[21(01/2011 Giornalettismo]Timothy Garton Ash, grande studioso ed editorialista del quotidiano inglese Guardian, se lo chiede oggi in un editoriale sul quotidiano inglese. Quale è stato il ruolo di Internet, dei portali di social netrworking e di informazioni diffuse nel far nascere, favorire e portare alla vittoria la rivolta dei Gelsomini che ha deposto il governo di Ben Ali e che in questi minuti spinge verso il basso anche il fantoccio governo di unità nazionale a Tunisi?
RIVOLUZIONI 2.0 – Sta infatti diventando un luogo comune: senza la rete globale, tali eventi non sarebbero stati possibili. Ne è convinto persino un illustre vicino del regime deposto, Muhammar Gheddafi, leader della grande Jamarhya Libica Popolare e Socialista.
Persino voi, fratelli tunisini, persino voi avete letto questa Kleenex (nome con cui Gheddafi chiama Wikileaks). Qualsiasi inutile personaggio, qualsiasi bugiardo, ubriacone, istigato, qualcuno in overdose da droghe può parlare su internet, e voi leggete quel che lui dice e ci credete. Questo è chiacchericcio gratuito. Dobbiamo diventare le vittime di Facebook, Kleenex e Youtube?
Si, risponde Garton Ash, meglio la rete che le dittature. Ma, battute a parte, quale è il reale ruolo della rete, dicevamo, nel causare e supportare queste rivolte popolari che sono addirittura in grado di far cadere regimi ultradecennali?
Quale contributo danno siti internet, social networks e telefonini ai movimenti di protesta popolare? Siamo autorizzati ad etichettare le rivoluzioni tunisine, come alcuni hanno fatto, come “la Twitter revolution” o la “Wikileaks revolution”? Un importante e giovane attivista-analista bielorusso, Evgeny Morozov, ha appena sfidato i pigri dati di fatto dietro queste etichette politico-giornalistiche in un libro chiamato “La delusione della rete”, che è andato in stampa prima delle rivolte tunisine. Il sottotitolo della versione inglese si chiama “Come non liberare il mondo”. Morozov si è un po’ divertito deridendo e demolendo le visioni stupidamente ottimistiche che, particolarmente negli Stati Uniti, sembrano accompagnare l’emergere di qualsiasi nuova tecnologia di comunicazione (ricordo un articolo 25 anni fa chiamato “il fax ci renderà liberi). Il suo intento è mostrare che il contributo di Twitter e Facebook alla rivoluzione verde iraniana è stato sopravvalutato. Queste nuove tecnologie possono essere usate allo stesso modo da dittatori per guardare, intrappolare e perseguitare i propri avversari. Soprattutto, insiste sul fatto che Internet non sospende i metodi classici di operare della politica di potenza. E’ la politica che decide se il dittatore cadrà, come in Tunisia, o se i blogger saranno picchiati e rinchiusi, come in Bielorussia.
Da ridimensionare, dunque, il ruolo delle nuove tecnologie nello scoppio delle ultime rivolte popolari, secondo questo studioso. Alla fine della fiera, sono gli uomini in carne ed ossa a prendere le decisioni: e internet offre le stesse armi agli oppressori rispetto a quelle che offre agli oppressi.
INDISPENSABILI – Per Garton Ash, in realtà, lo studioso bielorusso, nella sua critica alla rete come veicolo di libertà, esagera “nel verso opposto”. E’ vero, le nuove tecnologie offrono- forse – uguali armi ad oppressi ed oppressori: ma pensare che dunque, la loro importanza non sia centrale in questa apertura di millennio sarebbe sbagliato. Esse forse non causano le rivolte dei giovani del 2000, ma sono indispensabili alla vittoria.
di cambiamento nel Maghreb. Se le cose vanno bene, internet e la tv satellitare diffonderanno le notizie nel mondo. Perciò si, internet fornisce armi per oppressi ed oppressori – ma non, come Morzov sembra sostenere, in ugual misura. Comparando, ne offre più agli oppressi. Credo che dunque Hillary Clinton ha ragione ad identificare la libertà di informazione mondiale in generale, e la libertà della rete in particolare, come una delle principali opportunità del nostro tempo. Ma ci sono anche pericoli in tutto questo: quelli che Morzov acutamente sottolinea.
Sulla bilancia dei pro e dei contro, dunque, internet è di grande aiuto alle popolazioni oppresse che tentano di liberarsi delle loro catene: un sostegno decisivo, questo, che vale tutti i rischi.
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