giovedì 14 gennaio 2010

Il Web non può essere demonizzato

[Italia Oggi 14/01/10] Si ripeterebbe l'errore dei luddisti che distruggevano le macchine che producevano di più


La rete causa problemi ma suscita anche grandi opportunità

Lascia perplessi tanta polemica sulla “Rete” , il web che sarebbe plebeo, che Il Sole 24 ore sta rappresentando come un grande tema di dibattito cultural-social-tecnologico. Lasciano infatti perplessi queste generiche bordate critiche contro Internet, il suo popolo, la sua incultura, la marmellata mediatica che lo ingolfa, in cui deplorevolmente l'opinione di un Pinco Pallino qualunque pesa quanto quella di un Nobel e la certezza scientifica delle voci enciclopediche tradizionali è cancellata dalla inattendibile discrezionalità di Wikipedia.

E ancor più perplessi lascia il fatto che, a muovere questa polemica, siano anche alcuni pionieri del web, che, meglio di chiunque altro, dovrebbero conoscere la natura intimamente «perequativa» della Rete. In essa infatti il pensiero di un premio Nobel rischia di finire oscurato o quanto meno equiparato a quello di un illetterato , di un integralista, di un matto o di uno speculatore.

Guarda caso, questa inguaribile «orizzontalità» qualitativa del web è condivisa da un'altra e ben più antica istituzione umana, la democrazia, dove, appunto, il voto di Esposito Gennaro vale quanto quello del Principe dè Curtis. E viene in mente una citazione poetica proprio di Totò, da “La livella”: «'A rete, o ssaje che è? È 'na livella...», scriveva il Principe, anche se si riferiva alla morte.

Già, la Rete è (anche) una livella culturale. Che equipara plebei a chierici e letterati. Uno specchio asettico dell'umanità, da cui viene popolata con tutti i suoi pregi (fantasia, ideali, sentimenti ) ma anche con i suoi difetti, nessuno escluso, criminalità compresa: sia quella da sempre «web-based», per esempio la pedopornografia o il phishing, sia quella tradizionale che semplicemente usa il web come un fantastico strumento di comunicazione veloce: Skype, ad esempio, così poco intercettabile dagli inquirenti, oltre che così dannosa ai conti delle compagnie telefoniche. Ma Skype è anche così straordinariamente utile alle relazioni umane tra le centinaia di migliaia di emigranti che, la sera, gratis, mantengono vivi gli affetti familiari parlandosi in lunghe videotelefonate transoceaniche che erano ancora impossibili cinque anni fa. Si dirà che però la Rete, e soprattutto il “Web 2.0”, cioè l'orgia dei siti di “social network” come Facebook o MySpace, sta abbattendo anche le sacrosante paratie che avrebbero dovuto permanere tra chi sa e chi non sa, tra chi può insegnare e chi, prima di parlare, deve imparare. C'è del vero in questo, ma c'è anche tanto snobismo aristocraticistico. Perché, prima della Rete, noi chierici della carta stampata tradizionale (news e letteratura, storiografia, filosofia) semplicemente ce la cantavamo e suonavamo da soli, senza contatti profondi con la massa, confinata in un'ignoranza che, ancora cinquant'anni fa, anche in Italia, era totale. Oggi, il lessico orripilante di veline e tronisti fa accapponare la pelle, ma trent'anni fa, prima del web e di quella sua progenitrice anti-culturale che è stata la tv commerciale questi ragazzini e ragazzine parlavano ancora peggio, usavano soltanto il loro dialetto. Ora, almeno, parlano l'italiese di Rai1 e Canale 5. E, se non vogliamo vederci del progresso culturale per lo meno non intestardiamoci a vederci del regresso.

I media e la cultura ante-Rete lasciavano la casta dei colti nella confortevole certezza di essere una casta riconosciuta e protetta, e anche ben pagata. Ma, in termini sostanziali, cioè sociali, era un'illusione ottica. Il «cultural divide», il fossato culurale era alto più dell'attuale «digital divide», fossato tecnologico digitale. Quella certezza di casta e di privilegio elitario è oggi evaporata. Per dar posto, però (e purtroppo), a un marasma informativo, alla famosa e vituperata marmellata cultural-mediatica. Solo un danno? Non lo credo. Questo marasma ha infatti il pregio di non escludere più nessuno, di aderire alla realtà e di contaminare (o almeno raggiungere) quasi tutta l'umanità «vera»: salvo il pur grave e ancora alto digital divide. Nell'era della rete, un minimo gradino di consapevolezza e di cultura che tutto il popolo del web riesca a salire, è un gradino su cui veramente sale il mondo intero. E c'è da chiedersi se valga di più un'ascesa di 10 centimetri che coinvolge miliardi di persone o un balzo di dieci metri riservato a un'élite. Viene da fare un esempio, che arriva dai due figli di chi scrive, due ragazzini di 13 e 14 anni nati con Internet. Su Youtube i video di Paul Potts, quel fenomenale talento canoro lirico inglese, sono più visti di quelli di Pavarotti. Ma i ragazzi, che sono inciampati in Paul Potts perchè se lo sono trovato appunto tra i video «più visti» della home page di Youtube, adesso girano per casa canticchiando «Nessun dorma», che, se era per il loro papà (appassionato di lirica come del fumo negli occhi), non avrebbero mai imparato. E c'è ancora una considerazione: siamo sicuri che, prima della Rete, l'industria culturale non puntasse comunque anche «al peggio» per allargare il proprio mercato? Forse che i quotidiani tabloid britannici, quelli con le starlette in topless a pagina 3, non erano, alla fin fine, antesignani di questo svacco culturale che oggi si vuole addebitare solo alla Rete ma che in realtà ne prescinde e ne ha di molto anticipato la nascita?

Forse, e in verità, dietro questa polemica contro la “Rete plebea” ci sono in realtà i mal di pancia di una categoria (in senso la lato quella degli operatori culturali, dell'informazione e comunque di coloro che vivono grazie alla tutela della proprietà intellettuale) che si vede come su un iceberg in liquefazione, si accorge di essere priva del suo storico mercato di riferimento e teme, giustamente, per il suo avvenire. Effettivamente, il problema della liquefazione del mercato della cultura e dell'informazione di qualità (quella che costa perché è a pagamento) sgominata dalla marmellata dei socialnetwork e della Wikifuffa è un problema grave, sta facendo danni, sta distruggendo valore e lavoro. Ma, dietro questi alberi che cadono, si può già scorgere la foresta che cresce, quella dei Paul Potts, quella dei corsi audiovideo di sax (amatoriali ma eccellenti) che segue uno dei miei ragazzi e dei corsi, anch'essi amatoriali ma divertenti e ben fatti, di prestigitazione, che segue l'altro. Roba che non aveva mai avuto mercato, ma cui la Rete ha dato spazio, gratis.

Non desumiamo dalla constatazione di un problema grave e pressante (la crisi congiunturale di un settore ) la fine già scritta di un mondo. Le enciclopedie che noi cinquantenni abbiamo usato da ragazzi, erano figlie divulgatrici e commerciali di quella incomprabile enciclopedia che due secoli prima aveva scritto Diderot. Oggi Wikipedia sarà l'eccesso opposto, ma, a lungo termine, i vantaggi sociali e culturali di queste fenomeno straordinario che è la Rete, la più straordinaria rivoluzione culturale umana dalla scrittura in poi, si riveleranno infinitamente superiori ai danni.

Pertanto, anzichè stracciarsi le vesti e alzare steccati contro la volgarizzazione indotta dal web, forse è più utile e giusto inventare antidoti a certi eccessi, spremendosi le meningi.

Ci sta riuscendo, per esempio, il cinema, così martoriato dal peer-to-peer, cioè dalla pirateria informatica di chi scarica gratis dal web i film appena usciti e anziché vederseli al cinema pagando il biglietto se li scrocca a casa sua, sul piccolo schermo. I grandi registi, valorizzando creativamente e tecnologicamente le dimensioni del grande schermo come arma totale contro la comoda e gratuita, ma misera, fruizione domestica sul piccolo schermo, hanno capito che posso puntare sul 3D, la tecnica di ripresa in tre dimensioni, vecchia di vent'anni ma esplosa solo adesso. Sarà un caso? Altro che caso. La verità è che la tridimensionalità restituisce valore e gusto alla visione di un film nella sala cinematografica anziché sul piccolo schermo. Non serve avere tredici anni per accorgersi che un film in 3D visto a casa sul video del televisore o del pc fa pena, mentre visto in sala fa dimenticare in due minuti il peso degli occhialoni rosso-verdi.

In conclusione, e in sintesi: è certo che oggi il web sta distruggendo valori economici e culturali a man salva. Eppure, contemporaneamente, il boom della Rete sta finalmente aprendo le porte dell'accesso alla promozione culturale a una platea che tende virtualmente a coincidere con l'umanità tutta. È ovvio che gli effetti benefici di questa apertura si vedranno tra molto tempo mentre a breve termine se ne stanno misurando solo gli effetti deteriori e distruttivi. Ma tutte le grandi discontinuità tecnologiche hanno avuto questa sfasature d'approccio con le preesistenti realtà. I figli degli operai di John Ludd, di quegli operai che sfasciavano i telai meccanici nel vano tentativo di difendere i loro posti di lavoro nelle vecchie filande manuali, avranno senz'altro potuto vestirsi meglio dei loro padri, comprando a buon mercato gli abiti realizzati con i tessuti industriali resi prodotti grazie a quell'innovazione. Sarà così anche per la Rete. Solo che è toccato a questa nostra generazione il ruolo ingrato di chi dell'innovazione paga i costi e non gode i benefici.
Giulio Genoino

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