagna, Gran Bretagna e Romania).

Per gli insegnanti che parteciperanno al progetto è previsto un training intensivo in due giornate di workshop (che si svolgerà presso i locali di Sapienza a marzo 2011. Per maggiori informazioni contattare barbara.mellini@uniroma1.it), in cui saranno fornite le indicazioni per progettare dei giochi per l’apprendimento attraverso Eutopia e , due game editors che saranno messi a loro disposizione gratuitamente insieme ai relativi manuali d’uso. Sarà inoltre dato supporto tecnico e pedagogico agli insegnanti che vorranno sperimentare l’uso di questi giochi nelle loro classi. I giochi creati all’interno del progetto saranno poi collezionati all’interno di un database pubblico e gratuito appositamente dedicato e resi disponibili per usi futuri sul sito di ProActive.

Il valore aggiunto del progetto è infatti quello di unire un modello psico-pedagogico integrato, basato su cinque metafore dell’apprendimento, a una metodologia innovativa, il game-based learning.


Per approfondire:
• Il sito ufficiale del progetto: http://www2.ub.edu/euelearning/proactive/joomla/


Bibliografia:
• Lave, J., & Wenger, E. (1991). “Situated learning. Legitimate peripheral participation”. Cambridge, MA: Cambridge University Press.
• Prensky, M. (2001). “Digital game-based learning”. New York: McGraw-Hill.
• Simons, R.J. (2004). “Metaphors of learning at work and the role of ICT”. Workshop Learning and Technology at Work: London.

Europa 2.0, i social network per le politiche europee

[10/03/2011 Ninja marketing] L'informazione made in Bruxells viaggia sul web. Tra social network e motori di ricerca

Non c’è bisogno di dati e statistiche per dimostrare l’importanza che i canali di comunicazione digitale hanno assunto mondo politico: comunicazione via blog, campagne elettorali web-based, video-sharing e interazione sui social network sono diventate strategie diffuse per formare l’opinione pubblica, anche nel tentativo di avvicinare i cittadini alla politica e stabilire con loro un dialogo bidirezionale.

Internet non ha ha cambiato solo la sfera politica americana con la campagna Obama, ma ha innovato anche il panorama dell’informazione europea tanto che, gli strumenti del web 2.0, sono diventati il canale di comunicazione e di ricerca privilegiato dagli Europarlamentari. Insomma, il sito ufficiale dell’ Unione Europea non è più l’unico canale, ma l’informazione made in Bruxelles viaggia sul Web, sopratutto tramite Twitter e Facebook.

La seconda edizione di European Parliament Digital Trends Survey, ricerca svolta da Fleishman-Hillard Bruxelles , mostra un forte entusiasmo dei Parlamentari europei nei confronti del web, una tendenza che, già evidenziata nella versione 2009, si è confermata in forte crescita. Questo nuovo approccio ai media digitali inoltre è stato anche favorito da vere e proprie lezioni sull’utilizzo dei social media che sono state impartite ai MEP (Members of european parliament) nel 2010.

Il 69% degli Europarlamentari si avvale dei social network per comunicare ed interagire con i cittadini, ma anche per esprimere le proprie idee e spiegare il funzionamento delle istituzioni europee ed avvicinarsi così all’opinione pubblica. Facebook è quello più utilizzato, mentre il sito Toutleurope.eu,

portale francese destinato alle tematiche europee, ha dato vita a ” Tweet Your Mep“, una piattaforma basata sul servizio di microblogging che, tramite registrazione, consente di dialogare direttamente con i deputati europei presenti su Twitter, anch’esso in crescita ( +13% rispetto all’anno precedente).

A riscuotere meno successo, invece, sono i blog, e infatti solo il 29% ne ha uno personale, rispetto al 40% del 2009, così come lo sharing dei video. Un punto di forza, comune ad entrambi i mezzi di comunicazione è l’utilizzo di più lingue e, infatti il 30% circa degli Europarlamentari dichiara di scrivere in almeno due lingue.

Il web viene utilizzato anche per ricercare informazioni (il 99% utilizza settimanalmente i motori di ricerca e una percentuale di poco inferiore, il 95%, consulta le testate giornalistiche on-line) e monitorare la copertura mediatica delle notizie ed il 78% ritiene che più dei siti web personali e istituzionali, la vera forza è rappresenata dai siti web tematici. Però, nonostante l’86% degli Europarlamentari ritenga che un position paper sia importante, ma secondo il 93% i contatti personali lo sono ancora di più.

Social network per comunicare, informare, interagire, ma anche per garantire la trasparenza, anzi, forse un pò troppa come nel caso di uno dei recenti vertici UE a Bruxelles quando, sul tweet-wall allestito nella sala principale dove i 27 leader erano riuniti per il summit sull’ Euro Zona, sono comparsi numerosi tweet di insulto, con l’hastag #EUCO , indirizzati a Berlusconi.

martedì 8 marzo 2011

Sai proteggere la tua privacy online? tre passi per iniziare

[08/03/2010 Ninja Marketing] Annoso problema, quello della tutela della nostra riservatezza online, meglio conosciuta come privacy - concetto proprio del mondo anglosassone. Il popolo di internet si divide equamente tra i sostenitori della necessità di porre della barriere alla nostra vita digitale, e coloro che, invece, sull’onda emotiva del ‘non ho nulla da nascondere‘, lasciano tranquillamente in rete qualsiasi traccia del proprio passaggio digitale.
A scanso di equivoci, preferisco confessarvi da subito che non sono una grande sostenitrice di nessuna delle due correnti di pensiero. L’utilizzo della rete comporta la conoscenza e l’uso di strumenti notevolmente differenti da quelli della vita analogica e, soprattutto, dalla enorme potenzialità diffusiva.
Semplificando, si dice che immettere qualcosa in rete equivale ad averla persa per sempre. Un po’ drastico, ma con un fondo di verità: è necessario sapere quali dati immettere in Rete, evitando di fornirne di non strettamente necessari, e soprattutto, come. Fondamentalmente, vale sempre e comunque la stessa regola di accortezza: mai mettere in Rete qualcosa che non si divulgherebbe con la stessa facilità al vicino di casa. Un modo come un altro per sottolineare che il problema dell’utilizzo della rete non è relativo a ciò che ciascuno di noi può o vuole rivelare di se stesso e della propria vita, ma l’uso che altri possono fare delle informazioni cosi raccolte. E, soprattutto, le tracce che inconsapevolmente lasciamo, e che possono venire utilizzate per mancanza di trasparenza e di accordi chiari con l’utente della rete.

E’ praticamente impossibile riassumere in poche righe quello che potrebbe essere oggetto di un trattato, per cui mi riprometto di ritornare nelle prossime settimane sull’argomento.

Voglio, però, partire da tre indicazioni preliminari, tre piccoli passi per affrontare con maggiore sicurezza la navigazione online:

1. La sicurezza parte dal proprio pc.
La tutela della privacy, prima che dalla Rete, parte da casa nostra o dal nostro ufficio, dall’utilizzo di computer sicuri e aggiornati, primo vero strumento per difendere la nostra sicurezza online.
Qualche esempio:
Usate ancora IE6?
Impostate correttamente il firewall, o autorizzate il traffico di rete?
Aggiornate costantemente l’antivirus e il SO?
E, soprattutto, prima di affrontare una sessione di navigazione, avete cura di impostare le opzioni di privacy presenti in tutti i browser?

2. Navigazione anonima? perchè no!
Nella navigazione web alcuni dati personali vengono utilizzati per migliorare ‘l’esperienza online’ (cito testualmente). In altre parole, i siti tengono traccia – tramite i cookies di cui abbiamo parlato in precedenti occasioni –

della nostra navigazione, e delle attività effettuate online, utilizzando i dati personali da noi (spesso) inconsapevolmente forniti.
Si può evitare di fornire tali dati utilizzando la modalità di navigazione anonima messa a disposizione dai diversi browser:
Firefox dalla versione 3.5;
IE dalla release 8 – InPrivate browsing;
Google Chrome – navigazione in incognito (a proposito, qualcuno ha capito il riferimento agli ‘agenti segreti’ tra i soggetti di cui diffidare?);
Safari – navigazione privata;
Opera – private browsing – dalla release 10.50.

E’ una alternativa più che utile nel caso non si utilizzi il proprio computer, ma una postazione multiutente o un pc non personale. Evita che il browser – e il pc – memorizzino i dati di navigazione comunemente raccolti – durata della sessione, siti visitati, link attivati, etc.. Attivando tale opzione, solo il proprio ISP potrà tenere traccia della navigazione dell’utente.
Attivando tali modalità, non verranno registrate le pagine visitate, i moduli e le barre di ricerca, le password inserite, l’elenco dei download affettuati, i cookies – tranne nel caso si sia spuntata la voce relativa ad un singolo sito – il contenuto della cache.

Un suggerimento ulteriore: spesso si trascura di impostare le opzione di privacy e di condivisione relative a flash player. Chi non l’ha mai fatto o non sa di che parlo, troverà molto interessante questo link e tutti i link ad esso collegati presenti nella pagina.

3. La prima sicurezza sei tu!
Ancora prima dell’hardware e del software, il primo imprescindibile livello di sicurezza è la consapevolezza dell’utente. La divulgazione di determinate informazioni potrebbe essere quantomeno non opportuno. In questo caso, i primi interessati sono i minori, che hanno spesso un utilizzo molto ‘disinvolto’ di chat e bacheche, tramite l’accettazione delle impostazioni di di default stabilite da siti e programmi.
Come sappiamo, non basta stabilire un limite minimo di età per l’utilizzo di un servizio: facebook (e tutta internet) sono piene di minori (sovra)esposti, spesso anche per volontà degli stessi genitori, che non esitano a pubblicare foto e notizie che li riguardano.

Un po’ di attenzione in più su questo non guasterebbe: la Polizia Postale sottolinea che nell’anno appena trascorso 6 minori su 10 sono stati contattati da sconosciuti online, e che oltre 3 minori su 10 hanno accettato di incontrare persone che non conoscevano, senza poter accertare con sicurezza la loro identità. Cifre su cui riflettere.
Nelle prossime settimane approfondiremo sicuramente la gestione della privacy in relazione ai social network.
Intanto, cominciamo da questi primi passi.


Morena Ragone

Social Network e Mobile: In USA sono in rapidissima crescita

[08/03/2011]

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Il social networking via Mobile è tra le categorie in più rapida crescita negli Usa, secondo la nuova ricerca rilasciata da comScore. Secondo la "The 2010 Mobile Year in Review" si vede come il social networking abbia raggiunto i 57,9 milioni gli utenti mobile negli Stati Uniti nel dicembre 2010.

Tra gli utenti di smartphone, l'utilizzo di social network, è ancora più pronunciato. Nel dicembre 2010, il 57,3% degli utenti di smartphone negli Stati Uniti (36,2 milioni di utenti) hanno effettuato almeno una volta al mese un accesso ai siti di social networking o ad un blog, con un incremento di circa il 24% ripsetto all'anno precedente.

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Ha mostrato una crescita impressionante anche l'utilizzo europeo del social networking via cellulare con il 37,8% degli utenti di smartphone che hanno effettuato almeno una volta al mese un accesso ai siti di social networking o ad un blog (27,5 milioni di utenti).

La crescita del social networking attraverso dispositivi mobili è principalmente guidato da Facebook, che ha raggiunto il 90% degli utenti americani di social media e l'85% degli utenti europei, ed è cresciuto più del 120% durante lo scorso anno in entrambe le regioni.

YouTube e Twitter tengomo rispettivamente la seconda e la terza posizione negli Stati Uniti così come in Europa, ma il mercato europeo mostra una crescita molto più forte. In Europa, YouTube è cresciuto del 95% tra dicembre 2009 e dicembre 2010, e il numero di utenti mobili Twitter è cresciuto del 195%.

La differenza più significativa nel 2010, è relativa a MySpace, che è calato del 20% negli Stati Uniti, ma ha guadagnato il 32% in Europa.

lunedì 7 marzo 2011

Un videogame per aiutare i bambini autistici

[07/03/2011 La Stampa]

Un gioco interattivo aiuta i bambini affetti da ASD a riconoscere volti ed emozioni

Si chiama “FaceSay” ed è un nuovo gioco di abilità che sembra migliorare la capacità di apprendimento di molti bambini. In particolare, il gioco ideato da Symbionica, LLC, sembrerebbe essere d’aiuto per i piccoli affetti da disturbi dello spettro autistico (ASD) che riconoscerebbero meglio i volti, le emozioni e le espressioni facciali.

L’ASD racchiude molti disturbi dello sviluppo come la sindrome di Asperger e l’autismo. È molto probabile che i bambini con l’ASD evitino il contatto con le altre persone a causa del fatto che non riescono a riconoscere il volto di una persona e comprenderne le emozioni. Per capire il ruolo che il videogame aveva sui bambini autistici, sono intervenuti gli psicologici dell’Università dell'Alabama a Birmingham.

A detta dei ricercatori il fatto che il software disponga di molti giochi in cui è richiesto il riconoscimento facciale (per esempio di un avatar), i giocatori sono costretti a concentrarsi in maniera attiva sul volto di una persona.

Per arrivare alle loro conclusioni, gli psicologi Fred Biasini e Maria Hopkins hanno condotto dei test su 25 bambini affetti da autismo e 24 dalla sindrome di Asperger. Tutti i partecipanti avevano un’età compresa fra i 6 e i 15 anni e hanno partecipato a sessioni di 20 minuti utilizzando tre giochi di FaceSay, per più di un mese. I giochi si sono svolti al Mitchell's Place di Birmingham, un centro specializzato per i servizi per bambini affetti da ASD.

«I nostri risultati mostrano che gli esercizi di questo software hanno un impatto positivo », spiega Biasini. I miglioramenti più significativi sono stati ottenuti con i bambini che accusavano la sindrome di Asperger e che hanno mostrato una migliore capacità di riconoscimento facciale.
Mentre il riconoscimento delle emozioni della persona che avevano di fronte era migliorato molto anche nel gruppo dei bambini autistici.
Non solo, secondo Hopkins, tutti i bambini che utilizzavano il videogame riuscivano a interagire molto meglio con gli altri bambini, anche quelli che magari incontravano al parco.

Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Autism and Developmental Disorders
[lm&sdp]