[Scienza in rete 20/10/2010] di Giuseppe O.Longo
Negli ultimi anni gli scambi comunicativi mediati dai dispositivi tecnologici hanno subito un incremento impressionante, tanto che alcuni paventano un intasamento dei sistemi di trasmissione. Le cause principali di questo vero e proprio surriscaldamento comunicativo sono: l'aumento dell'efficienza tecnica, la diminuzione radicale dei costi e l'indebolimento dei filtri che in passato limitavano la diffusione dell'informazione. Tra questi filtri vanno annoverati: la chiesa, la scuola, la famiglia, e in genere le istituzioni politiche e sociali che esercitavano il monopolio dell'informazione, la sorveglianza e la censura. In ultima analisi questi filtri erano sorretti dal costo della comunicazione, dal diffuso analfabetismo e dalla lentezza degli scambi comunicativi.
Lo sviluppo della tecnologia ha reso la comunicazione sempre più rapida ed economica e ha contribuito alla nascita di quella che si chiama società dell'informazione. Tra le tappe più significative di questa evoluzione ricordiamo:
* la convergenza di telecomunicazioni e computer;
* la digitalizzazione delle sorgenti d'informazione e dei canali di trasmissione;
* lo sviluppo di servizi multimediali e interattivi;
* la concentrazione di un numero crescente di funzioni in minuscoli dispositivi tascabili.
Siamo entrati nell'era digitale, caratterizzata tra l'altro dalla formazione di una generazione di giovani che, plasmatisi sulle nuove tecnologie o addirittura nati con le nuove tecnologie, le usano con grande disinvoltura e insieme con sovrana indifferenza per i loro meccanismi profondi, attenti solo al loro utilizzo opportunistico. Questa generazione digitale interagisce con le strutture tradizionali, in particolare con la scuola, in modi nuovi, che prefigurano altri e più incisivi cambiamenti, destinati a investire tutti gli aspetti dell'individuo e della società.
Tramite l’ibridazione con la tecnologia cambia la natura umana, tramite la genomica l’uomo cessa di riprodursi e comincia a prodursi. Cambia il modo di fare i figli, di allevarli e di educarli. Cambia il modo di comunicare, di apprendere e di insegnare, cambiano la nozione di tempo, la percezione dello spazio, il concetto di realtà. Tutti questi cambiamenti moltiplicano le scelte, esaltano la creatività e insieme estendono l’omologazione, ci sopraffanno con l'eccesso di dati e di possibilità, provocano lacerazioni e disadattamenti. Il lessico e la sintassi subiscono distorsioni e meticciamenti profondi. E la rappresentazione mediatica di tutti questi cambiamenti genera un “doppio” spettacolare del mondo che a volte è percepito più reale del mondo reale e accelera le mutazioni. In questa potente dinamica trasformativa le velocità di cambiamento non sono uniformi: certe componenti mutano più rapidamente di altre e questa disuniformità genera tensioni, disagi, conflitti e sofferenze. La transizione è così rapida che non ci permette la messa a fuoco e continuiamo a vedere il futuro con gli occhi, i parametri e i valori di un passato che fatichiamo a superare e in cui permangono robuste tracce di categorie aristoteliche. Ciò provoca un disorientamento e una sensazione di inadeguatezza che possono sfociare in angoscia o, all'opposto, in precipitose fughe in avanti.
I giudizi sull'avvento dell'era digitale sono diversissimi: vanno da un'esaltazione senza riserve a un cupo catastrofismo, con tutti i gradi intermedi. La comunicazione è un fenomeno complesso, pertanto può (e deve) essere descritto a livelli e da punti di vista diversi, nessuno dei quali può fornirne un resoconto completo. Ne segue che le valutazioni positive come quelle negative possono essere giustificate da osservatori diversi con argomenti fondati.
Giudizi tanto contrastanti indicano che siamo di fronte a una rivoluzione vasta e coinvolgente, le cui radici affondano nell'interazione tra tecnologia e società e le cui ripercussioni riguardano la cultura, la scuola, la politica, i rapporti sociali, l'organizzazione aziendale e istituzionale, la lingua, l'epistemologia e la scienza. Nelle prossime puntate cercherò di esaminare alcune di queste conseguenze, senza curarmi troppo dei particolari tecnici e dell'alluvione di gadget, ma cercando di scrutare le radici e le conseguenze culturali degli accadimenti. In ogni caso, che si giudichi la rivoluzione mediatica in senso positivo o negativo, non si deve dimenticare che sotto la variegata superficie dei fenomeni comunicativi si annida un potente sistema economico che mira ad accumulare denaro e potere mediante sagaci politiche di mercato e astute strategie pubblicitarie.
L'ingresso nell'era digitale si accompagna a due transizioni importanti. In primo luogo vi è il passaggio sempre più evidente dall'evoluzione biologica, retta dai meccanismi darwiniani di mutazione e selezione, all'evoluzione bioculturale, e in particolare biotecnologica, dove ai meccanismi precedenti si affianca anche il meccanismo lamarckiano dell'ereditarietà dei caratteri (culturali) acquisiti.
Questo fenomeno si basa su processi, come l'imitazione, l'apprendimento, la moda, che agiscono non solo da una generazione alla successiva, ma anche all'interno della stessa generazione. Ne segue che l'evoluzione bioculturale ha natura “epidemica”: è molto più rapida di quella biologica, ma i suoi prodotti sono più fragili e volatili. In secondo luogo, sul versante della tecnologia, accanto alle macchine tradizionali, che elaborano materia ed energia, sono comparse le macchine della mente, che elaborano informazione. In un susseguirsi sempre più rapido: il cinema, il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione, il calcolatore elettronico, le reti: sistemi e dispositivi che si sono affiancati a quelli tradizionali basati sulla comunicazione orale, sulla scrittura e sulla stampa. Inoltre lo sviluppo delle reti, derivate dall'accoppiamento fra telecomunicazioni e calcolatori, ha dimostrato che la vera vocazione dei computer non è solo o tanto l'esecuzione di calcoli laboriosissimi o il trattamento di enormi masse di dati, quanto il collegamento interattivo tra gli individui. Sempre più essi fungono da nodi della grande rete di comunicazione che si sta estendendo su tutto il pianeta. L’uomo è una creatura della comunicazione e dello scambio: la sua struttura corporea e la sua intelligenza si sono co-evolute in stretta interazione con un ambiente che ha impresso nella specie il proprio sigillo, dando origine a un apparato neuro-sensoriale e cognitivo che filtra le stimolazioni della realtà e costruisce il mondo da noi percepito, che è diverso da quello di ogni altra specie. Su questo apparato s’innesta in modo agevole e quasi anestetico (almeno in apparenza) la tecnologia informazionale, la quale prolunga l’evoluzione biologica in un'evoluzione biotecnologica, modificando le categorie della percezione e della cognizione e influendo anche sugli affetti.
Lungi dall’essere un fenomeno superficiale, la tecnologia incide dunque sul nostro modo di vedere il mondo e sulla nostra essenza cognitiva ed emotiva più intima. A questo proposito è esemplare il caso della televisione, che per molti costituisce un vero e proprio occhio sul mondo, fonte di informazione, intrattenimento ed emozioni (a prescindere dalla qualità). L’aspetto forse più limitativo del rapporto con la Tv è la sua unidirezionalità, temperata soltanto dall'uso del telecomando, che consente allo spettatore di ricavarsi un tracciato personale tra programmi di per sé rigidi. E' un inizio di interattività, che soddisfa, sia pure in modo embrionale, la profonda esigenza dialogica degli umani. La comunicazione è un fenomeno complesso, in cui si mescolano elementi naturali e convenzionali, sintattici e semantici, pragmatici ed emotivi. E' un'attività, quella comunicativa, intessuta di metafore, di significati empirici e di ambiguità che screziano e arricchiscono il puro scambio di informazioni, corredandolo di tutta una serie di valenze metacomunicative ed extracomunicative, senza le quali lo scambio si ridurrebbe a poco più di niente. La comunicazione si articola in codici più o meno flessibili, aperti in vario modo a interessi cognitivi, affettivi e collaborativi. Ed è proprio la volontà di collaborazione dei parlanti che ne costituisce forse l'aspetto più caratteristico e significativo: grazie a questa volontà e animati da essa, i dialoganti esplicano un controllo e un continuo aggiustamento dell'interazione, che porta alla condivisione di regole sempre diverse e alla costruzione di convergenze mutevoli, di volta in volta adatte agli scopi della comunicazione.
L'aspetto collaborativo della pratica linguistica (che secondo alcuni troverebbe un correlato fisiologico nei cosiddetti neuroni specchio) si esplica in una continua ridefinizione e reinterpretazione, da parte dei dialoganti, dei dati e delle relazioni, dati e relazioni che non sono solo interni alla lingua, ma anche esterni: per esempio la relazione tra gli stessi dialoganti. Emergono così le componenti extra-grammaticali ed extra-linguistiche della comunicazione, che è fatta non solo di informazioni scambiate ma anche, e soprattutto, di intenzioni e di progetti, di scopi e di aspirazioni che riguardano il mondo dei soggetti, cioè un contesto quanto mai ampio e articolato. Ed emerge anche l'idea, già espressa dagli antichi Stoici, che il pieno sviluppo delle caratteristiche umane, cognitive e non solo, avvenga grazie all'interazione sociale. Per questo è fondamentale che, per esempio, nella relazione tra docente e discente, si apra il canale della collaborazione empatica, dell’interesse affettivo e umano, della relazione personale, canale che è sempre bidirezionale, anche quando il discente tace: per quel canale empatico possono poi transitare tutte le informazioni, tutti i dati, tutte le nozioni. Se quel canale non si apre, non passa nulla.
L'intelligenza umana e il suo rispecchiamento verbale sono fenomeni contestuali, sistemici e diacronici: ciò significa che l'intelligenza è legata alla comunicazione e che il suo raggio d'azione si estende ben oltre i limiti costituiti dall'epidermide individuale; in più è sottoposta alle vicende dell'evoluzione, che la rendono una caratteristica mutevole nei modi e nelle forme. Anche gli interlocutori dell'attività comunicativa mutano e si moltiplicano. L'essenzialità del contesto e dei rapporti interpersonali comporta, tra l'altro, l'importanza, per l'intelligenza umana, del corpo, che è il tramite, e il filtro, attraverso il quale la mente dell'uomo, e quindi il suo linguaggio, entrano in contatto con il resto dell'universo.
La lingua risulta dunque un fenomeno globale, mentale e corporeo insieme: ogni atto linguistico, a ben guardare, è un atto sistemico del mondo, che si svolge sì sotto la particolare angolatura dell'individuo che compie l'atto, ma che attraverso quell'individuo si collega a tutto il resto. E ogni testo è scritto dal mondo su sé stesso. Chi scrive presta al mondo mente, mano e corpo, consentendogli di scrivere e di scriversi. E così chi parla e chi legge e chi ascolta è un tramite del mondo. Questo punto di vista permette, tra l'altro, di capire e valutare meglio la funzione attiva dell'ascoltatore o del lettore, di chi insomma ri-costruisce in sé il testo.
A questa forma costantemente dialogica e interattiva della comunicazione corrisponde il passaggio, ancora in corso ma già ben delineato, dalla prima forma di Internet, il Web 1.0, alla sua evoluzione, il Web 2.0, rappresentato da Wikipedia, Google, YouTube e in genere da tutta una generazione di funzioni e di servizi caratterizzati non più da una partecipazione passiva, bensì da una cooperazione attiva e creativa degli utenti, i quali contribuiscono a produrre conoscenze: le strutture del Web 2.0 si costruiscono dal basso, per effetto di apporti minimi ma costanti in continuo confronto e interazione, come accade in maniera paradigmatica in Wikipedia. Il protagonismo partecipativo degli utenti e la crescente mediazione tecnologica dell'attività comunicativa giustificano in pieno la nozione di intelligenza collettiva, anzi connettiva, distribuita ovunque, coordinata nella dimensione sincronica, che alcuni hanno proposto per indicare le attività cognitive che si svolgono in rete e grazie alla rete.
Per converso, pare che il sincronismo tipico del Web sopprima la dimensione temporale, annullando il passato e appiattendo tutto sul presente. A ciò corrisponde una drastica trasformazione cognitiva e culturale. C'è peraltro da osservare che non sempre i contenuti del Web (p. e. di Wikipedia) sono attendibili: ne segue che la rapidissima diffusione delle informazioni errate rischia di rendere “culturalmente instabile” il sistema. Nei media cartacei tradizionali questo rischio è molto minore, non tanto perché essi siano più attendibili quanto perché minore è la velocità di propagazione delle conoscenze e maggiore è il tempo concesso alla riflessione, alla maturazione e alla scelta dei contenuti (la fretta è cattiva consigliera).
Si può avanzare un'analogia tra Web e cervello, sulla base della struttura reticolare comune e del continuo scambi di messaggi tra i nodi di queste reti. I concetti e i siti nuovi introdotti e allestiti dagli utenti vengono integrati nella struttura di Internet e rafforzati dagli altri utenti che li scoprono e li usano, creando i rimandi (link). Come le sinapsi cerebrali si rafforzano in virtù della ripetizione, così le connessioni del Web si irrobustiscono in seguito all'attività collettiva di tutti i navigatori del Web.
Questa persuasiva analogia giustifica l'uso della locuzione “macchine della mente” per i computer e Internet, e illustra la simbiosi tra queste strutture macchiniche e l'intelligenza umana: il nostro sistema cerebrale si integra con un artefatto, la rete globale, che ne potenzia alcune capacità, altre ne deprime, e ne modifica la struttura e le funzioni, aprendo la strada alla formazione di quell'intelligenza connettiva che, secondo alcuni, segna il passaggio dalla società gutenberghiana alla società digitale. Nella società digitale i contenuti sono mutevoli e i navigatori contribuiscono alla formazione dal basso di conoscenze e procedure distribuite agli utenti in un vicendevole alternarsi nei ruoli di spettatore e attore ovvero fruitore e autore.
Ma l'impressione è che noi adulti non siamo (ancora) del tutto usciti dalla “galassia Gutenberg” di cui parlava McLuhan e non siamo (ancora) capaci di orientarci nella società digitale. E questo anche per una certa nostra resistenza ad abbandonare le sponde, fidate anche se corrose, della cultura tradizionale. Molto più spregiudicati sono i giovani e giovanissimi, che sono nati nel digitale e che non hanno nessuna difficoltà a immergersi e navigare in questa nuova “infosfera”: anzi dell'altra, della vecchia “bibliosfera” alla quale noi siamo avvezzi e affezionati, non sanno molto e forse non vogliono neppure sapere molto.
Ma anche noi adulti viviamo nella società digitale, e non possiamo non risentirne gli effetti. A parte l'uso più o meno impacciato che facciamo dei media digitali, subiamo le metamorfosi socioculturali e le derive politiche di questa grande trasformazione e non possiamo non riconoscere che termini tradizionali come lavoro, denaro, proprietà, diritto, economia, sono sottoposti a una forte tensione definitoria. Anche per effetto della rivoluzione digitale, i significati di questi termini stanno cambiando, spesso senza lasciarci il tempo di adeguarci alle nuove accezioni e provocando in noi e nella società una lacerazione tra le nuove realtà e la vecchia mentalità, ancora aggrappata a concezioni pre-digitali.
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