[Huffington post Italia 18/11/2013]
Usare e "stare" sui social network ha amplificato il mio radicato
interesse per il tema della costruzione e percezione dell'identità. Come
molti, anche io mi sono chiesta perché tutto questo successo dei
social? Perché siamo tutti lì a dire cosa abbiamo mangiato, dove siamo
andati in vacanza e cosa sogniamo? Perché far sapere agli altri i nostri
gusti musicali? E perché questo compulsivo bisogno di condividere?
Gran parte di questo successo, mi viene da pensare, è forse dovuto al fatto che sui social media noi possiamo costruire, plasmare e, apparentemente, controllare le nostre identità-plurime.
Possiamo diventare supereroi, possiamo esplorare gli aspetti più oscuri
della nostra personalità, più o meno in incognito--sempre presunto
ovviamente perché, si sa, niente in rete è veramente in incognito.
Su Twitter per esempio, vedo che tra i tanti, tantissimi, che si
identificano indicando un nome e cognome (non necessariamente veri) ci
sono anche un "buonoanullo" un "lama elegante" un "signor nessuno" un
"MisterX", un "Diavolo", un "Dio" una "ballodasola", una "solostronza" e
una "corposenzatesta". Giusto per citarne qualcuno. Una bella signora
sposata, si definisce così: "fighting 40+, UK" e posta foto più o meno
porno con o senza lingerie (il suo modo di contrastare la crisi
d'identità che accompagna la pre-menopausa). Ognuno si dedica
liberamente a diventare ciò che vuole o che forse non può essere nel
quotidiano. Twitter è la trasgressione potenziale, il travestimento drag
accessibile, facile e gratuito. Con tanto di flirt, twitt-cottarelle e
sesso virtuale.
Pare infatti che Twitter funzioni meglio dei siti d'incontri.
Mentana, tempo fa, con il suo annuncio pubblico e pubblicizzato, di
cancellarsi da Twitter voleva denunciare proprio il rischio insito nel
non doversi necessariamente esporre in prima persona. Con un finto
profilo infatti, si può criticare, flirtare, insinuare e offendere
chiunque senza rischiare conseguenze concretamente problematiche--tipo
una denuncia.
Ci sono quelli che preferiscono Facebook e quelli che preferiscono
Twitter. La grande differenza, la maggiore direi, tra i due social è che
su FB si tende a modificare l'identità reale. Ovverosia ad imbellire
l'io quotidiano, filtrando accuratamente cosa postare e cosa non, quali
foto taggare, quali citazioni condividere. In base all'idea che abbiamo
dell'io desiderabile (ricco, magro, viaggiatore, politico, pubblico,
misterioso, intellettuale, simpatico...) aggiungiamo pezzetti di un
puzzle immaginario che ci deve rappresentare così come riteniamo di
voler essere.
Al contrario, twitter-che non richiede veri o presunti amici come
pubblico, ma predilige gli sconosciuti-si presta meglio a costruire
un'identità completamente nuova e spesso del tutto staccata dall'io
quotidiano e, attraverso questa, permette di esplorare soprattutto chi
poter essere. Non è certo un caso che, sempre più spesso, chi deve
assumere del personale, controlli in rete chi o cosa questa persona sia e
l'immagine di sé che il candidato vuole dare. E a voler cascare nella
trappola del "prima e dopo", prima di questo boom dei social, l'identità
veniva costruita attraverso l'album fotografico e i filmini delle
vacanze o del matrimonio. Adesso attraverso Linkedin, FB o Instagram e
di questi tempi è più pressante e vitale esistere in rete che esistere
nella realtà. E penso al famoso adagio: se un albero cade in una foresta
e nessuno lo sente, fa rumore? Egualmente, se qualcuno esiste, ma non è
visibile in rete, non è contattabile, non è rintracciabile, esiste sul
serio?
Il 24 maggio 2012 al New Museum di New York, l'artista Constant Dullaart ha
voluto puntare il dito su questo fenomeno in modo provocatorio e ha
reso pubblica la password necessaria per accedere al suo account
Facebook. Da quel momento, non ha più avuto alcun controllo sul suo
diario online. Su questa scia, l'artista tedesco, Tobias Leingruber, ha
fondato il Social ID Bureau, un servizio che mette a disposizione carte
d'identità basate sulla nostra presenza nei social network. Nato come
Facebook ID Bureau e lanciato con una performance a Berlino nel marzo
scorso, il progetto ha immediatamente stimolato la risposta legale di Facebook.
E così continuo a perdermi nelle mie riflessioni. Cosa vuol dire, di
questi tempi la parola "identità"? E come ci possiamo identificare
adesso che anche l'identità è diventata, citando Bauman, liquida? Ma
soprattutto, adesso che possiamo non-essere e cambiare chi essere come
cambiamo abiti, che rappresentazione del reale cercheremo?
Sasha Perugini
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