mercoledì 14 aprile 2010

Dal web a Twitter al non profit L'ultima rivoluzione dei media

[La Repubblica 14/04/2010] Il Pulitzer, il più prestigioso tra i premi giornalistici, è andato a un sito d'informazione online e senza scopo di lucro. I nuovi canali che cambiano il sistema dell'informazionedal nostro inviato ANGELO AQUARO

Dal web a Twitter al non profit L'ultima rivoluzione dei media
NEW YORK - Siamo tutti reporter? Magari un giorno la insegneranno a scuola, e non solo di giornalismo, la canzoncina che ricorda quella vecchia filastrocca di Roberto Benigni e Tom Waits: "i-Report, U-Report, We all Report...".

No, non è solo uno scioglilingua: i-Report è il programma della Cnn che raccoglie le segnalazioni dei lettori, video e foto fatte al telefonino, immagini rubate nel posto giusto e al momento giusto: e dove nessun giornalista è magari arrivato. E u-Report è il programma rivale della Fox: così seguito che News Corporation, l'impero multimedia di Rupert Murdoch, ci ha fatto un'applicazione per l'iPhone.

Li chiamano new media: i-Reporting, giornalismo online, no profit journalism. Il riconoscimento ufficiale è arrivato l'altra sera dalla giuria più prestigiosa del mondo, quella che la Columbia University chiama ogni anno ad assegnare i 14 Pulitzer dedicati al giornalismo. La prima volta di un premio assegnato a un'agenzia che vive solo online ed è no profit, ProPublica. La prima volta di un vignettista che pubblica solo online, Mark Fiore. La prima volta di un giornale, il Seattle Times, premiati per l'utilizzo di Twitter.

Qualcosa è cambiato? "Prendiamo nota che la morte del giornalismo è stata abbondantemente esagerata: è vivo e vegeto e festeggia anche. Soprattutto al New York Times".

Bill Keller, che del Times è il direttore, ed è stato lui stesso un vincitore di Pulitzer, ha ragione da vendere. In fondo, la notizia sarà anche la prima volta dei new media, ma su 14 premi il suo giornale ne ha vinti tre, sconfitto di misura (quattro) solo dal rivale
Washington Post, con cui gareggia dai tempi d'oro del giornalismo d'inchiesta. E poi Keller può gongolare due volte. In fondo il riconoscimento di ProPublica, che ha vinto per una mega inchiesta sulle morti sospette all'ospedale di New Orleans dopo Katrina, è anche un po' suo: il servizione di Sheri Fink è stato prodotto e pubblicato dal magazine del Times.

Dice Paul Steiger, che è arrivato a dirigere la prima agenzia online no proft dopo una vita passata al Wall Street Journal, che il premio è una "validition", una sorta di "timbro": "Essere riconosciuti da una giuria del genere è un onore. È come dire: ecco, ci sono anche loro, sono una realtà, stanno facendo del giornalismo serio". Quella di ProPublica è una scommessa nata tre anni fa con un bonus di 10 milioni di dollari all'anno promesso da una finanziaria. "L'inchiesta di New Orleans è l'esempio più potente di quello per cui siamo nati: fare luce sugli abusi del potere, dare la possibilità al pubblico di conoscere". Che poi sarebbe la missione dei giornali tutti.

Non è l'unica inchiesta di ProPublica finita sotto la lente dei Pulitzer. E neppure un caso che Sheri Fink, medico prestato al giornalismo, abbia già pubblicato fior di reportage su un altro "giornale che non c'è": quel Daily Best che è il sito online con cui Tina Brown ha scommesso sul futuro, dopo una vita dorata tra Vanity Fair e il New Yorker.

Un altro giornalismo è possibile? Un osservatore smaliziato come Alan Mutter per la verità sul no profit frena. Basta fare due conti, dice. Il giornalismo dei quotidiani di qualità Usa costa 88 miliardi di dollari l'anno. Una signora cifra, addirittura un terzo di quei 307,7 miliardi di dollari che le associazioni no profit hanno ricevuto nel 2008. E la recessione, oggi, ha stretto i cordoni della borsa a tutti.

La domanda è sempre quella: chi paga per chi? Sig Gissler, l'amministratore del Pulitzer, giura che il futuro è misto. Il modello, insomma, può essere quello che ha portato a premiare ProPublica e il New York Times. "Ne vedremo sempre più di queste partnership: proprio perché ci aspettano tempi duri".

La strada allora sembra segnata: modello misto, new e old media, no profit e profittevole... Roy J. Harris Jr, l'autore di Pulitzer's Gold: Behind the Prize for Public Service Journalism, l'aveva predetto alla vigilia sul Washington Post. Il premio deve dare un segno, "finora ha sempre offerto una guida per capire dove va la professione". Come un mago, Harris aveva detto di prestare attenzione proprio al lavoro di ProPublica e poi a quelle "vignette animate" che sempre più in America finiscono in cima alle pagine più cliccate dei siti di news.

Chissà la vignetta che ci regalerà adesso Mark Fiore, il quarantenne disegnatore del San Francisco Chronicle, pardon, di SFGate. com, visto che i suoi lavori vanno solo online. Anche qui, per carità, il suo premio è un compromesso: perché è vero che va a un sito, ma sempre a un sito di un quotidiano. "Che cosa si fa quando si vince un Pulitzer? Ci si ributta nel lavoro o si può mandare tutto all'aria?" chiede ai suoi colleghi Fiore, che non può certo perdere ora il dono della battuta.

Dice Ken Auletta, l'autore di Googled, l'uomo che proprio la Columbia University ha definito il più attento reporter dei nuovi media, che il Pulitzer è l'ultimo segnale ricevuto: attenzione, il mondo sta cambiando. Al punto che i nuovi media sostituiranno quelli più tradizionali? "Questo nessuno può dirlo ancora. Ma conosciamo già l'impatto tremendo che i media digitali hanno avuto sulla diffusione e sulla pubblicità dei giornali, sul modo con cui i cittadini si avvicinano alla tv o al cinema: attraverso Internet...". Il mezzo che rischia di cambiare il messaggio. "Basta piangersi addosso: la vera sfida è sfruttare i nuovi mezzi per modernizzare il vecchio sistema. E recuperare i lettori perduti".

Facile a dirsi. Ma come? Uno che domenica sera, proprio alla vigilia della proclamazione dei Pulitzer, non riusciva a smettere il sorrisino d'ordinanza era Eric Schmidt, il Ceo di Google, croce e delizia dei media tradizionali, che ricorrono a Internet per scovare e ridistribuire notizie ma poi sempre da Internet se le vedono rispiattellare gratis. "Guardate che cosa stanno diventano i blog: il giornalismo di alta qualità trionferà", ha detto, a sorpresa, Schmidt a un summit con i dirigenti dei più grandi giornali d'America. "Abbiamo solo un problema di modello di business: non è un problema di modello di informazione". Lui è sicuro: "Svilupperemo nuove forme per fare soldi". Dov'è la trappola: "Risposte semplici non ce ne sono. Provate a seguire il modello Google: sperimentare".

I grandi vecchi del Pulitzer sembrano averlo ascoltato e il giornalismo sta già scrivendo una nuova pagina. L'"attacco", come si dice nel gergo degli articoli, sta venendo benissimo.

Chissà come finirà.

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